Intervista a Max Dezzi
Moderatore: Isabella Galeotti
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Intervista a Max Dezzi
Intervista
1— Cominciamo con le presentazioni. Chi è e perché scrive Max Dezzi
— Sono nato a Roma ben 37 anni fa. La vita legata al mondo aeronautico mi ha portato a spostarmi abbastanza spesso nel nostro Paese, prima in ambito militare e da circa un decennio in quello civile. Per me scrivere è sempre stato un sfogo e a essere sincero riesco a esprimere meglio le emozioni raccontandole su carta che con la voce. È un modo per preservare i ricordi o qualsiasi cosa a cui tengo. Sono sempre stato un sognatore. Ho da sempre avuto la passione per il mondo aeronautico e in genere per le emozioni forti, quelle che ti fanno sentire vivo e ti lasciano ricordi indelebili. Questo aspetto legato a quello nostalgico è il mio anello di congiunzione con la scrittura. Ho sempre tenuto un diario dove riversavo le emozioni più profonde. Il passo di scrivere un romanzo è avvenuto qualche anno fa dopo aver fatto un sogno particolare. Al tempo mio figlio, ancora neonato, non dormiva e così la notte ho iniziato a trascrivere su carta qualche pensiero. Le dita non si sono più fermate…
2— La tua vita è contrassegnata da una grandissima passione per il volo che hai ereditato da tuo nonno e hai inseguito fino a realizzare il sogno di arruolarti nell'Aeronautica Militare. Pensi che l'esperienza del volo sia paragonabile in qualche modo a quella della scrittura?
— Bella domanda. Penso che ogni scrittore, mentre compone, viva nella propria mente un lungo viaggio. Io ho vissuto l'esperienza del volo in modo embrionale, nel senso che durante il primo anno trascorso in Accademia aeronautica ho conseguito il primo brevetto, ma quella breve esperienza mi ha fatto provare emozioni irripetibili. È un po' quello che mi succede quando sono guidato dall'ispirazione, perdo il contatto con il mondo reale e cerco di vivere a pieno quella parentesi, gustando l'ispirazione e la storia che ho in mente di raccontare, la sensazione è quella di essere spettatore di un film che ho immaginato.
3— Parliamo del tuo romanzo d'esordio "L'occhio di Roxane". Nel booktrailer dichiari esplicitamente di aver voluto dare un'impronta cinematografica a quest'opera. Ti va di spiegarci perché?
— È un'idea che ho sempre avuto. Ci sono alcuni libri che riescono a trasmettere emozioni talmente intense che a un certo punto quasi dimentichi che stai leggendo e la storia la riesci a visualizzare nella mente, come fosse un film. Questo mi fa capire se un libro mi ha conquistato o no, e soprattutto è quello che vorrei si provasse leggendo i miei romanzi, una parentesi, un momento per estraniarsi dal mondo e dal quotidiano, riuscendo a visualizzarlo in modo vivido e intenso.
4— Com'è nata l'idea e a cosa si deve la scelta della particolare ambientazione nella Villa di Plinio?
— La Villa di Plinio è stata una scelta mirata. Il sogno di cui parlavo prima riguardava proprio questa rovina dell'antica Roma. Da ragazzino, insieme ai miei amici ci sfidavamo ad andarci di notte, considera che negli anni '80 girava la voce che ci celebrassero le messe nere. Così quando ho iniziato a scrivere, mi sono detto: perché non raccontare una storia dal sapore misterioso in un posto che non è lontano migliaia di chilometri, ma è vicino casa nostra? L'atmosfera che si respira passeggiando nella pineta di Castelfusano, dove si trova la Villa di Plinio, cambia in modo radicale se ci si va di notte, e secondo me era una location perfetta per l'idea che avevo in mente.
5— Roxane, la protagonista femminile, è una donna speciale. A renderla tale è un dono che le permette di vedere ciò che ai comuni mortali non è consentito. Quale il tuo personale approccio al paranormale?
