Musulmania
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Musulmania
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Nota dell'autore: i luoghi, i personaggi e le situazioni descritte in questo racconto sono frutto di pura fantasia, ogni riferimento a luoghi, persone o fatti reali è da ritenersi puramente casuale.
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Il giorno che inaugurarono il primo lotto del quartiere popolare, oltre alla banda, le scolaresche schierate e il sindaco con la fascia, era arrivato pure un onorevole, insieme al vescovo.
Dopo che la banda ebbe suonato l'inno di Mameli, le personalità presenti sul palco misero in scena il solito cerimonioso spettacolino; il sindaco fece il suo bel discorso per raccattare qualche consenso in più in vista delle imminenti elezioni comunali; l'onorevole, da buon democristiano, si sperticò in elogi verso il sindaco che apparteneva al suo stesso partito e il vescovo, dopo aver incensato i due, riconoscendone l'indiscussa integrità morale e le indubbie capacità politiche, benedì la targa del nuovo quartiere; pomposamente chiamato: Villaggio del nuovo rinascimento! Manco ci trovassimo nella Firenze medicea, invece che nell'industriosa Pianura Padana.
All'epoca, si era nella primavera del 1954, avevo otto anni. E per un bambino schierato sull'attenti col suo bel grembiulino, la lunga cerimonia infarcita di pomposi, spesso e volentieri anche vacui, incomprensibili discorsi, fu molto peggio della lezione di catechismo che, ogni santa domenica, ero costretto a sorbirmi per non essere espulso dall'oratorio.
Di quella cerimonia ricordo la stanchezza dopo aver trascorso quasi due ore sull'attenti. Ma soprattutto la felicità negli occhi dei miei genitori quando, dopo che il vescovo ebbe benedetto la targa, il sindaco lesse i nomi e l'onorevole, stringendo loro vigorosamente le mani, consegnò le chiavi agli assegnatari degli appartamenti del quartiere.
Per noi, che abitavamo in un'insalubre casa di corte, in due locali privi di servizi igienici (la latrina comune, da dividere con altre quattro famiglie, come un'edicola votiva nella quale prostrarsi, e non certo per pregare, campeggiava in mezzo al cortile), entrare in un tre locali più servizi fu come scoprire le meravigliose stanze di un fiabesco castello.
Aprendo la porta del bagno, io e i miei genitori ci soffermammo a guardare con occhi meravigliati, volgendo lo sguardo all'intorno e in ordine cronologico: il lavello, il bidè, il water e la vasca di ghisa smaltata.
"Finalmente mia mamma non mi trascinerà più ai bagni pubblici il sabato", pensai sul momento; ma subito dopo, riflettendoci, compresi che quella vasca sarebbe stata una iattura: ogni volta che fossi tornato dall'oratorio per l'ora di cena sudato e sporco di terra, invece che la solita strigliata alla bell'e meglio mi sarebbe toccato un lungo e doloroso bagno completo.
Il primo lotto del quartiere si componeva di otto palazzine disposte a L attorno all'ampio parco centrale (i futuri lotti avrebbero, negli anni a venire, completato il perimetro del parco). Le palazzine, rigorosamente senza ascensore, erano a tre piani, più quello rialzato: per un totale di otto appartamenti per scala. Ogni appartamento aveva la sua piccola cantina di pertinenza. Inoltre c'era una cantina grande (dagli inquilini chiamato: cantinone) accessibile, oltre che dalla scala condominiale, tramite uno scivolo esterno: questo per consentire ai residenti di ricoverare biciclette e motocicli. I box per le automobili, invece, non erano contemplati nel progetto (crescendo ipotizzai che gli architetti avessero pensato che il motociclo fosse il massimo a cui potesse aspirare un operaio). Poco male, visto che l'automobile era il sogno di tutti ma realizzato ancora da pochi. E i pochi che la possedevano, per tenere d'occhio il prezioso bene, la parcheggiavano nel vialetto sotto casa, con le ruote di destra sull'erba delle aiuole per non intralciare il passaggio.
Il villaggio venne completato agli inizi degli anni sessanta. Altre sedici palazzine (rigorosamente senza ascensore e, nonostante la motorizzazione di massa fosse già iniziata, ancora prive di un box di pertinenza per ogni appartamento) si erano aggiunte alle prime otto, andando a completare il perimetro del parco: polmone verde spelacchiato racchiuso al centro del villaggio del nuovo rinascimento.
Allora gli extracomunitari erano ancora di là da venire. Incontrare un uomo di colore era come vincere un terno al lotto; eppure i motivi di frizione non mancavano. C'era pur sempre il razzismo domestico da coltivare, per chi avesse voluto sbizzarrirsi in beceri insulti. Il miracolo economico aveva portato molti italiani a migrare dal sud al nord in cerca di un lavoro onesto e salariato. Quale migliore occasione per sfogare l'odio represso contro qualcuno che si percepiva culturalmente diverso?
Ci vollero anni prima che nord e sud, all'interno del villaggio, iniziassero a guardarsi un po' meno in cagnesco. E magari, a questo, contribuirono inconsapevolmente le masse di diseredati in fuga, prima dai paesi dell'est dopo la dissoluzione dell'impero sovietico e, di seguito, dal sud del mondo: ci vuole sempre e comunque qualcuno su cui rovesciare le nostre frustrazioni, se no, chi incolpi quando le cose vanno male?
Agli inizi degli anni ottanta, l'istituto case popolari propose ai residenti di acquistare l'immobile a un prezzo inferiore a quello di mercato. Molte famiglie accettarono l'alettante proposta, fra queste anche la nostra, e corsero in banca ad accendere un mutuo.
