Bussando alle porte del cuore
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Bussando alle porte del cuore
E la musica, la lirica …
Ti ho protetta con tutto l’amore che ho potuto e con la forza datami dai creatori, dagli
ingegneri, dagli assemblatori. Mi è sorto quel coraggio che nasce dalla comprensione e che
contiene la distruzione. Sono cresciuto col vigore che diventa fermezza capace di pietà e così
tanto tenera di compassione. Proprio all’ultimo ho mancato ai miei principi, per questo in
qualche modo sto piangendo e avvilisco il plutonio senza risultati. Quanti dubbi e rimorsi mi
tormentano quaggiù. Perché mi hai reso cosciente? A te non serviva e mi hai trasmesso solo
tormenti.
La musica, quella che ci era caduta addosso, che avevamo riconosciuto, riusciva a placarci,
ma tutto ciò che posso fare, ormai, è tremare affranto nel ricordarla. Era dannatamente bella,
maledizione! Ma non sembra più la stessa qui, in questo soffocato limbo sotterraneo dove non
trovo né umani e nemmeno miei pari. Dove sono solo.
Amavamo quel disco, quella melodia tanto imponente, catastrofica, profetica. Ci avevano
raccontato di una band che si era ispirata alla nostra storia per intitolare il nuovo album.
Trovasti la circostanza curiosa ma sembrò che in fondo non fosse così importante; ma tu,
come poche volte ti accadeva, brillasti e il giorno dopo tornasti a casa con un trentatré dalla
copertina che non si era mai vista prima: una mucca frisona in primo piano, sul prato verde,
senza l’indicazione del nome degli autori.
Non c’era settimana che non l’ascoltassi, Constance, e io con te: attraverso te. E, non puoi
saperlo, l’ho trascritto a modo mio, con i battiti del tuo cuore e con le mie parole commosse.
Era un mix di nostre pulsazioni, di uno strano canto viscoso che sentivo scorrere nelle tue
vene. Mi era venuto bene: nuovo, differente, bello e compiuto, anche senza le trombe che
s’interrogavano su un’alba funesta, imitando l’inquietudine delle ambulanze, le grida
disperate verso un cielo grigio, l’urgenza di una fine inesorabile. Non dico che quelle trombe
non mi piacessero. Le ricordo ma ho dei limiti e ancora mi dispero per la mia incapacità. Mio
malgrado non potevo replicarle. Mi riuscivano il canto rosso e le percussioni del cuore.
In quel garage, quella sera, ho provato con la voce che posso a farti ascoltare la partitura. Ho
provato a bussare forte al tuo cuore, quel luogo che consideravo l’unico paradiso che mi era
concesso.
La nostra musica aveva bisogno di un unico strumento e di un luogo esclusivo…tu. Eri la
cassa di risonanza e l’eco, la voce e il solco dove dimorava il groove, la sala dove tenere un
concerto aperto e dedicato, esclusivo. Con le mie note, la mia costante cadenza, ti parlavo,
amavo e cantavo. Ma tu, tu non ascoltavi. Il tuo debole cuore, dove avevo provato a infondere
una nuova energia, era tormentato da mille insicurezze. Le stesse incertezze che mi hai
trasmesso, che proprio ora provo. Te lo chiedo ancora, Constance: perché mi hai reso
cosciente?
Un amore disperato il mio, nato dal compito e dal destino, a cui non avrei mai potuto sottrarmi.
Potevo farti vivere serena, una lunga vita che toccava a te progettare ma non hai mai creduto
in me, mi hai sempre mancato di rispetto. Ho provato a cantare il sentimento nobile, fino
all’ultimo, anche quando ho capito che desideravo un amore che non era e non poteva essere
corrisposto. Ma perché non poteva? Perché?
Coloro che mi hanno creato non crederebbero mai che io, proprio io, so pensare e sono stato
capace di comporre musica per donare la speranza di una vita migliore, per vivere meglio la
mia condizione.
