Quello che ci aspetta a casa
Quello che ci aspetta a casa
Roberto Brocchieri
I tamburi rullano e la folla urla la sua gioia.
Sono i suoni della vittoria e del trionfo, il suono più bello del mondo. No, il secondo: il più bello è la voce della mia diletta.
Alzo lo sguardo dalla schiena dei compagni di fronte a me. Il cielo è chiaro e luminoso, il sole caldo, gli edifici della città sono adornati con stoffe colorate, che ondeggiano nella brezza.
Vedo i volti entusiasti affacciati alle finestre, se girassi la testa, cosa che non posso fare, sia perché ingombrato dall'elmo e dall'armatura, sia perché non voglio rompere, anche solo per un attimo, la perfetta simmetria delle nostre gloriose schiere in parata, vedrei anche la folla assiepata lungo i bordi della via trionfale, tra le colonne ricche di trofei antichi e recenti.
Siamo una città gloriosa, un esercito glorioso e io ne sono parte.
Il mio cipiglio guerresco viene per un attimo sostituito da una espressione gioiosa, al pensiero della vittoria, al pensiero di essere a casa, al pensiero che presto la rivedrò, poi, prima che uno dei capi manipolo se ne accorga e magari mi rimproveri, riassumo la doverosa marziale serietà.
Si tratta di pochi minuti di marcia, nulla rispetto ai giorni passati in movimento durante la campagna contro i nostri nemici, ma mi sembrano infinite ore, talmente sono ansioso.
In guerra le memorie amorose, il ricordo del volto amato, sono un sogno lontano che ti stimola e ti spinge a dare il meglio, per meritare il suo amore, per fare in modo che lei e vostri figli vivano nella sicurezza e nella prosperità della più grande e potente città del mondo. Adesso, sulla via di casa, anzi a poche centinaia di passi dal nido dove era sbocciato il nostro amore, il mio pensiero fisso su di lei non mi aiuta. Adesso in un attimo di pazzia abbandonerei armi e corazza, getterei via l'elmo e correrei verso la casa dove mi sta aspettando. Il mio unico desiderio è diventato riavvolgerla nel mio abbraccio, accoccolarmi accanto a lei, vedere i nostri figli in procinto di venire al mondo.
Posso solo pensare a lei, folle di amore, di passione, di nostalgia e di infinita tenerezza. Come cantano i poeti lei è la fonte della mia vita, della mia gioia, della mia forza e del mio tutto.
Non so come riesco a trattenermi e, preso da questi pensieri e desideri, quasi non mi accorgo quando i capi manipolo ordinano la manovra per disporci nella grande piazza sacra, dove gli anziani renderanno omaggio a noi vivi e celebreranno i morti che non sono tornati.
Per fortuna mesi di addestramento non mi tradiscono e mi impediscono di rendermi ridicolo, se la mia mente è altrove il mio corpo sa cosa deve fare senza neppure un pensiero cosciente.
Se resistere al desiderio marciando era difficile, farlo stando fermi e immobili nella grande piazza lo è ancora di più. I discorsi e persino i riti in onore dei caduti mi sembrano vacui e vuoti, persino il ricordo dei compagni morti accanto a me in battaglia riesce a malapena a scalfire la fremente attesa che tutto ciò finisca.
Quando finalmente il momento tanto atteso arriva e le file si sciolgono e non siamo più soldati e guerrieri, ma solo cittadini, mariti, figli, padri e fratelli, sono così teso da rimanere un attimo immobile, prima di scuotermi e iniziare a correre verso casa.
Qualche compagno mi chiama, per salutarmi o forse per invitarmi a un'ultima bevuta in compagnia, ma non gli do retta, a malapena faccio un cenno.
Loro non se la prendono, sento, anzi, le grida divertite di un paio di veterani anziani: è giovane, ha cose più importanti da fare, fatelo correre a godersi la sua bella e a scacciare via chi troverà nella sua stanza.
In un altro momento forse mi sarei offeso del loro dileggio, ma non adesso e, senza fermarmi, emetto un suono divertito alle loro battute più o meno oscene.
Lascio la piazza, corro, il più veloce che il peso e l'impaccio dell'armatura mi rendano possibile, abbandono i grandi viali, pavimentate in pietra scura e ricche di botteghe e negozi e mi addentro nelle vie e infine nei vicoli del mio rione.
Vicoli stretti e oscuri che sanno di casa, a me familiari, che conosco a memoria. Come il corpo stupendo di lei. La vista quasi mi si offusca a questo pensiero e perdo un passo, sono vicino, sono molto vicino, in mezzo a tutti quegli odori familiari che gridano casa potrei quasi sognare di sentire il suo profumo.