E anche questo particolare contribuì, quando le famiglie di extracomunitari iniziarono a prendere il posto di quelle autoctone, ad accendere l'odio nei loro confronti. Chi aveva acquistato l'immobile a costo di duri sacrifici economici, mal sopportava la presenza di vicini di pianerottolo che avrebbero contribuito ad abbassare il valore degli appartamenti; all'epoca, dopo il boom immobiliare di fine novecento inizio anni duemila, già in caduta libera.
La multietnicità aveva portato i residenti a seguire, più o meno fedelmente, i dettami di diverse religioni. Ora quella imperante all'interno del villaggio non era più la cattolica, ma bensì la musulmana.
Rammento ancora il periodo in cui fra i residenti stava per scoppiare una vera e propria guerra di religione.
Era accaduto che, durante il Ramadan, i condomini di una palazzina, tutti di religione musulmana, non avendo un posto dove riunirsi per pregare cambiarono destinazione d'uso, senza autorizzazione alcuna, al cosiddetto cantinone, trasformandolo in luogo di culto.
Poco male se ad usufruirne fossero stati solo i residenti della palazzina in questione. Ma quando per la preghiera del venerdì i vialetti vennero invasi da un numero imprecisato di uomini provenienti non solo dal paese, ma pure dal circondario, la protesta montò. Per fortuna, prima che la faccenda degenerasse in qualcosa di drammatico, arrivarono i vigili insieme ai carabinieri ad apporre i sigilli al cantinone.
Per onestà intellettuale, ci sarebbe da aggiungere che 'sti poveri musulmani non avevano tutti i torti. Loro l'avevano affittato un capannone nella zona industriale per riunirsi a pregare. E a molti miei compaesani stava pure bene, visto che si trovava ben distante dal centro abitato. Ma quella testa d'uovo del sindaco, per accontentare quattro suoi biliosi elettori leghisti, aveva pensato bene di stracciare gli accordi presi verbalmente con il loro Imam, quando questi, prima di stipulare il contratto d'affitto, era andato a chiedergli se potevano usarlo come luogo di culto.
Tornando a noi; ormai chi poteva permetterselo accettava di vendere per un tozzo di pane pur di andarsene dal villaggio del nuovo rinascimento; sarcasticamente ribattezzato "Musulmania" da una banda di ragazzotti di estrema destra che, nottetempo, avevano pure imbrattato la toponomastica scrivendo con una bomboletta spray nera il nuovo nome sul cartello all'inizio della via.
Nella primavera del 2014, soltanto un pugno di residenti della prima ora resisteva stoicamente nelle loro enclave italiche (leggi appartamenti invendibili) all'interno di Musulmania.
Io, ero uno di loro. I miei genitori erano passati a miglior vita lasciandomi erede del loro patrimonio: costituito dall'appartamento e da un modesto conto corrente che usai per le esequie, prima di mia madre e tre mesi dopo di mio padre.
Mi era anche capitata l'occasione di disfarmi dell'immobile; un marocchino, parente dei condomini del piano rialzato, era interessato: gli piaceva il mio appartamento perché era sito all'ultimo piano, diceva. Ma con i soldi che ci avrei fatto, da un'altra parte avrei potuto comprare un box. Considerando anche il fatto che non possedevo neanche un misero Ape Piaggio da mettere a ricovero, non mi sembrava 'sto gran affare; così rifiutai la poco generosa offerta.
E poi, io lì al villaggio del nuovo rinascimento, o Musulmania che dir si voglia, ci avevo passato praticamente tutta la vita; e mi piaceva ancora starci, specialmente ora che, raggiunta l'agognata pensione, potevo godermi la vista sul parco spelacchiato dal balcone dell'appartamento o da una panchina al suo interno. E andavo anche d'amore e d'accordo con il mio dirimpettaio di pianerottolo: un negro del Burundi. Sì, lo so che il politicamente corretto imporrebbe il: di colore. Ma non essendo mai stato razzista, oltre che politicamente sempre scorretto, posso permettermi di chiamarlo, senza livore e con molta buona ironia: negro. Che poi, se ci pensate bene, "di colore" non vuol dire niente… di che colore? Nero, giallo, bianco, verde, a pois? Vista la piega multietnica che sta prendendo il mondo, per essere precisi e non confondersi si dovrebbe comunque specificare il colore, credo. Io non sono razzista, l'ho già detto e lo ribadisco con forza; però mi domando: ma i fascisti, perché non li possono soffrire i neri? In fondo è il loro colore di riferimento, no? Potrei capire i verdi, no, non intendo il partito dei verdi, ma bensì quei leghisti verdi di rabbia e di camicia che una volta sbavavano contro i terroni e adesso hanno rivolto le loro attenzioni ai negri. Oppure i rossi… ma loro affermano con forza di non essere mai stati razzisti. E magari sarà anche vero che la maggioranza non lo sia… A tal proposito, voglio raccontarvi un aneddoto illuminante.
Ero seduto fuori dal bar, insieme a un amico che ancora oggi si professa comunista DOC. Si discuteva di razzismo e, questi, mi stava spiegando perché lui non odiava nessuno; ma proprio nessuno, eh! Mi aveva fatto 'na capa tanta e alla fine mi aveva quasi convinto; quando, all'improvviso, era saltato su cominciando a inveire con parole infamanti contro un industriale che transitava davanti al bar alla guida della sua Ferrari. «Amico mio caro, » l'avevo allora interrotto, «tu sei più razzista di loro. L'invidia sociale, se non la più grave, è sicuramente la più pericolosa forma di razzismo che conosca. Ti saluto, Stalin!» l'avevo apostrofato, lasciandolo allibito.