Forse fu tutto inevitabile dal principio. Posto così vicino al tuo cuore non potevo che subirne
l’incanto. Sì è trattato di un contagio dell’anima.
“Caro mio, anche un lupo è intelligente per natura, cosa c’entra l’anima? E la natura, con
te…?”
Ecco, vedi? Vedi? Ora, oltre a discutere con chi non può rispondere mi ritrovo a parlare e
avvelenarmi da solo. Come facevi tu nei pomeriggi piovosi quando, davanti allo specchio, lo
sporcavi con il rossetto perché ti vedevi brutta.
Per salvarti mi trasformai fino a sentirmi nuovo, diverso, non solo cosciente ma anche degno
di autodeterminazione.
Purtroppo, col senno di poi.
Fu per questo che volli cambiare il nome datomi dai creatori, quel troppo studiato e banale
‘Coratomic’ inciso sulla ceramica che doveva essere isolante; non era veramente un nome,
era un titolo freddo, posto sulla materia inerte. Avevo pensato di chiamarmi HAL, come il
potente cervello elettronico che temeva di restare solo, che una sera avevo visto con te in un
film. In lui riconobbi una disperazione meccanica e consapevole, affine alla mia, cosi
prossima alla umana solitudine. Eppure non lo sentivo ancora mio perché sono diverso,
capace senza scampo di amare. Di amare te e nessun altro. Ne ho avuto di tempo, sono
trascorsi poco più di otto anni, per pensare a una valida alternativa.
Dallo psicologo, e sai che ascoltavo, hai raccontato di come è nato il tutto: imbottita di farmaci
e droghe ti sei data a uno sconosciuto sull’Isola di Wight. Era il momento dello sballo, del
Peace&love. In quegli attimi concitati un menestrello cantava sul palco “Mr. Tambourine
Man”, parole senza tempo soffiate nel vento da una melodia incantevole. Parole e melodia
che nel mentre non ascoltasti. Lo sconosciuto confuso chiamò i soccorsi, poi il codardo sparì,
ti portarono in ospedale. Fu lì che, preda delle tue intemperanze, avesti il primo attacco
cardiaco, ripetutosi poi, con conseguenze quasi fatali, a distanza di poche settimane.
Mr.Tambourine... decisi di chiamarmi così, a tua insaputa.
Furono due le ragioni che ti tennero in vita.
Syd, il bastardo che portavi in grembo.
E io.
- Dottore, è sicuro che il bimbo non avrà conseguenze, che non nascerà malformato?
- La tecnica è ancora sperimentale, qui in Inghilterra non abbiamo ancora una casistica.
Le maternità portate a termine negli altri continenti si possono contare sulle dita di una
mano, ma mi risulta che i bambini nati in America siano tutti in perfetta salute.
- Si, ma temo il peggio. Quel “coso” è radioattivo.
- Signora Adell, ne avevamo già parlato prima dell’intervento. Il dispositivo è
schermato. Stia tranquilla, sarà un bambino sano. Ciò che deve fare ora è mettere la
testa a posto.
- Lo sa, non sono serena. Sto provando a curarmi, sono seguita da uno psicologo.
- Forse dovrebbe guardare a una soluzione più incisiva. Se vuole, le indico un valido
psichiatra.
Lo psichiatra non bastò, come non bastò il mio amore, come non bastò il bastardo, non avevo
dubbi. Anzi, dovetti infine spingermi a odiarti. Quella notte, dentro il garage della tua casa,
hai escogitata un’altra umiliazione ai miei confronti, hai ascoltato altro, una canzone dal testo
inadatto. Il disco di sempre no, il nostro LP non andava bene: sembrava troppo premonitore.
