La conta degli scarafaggi
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La conta degli scarafaggi
Mi accorsi presto di avere accanto un’altra blatta, mio fratello, che si stava agitando e cercava affannosamente una via d’uscita: ciò che ci aveva incubato e permesso di nascere, rischiava di soffocarci. Come prima reazione istintiva, ci fu una corsa ad allontanarsi al più presto da quel luogo.
Eravamo in tanti, spaventati e nessuno sapeva cosa fare. Tutti correvamo, senza senso, dappertutto, cambiando repentinamente direzione: sì, ma per andare dove? Per fare cosa? Chi urlava da una parte, chi tentava di rientrare nell’immenso ammasso di sterco, chi si agitava e se la prendeva con le blatte di costituzione più piccole e indifese. Da lì a poco avremmo assistito a delle scene ben più drammatiche se nessuno di noi si fosse imposto come guida di quell’affollato gruppo.
Io mi fermai per un istante ad osservare quel raptus di follia generalizzato e, dopo essermi riflesso nel chiaroscuro di quell’ambiente in una piccola pozza d’acqua, riuscii a scrutarmi attraverso i miei grandi occhi neri, inespressivi ma profondi, e capii finalmente chi sarei dovuto essere. Pertanto alzai le antenne verso il cielo, mi feci coraggio e gridai “Fratelli, adesso basta, calmatevi!” Ma nessuno mi stette a sentire “Ho detto fermi, non litigate tra di voi, ascoltatemi!”.
Niente.
Nessuno aveva la benché minima intenzione di prestare attenzione alle mie parole e quasi sicuramente nessuno mi avrebbe ascoltato se, ad un certo punto, qualcosa di strano non ci avesse fatto sobbalzare impauriti. Ci rendemmo conto in quel momento di non essere soli in quel luogo: un’enorme massa informe, che fino a poco tempo fa nessuno aveva notato o, per lo meno, associato ad un altro essere vivente, si stava lentamente muovendo, fino a che si sollevò da terra su quattro zampe robuste ed ergersi così, imponente, davanti a noi. Era un grosso bue che si era appena alzato dal suo giaciglio di paglia e che con passi pesanti e lenti si dirigeva, sbuffando, verso l’abbeveratoio per dissetarsi. Da giù si sentiva il rumore secco della lingua che sbatteva contro l’acqua per portarsela alla bocca.
“Come è variegata la vita!” Pensai tra di me ammirando quello spettacolo della natura “Come è possibile che lui sia così grande e robusto e noi così piccoli ed insignificanti?” continuavo a riflettere “Non ci ha nemmeno degnati di uno sguardo”.
Come mi girai per condividere i miei pensieri con le altre blatte notai che l’effetto sortito da quel grosso animale era ben altro che di contemplazione ma, al contrario, si vedeva chiaramente come tutte loro fossero paralizzate dalla paura e nessuno osava proferire parola. A quel punto pensai che quello era il momento propizio per prendere in mano le redini di quella situazione, a dir poco, confusa.
Pertanto, mi feci coraggio per staccarmi dal gruppo ed avanzare di qualche centimetro verso il bue e, una volta giunto ai piedi di questo, mi girai verso i miei simili e, con il grosso animale che continuava a bere alla mie spalle, feci “Fratelli scarafaggi, sentitemi bene, è in ballo la nostra vita, basta agitarsi come degli sbandati, così non andremo lontano!” Come avevo immaginato, in quel modo, riuscii ad ottenere l’attenzione di tutti: lo capivo da come mi guardavano che, anche se non sapessero chi fossi, sarebbero stati, comunque, disposti a riporre un po’ di fiducia in me in quanto, i più, si resero effettivamente conto che l’agitarsi e il correre all’impazzata, senza senso, non avrebbe sortito alcun effetto. D’altro canto anche io ero spaventato come gli altri e non avevo idea di cosa fare, ma il solo pensiero di vedere gli altri agitarsi, senza una guida, mi spinse ad auto-eleggermi capo di quel gruppo.
