Un racconto del vecchio nostromo
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Un racconto del vecchio nostromo
Se avesse fatto, se avesse visto, se avesse ascoltato… quel "se", nella sua brevità, spesso racchiude un grido di rimpianto, una sentenza senza appello.
Konstantin Afanasevič Samaraev, sebbene primogenito di un nobile dalle grandi ricchezze, insignito dallo Zar Nicola I dell'ordine di Cavaliere di San Vladimiro, amava mescolarsi al popolo di pescatori e marinai che affollava la taverna di Jakov, al porto.
Spesso, nella buona stagione, lasciava a cavallo la tenuta di Lebjaž'e, affacciata sule gelide acque del golfo di Finlandia, e passava la notte nel tanfo di pessima vodka, giocando a carte e cantando strofe che a San Pietroburgo gli sarebbero costate l'esclusione dai salotti della buona società, e forse anche di peggio.
Nella taverna, Konstantin trovava l'opposto di ciò che non sopportava nei salotti della capitale: persone che valeva la pena di conoscere, schiette nella loro dignitosa povertà, interessanti perché riscattavano la loro ignoranza incolpevole con i tesori dell'esperienza. Questi tesori erano sempre disposti a condividerli senza chiedere altra ricompensa che un bicchiere di vodka.
Una di queste persone era certamente staryj Botsman.
In realtà nessuno sapeva il suo vero nome, si faceva chiamare soltanro staryj Botsma, vecchio Nostromo.
Senza nome e senza età, certamente con la gioventù lontana molti lustri, il volto arso dal sale e il corpo ricoperto dai segni delle risse nei porti di ogni mare, sedeva sempre da solo e dava fondo a bottiglie e ricordi.
La sua voce, che aveva sovrastato quella dei marosi ruggenti e l'urlo dei venti tra il sartiame, nel tempo si era arrochita e affievolita, ma era ancora in grado di dominare lo schiamazzo disordinato degli avventori.
«San Nicola mi è testimone, ci salvò lui quella volta che…», iniziava invariabilmente, e intorno a lui si faceva silenzio.
Allora, in quella stanza maleodorante, incrostata di fumo e salsedine, mostri marini con cento tentacoli si avvinghiavano alle gambe dei tavoli, oppure il brigantino dalle vele lacere e la ciurma di scheletri attraversava a dritta la rotta di un vassoio di vodka, mentre gabbiani dagli occhi di fuoco si calavano sul bancone, guardando malignamente gli avventori.
Se, Il fatale "se" di Konstantin: se avesse prestato attenzione a una delle storie del Nostromo…
Avrebbe dovuto, non fosse altro perché quella sera, per più volte, lo sguardo del vecchio aveva attraversato il vetro del bicchiere e si era puntato negli occhi di Konstantin, che ne era rimasto turbato; "dagli occhi di un uomo si giunge alla sua anima", dice un proverbio russo, e gli era parso che quell'uomo pieno di misteri stesse appunto leggendo il libro nero della sua anima.
Perché il disegno del delitto che lo avrebbe dannato per l'eternità era ormai germogliato in lui, come un cancro senza remissione.
Invece, distratto da quello sguardo e immerso nei suoi sinistri pensieri, Konstantin aveva lasciato che le parole pronunciate dal vecchio scivolassero nella sua mente senza destare la sua attenzione. In fondo, erano solo cupe leggende, da prendere per quello che valevano: una bottiglia di pessima Vodka.
Erano passati due giorni e una breve notte mai del tutto oscura, l'alba segnava l'inizio di un nuovo, interminabile giorno e già, in alto, volavano i gabbiani emettendo le loro grida inconfondibili.
Se solo si fosse ricordato del racconto del Nostromo, sicuramente avrebbe fatto qualcosa di diverso, invece Konstantin aveva appena abbandonato il corpo inanimato di Nina Michailovna tra gli scogli dove l'aveva trascinato.