C’erano quei suoni veri e minacciosi a infastidire violoncelli, tastiere e chitarre: il motore di
una motocicletta che scappa, gli spari, l’ambulanza, l’aereo pronto a sganciare una bomba. E
quel coro pieno d’angoscia: “Rapateeka, rapashaaa - rapateeka, rapashaaa…”
Presi coscienza di esistere quando ti risvegliasti dall’anestesia. Fu curioso e fastidioso
percepire il tuo primo dubbio, così diverso da quello di chiunque altro si fosse trovato nella
stessa condizione: “Sono un mostro che partorirà un mostro?”.
In quel mentre è nato il nostro rapporto, tu a temermi, io imprigionato a spendere ogni energia
per tenerti in vita, lanciando impulsi potenti e silenziosi.
E tutto questo nonostante il tuo disprezzo, la paura, perfino le imprecazioni contro di me. Non
dovevo poi essere così schermato se riuscivo a sentire tutto di te.
Poco dopo si parlò di noi sull’Evening Standard. Ricordo, l’articolo s’intitolava Atom Heart
Mother Named: ma in fondo Constance sapevi che, prima o poi, sulle pagine di un giornale
ci saresti finita.
- Ma quel “coso” come funziona? Ha una batteria che si consuma? Dovrò essere operata
ogni volta per sostituirla?
- Signora Adell, il dispositivo è stato progettato per durare almeno dieci anni. Non
rappresenta un problema oggi: piuttosto, si concentri sul bambino. E per far questo,
dovrà prendersi cura di sé. Lei sa di cosa parlo.
La meditazione, lo yoga, l’espansione della coscienza, gli psicofarmaci. Gli incontri
settimanali con lo psicologo. Le parole rivolte a Syd, quando ancora si muoveva nel grembo.
Ho odiato quel bastardo: lui a ricevere amore ed energie vitali, io assegnato solo a donare.
Perché l’hai fatto? Perché non ci hai protetti? Presto tornasti ai tuoi vizi, alla vita sregolata, le
fissazioni di una mente bacata, dopata dalle sostanze che avrebbero invece dovuto espanderla.
Potevo agire sul cuore, sulla vita, ma non mi hai permesso di intervenire sul pensiero. Non mi
hai mai veramente ascoltato.
Non sei morta in quell’autorimessa per gli abusi con cui infierivi sul tuo corpo. Quantomeno
non direttamente. Fin lì ti ho sostenuta e protetta con ogni mia particella, ti ho curata malgrado
te. Non lo sai, non volevi saperlo, ma ti ho amato più di quanto tu abbia amata te stessa.
Continuo a funzionare quaggiù anche ora che non sei più. Nessuno ha pensato a spegnermi:
condannato a agire oltre me stesso. Una maledizione il cui castigo è il rimorso e il ricordo.
Ancora mi chiedo il perché. Non avresti dovuto farlo in quella stanza piena di chiavi inglesi,
locale spoglio e odorante di benzina, pieno di ragnatele che non hai mai spazzato, nella Dyane
di latta mezza scassata, con il tubo incerottato allo scappamento che terminava dentro
l’abitacolo. Ascoltavi il nastro, tenevi malferma la bottiglia di bourbon ormai vuota, tossivi,
scuotendo forte il cuore, e cantavi a squarciagola per trovare il coraggio di arrivare fino in
fondo:
- Come on, baby, light my fire. Come on, baby, light my fire. Try to set night on fire.
Sapevo che non avrei potuto salvarti. Lo compresi dopo che provai con ogni mia risorsa a
bussare al tuo cuore, a farti ascoltare, inutilmente, la mia versione del nostro disco, quel mio
suono dedicato e che speravo salvifico. Ho provato a cantarti la vita, quella che, quando è il
momento, sa morire e muore, ma non era il giusto tempo. Mi hai costretto a ucciderti, a
rinunciare al conforto del tuo cuore debole col quale ero in simbiosi. Non fu solo un gesto di
pietà ma molto più di stranamore, avvelenato dalla rabbia per non aver accettato il mio dono,
quello di una vita nuova. “Come on, baby, light my fire”. Quel fuoco alla fine non me l’hai
acceso, hai scelto di accendere il motore di un’auto scassata e ho dato il peggio di me: ho
scaldato il plutonio al massimo. In un sol colpo mi sono liberato di un amore malato,
sofferente come un cuore malconcio, e del bastardo.
