Suicidio sull'Orient Espress

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Anto58
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Suicidio sull'Orient Espress

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leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.

Il Simplon-Orient Express partì alle diciannove e trenta da Parigi, stazione Gare de l'Est, in orario come tutte le sere, diretto a Istanbul, stazione Sirkeci, passando per Belgrado e percorrendo in tutto oltre tremila chilometri.
All'epoca, nel 1921, era il mezzo più veloce e più sicuro per raggiungere Istanbul, ma soprattutto più comodo ed elegante; le carrozze con i divani di velluto azzurro che di notte diventavano letti morbidi e confortevoli, le boiserie alle pareti, i lunghi corridoi sempre illuminati e "le restaurant", il famoso vagone in cui gode dell'ottima cucina e della buona compagnia di diplomatici, banchieri, ufficiali, accompagnati dalle loro signore.
Era la seconda volta che salivo sul quel treno per raggiungere Istanbul, d'altra parte era mio dovere andare a trovare mia sorella almeno una volta all'anno. Non che mi piacesse la città, anzi, la trovavo piuttosto rumorosa, piena di gente strana, disordinata; ma quella stupida di Annie s'era invaghita di un farmacista per via di quella sua acqua di lavanda che esportava in tutta Europa. E sono già cinque anni che lei abita nella zona Sultanhamet, in quella città dai mille colori e profumi di spezie; troppo per me, non potrei certamente vivere lì per più di qualche giorno.
Mi assicurai subito che i fattorini avessero preso in carico i bauli e le cappelliere, ordinai un tè e mi ritirai nella mia calda cabina, eravamo in gennaio e nevicava da tre giorni.
All'indomani, alle 8 del mattino, nei pressi della stazione di Sion, raggiunsi il vagone restaurant per la colazione ed è stata quella la prima volta che li vidi. Era una coppia elegante, dall'osservazione degli abiti decisi fossero inglesi, probabilmente saliti alla stazione di Londra. Lei con un cappotto verde scuro ammorbidito da un collo di pelliccia grigia che le sfiorava dolcemente il viso incorniciato da un cappello di feltro dello stesso colore. Lui con cappotto e cappello scuri, una sciarpa bianca appoggiata sul bavero.
Curiosamente, una volta seduti al loro tavolo, non si tolsero cappotto e cappello, come se ne fossero dimenticati.
Si accomodarono proprio di fronte a me, ordinarono tè e torta alle mele, sentivo il profumo della cannella mentre terminavo di mangiare i miei biscotti all'anice. Non parlavano tra loro ma ogni tanto alzavano lo sguardo, gli occhi si incontravano per poi abbassarsi lentamente sulla tazza di tè. Considerai che non guardavano mai il finestrino, gli altri viaggiatori non facevano altro per scambiarsi notizie e previsioni sul tempo e sulla neve che ancora cadeva leggera senza far rumore. Forse sono stanchi, pensai, avranno riposato male, del resto anch'io non avevo chiuso occhio con quel continuo sobbalzare del treno; nonostante il costoso biglietto che avevo prenotato – rimuginai – dormire in quel treno non era abbastanza confortevole.
Lei aveva capelli e occhi scuri in un viso bianco ed affilato, la bocca era atteggiata in una piega amara che le dava un'aria mesta e impassibile, al pari di una statua di cera. Risultava fine, elegante, ma nello stesso tempo dimessa, come preoccupata, assorta; le ciglia nere velavano d'ombra il suo profilo, mi stava proprio dirimpetto e potevo osservarla comodamente. Lui stava di lato, a tesa bassa, aveva l'aria di un avvocato o forse un professore, un funzionario, chissà.
Finita la colazione, lei si alzò e lui la seguì nel corridoio, forse andavano a cambiarsi, li avrei rivisti sicuramente riapparire dopo, speravo che si unissero alle chiacchiere dei passeggeri nei salottini riscaldati del vagone dove gli uomini erano intenti a fumare e a leggere il quotidiano e le donne a fare conoscenza con le compagne di viaggio.
Ma per tutta la giornata non li rividi più, neanche all'ora di pranzo. Soltanto alle diciannove, mentre il treno lentamente lasciava Verona, li vidi sedersi al loro tavolo e cenare silenziosamente. Come al mattino, ogni tanto alzavano lo sguardo cercando gli occhi dell'altro e poi nulla, neanche una parola. Apparivano assorti, pensierosi, non si accorgevano di ciò che li circondava, né di ciò che mangiavano distrattamente. Il vocio dei viaggiatori, il suono sommesso del pianoforte che in un angolo accompagnava dolcemente la cena, il borbottare del treno che procedeva lentamente nella neve, le luci delle poche case fuori che trapassavano il buio dei finestrini come dei lampi lontani e fugaci, tutto era loro indifferente.