Il mio colore di riferimento, politicamente parlando, non è né il bianco né il verde né il rosso né tantomeno il nero; questo penso si sia capito. Mi tengo equidistante da ogni schieramento; e se proprio dovessi scegliere una tinta di riferimento… opterei per l'amaranto: come il colore che m'incendia il volto quando sento parlare i politici in televisione promettendo di tutto e di più.
Dicevo del mio dirimpettaio di pianerottolo; una bravissima persona, moglie e tre figli che fanno un casino della madonna fino a tardi. Ma io sopporto; in fondo mi fanno compagnia, sono sempre in casa da solo.
Questo qui, quando ci incontriamo uscendo di casa mi saluta esclamando ironicamente: «Ciao, uomo bianco!» e io, di rimando: «Ciao, negher!» e giù a ridere tutti e due.
No, lui non è musulmano… il marocchino del piano rialzato invece sì, e pure l'egiziano suo dirimpettaio.
Quelli del primo piano, invece, sono ferventi cristiani: vengono dal Salvador.
Al secondo ci sta una famiglia di rumeni e un'altra di albanesi; questi, gli albanesi intendo, furono i primi extracomunitari che si stabilirono nel villaggio.
Insomma, è un coacervo di lingue, di urla e odori di cucine diverse. Quando mi capita di salire le scale vicino al mezzogiorno, è come fare il giro del mondo dei sapori. Il guaio è che la tromba delle scale agisce da camino e tutti gli odori raggruppandosi in alto diventano insopportabili… va beh, ma io sprango la porta, metto il salsicciotto di stoffa sul pavimento ben premuto contro, alzo il volume della televisione e me ne frego.
Io vado praticamente d'accordo con tutte le etnie… anche se non sono ancora ben riuscito a inquadrare alcuni comportamenti dei musulmani.
Ogni tanto, dal balcone, mi metto a osservare il marocchino e la sua famiglia quando escono di casa.
Allora, succede questo; a volte vedo lei, lunga tonaca nera e velo in testa d'ordinanza, con i figli al fianco camminare davanti a lui che, due passi indietro, pare controllarla; altre volte vedo lui davanti e lei e i figli due passi indietro che seguono il capobranco… mai una volta che li abbia visti camminare affiancati, scambiarsi qualche battuta, ridere… boh! Tradizioni loro, da rispettare comunque.
E questo è niente, il marocchino, che di mestiere fa il muratore, mi diceva che durante il mese del Ramadan non tocca né cibo né acqua dall'alba al tramonto, nemmeno con il Sole a picco e quaranta gradi all'ombra; roba da farsi venire una sincope… contento lui. Sono affari suoi, e anche questo non mi pare un buon motivo per essere razzisti.
Due settimane fa me ne stavo seduto su una panchina del parco, strategicamente messa tra le madri musulmane e i loro bambini da una parte, e lo sparuto gruppo di mamme italiche e i loro pargoli dall'altra.
Mi divertivo ad ascoltare le madri arabe parlare fra loro, senza capirci un accidente, mentre con la coda dell'occhio controllavano che i bambini non si allontanassero troppo; non perché temessero chissà cosa, ma perché i bambini, com'è giusto che sia oltre che logico, erano attratti dai coetanei italiani che giocavano a pochi metri e che, naturalmente, avanzavano a loro volta verso il centro controllati dalle madri. Ma poco prima che i due gruppi arrivassero a sfiorarsi, la cacofonia di urla stridule delle madri italiane e musulmane li riportava all'ordine, almeno per un po'.
A un certo punto, sento una voce da dietro: «Ciao, Tommaso!» Mi giro: era Augusto, il nipote di un mio caro amico. «Ciao, giovanotto, come va la vita?» gli chiedo come faccio sempre.
Lui mette giù il muso, si siede vicino a me e si confida. Così vengo a sapere che frequenta una ragazza egiziana che abita sotto di lui, che il padre di lei li ha scoperti e l'ha riempita di botte; perché, a quando dice lui, l'ha già promessa a un uomo molto più grande. Ora, stando alle parole di Augusto, lei ha solo sedici anni, lui diciassette, entrambi minorenni. Il promesso sposo, invece, che sta in Egitto, ne ha ben quarantacinque! E lì, mi monta la rabbia.
Alla fine 'sto povero ragazzino, con il magone mi chiede un consiglio.
Rammentando l'espediente messo in atto molti anni prima da due piccioncini per scardinare l'opposizione ferrea di un padre calabrese che non voleva permettere a sua figlia, promessa a un suo lontano parente di Locri, di fidanzarsi con un ragazzo del nord; fui tentato di consigliargli la fuitina. Ma nel momento di dirlo, la frase morì in gola. "Sei pazzo, quelli erano maggiorenni, potresti passare dei guai", pensai, rimanendo con la bocca aperta senza proferire verbo.
O Augusto sapeva leggere il pensiero, o era fin troppo sveglio. Fatto sta che il giorno dopo i due ragazzini scapparono di casa. I genitori di lui e di lei, rigorosamente divisi, lanciarono i loro appelli in televisione. Il padre e la madre di Augusto, uno accanto all'altro, parlarono entrambi. Mentre dall'altra parte parlò solo il padre, con la madre silente che ascoltava a testa bassa un passo indietro.
Gli appelli caddero nel vuoto e i due ragazzini furono trovati due giorni dopo che vagavano smarriti nella stazione di Bologna.
Augusto, dopo l'abbraccio ricevette la giusta ramanzina. Della ragazzina invece si persero le tracce. Venni poi a sapere, da amici egiziani, che era stata mandata dai parenti in Egitto e che non sarebbe più tornata in Italia, se non da sposata con il quarantacinquenne a cui era stata promessa dal padre… forse sarebbe meglio dire: venduta come una schiava!