“Come prima cosa dobbiamo trovare un riparo sicuro, qui siamo troppo esposti” e, detto questo, iniziai a scrutare meglio quello strano posto. Capii che mi occorreva un punto di vista diverso che mi consentisse una visuale più ampia, considerato che quell’ambiente sembrava enorme. Notai che, proprio vicino a quel grosso bue, c’era una recinzione in legno che teneva confinato il grosso animale.
“Quel palo della recinzione è perfetto!” mi dissi sfregandomi le zampette anteriori e, rivolto ad una decina dei miei compagni, dissi “Voi, venite con me in perlustrazione, gli altri aspettino qui, tanto c’è questa staccionata che vi protegge dal bue.”
I primi scarafaggi che indicai con le zampe non se lo fecero ripetere due volte e, prontamente, si distaccarono dal gruppo per seguirmi in quell’impresa di esplorazione.
“Bene, vediamo quanti siamo per essere certi di non lasciare nessuno indietro: uno, due, tre…” Eravamo in tredici, me compreso.
“Prima di partire, però, due di voi dovranno rimanere nel gruppo e contare tutti gli altri: nessuno dovrà perdersi, quindi tu e tu!” indicai con le antenne “Raggiungete gli altri e al nostro rientro diteci quanti siamo”
“Capito!” rispose uno di loro e, senza esitazione, ritornò dagli altri.
“Bene, ora seguitemi tutti: costeggeremo la recinzione fino a che non saremo fuori dal campo visivo del bue e, a quel punto, saliremo su un paletto e da lì cercheremo la direzione migliore da seguire.”
Detto questo, ci incamminammo tutti, rigorosamente, in fila indiana, tenendo d’occhio il grosso animale che, nel frattempo, aveva finito di bere e si era di nuovo adagiato sul suo giaciglio di paglia. Eravamo molto nervosi e ci muovevamo frettolosamente girandoci di scatto e soffermandoci per un istante, di tanto in tanto, per scrutarci dietro di noi. Ci incamminammo verso la direzione del posteriore del bovino in quanto, in questo modo, saremmo stati al sicuro. Non camminammo tantissimo perché, dopo poco, la staccionata andava a finire su un grosso muro. Giunti ai piedi dell’ultimo paletto, incominciammo a salire sulla sommità. Fu davvero facile arrampicarsi su quel palo di legno, la sua rugosità, le sue fessurazioni e i nodini spuntati, che un tempo indicavano come quello fosse un ramo rigoglioso e da quei punti si distaccassero altre diramazioni, ci consentirono una scalata molto veloce ed agevole. In una manciata di secondi eravamo tutti e undici appollaiati sulla sommità a scrutare l’orizzonte. Da quel punto di vista le cose apparivano diversamente: riuscimmo a capire nella penombra che ci trovavamo in una stalla, ricavata in una camera di un’abitazione. C’era un’unica via d’uscita: la porta di ingresso che dava su un piccolo porticato, prima, e, dopo, su un cortile. Raggiungere quella via di uscita significava una sola cosa per noi: libertà.
Non c’erano dubbi: quella sarebbe stata la direzione da intraprendere. Non vedevamo alcun ostacolo tra noi e la porta. Senza neanche consultarci stavamo per scendere dal paletto e riferire quanto visto ai compagni rimasti a terra quando, improvvisamente, sentimmo un rumore provenire da lontano. Era un rumore cupo e sordo che andava crescendo di intensità con il passare del tempo e seguiva uno strano ritmo regolare. Da lì a poco capimmo che quel tonfo era dovuto ai passi del contadino che abitava in quella casa e che scendeva dal piano di sopra. Portava con sé una lampada ad olio e, giunto al piano terra, si diresse verso l’angolo opposto a quello dove stavamo noi per prendere una latta di olio che serviva, quasi sicuramente, per rabboccarne altre. Chiuse con il chiavistello la porta della stalla che dava nel cortile. Era assonnato, aveva gli occhi semichiusi, barcollava e si trascinava molto faticosamente ma, quando il suo sguardo gli cadde, per caso, vicino a quella montagna di sterco e distinse tra di esso la schiera di scarafaggi che, indefessi, aspettavano il nostro rientro, sbarrò gli occhi ed esclamò qualcosa che non riuscimmo a comprendere “Ah, sti scarafoni de merda, da dove veneno mo! Pozzate schiattà! ”. Detto questo incominciò a sbattere furiosamente i piedi per terra per schiacciare i miei fratelli che erano rimasti inermi ad osservarlo ma, come capirono le sue intenzioni, incominciarono a correre all’impazzata cercandosi di nascondere dove meglio poterono. Io e i miei dieci compagni osservammo la scena senza muoverci, impotenti: non potemmo fare niente. Fu a quel punto che alzai gli occhi verso il soffitto e con le antenne rivolte verso il basso in segno di sottomissione, dissi “Ti prego, fa qualcosa, non possono morire in questo modo i miei fratelli!”.