Finita la cena, lei si alzò e lui la seguì nel corridoio. Ero già d'accordo con una coppia diretta a Szedegin per passare la serata giocando a carte, ed ero sicura che avrei visto la coppia sedersi nella sala dove ci si intratteneva al suono dei Notturni di Chopin, ma niente, nonostante stetti a sbirciare, tra una carta e l'altra, la porta di vetro del vagone, non li vidi per tutta la sera. Rimasero nella loro cabina per tutta la sera fino alla colazione del giorno dopo, ore otto in punto, quando raggiungemmo la stazione di Zagabria.
La mattina era gelida, i finestrini appannati e lattiginosi, l'aroma del tè bollente ci avvolgeva tutti come in una bolla umida e vaporosa. E proprio tra il profumo e il delicato fumeggiare del tè, scorsi lei entrare, la vidi con il cappellino verde e il collo di pelliccia che si accomodava al tavolo, seguita da lui. Sembravano non accorgersi di tutto quello che li circondava, il mondo iniziava e finiva tra i loro sguardi tristi. Non potevo fare a meno di osservarli e domandarmi a cosa pensassero così intensamente, e soprattutto chi fossero, possibile che non si rivolgessero mai la parola!
"Ma prima di arrivare a Belgrado saprò chi sono e dove vanno…avrò da raccontare a mia sorella, ammesso che scendano a Belgrado" - ripetevo tra me e me.
La mattinata passò velocemente tra lettura del giornale e la conversazione con gli altri viaggiatori, la neve non cadeva più, si era solidificata ai margini delle strade e delle rotaie, stava diventando grigia, aveva perso il suo candore, come un fiore sfiorito. Sarei arrivata il giorno dopo nel pomeriggio a Belgrado, già vedevo mia sorella e il suo insignificante marito attendermi alla stazione per proseguire poi verso Istanbul. "Sarà una settimana noiosa - mi ripetevo - "non vedrò l'ora di rimettermi in viaggio per il ritorno a casa". Per fortuna il Simplon manteneva le sue promesse: in fatto di velocità, di cibo e di servizio si manteneva all'altezza del prezzo del biglietto, se non fosse stato per quel letto malfermo, avrei detto che, tutto sommato, era stato un buon viaggio. Poi la mia mente andava al pensiero che avrei dovuto per una settimana mangiare kumpir e bere shalep e conversare con mio cognato! Povera sorella, cosa le è saltato in mente di sposarsi con quel turco, faceva una vita così intensa e piacevole a Parigi!
Per tutta la mattina conversai piacevolmente con delle signore che provenivano da Atene, non vidi la coppia per tutto il tempo.
"Forse saranno nel salottino riservato "– pensai.
Alle ore dodici, mentre ci accingevamo a pranzare, passata la stazione di Vinkovci, improvvisamente sentimmo due spari provenire dal corridoio centrale. Ma erano veramente spari di arma da fuoco? Impossibile nel Simplon, proverranno da fuori…ma che succede? Il treno rallenta…si ferma… sarà un guasto alla locomotiva… forse la neve ha causato qualche problema tecnico…
I passeggeri si assembrarono nei salottini chiedendo spiegazioni, con ansia e preoccupazione ci guardavamo cercando risposte rassicuranti.
Il capotreno, i camerieri, gli inservienti, correvano a destra e a manca per rassicurare tutti e per raccapezzarsi su quanto fosse accaduto.
"Signori, niente di grave, il macchinista è sceso per verificare, tutto a posto, tra poco si riparte".
Ma il treno non ripartì. Soltanto verso le tre, in quell'ora in cui la luce del pomeriggio già inizia a declinare lentamente e diventa giallastra, salì a bordo un ufficiale croato che ci intimò di non muoverci, di non rientrare nelle cabine e di non transitare nel corridoio. Eravamo tutti raggruppati nel salotto, stretti come per rassicurarci a vicenda, infreddoliti perché il riscaldamento era spento, increduli e leggermente irritati, in fondo non si era ancora compreso cosa fosse accaduto.
Non mancava nessuno? Non sembrava, il capotreno ci contò e fece una sorta di appello. Ma qualcuno non rispose…dov'era la coppia silenziosa? Non potevo credere che non avessero sentito nulla e fossero rimasti chiusi nell'ostinata solitudine della loro cabina.