E finalmente, quasi di sorpresa, sono arrivato. Sono sulla porta, sulla porta di casa mia. Entro. A malapena respiro.
Mi sfilo l'elmo, che cade rimbombando cupo sul pavimento, lo seguono le mie armi.
Lei non è qui a ricevermi, ma intuisco dove mi sta aspettando e il fiato mi si mozza di nuovo.
Tentando di non tremare sciolgo i legacci e i fermi dell'armatura e me ne libero.
Nudo mi avvio verso l'interno della casa.
Chiamo sommessamente, un canto di amore.
Mi fermo ad ascoltare ed ecco un ticchettio di risposta.
Scendo verso la fresca penombra dei sotterranei dove la temperatura è costante, dove mi sta aspettando con i figli che devono nascere.
Mi rifermo, la richiamo, e lei mi risponde col mio nome, un sibilo lieve e dolcissimo. Esito, intimidito, chiedendomi quanto sarà forte l'emozione che sentirò rivedendola.
Mi richiama, seducente e ansiosa quanto me.
Entro nella grande stanza dove mi aspetta, la penombra è rotta solo da piccole finestre quasi all'altezza del soffitto a cupola.
È qui: splendida come le stelle, bella come i monti, magnifica come il mare lontano. Dopo tanti mesi, i nostri occhi si incrociano di nuovo e potrei morire talmente mi sento felice, talmente la desidero.
«Mio Amato.»
Il suono più dolce del creato.
Con un fruscio srotola elegantemente le sue spire, rivelandomi i bozzoli dei nostri figli non nati intorno a cui era avvolta protettiva.
Sono traslucidi e posso vedere le loro ombre muoversi all'interno. I nostri figli… già così grandi, ma vengo distratto da lei che avanza su di me. Inarca la parte anteriore del corpo, sostenuta solo dalle zampe posteriori, mi mostra il suo ventre arrossato di infuocata passione.
Mi aspettava, e mi desiderava, come io desideravo lei.
Faccio dei passi in avanti, quasi timoroso, ticchettando con le mascelle.
Lei mi accoglie, le nostre antenne si intrecciano, ci assaporiamo a vicenda, mi perdo nella sua mielata dolcezza, e rabbrividisco mentre accarezza i segmenti del mio dorso.
E sono felice, immerso nel mio unico vero amore.
EDITED
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Diciamo che sembra una "lirica" amorosa (uno scritto a metà tra prosa e poesia) di un uomo d'arme al suo ritorno in patria dai campi di guerra. Ambientazione forse antica, o comunque medievale. Ma il termine "capomanipolo" o "capo manipolo" suggerisce anche qualcosa che ha a che fare con le "camice nere", confluite nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale e poi accorpate al Regio Esercito. Oppure il termine si riferisce solo a un "principalis" di un'ipotetica antica milizia? Mi sciogli questo dubbio?
Ciao, Ombrone (e benvenuto!)
Antonio
A una prima impressione, vale 5 nel suo genere di "elogio d'amore", anche se alcuni termini "decadenti" e l'ambientazione potrebbero in parte penalizzarlo nel suo complesso.
Re: Quello che ci aspetta a casa
In verità credo che il colpo di scena nelle10 righe finali, possa risolvere il tuo dubbio sul ambientazione. Non spoilero per eventuali altri lettori
Come molte storie brevi in causa venenum e il gusto sta tutto, solo, lì!
Re: Quello che ci aspetta a casa
Altrimenti sarebbe stato:Ombrone ha scritto: 25/08/2024, 17:16 Ciao! Grazie del commento
In verità credo che il colpo di scena nelle10 righe finali, possa risolvere il tuo dubbio sul ambientazione. Non spoilero per eventuali altri lettori
Come molte storie brevi in causa venenum e il gusto sta tutto, solo, lì!
"Lei mi accoglie, le nostre bocche si baciano, ci assaporiamo a vicenda, mi perdo nella sua mielata dolcezza, e rabbrividisco mentre mi accarezza il dorso.
E sono felice, immerso nel mio unico vero amore."
Quindi sono alieni se hanno "antenne" e "placche".
Ho solo frainteso, capita!
Voto 5/5 (Mi piace, malgrado sia un po' troppo "romantico")
Tante belle cose, Ombrone
Antonio
Re: Quello che ci aspetta a casa
Il racconto lo avevo scritto per un concorso di fantascienza tempo fa. Si piazzò pure piuttosto bene
Grazie del voto!
Roberto
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Originalità e brevità sono le cose che mi hanno fatto apprezzare questo racconto.