Ecco! Questa è una di quelle vicende che mi fanno imbufalire, e che potrebbe spingermi a chiamare "di colore" un negro… Ma alla fine, non ci riesco proprio ad essere razzista, e continuerò a chiamare "negro" il mio dirimpettaio e fascisti i razzisti di qualsiasi colore.
FINE
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Volendo ci si potrebbe ricavare anche un romanzo che partendo dal dopoguerra racconta l'evoluzione sociale degli italiani… ma sarebbe un po' troppo impegnativo per me. Ti ringrazio. Ciao, Piero.Macrelli Piero ha scritto: 21/03/2022, 9:56 Ottima sinossi, ma adesso trasformala in un racconto. Scrittura pulita e corretta, sento la pressione del politicamente corretto che frena le emozioni. La premessa iniziale la trovo superflua. La mutazione antropologica di una comunità ristretta offre analisi infinite e una palazzina o un condominio è una nicchia ecologica ricca di conflitti (Condominium di J.G. Ballard). le potenzialità di far partire un buon racconto ci sono tutte.
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Per quanto riguarda la Ferrari, o la Lamborghini o qualsiasi altra fuoriserie, purtroppo capita che siano l'elemento scatenante dell'odio, o invidia sociale che dir si voglia. Provo a spiegarmi: qui, il protagonista del racconto, fa capire all'amico che lui considera una forma di razzismo pure quella, e che finché non si riuscirà a comprenderlo… beh, sarà difficile combattere anche l'altro tipo di razzismo. Ti ringrazio. Ciao, Francesco.Francesco Pino ha scritto: 21/03/2022, 12:02 Le case popolari come filo conduttore di una storia che attraversa velocemente 60 anni di tempo; considrazioni personali dirette su un argomento sempre "caldo"… lavoro interessante.
Come non apprezzare la descrizione della contentezza di chi passa da un'insalubre abitazione a un normalissimo trivani che appare come un castello? E come non considerare amaramente che quella contentezza è la stessa che tanti provano anche oggi?
Come non apprezzare il passaggio di consegne tra l'ultima ruota del carro e l'altra attraverso gli anni? Tra un capro espiatorio e l'altro?
Bello il passaggio del miscuglio di odori all'interno della palazzina, come riferimento al miscuglio culturale. Niente male anche l'atteggiamento semplice scelto per evidenziare le perplessità sulle abitudini di chi viene da lontano. Del tipo "bah, fatti loro!", cosi' come la critica finale alle condizioni sociali create da alcuni aspetti culturali vero i quali qualcuno si pone in maniera un po' "naif".
Forse ci hai messo dentro un po' troppa politica, ma nel contesto non ci sta male. Sulla Ferrari non sono d'accordo, ma il racconto è tuo, mica mio!
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No, non conosco il giallo da te accennato. Per quanto riguarda la parte politica, essendo un racconto che narra dell'evoluzione sociale degli italiani dal dopoguerra ai giorni nostri, non potevo certo esimermi dal tratteggiare il passaggio dalla balena bianca al leghismo (ben presente e radicato dalle mie parti: bassa padana). Ti ringrazio. Ciao, Domenico.Domenico Gigante ha scritto: 21/03/2022, 13:51 Non so se conosci il giallo satirico "Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio", scritto da un autore algerino. Beh! Il tuo racconto me lo ha fatto torna alla mente. Sinceramente toglierei tutta la parte politica, alludendo solamente ad alcuni atteggiamenti o pregiudizi diffusi. Mi concentrerei solamente sugli aspetti aneddotici (ad esempio: che combini dal tuo vicino di casa negro? Mangi mai insieme ad altri membri della comunità? E che esperienza hai della loro cucina?). Insomma renderei tutto un po' più "concreto", perché lo spunto mi pare ottimo. Cmq complimenti!
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Tutto e cambiato, e non sempre in meglio, purtroppo. E chissà cosa ci riserverà il futuro. Questa benedetta e maledetta globalizzazione, più che a un'evoluzione sociale, pare somigliare sempre più a un un'involuzione. Ti ringrazio. Ciao, AthosgAthosg ha scritto: 23/03/2022, 20:33 Un racconto-commento sull'evoluzione del vivere in condominio in Italia, raccontata con simpatia e il giusto, ironico e non facile distacco. Mi ha fatto ricordare i paesi tanti anni fa, dove tutti si ritrovavano al bar. Un'umanità varia che adesso è omologata e sperduta in qualche centro commerciale. Amarcord.
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Un accenno alla politica che muta nel corso degli anni, influenzata anche dai fenomeni migratori, si poteva anche togliere dal testo, ma secondo me, rende il racconto più completo. Ti ringrazio. Ciao, FraFreeFraFree ha scritto: 24/03/2022, 12:03 Hai restituito un quadro chiaro del fenomeno dell'immigrazione, contestualizzandolo sia a livello cronologico, sia come impatto sociale (da entrambi le parti). Ho trovato gradevoli e genuini i fatti riportati, meno il richiamo politico. Non perché non sia afferente, anzi, ma si articolerebbe meglio in un brano più ampio, secondo me.
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Se c'è una critica che mi sento di fare riguarda l'equilibrio fra gli aneddoti del quotidiano e la narrazione dell'evoluzione socio-politica dal dopoguerra a oggi; trovo più efficaci le storie che accadono nel quartiere, esemplari dei rapporti fra culture che giocoforza devono imparare a convivere, mentre l'altra parte vira un po' verso il saggio, pur se condito da interessanti considerazioni personali.
