L'orologiaio
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L'orologiaio
«Mi deve scusare, ma stamattina ho avuto un incidente con l’auto.»
«Niente di grave, mi auguro» aggiunse con voce piatta il cliente, senza riuscire a nascondere la propria insofferenza.
«No, per fortuna. Ma una inevitabile perdita di tempo... Pensavo di aver terminato, ma c’è qui ora qualcosa che non va...» mormorò l’orologiaio, appollaiato sopra la vecchia sedia di paglia intrecciata che era stata di suo nonno.
Nuovamente si concentrò sulla cassa di acciaio inox aperta tra le sue mani.
«Non è il solito ingranaggio difettoso?»
«Stavolta no. È una ruota dentata che… Eh, non ne fanno più di così belli.»
«Guardi che se mi costa troppo...»
«Non lo ripara? Un simile gioiello? Non si preoccupi del prezzo» lo rassicurò, come si fa coi bambini.
«Ce la fa per oggi?» Domandò spazientito, dopo un paio di minuti.
«Forse domani. Me lo lasci ancora un po’... e mi scusi per l’inconveniente.»
Namio Intile era un orologiaio. Per generazioni la sua famiglia si era occupata degli strumenti che misurano il tempo, anzi egli credeva che la sua famiglia si fosse occupata di orologi sin da quando essi esistevano e piccole ruote dentate e bilancieri avevano iniziato a misurare la quarta dimensione.
«Il tempo» mormorò la signora con la veletta démodé entrata senza che lui se ne accorgesse, senza neanche far trillare il campanello posto sopra la porta d'ingresso.
Namio Intile la osservò e si sentì sicuro di non averla mai vista prima, benché il viso gli sembrasse familiare.
Era molto bella, ma fu soprattutto quella voce, calda, avvolgente, sensuale, a provare a forzare una porta che aveva chiuso da tempo.
La sua immaginazione galoppò alla ricerca di un precedente incontro, anche casuale, nei dintorni del negozio; ma non riuscì a ricordare e suppose che si fosse trasferita in zona da poco o che venisse da un altro quartiere.
Perché altrimenti l'avrei notata, rifletté in mezzo al silenzioso frastuono di mille ticchettii.
«Il tempo può scorrere solo in una direzione e sempre alla stessa velocità» aggiunse la donna, e gli sembrò che volesse concludere un altro pensiero con quella frase.
«Come prego?» Domandò l’orologiaio, frastornato.
È proprio bella, gli balenò nella mente, un essere perfetto.
«A differenza delle altre dimensioni, che si possono percorrere alla velocità che vogliamo e, soprattutto, nella direzione che preferiamo, il tempo scorre solo in un senso: dal presente a un altro presente, che ancora non esiste...» spiegò la donna, con voce ferma.
«Einstein la pensava diversamente, credo.»
«Davvero lei può credere a un vecchio che fa le faccette quando lo fotografano?»
«Beh…» annaspò, allargando le braccia. «Cosa posso fare per lei? Deve forse fare un regalo...» provò a indovinare l’orologiaio per vincere l’imbarazzo di quella conversazione surreale.
Provò a essere professionale per non pensare quanto fosse incommensurabilmente bella quella donna e si forzò per non mantenere lo sguardo fisso su di lei.
«Sì, è un regalo.»
«Una ricorrenza?»
«Il dono è per lei» precisò con dolcezza
E quando fu costretto ad alzare gli occhi si accorse che lei lo stava fissando.
Namio Intile sentì le gambe tremare ed ebbe paura di perdersi negli occhi di quella sconosciuta. Profondi e dal colore indefinito.
«Un regalo per me?» Ripeté.
In un momento di lucidità considerò che si stesse prendendo gioco di lui o che fosse un’abile tattica di aggancio per riuscire a vendergli una qualunque banalità.
O magari si tratta di un’astuta ladra, pensò.
«Guardi, mi dispiace, ma io non compro niente» replicò a bassa voce.
«E io non vendo nulla. Vede, mio marito era un ingegnere, ed era irlandese» raccontò la donna, e si avvicinò al banco trasparente mostrando le belle dita affusolate, con le unghie laccate con una tonalità particolare di rosso. «Gremory… lui aveva una particolare passione per gli orologi. Non per il design, sia chiaro. Ma per il loro funzionamento.»
«Una passione in comune, allora. Ma io come posso...»
«Guardi» lo interruppe la donna, e uscì dei fogli di carta dalla borsa. Li sistemò, poi li porse all’orologiaio.
Con cautela l’uomo prese i fogli e li esaminò.
«Cosa ne pensa?»
«Soluzioni...» cercò le parole, «molto eleganti, originali. Io... non so che dirle. Sono solo un piccolo orologiaio. Perché è venuta da me?»