— Ne potremmo parlare a lungo. Io credo che la conoscenza che abbiamo del nostro subconscio sia estremamente superficiale e soprattutto l'uomo ha paura di ciò che non capisce e cerca di catalogarlo in qualche modo. È indubbio che esistano persone con facoltà particolari e sinceramente è un mondo che mi affascina molto, anche se mi rendo conto che queste persone non hanno vita facile, ed è per questo che ho deciso di raccontare Roxane così…
6— Il tuo libro contiene dei riferimenti alla civiltà Inca e ai misteri legati all'altopiano di Nazca. Una scelta motivata da una tua personale passione o dettata più da esigenze narrative?
— Assolutamente dettata da una mia passione personale per le civiltà precolombiane e in genere per le grandi culture del passato, che sono andate in rovina lasciando avvolto nel mistero molto di ciò che per loro era la normalità. Si pensi alle linee di Nazca, alla civiltà Maya, agli Egizi, a Stonehenge, ai Moai dell'isola di Pasqua, potremmo andare ancora avanti. Nella rete si trova di tutto, e anche la televisione offre un ventaglio di scelta piuttosto vasto su questi argomenti, ma non si capisce il motivo per cui, la verità non riesce a essere svelata.
7— Benché "L'occhio di Roxane" sia un thriller, offre parecchi spunti di riflessione sulla società attuale, un tentativo di valicare i confini di genere?
— Questo non spetta a me dirlo, la mia idea era di raccontare un thriller, ma la riflessione fa parte del mio modo di essere, nel senso che spesso mi trovo a pensare agli argomenti che vengono trattati nel romanzo, così ho deciso di farli camminare affiancati, nella speranza di riuscire a creare uno di quei libri che quando pensi sia il momento di smettere di leggere, alla fine dici "leggo un altro capitolo poi chiudo".
8— Ideare e scrivere un buon thriller è un'impresa piuttosto complessa. Bisogna costruire una trama avvincente e riuscire a svilupparla con grandissima coerenza perché sia credibile. Tu quale metodo di lavoro hai adottato?
— La mia tendenza è quella di lasciare che la trama cresca da sé. Io ho un'idea iniziale, che sviluppo fino a quando credo di avere in mente l'ossatura di tutta la storia: la location, i personaggi, l'intreccio principale e qualche colpo di scena. Solo allora inizio a scrivere. Lascio che le idee fluiscano attraverso la tastiera senza alcun filtro. Ho degli step intermedi dove mi fermo e vedo se ciò che ho creato è credibile. Ho un quaderno dove con un mio schema tengo il passo della storia e segno gli approfondimenti che devo effettuare per una certa tematica. Talvolta sono costretto a fermarmi per capire bene come strutturare gli approfondimenti e inserirli nella trama.
9— Uno dei personaggi più carismatici del romanzo è Raco Vachi. Puoi svelarci qualcosa sulla sua genesi?
— Raco è uno dei personaggi che mi piace di più. È una presenza anacronistica nella realtà che si racconta nel romanzo. Tutto per lui sembra andare troppo veloce, la nostra società viene additata come priva di valori, dove il libero arbitrio non esiste più e se ci soffermiamo per un istante, ci rendiamo conto che rappresenta in un certo senso la voce della coscienza. Ciò che mi piace di lui è che rappresenta il cardine su cui il concetto di verità può essere capovolto, ma questo ovviamente lo si capisce solo alla fine del libro.
10— È proprio Raco Vachi a pronunciare un bellissimo motto che cito testualmente: "Cerca di vivere la vita fin nella sua infinitesima parte, altrimenti sconterai un ergastolo dove le sbarre sono il tempo che non hai vissuto". Quanto ti appartiene questa filosofia di vita?
