Cimitero
Cimitero
In ogni stagione il cimitero vive una sua vita diversa.
In tarda primavera, quando la luce volge al tramonto e le ombre si allungano, il luogo infonde un senso di pace, quasi che i morti che riposano poco sotto si preparino per la cena e per la notte. E’ il momento di estremo silenzio, dove mi ritrovo solo o con qualche ritardatario o, semplicemente, qualcuno che vuole assaporare pienamente quell'atmosfera irreale.
In estate invece il sole rimane alto ben oltre l’orario di chiusura. In quei momenti l’aria è calda, le foto degli abitanti sembra che sorridano, quasi si stessero preparando a una serata danzante. Quello che i poeti chiamavano il meriggio della vita, qui sembra trovare conferma. Le persone che ci hanno accompagnato nei lunghi giorni passati, quelle che conoscevamo appena, quelle che ci colpiscono per qualche particolare, sembrano vive, non solo nel ricordo, sembra siano presenti in un'altra dimensione, dove gli spiriti aleggiano tra di noi, impossibilitati a parlare ma che tutto vedono e tutto odono. E’ forse il momento più intenso, la calma che regna è totale, una differenza abissale con il clamore che sta fuori, con il traffico, con l’affaccendarsi degli uomini, con le grida dei bambini che urlano la gioia per quello che rappresenta loro l’estate: una festa.
In autunno e in inverno trascorrere qualche minuto in coincidenza con l’orario di chiusura mi consola, un immenso letargo che sa che pochi mesi dopo la vita, anche lì, rifiorirà. L’ora coincide generalmente con la metà pomeriggio, diventa presto sera e il tempo spesso non è clemente. Il freddo è pungente, le poche persone camminano veloci con i baveri alzati e il vapore dalla bocca si perde nell'aria della sera. Qui, i nostri amici, riposano veramente, dormono, aspettando l’indomani sperando in un tempo migliore.
L’altra sera sono passato dal cimitero di C. E’ un bel posto situato nella campagna lombarda. In un grande piazzale si parcheggia l'auto e poi s’intraprende un bellissimo viale alberato. Al termine si trovano le mura e una bella chiesetta antica. Quanto tempo ho passato nella mia adolescenza su questo viale, sui suoi prati e sul campo da calcio adiacente. Giornate intere, pomeriggi assolati o piovosi. Al caldo, con le cento lire avvolte con un nodo nel fazzoletto per non smarrirle. Ci potevo comprare tre ghiaccioli o due bibite. Al freddo, tutto imbacuccato, con i guanti e il cappello fatto all'uncinetto da mia madre. Quanti amici con cui giocare al pallone. E rincorse e scalate sugli alberi.
Ne ricordo due in particolare. Il Pistacchio, un pino lungo e alto dall'arrampicata non facile. E il Castello, il nostro salotto. Un fulmine aveva tagliato e bruciato la sommità, modellando il tronco a mo’ di tavolino. Ci si saliva e ci si accomodava tutti intorno, e si parlava e si fumavano le prime sigarette della nostra vita. Per un po’ di anni questo luogo era stato il punto di ritrovo, la parte principale di un mondo tutto nostro e ora, dopo averlo visto un po’ più in grande questo mondo, capisco quanto fosse importante. L’adolescenza è la stagione magica per eccellenza, piena d’incertezze e paure ma densa di avvenimenti che rimarranno nella nostra memoria per sempre. Quando saremo vecchi, lo notiamo in chi lo è già, riaffioreranno alla memoria e ci sembreranno fatti e storie appena accadute. Uno dei più bei film della storia è Quarto Potere di Orson Welles. Vi si narra la vita di un bambino che farà fortuna. C’è chi parlerà bene di lui e chi esprimerà giudizi negativi ma nessuno saprà mai che nel suo profondo, il piccolo bambino ormai diventato vecchio, aveva in testa solo una cosa, una piccola slitta con la scritta Rosebud, che gli era stata regalata anni e anni prima quando ancora portava i calzoncini corti e fu staccato dalla famiglia.
E su questo viale alberato, quello di cui vi raccontavo poco fa, ci portavo mia madre poco prima che morisse. Era un autunno insolitamente caldo, facevamo un giro tra le tombe e poi uscivamo a passeggiare nel viale. In quei quattro passi tra la natura, riassaporavo tantissimi ricordi.