«Sono mesi che la osservo. Da fuori. Chino su quel tavolo col monocolo di precisione all’occhio destro e quei minuscoli attrezzi che si muovono veloci tra le dita, ogni volta come se eseguissero una danza diversa per seguire uno spartito che solo lei conosce.»
Namio Intile abbassò lo sguardo, si sentì lusingato e avrebbe voluto baciare le labbra di quella donna che sembrava cogliere l’essenza del suo lavoro. Gli venne fuori soltanto una comica smorfia.
La donna fece per uscire.« Mi scusi, lei mi è parso un uomo singolare, ma forse mi sono sbagliata.»
«La prego, si accomodi» cercò di fermarla, con fare deciso.
«L’ho già disturbata troppo. Sono entrata per darle questi disegni, ecco tutto; li tenga lei. Sono suoi.»
«Miei?»
«Sì. Le appartengono adesso. Li merita qualcuno con la stessa passione di mio marito» concluse, e si voltò verso la porta. Poi sulla soglia si fermò. «Un unico consiglio: non tenti mai di realizzare quell’orologio.»
«Non capisco.»
«L’orologio dei disegni non deve costruirlo... mai. Lei possiede i disegni, non l’orologio» l'avvertì.
«Perché no?» Replicò l’orologiaio, che per un momento pensò che quella donna bellissima non dovesse starci più molto con la testa.
«Perché quest’orologio misura il tempo secondo i desideri del suo costruttore.»
«Come ogni orologio» scherzò Namio Intile.
«Non si burli di me. Sono molto seria. E sono sana di mente, anche se in questo momento lei starà considerando l'esatto contrario. Non lo costruisca. Lo dico per il suo bene.»
«Come lei desidera» concluse l’orologiaio, preso da un’improvvisa voglia di sbarazzarsi di quell’essere misterioso il prima possibile.
Le aprì la porta e l’accompagnò oltre l’uscio.
Passarono i giorni, trascorsero i mesi.
Di quelle carte, di quei disegni, Namio Intile si era completamente dimenticato, erano finite tutte in fondo a un cassetto, sotto il banco da lavoro del laboratorio.
Finché un giorno, mentre cercava i suoi occhiali di precisione, quei fogli saltarono fuori e, come spinti da una mano invisibile, caddero in terra. Namio li raccolse e li esaminò, per la prima volta con attenzione. Si rese conto che, nei tanti e proficui anni in cui aveva svolto il suo mestiere d’artigiano, non s’era mai imbattuto in nulla di simile.
Non era che la tecnologia fosse al di là della sua comprensione, tutt’altro. Quei disegni mostravano solo comuni ruote dentate, ingranaggi, bilancieri. Ciò che era stupefacente era invece la meccanica, più precisamente, la logica del funzionamento.
Ebbe un’intuizione e pensò che non fosse solo un’opera di fantasia, che fosse possibile realizzarla e farla funzionare; poi la curiosità prese il sopravvento.
Lesse con attenzione ogni pagina e quindi cominciò ad assemblare il modello dimenticandosi della sua promessa.
Il tempo volò via, senza che se ne accorgesse. Chiuse la saracinesca per la sera e rimase dentro a lavorare, ossessionato da quella intuizione. Non dormì affatto e la mattina seguente l’orologio, come era stato minuziosamente disegnato dal defunto ingegnere, fu pronto.
«Di sicuro non partirà» esclamò a gran voce, e si stupì della vibrazione della sua voce tra le mura ovattate del negozio.
Diede la carica ruotando la ghiera sulla destra e l’orologio, con suo stupore, prese a muoversi in senso orario; dapprima partì la lancetta dei secondi, poi la seguì quella dei minuti, più lentamente.
Osservò il manufatto con attenzione. Funzionava né più né meno come un normale orologio, anche se non avrebbe potuto. Anche se non avrebbe dovuto.
«Che sia tutto uno scherzo?» Mormorò incredulo.
Poi tirò in avanti il datario di un giorno, due, tre, quattro fino alla fine del mese e poi ancora avanti sino ad allinearlo con la data di quel giorno.
Ripose l’orologio, si guardò allo specchio posto di fianco al bancone. «Sono proprio un idiota, ma cosa volevo che succedesse?»
Uscì che era già mattina avanzata e, dopo aver alzato la saracinesca, si accorse che qualcosa non andava. Davanti a lui la strada era chiusa e vi erano dei lavori in corso per il rifacimento del manto stradale, in stato di avanzamento.
Che strano, non ho sentito qualcuno lavorare questa notte. Sono sicuro che quando ho chiuso il negozio la strada era sana, borbottò tra sé e sé.
Poi si avvicinò all’edicola all’angolo e vide la data del giorno. Era avanti di un mese rispetto a quella che ricordava. Sgranò gli occhi tentando di mettere bene a fuoco e passò a un altro giornale, e a un altro ancora. Poi, spaventato, cercò istintivamente di fuggire tra le mura note del suo negozio.
