L'uomo all'orizzonte

Spazio dedicato alla Gara stagionale di primavera 2024.

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Alessandro Mazzi
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L'uomo all'orizzonte

Messaggio da leggere da Alessandro Mazzi »

leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.

Cammino sulla strada. Il rumore delle scarpe che toccano il suolo è l’unica compagnia che mi è concessa.
A ogni passo, un oceano di ricordi, pensieri ed emozioni travolge la mia mente stanca: immagini d’infanzia, una casa vuota, una madre che piange senza far rumore.
Alzo lo sguardo e la schiena incurvata scricchiola come un ingranaggio mal oleato.
Davanti a me una distesa d’asfalto, percorsi che si diramano in mille direzioni; erbacce rinsecchite si sono fatte largo attraverso il manto stradale, lasciando profonde spaccature, come un virus dilagante che prende possesso dell’organismo e lo porta alla distruzione.
Fisso l’orizzonte e finalmente lo vedo: l’obiettivo di tutto il mio peregrinare mi fissa attraverso gli occhi spenti, il corpo nascosto dietro abiti consunti.
Papà, sussurra sottovoce la mia mente.
Continuo a camminare su quella strada, la stessa di sempre: quante volte ancora mi troverò a percorrerla, mi domando scoraggiato.
L’uomo sulla linea dell’orizzonte se ne sta sempre laggiù, immobile. Una leggera brezza di fine primavera agita le sue vesti.
C’è qualcosa di romantico in quello che sto vedendo, ma i miei pensieri sono tutti concentrati su di lui, sulla meta imminente.
Mi trovo sul cavalcavia che dà sull’autostrada: il vuoto sotto i piedi mi chiama come una tentazione irresistibile.
No, gettarsi è fuori discussione. Sarebbe una decisione troppo drastica, specie per uno che di decisioni non ne ha mai sapute prendere.
E allora mi fermo un momento ad assaporare la velocità, il fiume d’energia che scorre come un torrente impetuoso sotto di me: decine e decine di automobili che sfrecciano in due direzioni, automobilisti indomiti lanciati a vele spiegate verso chissà quale destino.
Rifletto su cose tanto sciocche quanto inutili; penso a quant’è bello che nonostante tutte le difficoltà, gli esseri viventi continuino a spostarsi in un costante movimento che li condurrà non si sa dove: cellule impazzite che cercano il proprio ruolo in un corpo di cui conoscono poco o nulla.
L’uomo all’orizzonte è sempre più vicino, eppure più lontano ogni passo avanti che faccio.
Mi avvicino e nel frattempo mi allontano.
Allungo le mani e sogno di toccarlo, di stringere lo sconosciuto tra le braccia. Un senso di confortante leggerezza si diffonde attraverso ogni vena e arteria del mio corpo; sento il sangue trasformarsi in acqua e per poco non mi sembra di prendere il volo.
Ogni tessera del grande mosaico se ne va al suo posto: tutta la sofferenza, le sfide, le lacrime e i rimpianti trovano la loro collocazione sulla tela del pittore.
Mi riscuoto da quel sogno a occhi aperti; guardo a terra: un cumulo di vestiti laceri. Me li passo tra le mani e piango: è questo tutto quello che rimane? Non posso credere di essermi sbagliato anche stavolta.
Ho come l’impressione di esserci già passato, di aver già stretto quegli stracci tra i miei pugni.
Li getto a terra e mi ritrovo a fissare ancora dritto davanti a me, il capo sollevato.
Papà, sussurra sottovoce la mia mente.
Continuo a camminare su quella strada, la stessa di sempre: quante volte ancora mi troverò a percorrerla, mi domando scoraggiato.
L’uomo sulla linea dell’orizzonte se ne sta sempre laggiù, immobile. Una leggera brezza di fine primavera agita le sue vesti.
Mentre il sole scende piano piano e si fa rosso come il fuoco, l’ultima luce del giorno asciuga le lacrime dal mio viso.
Un viandante nell’ora del crepuscolo alla ricerca di un immagine che vive solo nella sua mente: è questo che sono?
Le gambe ripartono; le spalle sempre incurvate reggono il peso dell’aspettativa.
Ci credo ancora.
Non posso smettere di farlo.
Yakamoz
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Messaggio da leggere da Yakamoz »

Ciao, Alessandro Mazzi, (prima volta che ti leggo e primo a commentarti in questa sorta di gara).