Un buon lavoro.
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Sono d'accordo con te: le storie di quartiere sono più efficaci della descrizione, a grandi linee, dell'evoluzione sociale dal dopoguerra ai giorni nostri; probabilmente ho messo un po' troppa carne al fuoco… o troppo poca per trattare un argomento che abbraccia una bella fetta della nostra storia. Ti ringrazio. Ciao, Roberto.Roberto Bonfanti ha scritto: 28/03/2022, 20:45 Il racconto è scritto molto bene, tratta un argomento importante senza cadere nelle trappole del politicamente corretto. Forse, come scritto da altri, meriterebbe anche una trattazione più estesa.
Se c'è una critica che mi sento di fare riguarda l'equilibrio fra gli aneddoti del quotidiano e la narrazione dell'evoluzione socio-politica dal dopoguerra a oggi; trovo più efficaci le storie che accadono nel quartiere, esemplari dei rapporti fra culture che giocoforza devono imparare a convivere, mentre l'altra parte vira un po' verso il saggio, pur se condito da interessanti considerazioni personali.
Un buon lavoro.
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E perché mai dovresti essere una perdente? Perché non ti piace questo mio raccontino? Ma dai! Invece devo dire che il tuo commento l'ho gradito. Mi stimola e, se posso e senza nessuna intenzione di sminuire il tuo pensiero, provo a rispondere ad un paio di appunti. Non biasimo il matrimonio tra la ragazzina e il 45enne, ma il fatto che la ragazzina è costretta a sposare un uomo che nemmeno conosce; le culture diverse vanno rispettate, ci mancherebbe altro; quello che non trovo civile è contrattare il futuro della figlia. Il protagonista non è che vuole farsi vedere buonino; ma la mia idea era quello di un uomo che rifiutava ogni forma di razzismo, senza stare a sfogliare il vocabolario del politicamente corretto. Lui, il protagonista, non trova giusto nemmeno inveire contro l'industriale perché: "Se ha fatto i soldi deve aver rubato", considerà questo modo di pensare una forma di razzismo nei confronti di chi è riuscito a farsi strada nella vita. Insomma, il protagonista è il prototipo dell'uomo quasi perfetto, ergo: impossibile da trovare nella vita reale. Ti ringrazio. Ciao, Paola.Paola Tassinari ha scritto: 29/03/2022, 23:36 Scritto molto bene, prosa scorrevole ma pare un articolo giornalistico, asettico senza proporre niente di trito o non trito, se la ragazzina si sposa con un 45enne ed è biasimevole altrettanto lo è il finto buonismo perché se l'etnocentrismo é stato giudicato, non da ma me, ma dalle istituzioni di stampo razzista non possiamo noi ergergi a giudici di civiltà diverse da noi perché la base di fondo è che ci crediamo migliori è questo il vero razzismo per me… Ripeto il racconto è scritto molto bene ma se il protagonista usa il relativismo solo per far vedere che è buonino purtroppo devo dire che il racconto non mi piace ma questo è solo ciò che penso io e di solito sono una perdente
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Re: Musulmania
No, non è autobiografico, è di fantasia, anche se per la descrizione del villaggio mi sono ispirato ai palazzoni tirati su nel mio paese nei primi anni 60. Per quanto riguarda razzismo e tutto il resto, basta guardarsi un po' in giro dalle mie parti e l'ispirazione sgorga da sola. Ti ringrazio. Ciao, Alycetta.Alycetta7 ha scritto: 30/03/2022, 18:52 La prima cosa che mi sono chiesta, appena terminato il tuo racconto, è se sia autobiografico o di fantasia. Perché è scritto davvero in maniera realistica. Ho amato tantissimo la prima parte, dove la famiglia del protagonista finalmente ottiene una casa nei nuovi stabili. Sicuramente il testo è infarcito di pensieri politici, il tema razzismo, a mio parere, è stato introdotto bene e si sposa alla grande con tutto il resto. Secondo me c'è del buon materiale per farne qualcosa di più (più lungo, dettagliato, con la vita del protagonista più sviluppata). Sono divertenti anche alcuni accenni ai vicini di casa stranieri. In generale è un bel racconto
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Il racconto mi è piaciuto, e anche la punta di acredine e insofferenza che mi è parsa distinguere nel finale lo rende anche più vero e lo allontana da un certo buonismo militante politically correct di molta sinistra benpensante.
Quanto al tuo professore comunista, se non odia nessuno non è comunista. I comunisti devono odiare i capitalisti, odiarli fino a volerli morti, altrimenti essere comunista che senso ha? Almeno la libertà di odiare lasciatecela, non mi va di esser buono con chi guadagna cento miliardi di dollari l'anno (magari facendo la morale al resto dell'umanità disgraziata). Perché aivoglia costruire scuole ospedali strade case pozzi acquedotti investire sulle rinnovabili e sulle colture biologiche con quella massa incommensurabile di denaro. Ma loro mi sembrano solo interessati ad accumulare yacht dalle dimensioni di portaerei, aerei grandi come palazzi, ville grandi come città, pacchetti azionari smisurati e via discorrendo.
Il protagonista a ogni modo si rivela intelliggente comprendendo che la guerra orizzontale, quella fra poveri, non porta mai nulla di buono (ai poveri).
Dal punto di vista formale ti segnalo parecchie incertezze nel finale sui tempi verbali, che passano dal passato al presente. Avresti dovuto tenerli tutti al passato. Conseguenza forse dell'intromissione a volte dell'autore che scalza la voce narrante e offre commenti personali al lettore.
A parte questo è un buon testo.