Nel tragitto s’imbatté in Ermanno, il fiorista che aveva la bottega di fianco alla sua, che lo agguantò per le spalle e disse: «Namio, ma che diavolo ti è successo? È un mese che tieni chiuso e al telefono non rispondi. Sei stato male? Eravamo tutti in ansia per te.»
«Sì...» rispose l’orologiaio a voce bassa, credendo veramente di stare male, anzi di essere impazzito. «Molto male» sussurrò.
Poi la verità gli apparve in tutta la sua scarna crudezza.
Il tempo scorre a mio piacimento, pensò e, nel tempo che un lampo impiega a squarciare l’oscurità, si materializzarono le infinite possibilità che quel prodigio poteva offrirgli.
Rientrò in negozio e vide l’orologio che funzionava regolarmente, secondo dopo secondo, minuto dopo minuto. Prese il coraggio a due mani e riportò il datario indietro, al giorno da cui era partito. Uscì fuori e dei lavori stradali non v’era traccia. Si affrettò a controllare in edicola e questa volta vide il giorno preciso in cui si doveva trovare: diciassette marzo.
«Sono il padrone del tempo» ghignò soddisfatto, e nei suoi occhi balenò una strana luce.
E così in breve ogni ricchezza divenne sua.
Ogni potere sugli uomini fu suo.
La sua avidità si arricchiva ogni momento di un nuovo desiderio.
Tutte le creature della Terra, tutte le Nazioni, tutti gli eserciti si piegarono al volere del padrone del tempo, stretto al suo prezioso strumento: l’orologio che lo governa.
Passarono degli anni, forse decenni, e un bel giorno si ricordò della donna e del suo dono.
E pensò che sarebbe stato giusto e saggio onorarla con un immenso tempio e che tutti gli abitanti della Terra si dovessero flettere almeno una volta al giorno davanti alla sua immagine.
Impiegò decine di migliaia di uomini nella costruzione di quell'edificio, il più grande mai costruito dall'uomo.
E in quell’impresa ciclopica furono molti quelli che perirono.
Alla fine, davanti alla gigantesca statua di una donna dalle sembianze che seguivano i suoi sbiaditi ricordi, l’uomo più potente della Terra, s’inchinò.
Fu un attimo e Namio Intile, il Signore del Tempo, si ritrovò seduto nella sua vecchia bottega di orologiaio, sulla sedia di paglia che era stata di suo nonno, con l’orologio tra le sue mani.
«L’avevo avvertita» lo rimproverò la donna.
Nel rivederla ne fu sicuro, era bella più di ogni altra donna avesse mai visto in tutto il tempo del mondo.
«Non doveva costruirlo. Soltanto custodirne i disegni.»
«Ma… lei chi è?» Balbettò impaurito Namio Intile, e tutta la lunga e felice vita fino ad allora vissuta gli sembrò solo un attimo evanescente, uno sbiadito sogno notturno.
Si sentì stanco e vecchio. Senza forze. Si guardò allo specchio di lato al bancone, come se lo avesse lasciato lì appena la sera prima.
Ma lo specchio non mentiva: il tempo era passato davvero. Era un vecchio, un vecchio decrepito.
«A volte capitano delle cose strane» commentò la donna. «Ancora non mi riconosci?»
L’uomo fece cenno di sì. «Perché proprio io? Perché sono così speciale?» supplicò.
«Non darti l'importanza che non hai. Mi ha vinto la noia. Avevo visto qualcosa di particolare nei tuoi occhi e ho scommesso su di te, perdendo. Tu ti sei dimostrato così banalmente ordinario nella tua avidità.»
«Tutto qui?»
«Tutto qui. Ci rivedremo presto purtroppo» disse la donna alzando le spalle, e uscì in strada, identica a quella prima volta in cui era entrata.
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L'orologiaio invece fa la scelta sbagliata, peccato...
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Re: L'orologiaio
Il racconto è di quelli miei che definisco senza troppe ambizioni, ma spero comunque gradevole.
Grazie anche a Ibbor OB per il passaggio.
Re: L'orologiaio
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Re: L'orologiaio
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Re: L'orologiaio
Amor vincit omnia, perché alla fine quel caso fortuito pare proprio quello.
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gran storia che ricorda un mio vecchissimo racconto fantasy (Il signore del tempo) con declinazioni e finale ben diversi, ovviamente.
splendide le descrizioni, scontato invece il risultato finale e il comportamento dell'orologiaio.
ottimo lavoro.
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La bella donna che porta i progetti del marito? Per me è senz'altro la morte, perché alla fine dice al protagonista che si vedranno presto, purtroppo. È un racconto molto interessante, che offre spunti di riflessione sul tempo che passa, sul desiderio di fermare il tempo o di tornare indietro nel tempo. Io non avrei usato quel dono per arricchirmi, ma per rivivere situazioni del passato, per rivedere persone care che non ci sono più.
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