Piccolo racconto ma intenso e significativo, che dà quasi l'immagine di un sogno: non so se fatto a occhi aperti o chiusi. Molto chiari i simboli: il ticchettio delle scarpe/il tempo che passa, la strada/vita, padre/figura idealizzata, che appare come un'ossessione per il nostro viaggiatore, i vestiti laceri/disillusione, e l'idea poi della morte, sempre presente nella nostra vita, in questo caso nella vertigine quando si guarda qualcosa che sta molto in basso, il sole calante/la transizione, le auto che scorrono veloci sull'autostrada/il futuro, che appartiene al protagonista stesso, e a ognuno di noi. Esiste forse un senso, ti dico quello che mi suscita: malinconia, solitudine, conflitto, abbandono in tutto il testo. L'uomo che viaggia, o vaga, alla ricerca di qualcosa (forse se stesso? forse ciò a cui appartiene? l'altra metà della mela? qualcosa che mai troverà pienamente?) che crede, o si illude, di vedere ma che non raggiunge, o ne trova solo i frammenti, e il viaggio ricomincia impellente verso la stessa meta/porto. Molto bella la prosa: evocativa, poetica, psicologica. Da premiare, soprattutto, l'uso efficace di simboli e metafore su temi "universali"; ma meno: l'eccessiva decontestualizzazione del racconto, che appare come un passo di qualcosa di molto più ampio. Tenendo però conto dello stile e contenuti, non poteva essere altrimenti.

Unico appunto: "… pensieri ed emozioni travolge la mia mente stanca: immagini d'infanzia, una casa vuota, una madre che piange senza far rumore".

Siccome i soggetti sono due, perché il verbo "travolge" al singolare? Solo, a volte, in poesia si usa mettere il verbo al singolare pure se il verbo si riferisce a più cose. Quindi, dato lo stile, non so se ciò è voluto o si tratta di una semplice disattenzione.

Bravissimo, Mazzi

Tante belle cose,

Antonio

How many roads must a man walk down, before you call him a man? (Dylan), mi ha ricordato l'inizio di questa song il tuo racconto.

A rileggerci…

Voto 4/5
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Laura Traverso
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Messaggio da leggere da Laura Traverso »

Intenso pur nella sua brevità. Hai saputo dar voce a emozioni profonde, e comuni a quasi tutti gli esseri umani, con esempi molto raffinati e incisivi. Tutto ciò che hai descritto cosi bene, si vede, si sente, si vive... Mi è piaciuta molto la scena del cavalcavia che si affaccia sull''autostrada, ma anche, e soprattutto, il dolore ben espresso per la ricerca continua di quella figura paterna mai dimenticata, e la gioia di immaginare di poterla abbracciare, quella figura lontana e evanescente. Ma ogni descrizione è poetica: i fili d'erba rinsecchiti che si son fatti strada attraverso il manto stradale... Sì, è bel racconto.
Giovanni p
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Messaggio da leggere da Giovanni p »

Buongiorno Alessandro,

proposto un bel intreccio di parole, non lo definirei un racconto ma a me è piaciuto molto.
Già il fatto che sia scritto in prima persona hai guadagnato molti, molti, molti punti.
Voto 4 complimenti
Jacopo Serafinelli
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Messaggio da leggere da Jacopo Serafinelli »

@Alessandro Mazzi
Quel che resta del passato resta, come in una cassettiera nel nostro cervello… tutto può ripetersi aprendo i cassetti ma tutto resterà inevitabilmente come è stato… ogni tentativo di riprovare o cancellare quel che è stato è vano.
Un racconto surreale che descrive uno stato d'animo che, almeno per un momento, rende reale l'irreale.
Voto 5
Jacopo
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