Ora sono sepolto con ciò che resta di te. Suicidio, così hanno stabilito… non potrebbero mai
immaginare la verità.
E ora a chi posso chiedere conforto, se ho fatto bene, se sia stata pietosa eutanasia, se
veramente è stato un gesto d’amore o piuttosto una vendetta per un amore non corrisposto?
Ecco, sopravvengono le insicurezze con cui mi hai inquinato da subito e che ora trovano
forma.
Solo, dimenticato, il mio cuore radioattivo ora sente il dubbio, il pentimento, s’interroga. Mi
macero. In qualche modo piango. Tu non sei più, sono come un Sole che ha smarrito i suoi
pianeti, che irradia sterilmente luce ed energia.
- The time is gone, the song is over, thought l’d something more to say.
Finiva così quella canzone dal ritmo di un cuore accelerato. Ma a chi racconto ora tutto
quanto?
So di umani che in questi frangenti si tolgono la vita. A me la scelta non è concessa. So che
non potrò mai più bussare alla porta del paradiso.
Vorrei terminare ma non mi consumo, non mi consumo, non mi consumo…
- Marino Maiorino
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Si può sentire, quest'amante che non può far niente per evitare l'autodistruzione dell'amata.
Il sentimento peggiore non è quello che si sente durante la caduta, ma dopo: quando vorresti finire anche tu e non puoi e non ci riesci, e senti che la tua vita non ha più senso.
Posso perciò trovare una sola pecca, in questo racconto: la scelta del protagonista. Un amore così non va fatto vivere ed esprimere da un oggetto: per quanto un pacemaker possa vivere in simbiosi con un cuore, esso resta un oggetto. Anche la metafora del "spinge il cuore di lei a vivere", non regge: lei resta durante tutto il racconto insensibile all'amore di lui, quindi l'unica forma di vita che lui le dà è puramente meccanica. Lui NON l'aiuta a vivere, ma solo a sopravvivere.
A me è piaciuto.
Racconti alla Luce della Luna
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Re: Bussando alle porte del cuore
- Marino Maiorino
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Re: Bussando alle porte del cuore
Non credi di aver messo troppa carne a cuocere e che qualche ingrediente possa non percepirsi?
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Re: Bussando alle porte del cuore
La tentazione sarebbe di invogliarti a rileggere tutto il racconto, sulle giustificazioni che fin dall'inizio il "personaggio" cerca per giustificare il suo gesto, la sua gelosia nei confronti del figlio, la sua frustrazione per non essere amato, anzi, addirittura odiato. Ma poi, sai, hai ragione. Sto imparando. Provo a scrivere e so che devo migliorare per giungere. Grazie per i tuoi consigli.Marino Maiorino ha scritto: ↑07/09/2023, 21:09 Il femminicidio? Nel tuo racconto? Perché il cuore le toglie la vita mentre lei cerca di suicidarsi?
Non credi di aver messo troppa carne a cuocere e che qualche ingrediente possa non percepirsi?
- Marino Maiorino
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Re: Bussando alle porte del cuore
Tutto quello che scrivi sul cuore è verissimo: la frustrazione, la gelosia, ecc. Nondimeno, ne fai un percorso così ben descritto (e ciò va a lode della tua penna) che il lettore (io, almeno) persino giustifica il gesto, tanto più che accade mentre lei cerca di suicidarsi. Sono arrivato a quel punto e l'omicidio quasi non aveva importanza, quasi sembra un dettaglio, in quel momento: lei sarebbe morta comunque, e lui non può fare nulla per salvarla. Anche il suicidio (opzione alla quale un umano avrebbe pensato) non è contemplato: il pacemaker NON può morire, e il suo suicidio finirebbe comunque con la morte di lei.