Alla luce radente del sole, Nina aveva perso tutto il suo potere di seduzione. Quello che aveva abbandonato lì, nella schiuma della risacca, era qualcosa di simile alla pelle della serpe che si trova a volte lungo il sentiero: una forma vuota, priva d'ogni fascino perverso e non più in grado di avvelenare chi l'avesse avvicinata.
Presto il mare se la sarebbe presa e di Nina non si sarebbe mai più sentito parlare, lei non avrebbe gettato ancora i suoi maligni incantesimi, nessun uomo sarebbe ancora stato schiavo della sua bellezza.
Nina, la più bella e la più pericolosa tra le donne che Kostantin avesse mai conosciuto.
L'aveva amata con tutto se stesso, e San Pietroburgo era rimasta per mesi senza Konstantin Afanasevič Samaraev, come se non ci fosse mai vissuto. Si era dileguato, scomparso.
Era pronto a sfidare le convenzioni per sposarla e imporla alla famiglia, contro le ipocrite leggi non scritte che lo avrebbero reso un reietto di quella società chiusa e bigotta.
A Ivan Nikiforovič, cugino e soprattutto grande amico, che da San Pietroburgo era venuto a cercarlo alla tenuta, aveva confidato ogni cosa.
"Una popolana di uno sperdutoa villaggio di pescatori? Forse addirittura una mezza prostituta? Ma andiamo, Konstantin! Divertiti, passaci tutte le notti che vuoi, ma sposarla, portarla a San Pietroburgo… non sarai impazzito? Tuo padre ti toglierebbe l'eredità e ogni altro aiuto, e tu come vivresti? Non sei tagliato per lavorare, questo lo sai bene." Le parole di Ivan non sortirono altro effetto che la dolorosa consapevolezza di avere contro anche il suo amico più caro.
Konstantin lo invitò bruscamente a tornare a San Pietroburgo, che riferisse pure a suo padre ciò che gli pareva giusto, gli disse in un freddo addio.
Pochi giorni dopo quel commiato, accadde ciò che mai Konstantin si sarebbe atteso.
C'è sempre qualche anima buona che sente il dovere di sussurrare un certo tipo di notizie per poi godere segretamente delle sofferenze causate. Così a Konstantin pervenne un biglietto anonimo.
"Credevi di essere il solo? La tua Nina s'incontra col suo amante questa notte, nella vecchia capanna di Arkadj".
Incredulo ma deciso a scoprire la verità, Konstantin si appostò sul sentiero, in vista della capanna. Dovette attendere ben poco: appena calato il buio, arrivò Nina, pochi minuti dopo il suo amante la raggiunse.
Lo riconobbe, era Andrej, un giovane pescatore dal grande fascino, che si diceva avesse sedotto quasi ogni ragazza del paese.
Konstantin iniziò in quel momento a concepire la sua vendetta, con una freddezza e una lucidità che non sapeva di possedere.
Nulla doveva trapelare dal suo comportamento e infatti, in attesa dell'incontro con Nina, fissato da lì a pochi giorni, si era recato come al solito alla taverna di Jakov. Fu quella la sera in cui il vecchio turbò Konstantin leggendogli l'anima mentre narrava una storia.
Parlava di gabbiani maligni.
Due giorni dopo, come convenuto, Nina lo raggiunse nel loro posto segreto, una baracca al riparo dai marosi, dove per mesi si erano incontrati e si erano amati quasi ferocemente.
Ancora ferocemente l'aveva amata per l'ultima volta, prendendo da lei tutto il piacere che gli veniva offerto e poi, mentre Nina ansimava con gli occhi chiusi e i sensi rivolti a un unico scopo, Konstantin le aveva appoggiato la punta del pugnale sul seno e aveva spinto con crudele lentezza.
La lama gli fece percepire il battito del cuore della sua amante, sempre più convulso. Nina fece in tempo a capire che stava morendo e a soffrire per pochi, atroci momenti; poi la sua anima di peccatrice andò ad alimentare le fiamme dell'inferno per l'eternità; almeno questo era il pensiero di Konstantin al compiersi della sua vendetta.