Quando provai a ricordare al capotreno che i passeggeri che mancavano erano quei due signori che di solito sedeva davanti al mio tavolo, lui mi guardò negli occhi e rispose gravemente:
"Sì, lo so, sono nella loro cabina, ma sono morti, lui ha colpito prima lei e poi si è tolto la vita, non c'è più nulla da fare, aspettiamo il medico legale, mi dispiace signori dell'inconveniente, ma dobbiamo rimanere fermi in attesa e vi prego di non muovervi da dove siete. La Compagnia è desolata!"
Già, bella seccatura – pensai istintivamente - dovevo assolutamente inviare un telegramma a mia sorella!
Improvvisamente e colpevolmente mi vennero in mente i due che giacevano inanimi nei lettini della cabina mentre tutti noi pensavamo ai ritardi e agli "inconvenienti".
Qualche ora dopo ci diedero il permesso di rientrare nelle nostre cabine raccomandandoci di non uscirne fino a quando il treno non fosse ripartito per Belgrado. Quando finalmente arrivai, la stazione era tappezzata di giornali con titoloni che annunciavano la notizia del giorno: il suicidio sul treno di un uomo e una donna, non ancora identificati; non si sapeva ancora nulla, neanche se ne conoscevano i nomi perché i biglietti del treno erano stati acquistati da individui inesistenti. Le autorità avrebbero fatto indagini, sopralluoghi, inchieste, non si conosceva neanche la nazionalità della coppia.

Non si è saputo più nulla di loro, pian piano l'eco della vicenda si è affievolito, ciascuno, una volta sceso dal treno, è tornato ad occuparsi delle proprie faccende. Ma io, dopo tanti anni, non sono ancora riuscita a dimenticarli, e talvolta, quando sono intenta a fare qualcosa, mi vengono in mente quei due volti silenziosi, chiusi in solitudine anche se circondati da tanta gente. Ma chi erano? Dove andavano, perché avevano deciso di morire così, insieme, e così giovani, su quel treno? Forse avrei potuto parlare con lei, da donna a donna? Spesso si confidano più cose ad estranei che a parenti ed amici. Forse avrei potuto fare qualcosa?
Ma poi mi dico che in fondo non mi importa chi fossero veramente, solo semplicemente due persone indissolubilmente legate per l'eternità.
Per tutto il soggiorno ad Istanbul ma anche per tutta la mia vita, non ho mai smesso di pensare a loro, alla loro misterioso comportamento e alla loro breve esistenza. Quei silenzi, quegli sguardi che ho scorto nei loro volti nei giorni in cui avemmo l'effimera sorte di incontrarci, mi hanno raccontato più di ogni parola, mi hanno fatto entrare in sintonia con loro, io, spettatrice di quell'intime angoscia, di quella muta disperazione.
Erano soltanto un uomo ed una donna, passeggeri di quel lussuoso treno di tanti anni fa partito dalla Gare de l'Est, alle diciannove e trenta di una sera di gennaio, la neve era ancora candida e soffice.
Marirosa
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Messaggio da leggere da Marirosa »