Lassù qualcuno mi ascoltò.
“Albè, ma che staie facenno, sta capo d’aseno! Muovete e portame l’uoglio ca stongo senza luce, iodizio de cavallo! ” Si sentii una voce provenire dal piano di sopra. Al che il contadino si fermò all’istante, alzò gli occhi al cielo e disse qualcosa di incomprensibile, dopo di che, con la latta in mano, si girò in direzione della porta per salire al piano di sopra mentre sbuffava e gridava “Stà zitta, appila, chiude ssa vocca, ammafara, non pipitare, scrofa mmardetta, mannaggia a me e quanno me ‘nzorai ”. Fortunatamente si allontanò. Il pericolo era scampato per il momento. Dovevamo raggiungere il gruppo quanto prima e ristabilire l’ordine, ne andava di mezzo la nostra esistenza. Mi girai verso i miei dieci compagni coraggiosi e feci loro un cenno, con le antenne, di scendere dalla staccionata. Erano impauriti e tremavano ancora ma, vedendomi procedere senza indugiare, si fecero coraggio e mi seguirono.
Giunti nel luogo della tragedia non fu facile ristabilire l’ordine e convincere i miei fratelli ad ascoltarmi. Regnava l’anarchia più totale, tanto quell’omicidio di massa li aveva sconvolti. Il solo ripensare a quanto accaduto faceva venire anche a me i brividi, ma piangere sul latte versato non serviva a nulla. Non era di certo facile farsi coraggio con pezzi di blatta misto a sangue verde sparsi su tutto il pavimento. Senza farmi accorgere dagli altri, mi lasciai, anche io, prendere dal panico per cinque minuti, solo cinque minuti e, in quel lasso di tempo, tutti i pensieri più nefasti che il mio subconscio trasmetteva dal profondo di me stesso mi attraversarono: sterminazione totale, sofferenza, disperazione e quanto di più scoraggiante si possa immaginare. Terminati quegli infiniti cinque minuti, mi girai nuovamente verso il gruppo rigenerato. Non avevo più paura, l’avevo domata, era come se tutto ciò di terribile che mi sarebbe potuto accadere mi fosse già accaduto. Somatizzato quello strano effetto, come un antibiotico che agiva sul corpo abituandolo a sopportare le peggiori malattie e preparando in anticipo gli opportuni meccanismi di difesa, ripresi in maniera fredda “Fratelli, ora basta, abbiamo un viaggio da fare, è inutile rimanere qui a piangersi addosso! Poco fa, come avete visto, sono stato con altri compagni in cima al palo della staccionata e da lì abbiamo capito dove ci troviamo e dove dobbiamo andare, bastava semplicemente cambiare punto di vista!” Feci loro.
“Hai visto cosa hanno fatto ai nostri compagni?” Esclamò una di loro.
“Perché quello strano essere ci ha trattato in quel modo, ma non ha un cuore?” Disse un’altra.
“E con quanta leggerezza ha schiacciato i nostri fratelli!” Incalzò una terza.
“Perché lo ha fatto, non siamo forse noi degni di vivere?” E poi “Già, e chi è lui per decidere delle nostre vite e del nostro destino?”
A quel punto un insieme di dissensi e battibecchi presero il sopravvento riportando il gruppo nuovamente al preda al caos.
“Fratelli, vi prego, statemi a sentire, basta!” Urlai per acquietarli.