Restava Andrej, l'altro amante, colui che aveva spezzato i suoi sogni e reso vana la sua ribellione alle convenzioni. Era in mare, ma al ritorno sarebbe toccato anche a lui: la strada buia, l'agguato, una coltellata alla gola. No, certo non per sua mano, Konstantin Afanasevič Samaraev non si sarebbe sporcato le mani col sangue di un misero pescatore: la promessa di poche monete d'oro era bastata a comprare i servigi di un tagliagole. Era pronto, e attendeva solo l'occasione per guadagnarsi il compenso pattuito.
Questi erano i pensieri di Konstantin mentre si lavava tra gli scogli, in una pozza d'acqua gelida, per strappare via il sangue, l'odore di Nina e il male che lei gli aveva fatto.
Quando gli parve di essersi liberato di tutto, si rivestì e si diresse verso la capanna dove, le briglie legate ai rami di un cespuglio, lo aspettava il suo bel roano.
Il villaggio era vicino e Nina di solito vi faceva ritorno a piedi, lungo il sentiero che a tratti costeggiava il mare. In paese avrebbero pensato a una disgrazia: un piede in fallo, la caduta fatale tra gli scogli. Ma non l'avrebbero ritrovata, questo era certo, pensò Konstantin mentre saliva in sella e si dirigeva verso la tenuta, oltre il promontorio. Perché Nina a quell'ora se la sarebbe già presa il mare. Ne sentiva il rumore, si stava ingrossando sotto la spinta di un freddo vento da nord-ovest, e il fragore dei marosi l'avrebbe accompagnato lungo il percorso, che per un lungo tratto passava sopra la grigia scogliera di granito.
I gabbiani sapevano dove le onde avrebbero spinto le prede e strinsero i cerchi eleganti dei loro volteggi sempre di più, verso la scogliera. Uno di essi, planando sopra le creste spumose, fu attratto da una forma bianca che pareva sul punto di essere trascinata al largo, ma ancora si aggrappava alla terra, un braccio imprigionato tra le rocce.
Cibo, il corpo di un animale pronto per essere divorato.
Con un grido di trionfo il gabbiano si tuffò verso quella forma, si posò su di lei, i suoi occhi si fissarono su altri occhi che, spalancati, parevano guardarlo come se fossero vivi. Era pronto a cibarsene.
Ma l'animale fu percorso da un tremito, poi qualcosa di nuovo e diverso si accese nel suo sguardo. Rimase ancora qualche secondo su quel corpo sballottato e martoriato, ma non lo violò: la fame si era estinta, un nuovo prepotente impulso lo spingeva ad agire.
Con un grido, allargò le ali e si lasciò trasportare in alto, dal vento che risaliva il promontorio.
Al di sotto, un'ondata più violenta delle altre ebbe finalmente la meglio sulla presa degli scogli e il corpo di Nina iniziò a seguire i capricci delle forti correnti e delle raffiche di vento.
Konstantin era arrivato sul punto più alto del sentiero. Quasi cinquanta metri sotto di lui, il mare ingaggiava la sua millenaria lotta contro il granito della scogliera; il tempo era dalla sua parte e la vittoria sarebbe arrivata, non importava quanto ci sarebbe voluto.
Il gabbiano arrivò all'improvviso, un lampo bianco scaraventato dal vento; si abbatté sul muso del cavallo e rimbalzò a sfiorare il viso del cavaliere. Un'impennata, un balzo istintivo dell'animale e Konstantin non ebbe nemmeno il tempo di reagire.
L'uomo e la sua cavalcatura si trovarono oltre il ciglio del sentiero, con le pietre che franavano sotto gli zoccoli del cavallo atterrito.
Konstantin, ancora assurdamente stretto con le ginocchia alla sella, vide il mare avvicinarsi sempre più rapidamente e il bianco di un corpo nudo che, le braccia aperte e gli occhi fissi su di lui, sembrava volesse accoglierlo.