Sembrava un'ambientazione medioevale… uomini in armatura e borghi antichi ma… ma in realtà erano insetti con il loro esoscheletro e i borghi i loro nidi.
C'è fantasia! Complimenti!
Jacopo
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Alle volte, quando Massimo pubblica i bandi NASF mi viene lo stimolo di rispondere, di scrivere, ma proprio non ce la faccio.
Dunque bravo, al quadrato.
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Bravo, comunque.
Re: Quello che ci aspetta a casa
Contento che ti sia piaciuto.
Roberto
Re: Quello che ci aspetta a casa
Grazie del tuo commento.
Si l'impostazione non è originalissima, ampiamente ispirata a Sentinella di Brown, per dirne una, ma come dici giustamente tu è uno schema classico dei "cortissimi" per dargli un po' di pepe e mi sono divertito a scriverlo.
Re: Quello che ci aspetta a casa
Grazie del commento! Contento ti sia piaciuto
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In un racconto che deve stupire con un effetto a sorpresa, lasciar capire le cose con un minimo di anticipo rovina gran parte del divertimento.
Un po' di "Sentinella", un po' di altra sci-fi erotica degli anni '50/'60, la mia preferita. Per un momento ho temuto che il protagonista sarebbe tornato a casa per essere divorato dalla sesso-compagna; gli è andata bene.
Cosa stonava? Non perché io vada in cerca di stonature, ma per spiegare (ci mancherebbe) la mia mancanza di trasporto.
1) Gioia, gloria, guerra, vittoria: il racconto comincia con queste quattro parole (e credo altre) ripetute così spesso da dare la nausea. Sembra una velina ucraina.
2) "In guerra le memorie amorose, il ricordo del volto amato, sono un sogno lontano che ti stimola e ti spinge a dare il meglio, per meritare il suo amore" - In nemmeno due righe compaiono tre variazioni di "amor---" C'è un che di fastidiosamente mieloso in un gioioso glorioso guerriero vittorioso innamorato.
3) l'espressione "vedere i nostri figli in procinto di venire al mondo" è quella che ha rotto l'illusione: normalmente, gli esseri umani non mettono al mondo figli (al plurale) e non li vedono in procinto di venire al mondo. Per te era già ovvio che si potessero vedere, come poi spieghi quando lui incontra lei, ma non per il lettore. A questo punto non siamo ancora a metà del pur breve racconto, e già possiamo chiuderlo.
Credo che il punto 3 sia il nodo del mio commento: se vuoi tenere il lettore all'oscuro del plot-twist, devi riuscire a farlo bene. Il linguaggio andava curato per renderlo più realista, meno euforico, meno leggero: il protagonista torna da una guerra, ok, vinta, ok, ma sembra far parte del sentimento della folla, non tanto dei suoi compagni di battaglia. Soprattutto con quello che stiamo vivendo per l'Ucraina (mi perdonino quei popoli tribolati se li menziono per questo nostro divertissement privato), doveva essere più ovvio attingere ai sentimenti di un guerriero che torna a casa dopo aver visto la morte in faccia innumerevoli volte, dopo aver sentito i morsi della paura, dopo aver affrontato le indicibili armi del nemico (che, siccome, si parla di guerra planetaria, supponiamo sia della sua stessa specie, sebbene avrebbe potuto essere tranquillamente descritto come un'altra specie ancora, con tutto il ribrezzo che ne deriva, e così alimentare l'illusione che fosse un umano, a narrare).
Ho avuto modo di leggere i tuoi commenti in questa gara, e vedo che hai ottime basi sulle quali fare bene: quello che scrivi è sempre ben argomentato. Quindi spero che queste mie righe non ti sembrino del tutto fuori luogo.
A presto!


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Re: Quello che ci aspetta a casa
Hai perfettamente colto la principale fonte di ispirazione, ovviamente Sentinella, che era proprio l'idea che volevo imitare.
Io in verità ho appositamente puntato e spinto veramente molto sul linguaggio esaltato e magari addirittura melenso per distogliere l'attenzione del lettore e provare a distrarlo, da alcuni dei commenti che ho letto qui e in altre occasioni dove l'ho condiviso il trucchetto ha avuto un certo successo con parecchi lettori.
La guerra… non ho di certo niente da contestare alla tua posizione che personalmente condivido, ma questa che abbiamo è una sensibilità moderna.
Tralasciamo che ovviamente qui si parla di creature aliene e con una mentalità diversa, ma anche nelle società umane nel passato la gloria bellica aveva una funzione e una posizione molto diversa dalla nostra.