— Molto… mi appartiene molto. L'esperienza di vita mi ha portato a credere che il tempo scorra troppo velocemente per buttarlo via. L'unica speranza che abbiamo è quella di cercare di vivere al meglio la nostra vita, l'unica che abbiamo, in modo che un giorno voltandoci indietro potremo pensare: "Sì… in fondo rifarei tutto quello che ho fatto fin qui". Ho il ricordo di un caro amico nel cuore, che purtroppo ho perso in modo improvviso. Quando sono entrato in casa sua, tutto era stato lasciato come se dovesse tornare da un momento all'altro, ho quell'immagine impressa nella mente. L'uomo è estremamente fragile e sono convinto che dobbiamo godere del tempo che ci è concesso fino all'ultimo istante.
11— Perché hai deciso di pubblicare e qual è stato l'iter che ti ha condotto alla pubblicazione?
— L'iter della pubblicazione non è affatto facile per un esordiente. Io ho scritto quattro romanzi e questo è il primo che è stato pubblicato. Inizialmente ho fatto qualche concorso letterario, poi ho iniziato a spedire i manoscritti a tutti gli editori e li ho capito che il mondo dell'editoria non è affatto facile. Bisogna avere ben chiaro in mente dove si vuole arrivare. Bisogna tutelare i propri diritti, cercare un editore, anche piccolo che abbia una collana dove il proprio scritto possa essere inserito. I tempi di attesa sono lunghissimi e spesso non si riceve nemmeno una risposta. Ci sono molti squali che millantano di pubblicare con la partecipazione in termini di soldi da parte dell'autore. Questo è un campo minato, perché ce ne sono pochissimi seri. L'incontro con IPOC è stato casuale. Si tratta di un editore di saggi, quindi con il mio genere non c'entra nulla. Ci siamo conosciuti per caso in un bar e parlando gli ho raccontato ciò che stavo facendo. Ha visitato il mio sito web ed è rimasto coinvolto. Ci siamo incontrati di nuovo e gli ho portato il manoscritto. Dopo averlo letto mi ha telefonato con una proposta che calzava a pennello con l'idea che avevo in mente. In poche parole voleva provare a pubblicare un romanzo per creare una sezione fiction e abbiamo iniziato a collaborare.
12— L'occhio di Roxane è il tuo primo libro edito, ma so che nei scritti ben quattro. Ti va di svelarci qualcosa in proposito?
— Sono tutti di genere thriller, tranne uno. C'è sempre la suspense e l'azione alternata alla riflessione, è uno stile in cui mi trovo comodo. Non sono trame collegate tra loro, ma ho in mente una nuova avventura per Roxane, ho già steso l'ossatura, ma la strada è appena iniziata.
13— Ci sono degli autori che ami particolarmente e che potresti indicare come tuoi "modelli"?
— Ho un libro in particolare che mi ha conquistato il cuore, anche se non c'entra nulla con il mio genere: L'ombra del vento. Mi ha trasmesso emozioni fortissime e ne sono innamorato. Parlo di questo libro, perché gli altri di Zafon, se devo essere sincero, non mi hanno convinto.
14— Quali progetti hai per il futuro?
— Il progetto al momento in piedi è quello di portare L'occhio di Roxane negli Stati Uniti. Stiamo provvedendo alla traduzione del testo in inglese, perché sono convinto che una trama del genere potrebbe affascinare dall'altra parte del mondo. Mi ricollego a ciò che avevamo detto all'inizio. Per un americano La Villa di Plinio, potrebbe rappresentare posto enigmatico e misterioso, proprio come per noi lo sono le località di cui spesso leggiamo e che non conosciamo.
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Re: Intervista a Max Dezzi
In riferimento alla tua ultima risposta: come ti stai muovendo per la traduzione e la pubblicazione negli USA?
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Re: Intervista a Max Dezzi
Ovviamente è il benevenuto se vuol già vuol rispondere alla tua domanda.
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Re: Intervista a Max Dezzi
Gara d'autunno 2021 - Babi Yar, e gli altri racconti
A cura di Massimo Baglione.
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La Gara 53 - Metamorfosi
A cura di Laura Chi (con la supervisione di Giorgio Leone).
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La Gara 5 - A modo mio
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BReVI AUTORI - volume 2
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