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Ciao, Namio. Mi sofffermo sulle incertezze dei tempi verbali, è vero che avrei dovuto tenere tutto il racconto al passato, ma ho voluto dare, probabilmente sbagliando, un tono da conversazione alla voce narrante; e conversando può capitare di passare dal passato al presente, specialmente quando si racconta un episodio, un inoconto o un diverbio avuto con una terza persona… perlomeno, a me capita. Ti ringrazio.Namio Intile ha scritto: 10/04/2022, 16:40 Il racconto è gradevole e credo che spunti tu ne abbia per poter scrivere anche qualcosa di più complesso sul tema. Tirare un po' le fila della storia italiana degli ultimi cinquanta o settant'anni ripercorrendo le storie e le presenze degli inquilini di un condominio è una bella idea, simile in parte, se vuoi, a La famiglia di Scola tutto ambientato in quell'appartamento romano di fine ottocento, sempre uguale ma in cui cambiano i protagonisti.
Il racconto mi è piaciuto, e anche la punta di acredine e insofferenza che mi è parsa distinguere nel finale lo rende anche più vero e lo allontana da un certo buonismo militante politically correct di molta sinistra benpensante.
Quanto al tuo professore comunista, se non odia nessuno non è comunista. I comunisti devono odiare i capitalisti, odiarli fino a volerli morti, altrimenti essere comunista che senso ha? Almeno la libertà di odiare lasciatecela, non mi va di esser buono con chi guadagna cento miliardi di dollari l'anno (magari facendo la morale al resto dell'umanità disgraziata). Perché aivoglia costruire scuole ospedali strade case pozzi acquedotti investire sulle rinnovabili e sulle colture biologiche con quella massa incommensurabile di denaro. Ma loro mi sembrano solo interessati ad accumulare yacht dalle dimensioni di portaerei, aerei grandi come palazzi, ville grandi come città, pacchetti azionari smisurati e via discorrendo.
Il protagonista a ogni modo si rivela intelliggente comprendendo che la guerra orizzontale, quella fra poveri, non porta mai nulla di buono (ai poveri).
Dal punto di vista formale ti segnalo parecchie incertezze nel finale sui tempi verbali, che passano dal passato al presente. Avresti dovuto tenerli tutti al passato. Conseguenza forse dell'intromissione a volte dell'autore che scalza la voce narrante e offre commenti personali al lettore.
A parte questo è un buon testo.
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Re: Commento
Forse quando noi e molte altre generazioni avranno ormai consumato il loro tempo, accadrà di vedere l'intera umanità abbracciarsi sinceramente senza guardarsi in cagnesco… forse. Ti ringrazio. Ciao, Temistocle.Temistocle ha scritto: 15/04/2022, 8:56 Bel racconto. Tutto quello che avevo da dire… è stato detto sopra, sono arrivato tardi! Volevo solo fare un'osservazione sul discorso dell'integrazione. Siamo un popolo che storicamente ha invaso nazioni ed è stato invaso da popoli e culture molto diverse (io poi vengo dal Sud, quindi puoi immaginare!), ma ha sempre saputo conservare una propria peculiarità. È passato poco tempo da quando è iniziata quest'ultima ondata di immigrazione e non siamo ancora pronti per giudicarne le conseguenze; la storia si misura in secoli non in decenni. Penso che il rispetto, da una parte e dall'altra, sia il criterio per una convivenza che darà frutti, forse, tra un bel po' di tempo.
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Una specie di diario sul cambiamento sociale e i problemi che esso propone, scritto in base all'esperienza della gente e non a teorie.Interessante!
Re: Musulmania
Il Canton Ticino ha visto succedersi nel tempo quello che tu descrivi nel caseggiato.
Su scala regionale, meno intenso ma più negativistico: la tradizionale diffidenza verso lo straniero, il diverso, il cambiamento della popolazione nei palazzi delle città, il razzismo leghista, ecc ....
Una mentalità che io non ho mai neppure lontanamente condiviso e mi ha suggerito di scegliere un modo di vivere attuale da "eremita sociale" , lontano dalla mêlée come dicono i francesi...
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Re: Musulmania
Il tuo commento mi ha rammentato una battuta che pronunciò Luciano de Crescenzo: "Si è sempre meridionali di qualcuno". Ti ringrazio. Ciao, Myname.Myname ha scritto: 19/04/2022, 5:32 Aggiungo una nota sociologica che conferma quello che ho scritto prima
Il Canton Ticino ha visto succedersi nel tempo quello che tu descrivi nel caseggiato.
Su scala regionale, meno intenso ma più negativistico: la tradizionale diffidenza verso lo straniero, il diverso, il cambiamento della popolazione nei palazzi delle città, il razzismo leghista, ecc…
Una mentalità che io non ho mai neppure lontanamente condiviso e mi ha suggerito di scegliere un modo di vivere attuale da "eremita sociale", lontano dalla mêlée come dicono i francesi…
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Ho trovato che hai svolto il tema che ti sei scelto con una certa leggerezza, certo non come merita. Non ho capito se vuoi fare uno spaccato dell'integrazione, della testa degli italiani al riguardo dell'integrazione, se vuoi mettere dei paletti...
Su un tema così non puoi chiudere su un caso odioso senza un minimo di approfondimento: è odioso per noi, ma il rispetto di un'altra cultura è il rispetto di un'altra cultura che va avanti così da 1400 anni, e non è chiosando su un episodio che ci fa provare repulsione che aggiungi qualcosa.
A parte, solo due paragrafi sui quali vorrei approfondire:
"Manco ci trovassimo nella Firenze medicea, invece che nell’industriosa Pianura Padana." - dov'è la contrapposizione? "Medicea" è un aggettivo storico-temporale; "industriosa" è una qualità delle persone (e, per traslato, della terra dove quelle persone vivono), quell'"invece" cosa vuol dire? Avrei visto meglio un più neutro "e non".