Parlando solo del mondo greco, da cui traggo parecchi degli stilemi del racconto, ancora in epoca classica, come in tante società fino ai nostri giorni, lo svolgere i propri compiti in battaglia era dovere e un punto di onore di un cittadino (persino Socrate e Platone lo puntualizzano) e in epoca precedente, come, in tantissime società fino a tempi recentissimi, la guerra era considerata un impegno ambito ed eroico, e spesso unico modi di elevazione sociale ed economica, e il guerriero ritenuto un personaggio assai più nobile e con un maggiore riconoscimento sociale del pacifico agricoltore.
Questo è lo spirito che andavo a descrivere. Francamente non trovo i pensieri del mio alieno protagonista di quelli che avrebbe provato un qualunque oplite ateniese o legionario romano ad essere celebrato dopo una campagna vittoriosa e ricca di preda.
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Re: Quello che ci aspetta a casa
grazie mille del commento e dei complimenti, sono contento che ti sia piacciuto e di aver raggiunto l'obbiettivo che mi ero prefissato!
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Re: EDITED
Ottimo, grazie!Ombrone ha scritto: 23/09/2024, 15:59 Ho rivisto il testo corretto un paio di refusi e rieditato un paio di frasi.
Déjà vu - il rivissuto mancato
antologia poetica di AA.VV.
Talvolta, a causa di dinamiche non sempre esplicabili, uno strano meccanismo nella nostra mente ci illude di aver già assistito a una scena che, in realtà, la si sta vivendo solo ora. Il dèjà vu diventa così una fotocopia mentale di quell'attimo, un incontro del pensiero con se stesso.
Chi non ha mai pensato (o realmente vissuto) un'istantanea della propria vita, gli stessi gesti e le stesse parole senza rimanerne perplesso e affascinato? Chi non lo ha mai rievocato come un sogno o, perché no, come un incubo a occhi aperti?
Ventitrè autori si sono cimentati nel descrivere le loro idee di déjà vu in chiave poetica.
A cura di Francesco Zanni Bertelli.
Contiene opere di: Alberto Barina, Angela Catalini, Enrico Arlandini,
Enrico Teodorani,
Fausto Scatoli, Federico Caruso, Francesca Rosaria Riso, Francesca Gabriel,
Francesca Paolucci,
Gabriella Pison,
Gianluigi Redaelli, Giovanni Teresi, Giuseppe Patti,
Ida Dainese,
Laura Usai,
Massimo Baglione, Massimo Tivoli, Pasquale Aversano,
Patrizia Benetti, Pietro Antonio Sanzeri,
Silvia Ovis,
Umberto Pasqui,
Francesco Zanni Bertelli.
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Luna 69-19
antologia di opere ispirate al concetto di "Luna" e dedicata al 50° anniversario della storica missione dell'Apollo 11
Il 20 luglio 1969 è la data che segna per sempre il momento in cui il primo essere umano ha posato per la prima volta i piedi sul suolo lunare. Quel giorno una parte di voi era d'avanti ai televisori in trepidante attesa del touch-down del lander, altri erano troppo piccoli per ricordarselo e altri ancora non erano neppure nati, tuttavia ne siamo stati tutti coinvolti in molteplici maniere.
A cura di Massimo Baglione.
Contiene opere di: Alessandro Mazzi, Andrea Coco, Andrea Messina, Angelo Ciola, Cristina Giuntini, Daniele Missiroli, Enrico Teodorani, Francesca Paolucci, Franco Argento, F. T. Leo, Gabriele Laghi, Gabriele Ludovici, Gabriella Pison, Iunio Marcello Clementi, Laura Traverso, Marco Bertoli, Marco Daniele, Maria Emma Allamandri, Massimo Tessitori, Namio Intile, Pasquale Aversano, Pasquale Buonarotti, Pietro Rainero, Roberta Venturini, Roberto Paradiso, Saji Connor, Selene Barblan, Umberto Pasqui, Valentino Poppi, Vittorio Serra, Furio Bomben.
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Intellinfinito
Questo libro è il seguito di "Un passo indietro". Come il primo, è autoconclusivo.
"Esistevano davvero, gli dèi. Ma non erano dèi. Non lo erano stati per un'oscura volontà divina, ma lo erano semplicemente diventati mediante un'accanita volontà terrena di sopravvivenza".
L'Evoluzione umana (e non) come non l'avete mai immaginata.
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Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.
Gara di primavera 2023 - Clair de lune - e gli altri racconti










A cura di Massimo Baglione.
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A cura di Tullio Aragona.
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La Gara 53 - Metamorfosi





A cura di Laura Chi (con la supervisione di Giorgio Leone).
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