In alto, il gabbiano roteava, stridendo trionfante.
In un attimo, la mente sconvolta di Konstantin fece riaffiorare le parole dette dal vecchio Nostromo quella sera, mentre lo guardava attraverso il bicchiere, quelle parole che, se ascoltate, avrebbero potuto salvargli la vita: "Il gabbiano che fisserà gli occhi di una persona morta nel peccato, sarà posseduto dal suo spirito e tormenterà gli uomini sino a portarli giù, nell'inferno, con lui."
La taverna di Jakov non dormiva mai. Al suo interno alcuni ubriachi russavano sulle panche, nel puzzo di vodka e vomito: Jakov sarebbe presto passato con un secchio d'acqua di mare a svegliare gli ebbri e ripulire alla meglio la stanza.
Il vecchio Nostromo era seduto da solo, apparentemente non aveva dormito, aspettando il mattino immerso nei suoi pensieri e traendo energie dalla bottiglia di vodka che giaceva vuota, rovesciata sul tavolo.
Come se avesse udito qualcosa, si fece attento, poi si alzò e, con passo assolutamente fermo si diresse alla porta. Uscì e s'incamminò verso il mare.
Un gabbiano era posato sul molo, come in attesa. Il vecchio lo raggiunse e il gabbiano si alzò in volo, puntando verso il largo.
L'uomo lo seguì con lo sguardo sino a quando l'uccello emise un grido e cambiò direzione, sparendo verso il sole.
Nel punto indicato dall'animale, il vecchio Nostromo scorse due corpi che affioravano addossati l'uno all'altro. Si diresse verso un barcone dove alcuni uomini stavano lavorando, avrebbe dato l'allarme.
Sul suo viso antico, un mezzo sorriso, come un taglio nella pelle incartapecorita, gli conferiva un'espressione sinistra.
Parlava solo a se stesso.
«Se mi avesse ascoltato, ora non avrei un'altra storia da raccontare.»
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È piacevole lasciarsi trascinare nel racconto e nel suo tempo, perché tutto è così verosimile che non si fa alcuna fatica.
Solo al principio ho notato qualche tennennamento nell'ortografia delle parole (Botsma finisce o no con "n"?)
E un passaggio: "giocando a carte e cantando strofe che a San Pietroburgo gli sarebbero costate l'esclusione dai salotti della buona società, e forse anche di peggio." (per inciso, io avrei preferito "e forse anche peggio").
Mi ha fatto riflettere, questo passaggio, perché l'esclusione dai salotti della buona società è la tipica reazione di un'aristocrazia decadente come la nostra, mentre la percezione che ho dell'aristocrazia russa è diversa, più rude e schietta, e che quindi se ne sarebbe fregata dei men che disdicevoli vizietti di un loro pari. Quindi la domanda è: il passaggio è corroborato da esempi del genere nelle cronache russe?
D'altro canto, è anche vero che l'ostracismo per futili motivi è proprio ciò che ci si aspetta dall'aristocrazia, e quindi il passaggio ha buon gioco a creare l'atmosfera di vizi personali.
A questo punto, come scrittore che si rende conto della validità delle due possibili vie, cosa vale di più? La fedeltà alla storia o la fedeltà alle idee del lettore?
Ancora grazie mille per la storia e per lo spunto di riflessione.
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In mezzo questo periodo interlocutorio: "Se, Il fatale "se" di Konstantin: se avesse prestato attenzione a una delle storie del Nostromo…
Avrebbe dovuto, non fosse altro perché quella sera, per più volte, lo sguardo del vecchio aveva attraversato il vetro del bicchiere e si era puntato negli occhi di Konstantin, che ne era rimasto turbato; "dagli occhi di un uomo si giunge alla sua anima", dice un proverbio russo, e gli era parso che quell'uomo pieno di misteri stesse appunto leggendo il libro nero della sua anima."
Da lettore però mi chiedo quale senso abbia quel se. E quale sarebbe la storia del Nostromo che Konstantin avrebbe dovuto ascoltare. Eppure dovrebbe essere il punto di volta del racconto, tuttavia l'autore lascia il lettore senza altri riferimenti.