“Non facciamo come prima!” E poi, rivolta alla blatta della prima domanda, per riprendere il filo del loro ragionamento e fissandola con i miei neri ed inespressivi occhi, le feci “Hai ragione, anzi, tutti voi qui avete ragione: che diritto aveva quel contadino di fare quello che ha fatto? È forse lui il Padretèrno che può decidere della nostra vita? No, affatto, non lo è: anche dalla sua condizione di uomo non può avere nessun diritto di vita su di noi, quell’uomo ignora che di fronte a Dio siamo tutti uguali ed abbiamo tutti la stessa dignità di vivere, che il Signore lo perdoni!” Pronunciai in maniera profetica.
Da come rimasero ferme capii che, in qualche modo, si sentirono rinfrancati dalle mie parole.
“Bene, prima di metterci in marcia dobbiamo sapere in quanti siamo rimasti” dissi, “Dove sono i due di prima a cui avevo dato l’incarico di contarci?”
“Eccoci!” Dissero due indistinguibili blatte facendosi avanti.
“Quanti siamo?” Domandai.
“Eravamo esattamente duecentocinquanta” mi fece una di loro
“Ma dobbiamo ricontarci” disse la seconda indicando mestamente i corpicini senza vita.
“Capisco” annuii in maniera un po’ distaccata per evitare di gettare i miei fratelli nello sconforto.
“Dai procediamo, svelti!” Incalzai il gruppo facendo un cenno con le antenne alle due blatte per conferirgli di nuovo l’incarico della conta.
Così le due blatte partirono per mettersi in mezzo a quel mucchio e dopo poco si avvicinarono con i risultati “Te compreso, siamo duecentotrentasei, vuol dire che quattordici di noi sono state schiacciate”
“Va bene!” Feci loro, e poi, rivolgendomi a tutti gli altri, “Cari fratelli, è tempo di partire per un viaggio che possa portarci in un posto migliore. Qui non siamo al sicuro, quell’uomo potrebbe ritornare e darci la caccia, senza sosta, fino a quando non sarà sicuro di averci ammazzati tutti! Come vi avevo detto prima, in quella direzione, oltre la porta, ho intravisto un porticato e, con molta probabilità, dopo ci dovrebbe essere un cortile o un giardino con dei luoghi che ci consentiranno di vivere al sicuro! La porta è chiusa ma noi possiamo passarci sotto senza problemi” dissi loro “Ma ora partiamo subito!” Conclusi.
E così ci incamminammo in fila, più o meno ordinata con me avanti, verso quella che doveva essere la nostra via di esodo.
Eravamo quasi giunti verso la porta quando, all’improvviso, balzò davanti a noi quell’uomo che prima sembrava essersi ritirato definitivamente per la notte. Era sceso di soppiatto e stavolta sembrava che non ce l’avrebbe fatta passare “liscia” come qualche minuto fa. Aveva in una mano la stessa lampada ad olio di prima e nell’altra una grossa ramazza che sicuramente avrebbe usato, di lì a poco, contro di noi. Purtroppo non mi sbagliavo: con l’intento di ammazzarci tutti, incominciò ad agitare la grossa scopa sul pavimento.
“Correte presto!” Dissi “Non di là, non di là!” Continuai in quanto, con un balzo, il contadino si era messo davanti alla porta di uscita. L’unica soluzione era quella di deviare nell’altra stanza, la cucina, con la speranza di trovare anche lì un’altra porta che conducesse verso l’esterno. “Presto o sarà la fine!” Dicevo mentre correvo e mi giravo dietro per assicurarmi che mi stessero seguendo.
La mia tattica si rivelò vincente: grazie a quella deviazione, riuscimmo ad allontanarci abbastanza in fretta e a raggiungere la porta della cucina.
Mi fermai sotto l’intercapedine per rassicurarmi che tutti i miei compagni passassero sotto: purtroppo un gruppo di noi non ce la fece.
Vedendo che eravamo usciti quasi tutti e trovandosi abbastanza indietro, il contadino diede un’ultima energica ramazzata a terra nel tentativo di riuscire a prendere qualcuno di noi.
Non ci riuscì, ma lo spostamento d’aria generata da quel colpo fu tale che fece rovesciare a pancia in su alcuni scarafaggi stroncando loro, in quel modo beffardo, quella disperata corsa per la salvezza.
