Feldscher
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Feldscher
Neve fresca. Neve ghiacciata, neve marcia. Neve in fiocchi, in aghi, in polvere. Neve troppo bianca, nemmeno la nostra miserabile carovana riesce a scalfirne il candore. Sempre neve, maledetta neve. Da tre giorni non vedo altro.
Auschwitz è un luogo orribile, dicono. Per gli altri, non per me. Gli altri che mi rinfacciano di aver perso la mia dignità di ebreo. Balle, tutte balle: quando entra in gioco la pelle conta solo cavarsela. E io me la sono cavata, potete starne certi. Dormivo al caldo, avevo un letto tutto mio, una stufa tutta mia, una coperta tutta mia. Gli altri ebrei hanno iniziato a non parlarmi più; hanno iniziato a parlarmi solo gli ufficiali tedeschi. Solo ordini, si intende, ma quelli li eseguo senza batter ciglio: non ho nulla di cui preoccuparmi. Che la guerra duri altri cinque, dieci, vent’anni, che i nazisti conquistino il mondo non mi importa.
Mi basterebbe soltanto essere ancora al fianco del Dott. Mengele per vivere bene. Mi ha voluto bene anche se sono ebreo? Non lo so e francamente non mi importa. Io eseguivo i suoi ordini e lui mi garantiva una vita decente. Punto. Mi ha promesso che ci incontreremo di nuovo, mi ha persino donato il suo tabarro come pegno.
Ora, dopo tre giorni di marcia, la sua lontananza inizia a farsi sentire, non sono più certo di rivederlo. Ho paura di morire? Non troppa, a dire il vero. Vedo davanti a me scheletri in pigiama che si tirano avanti trascinando i piedi, in silenzio: se ce la fanno loro perché non dovrei farcela io, che sono meglio coperto, meglio nutrito, più sano? Mi scoccia solo patire il freddo, la fame, la fatica: solo quello.
Ieri si è avvicinato un tale:
«Ti prego, dammi un po’ del tuo mantello, anche San Martino ne diede metà al povero che stava gelando!»
«Non ti vergogni? Parli di santi, proprio tu che sei ebreo?»
Non stetti più a sentire i suoi sciocchi mugugni; ero più forte di lui, avrei potuto tirargli un calcio e lasciarlo a terra per sempre. Ma non mi andava di sprecare energia: sarebbe caduto poco dopo, da solo.
Uno sparo, qualche colpo. Non capisco da dove provengono ma istintivamente mi tiro in mezzo alla carovana per farmi scudo con i ruderi animati degli altri prigionieri. Mi accovaccio a terra. Silenzio. Poi un giubilo, che mi fa rizzare in piedi: tutti corrono, saltano, ridono. Alzandomi l’orizzonte scopre una decina di corpi a terra, immobili davanti ai miei occhi. Non sono ebrei, sono SS.
Poco più lontano un soldato russo, alto almeno un metro e novanta. Punta il fucile contro di me. Provo a fermarlo a parole:
«Sono ebreo, sono ebreo».
Mi risponde in modo incomprensibile, non capisce la mia lingua. Sono troppo vicino per scappare, alzo le mani. Come posso spiegargli che quel tabarro tedesco non è mio? Perché non ho una camicia a righe come tutti gli altri? Alzo in fretta la manica; comprende tutto: non faccio l’appello mattutino da mesi ma quel numerino tatuato mi sta tornando utile. Abbozzo una risposta con l’unica parola comune alle nostre due lingue:
«Feldscher».
Mi prende sottobraccio, facendosi strada fra gli stremati rimasugli umani intorno a noi, accasciati in attesa dei modesti soccorsi che arriveranno fra ore, forse. Mi indica una tenda da cui esce un fumo invitante, non esito un secondo e mi ci tuffo dentro. Meno male: anche i russi hanno bisogno di infermieri.
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Re: Feldscher
Grazie ancora e alla prossima!
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I più forti tendono sempre a schiacciare i subalterni.
Protagonista veramente personaggio becero. Cosa non si farebbe per la propria pellaccia....
Concordo anch'io sul finale che avrei preferito più "strong".
Però promosso in pieno, molto piacevole da leggere e non troppo lungo.
Voto 4.
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hai scritto qualcosa di diffile in maniera semplice e gradevole, ci sono alcuni punti che però non mi hanno convinto.
Il cambio di sequenza è quasi assente, non si capisce se l'episodio di San Martino sia successo prima del momento che sta vivendo o sia nel presente, seguendo quindi una fabula.
Il personaggio lo hai costruito alla perfezione, un anti-eroe col quale non è possibile empatizzare, ma solo odiarlo.
Avrei preferito che tu apliassi il tutto, anche perchè la storia è veramente interessante.
Per ora ho dato 3, nel caso tu modificassi il racconto avvertimi così che abbia la possibilità di cambiare voto.
- Laura Traverso
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La frase: "quando entra in gioco la pelle conta solo cavarsela" esprime una filosofia che va oltre le ideologie e cose similari.