Il fatto che il protagonista sia un oggetto giustifica ancora più il gesto: nessuno si aspetta un'emotività matura da parte di un oggetto! A quel punto il tuo racconto sembra piuttosto indicare il paradosso di mettere la vita degli esseri umani in mano alle macchine, il paradosso di fornire un cuore artificiale a qualcuno tanto autolesionista come la protagonista, la dubbia giustezza del creare oggetti coscienti che ci sopravviveranno e sentiranno la solitudine dopo che noi non ci saremo più.
Inoltre, anche l'autopsia punta al suicidio perché nemmeno nel mondo dell'oggetto qualcuno ha pensato che l'omicida possa essere il protagonista! E nelle cronache siamo abituati (purtroppo) a trovare il mostro nel vicino tanto silenzioso e conosciuto appena di sfuggita... Se nel tuo mondo fosse pensabile che il pacemaker possa fare quello che racconti, gli ispettori avrebbero almeno battuto quella pista, no?
Ecco perché, fin dal principio, ho ritenuto di indicarti quelle cose: con tanta carne a cuocere, era quasi inevitabile che qualche sfumatura non coincidesse esattamente con ciò che volevi trasmettere.
E un'ultima considerazione: il lettore. Non importa quanta cura tu possa mettere nela stesura di un testo, il lettore è un'altra persona col suo vissuto, e inevitabilmente il tuo scritto risuonerà con note della tua opera che tu non hai nemmeno notato. È per questo che credo (fermamente) che chi scrive è (almeno parzialmente e incoscientemente) in stato di trance medianica, perché davvero funge da medium tra l'opera (come genio/demone che ha vita propria) e il lettore.
Ma hai poco da imparare e da migliorare, davvero: quando si scrive questa roba e la si scrive così, si ha davvero poco da imparare.
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E tu scrivi per affrontare dei temi emotivi: l'amore non corrisposto, il rimpianto, l'inadeguatezza; insieme a dei temi sociali: l'eutanasia, il suicidio, l'interazione tra uomo e macchina e la possibilità che questa diventi cosciente di sé. Ma forse è proprio questo il punto debole del racconto, perché la tua macchina è alla fine un aggeggio, un mero apparato meccanico, e la sua umanizzazione, a chi legge come me, è risultata difficile se non impossibile. Si chiama sospensione dell'incredulità. Insomma, il cuore, è qui la metafora è evidente e l'invenione narrativa singolare, meccanico, atomico, quel che sia, alla fine sostiene di essere cosciente; ma chi legge deve crederci, deve riporre assoluta fiducia, non solo nella possibilità della metamorfosi, ma persino nella sua manifesta verità. Con me non ha funzionato. Tuttavia, se leggessi il testo pensando alla macchina, non dico come a un uomo (perché alcuni temi verrebbero meno), ma a una persona non umana, una qualsiasi, le emozioni si materializzerebbero e il testo narrato diventerebbe vero, anzi verosimile. Ecco, l'antropomorfizzazione della macchina è il primo requisito per la verosomiglianza, come quella degli animali nelle favole, e quindi per il coinvolgimento del lettore e la sospensione dell'incredulità.
Ecco, sono diventato tecnico. Ma ciò non toglie che questo sia un racconto intenso, a tratti struggente, a tratti commovente, e abbia tutte le potenzialità per diventarlo ancora di più.
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Re: Bussando alle porte del cuore
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Re: Bussando alle porte del cuore
Credo che i temi che hai trattato possano essere apprezzati da ciascuno di noi, non solo dai vecchi rocchettari, a prescindere dall'individuazione delle tue fonti di ispirazione.
- Alberto Marcolli
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commento: Bussando alle porte del cuore
Per ora ho solo una domanda, sciocca probabilmente.