Come dicevo poc'anzi l’altra sera sono passato dal cimitero. Non vi era nessuno, la luce era ancora abbastanza vivida e si stava bene, non facendo né caldo né freddo. Dopo essere stato a trovare i miei cari, ho cominciato a percorrere a zig zag i vialetti, dove tutte le tombe sono ordinatamente allineate. A un certo punto ho visto la foto di P., un mio amico suicidatosi trent'anni fa. Altre volte ero passato di lì, e avevo rivisto il suo volto, la sua giacca, la data d’inizio e della fine. Si era suicidato con il gas la notte di capodanno. Era stato a una festa poi, alla chetichella, sparì. Tutti lo cercarono. Lo trovarono la mattina nei boschi di un paese vicino. I sedili ribaltabili stesi, sdraiato come se dormisse, aveva chiuso i conti con il presente. Un gesto preparato, studiato nei minimi dettagli. La sera prima disse a chi era con lui di non lasciare i cappotti in auto, ma di depositarli nel guardaroba della discoteca. Fu uno dei miei primi amici da adolescente. Abitavamo vicino e la domenica andavamo nei boschi dietro casa a correre e tirare sassi. Poi, con il passare degli anni, lo persi di vista, per ritrovarlo poco prima del tragico gesto. Rammento, con un sorriso carico di nostalgia, una volta che andammo sul lago di Como. Mentre viaggiavamo in galleria lui e un altro amico si sporsero dai finestrini e lanciarono un grido fortissimo, un “OOOOHHHHHHHHH” come di liberazione che l’eco amplificò alla massima potenza. Il suo suicidio costernò tutto il popolo dei ragazzi. Avevamo 23/24 anni, il gruppo era unito ed effervescente e la vita sorrideva. Rimarrà, come quasi tutti i suicidi, un mistero. Nulla aveva fatto trapelare ciò, né malattie né depressioni né comportamenti strani. Anzi, di lui mi ricordo una forte dose d’ironia, che a quell'età è difficile da trovare. Era l’antidoto, non sufficiente, a qualcosa di più profondo. E una grande allegria, con il senno di poi, un po’ disperata. Era soprattutto una persona gentile.
Un po’ turbato ho continuato il mio giro. La memoria ha cominciato a funzionare a ritroso, al tempo della mia gioventù, quando tutti camminavamo insieme, progettando il sabato sera o le vacanze estive. Ci sono giorni che i ricordi sembrano lontani, come se i vent'anni non fossero stati vissuti qui ma su un altro pianeta, un’enorme massa di terra lontana anni luce, che poco alla volta nel suo incredibile e meraviglioso viaggio, è arrivata sin qua, sino a oggi. E in questo lunghissimo eppur veloce viaggio, aveva perso alcuni membri, chi per propria volontà, chi per fato avverso.
E ho ricordato, a memoria, una delle più belle e struggenti canzoni dei Joy Division, uno dei miei gruppi giovanili preferiti. Le parole di Ian Curtis, morto suicida a soli ventitré anni, sono un testamento generazionale.
Ecco i giovani uomini, un peso sulle loro spalle
Ecco i giovani uomini, dove sono stati?
Abbiamo bussato alle porte delle camere più scure dell’inferno
Spinti al limite ci siamo trascinati a forza
Guardati dalle quinte mentre si rifacevano le scene
Ci vedevamo come non ci eravamo mai visti
Il ritratto dei traumi e delle degenerazioni
Le pene che avevamo sofferto e di cui non ci eravamo mai liberati
Dove sono stati?
Stanchi dentro, adesso i nostri cuori sono persi per sempre
Non possono rimpiazzare la paura o l’emozione dell’impresa
Questi rituali spalancano le porte al nostro vagabondare
Aperta e chiusa poi sbattuta sulla nostra faccia
Dove sono stati?
Già, dove sono stati? In quale antro buio e umido queste anime sono finite quando si sono smarrite? O quali vette hanno toccato? Irraggiungibili dai comuni mortali, che una volta sfiorate lasciano solo una scelta.
Ho visto la foto di C., un bel ragazzo un po’ più giovane di me che a ventisette anni si è tolto la vita calandosi un sacchetto di plastica sulla testa. Ventisette anni, il traguardo finale di tante rockstar. Una morte violenta e voluta, dove anche i più antichi istinti di conservazione erano spariti. Non lo conoscevo bene, perché frequentavamo altre compagnie, mi ricordo però che era una persona gentile.
Poco vicino abita V., anche lui si è tolto la vita. Circa nello stesso periodo degli altri. Un’ecatombe, una catastrofe giovanile. V. lo conoscevo solo di vista, un ragazzo taciturno e serio. Anche lui era una persona gentile.
Nonostante oggi abbia più padronanza di linguaggio e di pensiero, per affrontare i perché di tanti giovani che decidono di farla finita, non riuscirei lo stesso a dare una risposta tanto è grande, incredibile e incomprensibile il gesto compiuto. Di tutti loro ricordo una gentilezza, una mitezza essenziale, una certa eleganza nel proporsi. Personalità schive, delicate, un po’ fuori dagli schemi calcio e discoteca che univano la maggioranza dei ragazzi. Questo, e solo questo, è il quadro che posso permettermi di dipingere.
Mancava ancora un po’ di tempo alla chiusura dei cancelli. Tanto più che una campanella avrebbe avvisato cinque minuti prima e un grosso tasto rosso mi avrebbe permesso di riaprirli una volta chiusi. Era già accaduto quando portavo mia madre nelle passeggiate serali.