Come racconto, è breve e conciso.
Tutto sommato mi è piaciuto. Voto 4.
- Roberto Bonfanti
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In un mondo perfetto mi augurerei che qualche suo compagno di sventura lo abbia rincontrato dopo la liberazione.
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Si aggrappa a una supposta "ebreità" (come quando rifiuta di farsi novello San Martino e rimprovera persino il ricordare il santo, o come quando tira fuori il tatuaggio) che non è certo quella che leggiamo oggi, eppure è comunemente vigliacco e opportunista.
Vittima o carnefice? No, carnefice no: nel racconto non arriva a compiere efferatezze (sebbene abbia collaborato con Mengele non suggerisce ricordi che possano far parlare di efferatezze), ma lascia che quelle si compiano. La banalità del male fatta persona.
La gran parte di noi, ne sono certo, ancora di più perché viviamo in tempi e Paesi ricchi, in società sazie, dimostrerebbe assai più egoismo del protagonista. Sta già accadendo con la guerra in Ucraina, o crediamo davvero che tutti gli esaltati che si arruolano dall'Italia in uno o l'altro esercito di quella guerra lo fanno per un ideale? E una volta arrivati lì, cose crediamo che vadano a fare? Sembra davvero che la nostra società sia tenuta al limite della sazietà per poterne liberare gli istinti più abietti alla semplice pressione di un bottone. Magari, il bottone che chiude un gasdotto...
Ma non riesco a comprenderlo. Mi spiego meglio: capisco benissimo l'ambiguità dell'ebreo collaborazionista, ma questa la interpretiamo oggi con tutto ciò che "ebreo", "collaborazionista", "2a guerra mondiale", "campagna di Russia", film americani (scrittura di una nuova morale) e un infinito di eccetera è stato steso. Mi manca entrare nella mentalità di quell'uomo del 1943.
Per capire davvero l'orrore di quegli episodi non possiamo restare sul nostro pulpito di uomini del XXI secolo e bacchettare l'orrore e l'abiezione senza capire come ci si è arrivati, e tutta la retorica di "Hitler il pazzo" mi lascia freddo come quella di "Putin il pazzo", di "Saddam il criminale" (a seconda delle stagioni), di "Qaddafi il dittatore" (ci facevamo affari).
Tanto più mi lascia freddo perché sono le stesse cose che si dicevano di Bonaparte, ma poi passano due secoli e diventa un genio militare che esportò in tutta Europa i principi della Rivoluzione Francese...
In qualche modo, la risposta a quelle domande è ciò che non trovo, che non leggo, e il racconto resta la denuncia dell'ambiguità e dell'opportunismo (a livelli estremi).
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La brevità va a pari passo con la modernità, basti pensare all'estrema sintesi dei messaggini telefonici o a quelli usati in internet da talune piattaforme sociali per l'interazione tra utenti. La pubblicità stessa ha fatto della brevità la sua arma più vincente, tentando (e spesso riuscendo) in pochi attimi di convincerci, di emozionarci e di farci sognare.
Ma gli estremismi non ci piacciono. Il nostro concetto di brevità è un po' più elastico di un SMS o di un aforisma: è un racconto scritto con cura in appena 2500 battute (sì, spazi inclusi).
A cura di Massimo Baglione.
Contiene opere di: Fausto Scatoli. Giorgio Leone, Annamaria Vernuccio, Luca Franceschini, Alphaorg, Daniel Carrubba, Francesco Gallina, Serena Barsottelli, Alberto Tivoli, Giuseppe C. Budetta, Luca Volpi, Teresa Regna, Brenda Bonomelli, Liliana Tuozzo, Daniela Rossi, Tania Mignani, Enrico Teodorani, Francesca Paolucci, Umberto Pasqui, Ida Dainese, Marco Bertoli, Eliseo Palumbo, Francesco Zanni Bertelli, Isabella Galeotti, Sandra Ludovici, Thomas M. Pitt, Stefania Fiorin, Cristina Giuntini, Giuseppe Gallato, Marco Vecchi, Maria Lipartiti, Roberta Eman, Lucia Amorosi, Salvatore Di Sante, Valentina Iuvara, Renzo Maltoni, Andrea Casella.
Human Takeaway
(english version)
What if we were cattles grazing for someone who needs a lot of of food? How would we feel if it had been us to be raised for the whole time waiting for the moment to be slaughtered? This is the spark that gives the authors a chance to talk about the human spirit, which can show at the same time great love and indiscriminate, ruthless selfishness. In this original parody of an alien invasion, we follow the short story of a couple bound by deep love, and of the tragic decision taken by the heads of state to face the invasion. Two apparently unconnected stories that will join in the end for the good of the human race. So, this is a story to be read in one gulp, with many ironic and paradoxical facets, a pinch of sadness and an ending that costed dearly to the two authors. (review by Cosimo Vitiello)
Authors: Massimo Baglione and Alessandro Napolitano.
Cover artist: Roberta Guardascione.
Translation from Italian: Carmelo Massimo Tidona.
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Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.