"il dispositivo è stato progettato per durare almeno dieci anni." scrivi, quindi il "coso" finirà anche lui! Non è vero che non si consumerà. E meno male!
Ho capito bene?
Mi dimentico della domanda, e passo alla seconda lettura. Il racconto inganna parecchio. Si intuisce che si tratta di un dispositivo costruito da ingegneri e assemblatori, ma per arrivare a un pacemaker, oltretutto cosciente, ce ne corre.
La storia si sviluppa in una serie di singolarità che mi ha reso faticosa la lettura, come già ho detto.
Contesto la frase “Coloro che mi hanno creato”. Gli umani non creano. Progettano, sviluppano, scoprono, ecc. ma non creano. E meno male. Di disastri ne hanno già fatti un casino anche senza creare, purtroppo.
Il mio voto è 4 – soprattutto per la scrittura, sostanzialmente impeccabile (post terza lettura)
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Re: Bussando alle porte del cuore
La Gara 46 - Non più in vita
A cura di Ser Stefano.
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Calendario BraviAutori.it "Writer Factor" 2014 - (in bianco e nero)
A cura di Tullio Aragona.
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Calendario BraviAutori.it "Writer Factor" 2015 - (in bianco e nero)
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Vivere con 500 euro al mese nonostante Equitalia
la normale vita quotidiana così come dovrebbe essere
Vi voglio dimostrare come con un po' di umiltà, di fantasia e di buon senso si possa vivere in questa caotica società, senza possedere grandi stipendi e perfino con Equitalia alle calcagna. Credetemi: è possibile, ed è bellissimo!
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Museo letterario
Antologia di opere letterarie ispirate dai capolavori dell'arte
Unire la scrittura all'immagine è un'esperienza antica, che qui vuole riproporsi in un singolare "Museo Letterario". L'alfabeto stesso deriva da antiche forme usate per rappresentare animali o cose, quindi tutta la letteratura è un punto di vista sulla realtà, per così dire, filtrato attraverso la sensibilità artistica connaturata in ogni uomo. In quest'antologia, diversi scrittori si sono cimentati nel raccontare una storia ispirata da un famoso capolavoro dell'Arte a loro scelta.
A cura di Umberto Pasqui e Massimo Baglione.
Introduzione del Prof. Marco Vallicelli.
Copertina di Giorgio Pondi.
Contiene opere di: Claudia Cuomo, Enrico Arlandini, Sandra Ludovici, Eleonora Lupi, Francesca Santucci, Antonio Amodio, Isabella Galeotti, Tiziano Legati, Angelo Manarola, Pasquale Aversano, Giorgio Leone, Alberto Tivoli, Anna Rita Foschini, Annamaria Vernuccio, William Grifò, Maria Rosaria Spirito, Cristina Giuntini, Marina Paolucci, Rosanna Fontana, Umberto Pasqui.
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Gare letterarie stagionali - annuario n° 2 (2019 - 2020)
Le Gare letterarie stagionali sono concorsi a partecipazione libera, gratuiti, dove chiunque può mettersi alla prova nel forum di BraviAutori.it, divertirsi, conoscersi e, perché no, anche imparare qualcosa. I migliori testi delle Gare vengono pubblicati nei rispettivi ebook gratuiti i quali, a ogni ciclo di stagioni, diventano un'antologia annuale come questa che state per leggere.
A cura di Massimo Baglione.
Contiene opere di: Roberto Bonfanti, Giampiero, Lodovico, Giorgio Leone, Athosg, Carol Bi, Diego.G, Massimo Centorame, Namio Intile, Alessandro Mazzi, Frdellaccio, Teseo Tesei, Stefyp, Laura Traverso, Eliseo Palumbo, Saviani, Andr60, Goliarda Rondone, Roberto Ballardini, Giampiero, Fausto Scatoli, Sonia85, Speranza, Mariovaldo, Macrelli Piero, Andrepoz, Selene Barblan, Roberto, Roberto Virdo'.
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