Proseguii in questo tour della memoria. Una memoria collettiva che mi riportava ai giri che facevo con mio padre per il cimitero di L. Mi raccontava le storie, gli amici, gli intrecci in vita delle persone. Fili invisibili e immaginari legano queste tombe, da un capo all'altro del cimitero, storie immortali e, spesso, dimenticate.
Passo da dove è sepolta F., morta di malattia a ventisei anni. Una bellissima ragazza che rividi ormai malata e gonfia in una scuola per le votazioni. Come ci rimase male quando non la riconobbi e ci rimango male anch'io, ancora oggi, che ne sto scrivendo. Un male incurabile la portò via nel fiore degli anni. E poi i due fratelli C. morti giovani a distanza di pochi anni e A., morto di droga e G. morto in un incidente stradale.
Vorrei che ci fosse stata installata una telecamera nella piazza e nel bar del paese che avesse ripreso tutti i ragazzi che la frequentavano. Per rivedere com'era quell'epoca, per capirne e carpirne i discorsi, le gioie, le incazzature, le speranze. Per rivedere chi non c’è più. Per rivederci tutti quanti, giovani e forti, che abbiamo fatto insieme un pezzo di cammino della nostra vita, forse il più importante, dove ogni giorno era diverso e il mondo era aperto davanti a noi. Per rivedere, come in un gigantesco microscopio, le nostre dinamiche sociali, prima che fossimo assorbiti da quello che comunemente si chiama vita.
Mi sono detto che per oggi va bene così, sento trillare nuovamente il campanello e tra cinque minuti il cancello si chiuderà automaticamente.
Con un senso di pace, facendomi il segno della croce e alzando la mano in segno di saluto a tutti gli abitanti, esco leggero sul viale alberato.
- Laura Traverso
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Da cosa si capisce di stare invecchiando? Da quanta gente conosci, al Cimitero.
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Ho trovato un po’ carica la parte dove vengono descritti i suicidi, anche se capisco che la pesantezza sia voluta.
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- Eliseo Palumbo
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L'unica cosa su cui trovo da ridire, nonostante sia ripetitivo, è l'elenco dei vari suicidi, credo non abbia aggiunto niente di particolare se non un pensiero del tipo: "ma cosa succede da quelle parti? Perché tutti si vogliono ammazzare"
per il resto l'ho apprezzato molto, bravo, ottima prova.
A rileggerci
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Re: Cimitero
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Un unico appunto, ma proprio per essere pignoli: "le foto degli abitanti sembra che sorridano" Non mi suona benissimo io avrei fatto "le foto degli abitanti sembrano sorridere" oppure: nelle foto gli abitanti sembrano sorridere". Ovviamente è un pensiero molto personale.
- Massimo Baglione
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Re: Cimitero
Se invece state solo rispondendo, non serve specificare.
Ricordatevi anche che il testo del commento deve essere lungo almeno 200 battute.
Vi rimando alle istruzioni delle Gare letterarie.
- Roberto Bonfanti
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Ho apprezzato il tono neutro, distaccato della narrazione, come se tu non avessi voluto spingere troppo sull’aspetto emotivo di queste riflessioni, esponendole alle varie sensibilità dei lettori.
Mi sembra che in alcuni passaggi i tempi verbali non concordino.
Un bel lavoro.
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però alcune cose non mi quadrano del tutto. i tempi verbali, per esempio, che in alcuni punti sono al passato e in altri al presente.
anche l'insistente descrizione dei vari suicidi, a un certo punto, diviene pesante. snellirei ove possibile.
poi trovo un poco fuori luogo, visto che si tratta di una dissertazione sul cimitero, parlare delle esperienze adolescenziali. potrebbe starci, ma inserita in modo diverso. naturalmente è solo la mia opinione.
qualche virgola fuori posto.
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L'unico difetto è la compattezza del testo: avrei gradito qualche "a capo" di più, per facilitare la lettura a video e per separare gli argomenti.
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Re: Cimitero
Comunque il brano è scritto molto bene, il contenuto non è mai banale e il tempo speso per la lettura è ben speso.
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Human Takeaway
(english version)
What if we were cattles grazing for someone who needs a lot of of food? How would we feel if it had been us to be raised for the whole time waiting for the moment to be slaughtered? This is the spark that gives the authors a chance to talk about the human spirit, which can show at the same time great love and indiscriminate, ruthless selfishness. In this original parody of an alien invasion, we follow the short story of a couple bound by deep love, and of the tragic decision taken by the heads of state to face the invasion. Two apparently unconnected stories that will join in the end for the good of the human race. So, this is a story to be read in one gulp, with many ironic and paradoxical facets, a pinch of sadness and an ending that costed dearly to the two authors. (review by Cosimo Vitiello)
Authors: Massimo Baglione and Alessandro Napolitano.
Cover artist: Roberta Guardascione.
Translation from Italian: Carmelo Massimo Tidona.
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Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.