Solo nel finale qualcosa ci è rivelato, quando Konstantin ricorda le parole di Nostromo: "Il gabbiano che fisserà gli occhi di una persona morta nel peccato, sarà posseduto dal suo spirito e tormenterà gli uomini sino a portarli giù, nell'inferno, con lui."
Ecco, forse l'avvertimento, per essere tale, doveva esser inserito prima. Nel finale ha un senso solo esplicativo, non certo di avvertimento.
E infatti Konstantin viene tormentato in modo tanto terribile (ma forse troppo subitaneo) dal gabbiano da scegliere di lanciarsi immediatamente dalla scogliera verso il cadavere dell'amante che ancora galleggia.
Il finale rivela la connessione tra il gabbiano e il vecchio Nostromo (che sembra identico a questo punto alla vecchia signora con la falce) "nel punto indicato dall'animale, il vecchio Nostromo scorse due corpi che affioravano addossati l'uno all'altro. Si diresse verso un barcone dove alcuni uomini stavano lavorando, avrebbe dato l'allarme.
Sul suo viso antico, un mezzo sorriso, come un taglio nella pelle incartapecorita, gli conferiva un'espressione sinistra.
Parlava solo a se stesso.
«Se mi avesse ascoltato, ora non avrei un'altra storia da raccontare.»"
Quest'ultima frase ha il sapore di un avvertimento postumo, dato che il lettore non ha potuto ascoltarlo prima questa benedetto avvertimento.
Quindi il vecchio Nostromo ci appare come una specie di Tiresia, o di Cassandra, o nei panni maschili della signora con la falce. E questo gli fa perdere un po' di smalto a mio parere, perché lo innalza a un livello super umano. Tuttavia l'incontro tra i due protagonisti del racconto, nella prima sezione, lo ribadisco ancora, rimane sospeso, non dice molto, e alla fine rimane il dubbio del perché Konstantin avrebbe dovuto ascoltare parole che il lettore non ha mai udito.
Un racconto, a mio avviso, riuscito solo in parte per questa mancanza di collegamento tra i due protagonisti, tra le due sezioni del racconto.
Per il resto, la scrittura è buona, la struttura narrativa funziona, soltanto avrei adoperato il trapassato nel racconto dell'omicidio anziché il passato remoto.
Un'altra piccola indicazione, di poco conto, la costa russa del golfo di Finlandia è bassa e sabbiosa. Le alte scogliere di granito da cui Konstantin si è precipitato non so perché mi hanno ricordato quelle irlandesi.
A rileggerti
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Forse è già stato segnalato ma è scappata una lettera di troppo qui: "Una popolana di uno sperdutoa villaggio di pescatori?“ sperdutoa
- Alberto Marcolli
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- Iscritto il: 08/05/2018, 18:06
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commento Un racconto del vecchio nostromo
… era certamente --- certamente con la gioventù
… dai salotti … nei salotti
Konstantin, ancora assurdamente stretto con le ginocchia alla sella, vide il mare avvicinarsi sempre più rapidamente e il bianco di un corpo nudo…
Una mia regola è la seguente: non sempre gli avverbi sono necessari. Spesso preferisco evitarli e lasciare al lettore la libertà d’immaginarsi l’azione. Proposta per il periodo precedente:
Konstantin, ancora stretto con le ginocchia alla sella, vide il mare avvicinarsi e il bianco di un corpo nudo…
con passo assolutamente fermo si diresse alla porta. – proposta .. con passo fermo si diresse alla porta.
Anche l’uso degli aggettivi deve essere “moderato”. Spesso gli aggettivi descrivono troppo e annoiano il lettore.
Esempi di aggettivi da valutarne la necessità: dolorosa – freddo vento - la grigia – eleganti - delle forti – sconvolta – antico –
L’intreccio tra il Nostromo e il nobile primogenito mi è piaciuto.
Voto 4
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