Io osservavo tutto ma non potevo fare niente, ormai il contadino li aveva raggiunti e a nulla valsero le mie preghiere di risparmiare la loro misera vita.
Non ebbi il coraggio di guardare quella scena fino alla fine e, capito che non c’era più nulla da fare, mi girai per fuggire insieme alle altre rimaste, lasciandomi quel mostro con un piede in alto e una risatina sarcastica mentre diceva “Sti strunzi de merda, mo v’aggia pigliate! ”.
“Fuori, siamo fuori!” urlai sconvolto riconoscendo quel porticato che avevo intravisto prima dal paletto.
“Ora, presto, dobbiamo attraversare il cortile, presto!” dissi agli altri.
Ma di nuovo il terrore aveva preso il sopravvento sul gruppo. Alcuni di noi non correvano più e li vedevo guardarsi intorno, ignari di tutti i pericoli che ancora potevano imperversare. Pertanto, con lo scopo di voler recuperare tutti i compagni, mi avvicinai a questi per dire “Fratelli, cosa c’è che non va ora, perché vi fermate?”.
Tremavano, altri vomitavano e piangevano: dovevo aiutarli. Uno di loro, dopo essersi ripreso dal rigurgito mi disse “Ma perché tutto questo? Io non voglio morire, non voglio!” singhiozzava e si agitava freneticamente camminando facendo dei cerchi sempre più stretti.
“Stai calmo, non muore più nessuno ormai” gli dissi accarezzando il suo corpo con le mie antenne “Ma ora dobbiamo allontanarci da qui ed andare in un luogo sicuro” lo rassicurai.
“Non lo so, non me la sento, non voglio passare tutta la mia vita a correre” mi fece lui, singhiozzando e girandosi di spalle “Questa non è vita!”.
“Già, ha ragione lui, non possiamo correre per sempre, io voglio rimanere qui!” Intervenne un’altra blatta.
“Ma qui non è sicuro, dove ci ripariamo?” Feci preoccupato.
“Se è per quello, non è un problema, lì c’è una caverna!” Disse un altro scarafaggio indicando un grosso foro sul muro che delimitava il porticato, accanto alla cucina.
“Ma non sappiamo chi ci abita in quella grotta, sicuramente è occupata da qualcun altro” dissi io.
“È un rischio che possiamo correre: qui siamo in una posizione strategica: vicino alla casa ma, non troppo, da dare fastidio a quell’uomo e, nello stesso tempo, vicino ad una fonte di cibo sicura” disse un altro scarafaggio.
“Ma vi rendete conto di quello che dite? Quella grotta è una trappola, se qualcuno vi scopre lì dentro, per voi sarà la fine!” Cercai di persuaderli.
“Io mi fermo qui” fece uno scarafaggio “Anche io”, “Io pure” sentivo altri che si aggiungevano a quella voce.
“Bene, la vita è la vostra, fate come vi pare!” Risposi a loro seccato.
“Chi vuole rimanere qui, che rimanga pure!” Sentenziai.
E così detto contai ventidue dei nostri compagni che ci abbandonarono e che, uniti ai ventisei rovesciati poco prima di uscire, lasciò il nostro gruppo a centottantotto scarafaggi.
Ma gli ammutinamenti non finirono qui. Quanto accadde all’interno della casa risvegliò le coscienze di tutti gli scarafaggi e, se prima avevano riposto piena fiducia in me, ora la mettevano in dubbio nonostante le decisioni prese fino a qual momento si rivelarono decisive per la nostra sopravvivenza.
Un nutrito gruppo di blatte, vedendo il cortile ampio ed apparentemente senza pericoli, ritenne sufficiente fermarsi lì e vivere alla giornata sperando nella buona sorte. In ottanta presero questa decisione e un nuovo leader emerse in quel gruppo che, stando a quanto diceva lui, si sarebbe preso cura di loro.
Un altro gruppo di più avventati, invece, decise che la cosa migliore era quella di vivere all’interno della casa, in cucina, sotto il grosso ceppo vicino la porta: in quella posizione sarebbe stato facilissimo procurarsi del cibo e vivere nell’ombra degli uomini che lì dimoravano. Fu del tutto inutile elencargli i pericoli e quanto già accaduto ai nostri sfortunati compagni.