Il secondo è l'aneddoto dell'amico "comunista". Purtroppo hai ragione, più di quanta tu creda, ma non solo a proposito dei comunisti: di fatto, il razzismo non esiste, esiste solo la discriminazione di classe che, di volta in volta, si veste in un modo diverso. Sono scuri di pelle? Diventa razzismo. Sono di un'altra parte dello stesso Paese? Si chiama "razzismo" per estensione. La verità è che nel mondo dove tutto è merce, dove anche il lavoro è merce, chi accetta paghe infamanti (magari perché persino ignaro dei propri diritti) spinge al ribasso tutta la catena salariale. I meno abbienti sono quelli che ne risentono di più e s'incazzano non poco (giustamente), mentre chi ne approfitta fa addirittura la parte del "benefattore".
Infatti, quando uno è benestante, nessuno gli dimostra avversione: il nero ("negro" in italiano NON è un colore) in Porsche o l'emiro sono trattati da tutti coi guanti bianchi.
Ipocrisie di un mondo "ricco", ma povero di valori.
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Re: Commento
Provo a rispondere sinteticamente: infatti il protagonista non mette in discussione il rispetto per l'altrui cultura, lui dice che sono cose che lo potrebbero farlo incavolare ma che alla fine non ci riesce ad essere razzista (io invece affermo che certi comportamenti non dovrebbero essere giustifucati "culturalmente", se no, a questo punto, dovremmo pure giustificare i genitori che uccidono la figlia perché già promessa a un connazionale). Per quanto riguarda la Firenze medicea, è solo una battuta del protagonista, scaturita dal nome dato al villaggio. Per l'amico comunista invece, beh, la discriminazione di classe, o l'invidia sociale, secondo me sono una variante del razzismo: mica si odia solo chi è diverso di colore, ma anche per il colore dei soldi, del potere. Ti ringrazio. Ciao, Marino.Marino Maiorino ha scritto: 24/04/2022, 10:25 In precedenza mi sei piaciuto molto di più.
Ho trovato che hai svolto il tema che ti sei scelto con una certa leggerezza, certo non come merita. Non ho capito se vuoi fare uno spaccato dell'integrazione, della testa degli italiani al riguardo dell'integrazione, se vuoi mettere dei paletti…
Su un tema così non puoi chiudere su un caso odioso senza un minimo di approfondimento: è odioso per noi, ma il rispetto di un'altra cultura è il rispetto di un'altra cultura che va avanti così da 1400 anni, e non è chiosando su un episodio che ci fa provare repulsione che aggiungi qualcosa.
A parte, solo due paragrafi sui quali vorrei approfondire:
"Manco ci trovassimo nella Firenze medicea, invece che nell'industriosa Pianura Padana." - dov'è la contrapposizione? "Medicea" è un aggettivo storico-temporale; "industriosa" è una qualità delle persone (e, per traslato, della terra dove quelle persone vivono), quell'"invece" cosa vuol dire? Avrei visto meglio un più neutro "e non".
Il secondo è l'aneddoto dell'amico "comunista". Purtroppo hai ragione, più di quanta tu creda, ma non solo a proposito dei comunisti: di fatto, il razzismo non esiste, esiste solo la discriminazione di classe che, di volta in volta, si veste in un modo diverso. Sono scuri di pelle? Diventa razzismo. Sono di un'altra parte dello stesso Paese? Si chiama "razzismo" per estensione. La verità è che nel mondo dove tutto è merce, dove anche il lavoro è merce, chi accetta paghe infamanti (magari perché persino ignaro dei propri diritti) spinge al ribasso tutta la catena salariale. I meno abbienti sono quelli che ne risentono di più e s'incazzano non poco (giustamente), mentre chi ne approfitta fa addirittura la parte del "benefattore".
Infatti, quando uno è benestante, nessuno gli dimostra avversione: il nero ("negro" in italiano NON è un colore) in Porsche o l'emiro sono trattati da tutti coi guanti bianchi.
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Commento a Musulmania
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Re: Commento a Musulmania
Allungarlo o accorciarlo? Non mi pare la stessa cosa: accorciarlo vorrebbe dire togliere qualcosa, qualche situazione, o persanaggio. Per allungarlo, invece, dovrei aggiungere altre situazioni o personaggi che, a mio avviso, nulla aggiungerebbero al tema trattato (e alla mia visione del razzismo a 360 gradi). Ti ringrazio. Ciao, Eleonora.Eleonora2 ha scritto: 01/05/2022, 13:26 Tra il dire e il fare… lo ribadisco e faccio i conti con la lettrice che sono. Dopo la lettura del testo ho avuto un travaso di bile. Non mi ha fatto riflettere, il racconto, e mi ha smosso delle brutte sensazioni. Mi sono chiesta perché e mi sono risposta - come al solito, faccio tutto da sola - e non a caso. Il fatto è che ho un'opinione personale… E non conta. Quello che conta è di aiutarti a fare meglio. Lo rileggerei e lo allungherei o lo accorcerei; gli strumenti per farlo li hai tutti. Ho dato 3 per la forma. Ciao!