Ho letto il racconto. Sembra che sia la prima a commentare, sento il peso della responsabilità 😁. Comunque, il racconto è davvero bello, molto interessante, si lascia leggere molto bene e in modo scorrevole. Ho notato alcuni refusi, piccole sviste. Per esempio "gode" al posto di "godere" oppure "alla loro comportamento " invece di "al loro comportamento " cose così e un cambio di tempo verbale che non mi convince. Ma ciononostante, il racconto resta valido e molto bello. Così bello che l'ho letto d'un fiato. I personaggi erano così ben delineati che era facile, "vederli", anche le descrizioni erano molto belle e accurate. Scusa se ti ho fatto notare i refusi, comunque davvero non tolgono nulla al racconto che mi è piaciuto tantissimo.
Andr60
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Messaggio da leggere da Andr60 »

Concordo con Marirosa, un racconto con descrizioni efficaci che evocano bene l'atmosfera che c'era su quel treno mitico. Ci sono alcuni refusi che si possono correggere, ho notato anche un tempo verbale che non mi lascia perplesso: nella frase "avrei visto la coppia sedersi nella sala dove ci si intratteneva al suono dei Notturni di Chopin, ma niente, nonostante stetti a sbirciare, tra una carta e l'altra, la porta di vetro del vagone, non li vidi per tutta la sera". Forse andrebbe meglio: nonostante stessi a sbirciare, non so cosa ne pensa l'Autore/Autrice.
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Alberto Marcolli
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commento Suicidio sull'Orient Espress

Messaggio da leggere da Alberto Marcolli »

“passando per Belgrado e percorrendo in tutto oltre tremila chilometri.” – per me non ha senso nominare solo Belgrado in tremila chilometri. O indichi almeno tre o quattro fermate, dando un’idea dei territori attraversati, o nessuno.
“la trovavo piuttosto rumorosa” toglierei il piuttosto. Il lettore non capisce cosa pensare: è rumorosa sì o no? Ni, è una via di mezzo!
“bianco ed affilato” – la d eufonica non ci vuole.
“parenti ed amici” - la d eufonica non ci vuole.
“un uomo ed una donna” - la d eufonica non ci vuole.
tornato ad occuparsi … cose ad estranei … soggiorno ad Istanbul - la d eufonica non ci vuole
“il famoso vagone in cui gode dell'ottima cucina” – direi che ti è rimasto un “si” nella penna!
“della buona compagnia” – toglierei il buona – perché non lasciare al lettore il giudizio se la compagnia di … diplomatici, banchieri, ufficiali, … sia buona o meno?
“che salivo sul quel treno per raggiungere” – su quel treno –
“E sono già cinque anni che lei abita nella zona Sultanhamet,” questo passaggio al presente mi suona strano. Potrebbe anche starci, forse, ma io avrei scritto – Ed erano già cinque anni che lei abitava nella zona Sultanhamet, -

Mi fermo qui. Lascio ad altri proseguire se lo vorranno.

Il duro lavoro dello scrittore, purtroppo, è quello di rileggere – rileggere – e rileggere ancora a distanza anche di settimane, facile a dirsi, naturalmente, ma so benissimo di essere io il primo a non farlo a dovere.

Commento sul contenuto del racconto.

“Annie s'era invaghita di un farmacista per via di quella sua acqua di lavanda che esportava in tutta Europa. E sono già cinque anni che lei abita nella zona Sultanhamet” – il pianeta donne non finisce mai di stupirmi, ma invaghirsi di un uomo per dell’acqua di lavanda proprio non l’avevo mai sentito. Magari una scappatella ci potrebbe anche stare, ma sono già cinque anni che questa Annie sta lì ad annusare lavanda!
“inglesi, probabilmente saliti alla stazione di Londra.”
Detto così sembra che l’Oriente Express partisse da Londra. Ora, io non conosco l’Orient Express, e nel 1921 non ero ancora nato, per fortuna, ma Wikipedia ci dice che il treno partiva da Parigi.
“Era la seconda volta che salivo sul quel treno per raggiungere Istanbul, d'altra parte era mio dovere andare a trovare mia sorella almeno una volta all'anno. Non che mi piacesse la città, anzi, la trovavo piuttosto rumorosa, piena di gente strana, disordinata; ma quella stupida di Annie s'era invaghita di un farmacista per via di quella sua acqua di lavanda che esportava in tutta Europa.”
Fin qui ho capito che la protagonista raggiungeva Istambul per andare a trovare sua sorella, e qualche riga sotto avevo ovviamente associato il nome di Annie alla sorella stessa. Ma più avanti scopro che:
“Sarei arrivata il giorno dopo nel pomeriggio a Belgrado, già vedevo mia sorella e il suo insignificante marito attendermi alla stazione, per proseguire poi verso Istanbul.”
Quindi la sorella non è Annie (mannaggia!). Altra domanda: marito e sorella salgono anche loro sul treno per Istanbul? Forse no direi, o sì?
Tutto sbagliato. Sorella e marito turco (quindi l’invaghimento si è concluso in matrimonio (mannaggia!) salgono a Belgrado e tornano a Istanbul con la protagonista, ovvero la sorella di Annie.

Mi dispiace. Trovo la storia sostanzialmente banale, o per lo meno mal raccontata, e il testo necessita di una doverosa “sistemata”. Non mi sono mai permesso di disprezzare un racconto in gara e non lo farò certo adesso. Quindi non esprimo alcun giudizio. Mi aspetto che Anto58 riveda, se vuole, il suo “Suicidio sull’Orient Espress”, io mi limito ad attendere fiducioso.

Scusa per il “pippone”. Non sono romano, ma nel loro dialetto significa lungo discorso noioso.
Anto58
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Messaggio da leggere da Anto58 »

Mi dispiace Alberto Marcolli che non ti sia piaciuta la storia, ci sta… ci mancherebbe altro! Ma certe osservazioni le trovo pretestuose. Non ho capito che problemi hai rilevato con la sorella Annie; l'Orient Express partiva anche da Londra e poi di fermava a Parigi. Istanbul non potrebbe essere "piuttosto rumorosa?", perché no? Ok per i refusi, anche tu hai scritto Istambul e non Istanbul…
In ogni caso a mio parere un racconto deve essere magico, dare emozioni, interesse, non è una telecronaca di avvenimenti storici realmente accaduti… troppa analisi toglie il respiro! Cmq grazie per il commento.
Namio Intile
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Messaggio da leggere da Namio Intile »