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Re: Risposta
Non sei tu che hai problemi, sono io che non ho capito (sono un po' di coccio); per questo ti ringrazio di aver speso un altro po' del tuo tempo per replicare alla mia risposta al commento. Allungarlo fino a farne un romanzo, sarebbe il massimo. Ma non riesco più a stare concentrato su un testo per più di due giorni… e dire che avevo cominciato la mia avventura nella narrativa, da autodidatta, scrivendo ben tre romanzi, uno di seguito all'altro. (il terzo: I ragazzi del caffè centrale, probabilmente il migliore, l'ho pure pubblicato integralmente su BraviAutori), poi ho capito che se volevo strappare qualche lettura sui siti di scrittura dovevo accorciare il tiro; e da allora mi sono messo a scrivere racconti. Aggiungo che questa tua analisi mi ha fatto capire come e dove correggermi, e per questo ti ringrazio doppiamente. Ciao, Eleonora.Eleonora2 ha scritto: 02/05/2022, 19:37 Ultimamente ho dei problemi con la comunicazione. Allungarlo significherebbe aggiungere cioè farne un romanzo e mi pare che tu non ne abbia voglia, accorciarlo significherebbe togliere le impressioni personali dal testo, non necessariamente aggiungere o togliere dei personaggi. Per me sei stato poco attento ad analizzare la situazione. Il tuo pensiero non deve venir fuori dalle tue considerazioni ma dai fatti, altrimenti diventa una cronaca. Ribadisco, scrivi molto bene. Noi tutti, siamo qui per imparare.Grazie a te per esserti messo in gioco.
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Commento Musulmania
“un scivolo esterno” – forse uno scivolo esterno
“ad accendere un muto.” – refuso
“elettori leghisti aveva” – una virgola dopo leghisti
“raggruppandosi in alto diventando insopportabili…” -- diventano
Commento al testo
“in cerca di un lavoro onesto e salariato.” – qui ci vedo un pizzico di razzismo autentico: forse che al sud non esistevano lavori onesti, ma solo malavitosi? E poi, siamo sicuri che al nord il lavoro fosse onesto e non piuttosto sfruttamento alla catena di montaggio?
Ho notato che in qualche caso le lunghe subordinate rendono meno facile seguire il filo del discorso.
A volte non è necessario far precedere il sostantivo da un aggettivo qualificativo, meglio lasciare al lettore la libertà di farsi la sua opinione.
Esempi:
“l’indiscussa integrità morale e le indubbie capacità”
“a di pomposi, spesso e volentieri anche vacui, incomprensibili discorsi,”
“le meravigliose stanze di un fiabesco castello.”
“l’alettante proposta”
Il mio commento arriva un po’ in ritardo. Altri hanno già scritto molto bene le loro opinioni. In particolare concordo con il commento di Paola Tassinari, di Paolo Gigante e Marino Maiorino. Inutile che io ripeta i medesimi concetti.
Da parte mia ho cercato di fornire qualche spunto, da sottoporre alla libera scelta dell’autore.
Lodevole l'argomento trattato.
Marino Maiorino ha allargato la visione e ti ha offerto lo spunto per ulteriori sviluppi.Quasi il voto lo do a lui (scherzo).
Voto 4
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Re: Commento Musulmania
Refusi ed errori li ho sistemati, ti ringrazio.Alberto Marcolli ha scritto: 08/05/2022, 11:19 "aver incensato i due riconoscendone" – per me ci sta una virgola dopo i due
"un scivolo esterno" – forse uno scivolo esterno
"ad accendere un muto." – refuso
"elettori leghisti aveva" – una virgola dopo leghisti
"raggruppandosi in alto diventando insopportabili…" -- diventano
Commento al testo
"in cerca di un lavoro onesto e salariato." – qui ci vedo un pizzico di razzismo autentico: forse che al sud non esistevano lavori onesti, ma solo malavitosi? E poi, siamo sicuri che al nord il lavoro fosse onesto e non piuttosto sfruttamento alla catena di montaggio?
Ho notato che in qualche caso le lunghe subordinate rendono meno facile seguire il filo del discorso.
A volte non è necessario far precedere il sostantivo da un aggettivo qualificativo, meglio lasciare al lettore la libertà di farsi la sua opinione.
Esempi:
"l'indiscussa integrità morale e le indubbie capacità"
"a di pomposi, spesso e volentieri anche vacui, incomprensibili discorsi, "
"le meravigliose stanze di un fiabesco castello."
"l'alettante proposta"
Il mio commento arriva un po' in ritardo. Altri hanno già scritto molto bene le loro opinioni. In particolare concordo con il commento di Paola Tassinari, di Paolo Gigante e Marino Maiorino. Inutile che io ripeta i medesimi concetti.
Da parte mia ho cercato di fornire qualche spunto, da sottoporre alla libera scelta dell'autore.
Per quanto riguarda il "lavoro onesto e salariato", la voce narrante lo rimarca per far capire che lui la pensa all'opposto di molti altri che su al nord, al tempo delle grandi migrazioni, bollavano i meridionali, ingiustamente, come degli scansafatiche, se non adirittura mafiosi portati a delinquere… poi arrivarono le migrazioni dall'Africa e allora le "attenzioni" dei razzisti si spostarono più a sud. Per quanto riguarda i sostantivi… non lasciare troppa libertà al lettore è un mio difetto (uno dei tanti), in futuro cercherò di fare tesoro delle tue puntualizzazioni. Grazie ancora. Ciao, Alberto.
La spina infinita
"La spina infinita" è stato scritto quasi vent'anni fa, quando svolgevo il mio servizio militare obbligatorio, la cosiddetta "naja". In origine era una raccolta di lettere, poi pian piano ho integrato il tutto cercando di dare un senso all'intera opera. Quasi tutto il racconto analizza il servizio di leva, e si chiude con una riflessione, aggiunta recentemente, che riconsidera il tema trattato da un punto di vista più realistico e maturo.
Di Mario Stallone
A cura di Massimo Baglione.
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