Ciao, Anto58.
Quando si ambienta un racconto sull'Orient Express nel 1921 direi che si voglia dire qualcosa al lettore. E il rimando ad Agatha Christie, col suo celebre omicidio, è quasi scontato. Appena ho letto il titolo ho pensato a un giallo. Un suicidio che non è tale scoperto a posteriori, mi sono detto. Ma alla fine il suicidio rimane un suicidio e la protagonista conclude il racconto riflettendo sui perché di quell'azione a distanza di anni. Forse il titolo non funziona. Annuncia già tutto. Si capisce che a quella coppia succederà proprio quello che il titolo suggerisce e la suspence piano piano scema. O forse è l'ambientazione stessa a trarre in inganno. Insomma, titolo e ambientazione inducono delle aspettative che poi vengono tradite, perché il punto è proprio il suicidio.
Ma non solo, la prima parte, l'introduzione con le descrizioni, è forse troppo lunga e sbilancia il finale. O forse è il finale che dovrebbe permettere alla protagonista di spiegare qualcosa in più a proposito del suicidio, svelando l'enigma. Ma credo che per l'autore l'enigma importi poco, è quell'azione in sé a provocare i ricordi della protagonista. Ma a questo punto la protagonista dovrebbe esplicitare la natura del suo malessere legato a quel suicidio. Perché ci pensa ancora a distanza di anni.
Insomma, manca un po' di equilibrio, a mio modo di vedere, tra la parte introduttiva e quella centrale (peripezie e climax quasi del tutto assenti) e il finale. Lo schema del racconto è un po' zoppo.
Peccato, perché la prosa è di gran livello e l'autore dimostra ottime capacità descrittive preparate da una valida ricerca storica. Sembrava di esserci su quei vagoni.
A mio avviso il racconto dovrebbe essere sviluppato nella parte centrale e il finale approfondito.
Ma gli elementi per un ottimo racconto ci sono tutti. Anche il titolo, riuscendo a mostrare passo passo al lettore il signficato di quel suicidio per la protagonista, avrebbe un altro spessore.
A rileggerti
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Pietro Castellazzi
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Messaggio da leggere da Pietro Castellazzi »

Un racconto efficace, ben strutturato, con la massima cura dei dettagli, sia dei luoghi che dei personaggi. L'ho letto in un battito di ciglia e ho apprezzato lo stile e la qualità del testo. i miei più sinceri complimenti. Racconto stupendo!
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Laura Traverso
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Messaggio da leggere da Laura Traverso »

Già dalle prime righe del tuo bel racconto mi sono sentita trasportata nella straordinaria ambientazione descritta nel film e nel libro "Assassinio sull'Orient Express" del romanzo di Agatha Christie. La storia che narri è molto interessante, intrisa di mistero e ben esposta, a parte qualche refuso già segnalato. Lasci il lettore, così come l'io narrante, a farsi mille domande sul perché di quelle morti. Belle e accurate le descrizioni della coppia sfortunata, sia dal punto di vista del comportamento che dell'abbigliamento. Ti segnalo un refuso che addirittura è sfuggito a Marcolli (strano!) è nel titolo: Express si scrive con la X e non con la S. Lo dico perché siamo qui per questo, per aiutarci reciprocamente anche segnalando qualche piccola imperfezione, ma ci tengo a precisare che il tuo è un racconto valido al quale assegno il voto di 4 solo per le piccole disattenzioni già segnalate.
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Maria Spanu
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Messaggio da leggere da Maria Spanu »

Vedo con piacere che hai modificato l'inizio del racconto e hai aggiunto Simplon. L'ho letto circa una settimana fa e non avevo ancora commentato: hai fatto ulteriori ricerche, meno male, anche perchè qualche pazzo appassionato di storia lo avresti trovato. :D
Questo treno è sempre stato mal visto dall'Impero austro-ungarico, in quanto faceva concorrenza al vero Orient Express e alla compagnia Lloyd. Per questa ragione non fu Trieste, ma Venezia capolinea del Simplon, perchè Trieste era austro-ungarica e vi erano troppe ragioni economiche dietro. Nel 19, poi, con i nuovi confini si estese anche il Simplon, per poi ampliare le tratte. Questo treno, oltre alla storia, ha aiutato le persone dopo le guerre jugoslave a tornare a casa, in seguito all'esilio in Italia. Ha portato tonnellate e tonnellate di aiuti umanitari in quei territori devastati dalla guerra, ha riconciliato famiglie perdute.
Detto questo, il racconto è scritto molto bene, il tutto ricercato e messo in una bellissima cornice. Mi aspettavo una trama più coinvolgente, manca quasi del tutto il climax e qualche colpo di scena. Peccato.
A presto.
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