Così altri quarantadue compagni si distaccarono da noi.
Infine, come se non bastasse, alcuni di noi impazzirono e non riuscimmo a recuperarli in nessun modo: facevano discorsi senza senso, muovevano le antenne e le zampe in maniera disordinata ed una strana bavetta verde gli uscivano dalla bocca. Non potemmo fare niente per loro: incominciarono a girovagare per il cortile raccogliendo tutto ciò che gli capitava tra le zampe, avvicinavano ogni sorta di schifezza alla bocca dove la impastavano con quella orripilante bavetta chiara ed infine la appallottolavano fino a formare delle palle di melma più grandi di loro che portavano in giro con sé per tutto il cortile. In maniera totalmente paranoica si prendevano cura di quelle loro palle, le guardavano come si ammira e si tiene gelosamente custodito il migliore dei tesori che ciascuno possa desiderare e diventavano irascibili se qualcuno di noi provava a toglierle ed a farle ragionare. Sedici blatte completamente pazze si persero in quel modo per quell’enorme cortile.
Eravamo rimasti in cinquanta, da duecentocinquanta che eravamo un paio di ore prima, “È la vita!” pensai tra me e me agitando le antennine verso il cielo e, certo del fatto che non sarei più riuscito a recuperare altri compagni, radunai gli altri quarantanove rimasti a me fedeli e ci incamminammo per il cortile. La nostra meta era un luogo all’aperto al di là di quello: agognavo e facevo agognare anche agli altri la libertà, la voglia di sentirsi indipendenti e di non farsi mai schiacciare dal giudizio degli altri. Di lì a poco gli insegnai a ragionare con la loro testa e a non dar mai niente per scontato o prendere le cose che vengono dette per oro colato.
“Non esiste una verità assoluta” continuavo a ripetere a tutti i miei fratelli durante il cammino “Ma ogni verità è solamente funzione del proprio punto di vista, pertanto non siate ottusi come quel villano di quella casa che, sebbene pare appartenga alla razza più intelligente del creato, non aveva capito niente in termini di rispetto della vita” continuavo ad ammonirle.
Ad un certo punto una blatta alzò il passo per stare vicino e a me e dirmi con tono sottomesso “Maestro, insegnami ancora, perché io sono giovane, ho davanti tutta una vita e voglio viverla nel migliore dei modi”. Io la guardai con dolcezza, gli accarezzai la parte superiore del suo torace e gli dissi “Fratello mio, vivi in modo da cercare di fare del bene ai tuoi simili, non perdere il tuo tempo cercando il favore di Dio, lui ti ama ma non vuole che lo impieghi per venerarlo. Anzi ti dirò: puoi anche bestemmiarlo, se ti pare, ma lui non ti punirà mai per questo. Se invece, fai del male ad un tuo simile o ad un’altra Sua creatura, allora sì, Lui sarà in collera con te. Questo mi sento di dirti”
Senza accorgercene avevamo superato da un bel po’ il cortile ed imboccato un sentiero selvatico: ci eravamo lasciati la casa alle spalle e ci addentravamo sempre di più nel bosco dove la natura era ancora incontaminata.
Si era fatto quasi mattina ed i primi raggi di sole incominciavano ad avvertirsi. Eravamo riusciti a superare la nostra prima notte ed una raggiante giornata ci stava attendendo. Io non me la sentivo di continuare a fare loro da guida, non più: da qualche parte, altri come me avevano sicuramente bisogno del mio supporto e dovevo trovarli. Pertanto, come la luce incominciò a prendere il posto del buio in modo sempre più accentuato, rivolsi a loro le mie ultime parole “Cari fratelli, è giunto ora il momento di lasciarci, abbiamo vissuto una notte piena di insidie ed ostacoli ma alla fine ce l’abbiamo fatta: usando la ragione siamo riusciti ad evitare la morte e a compiere le scelte più giuste. Non ci siamo fatti convincere dai discorsi della stragrande maggioranza dei compagni che volevano convincerci che la loro scelta era senza dubbio la migliore e che non ne esistevano altre ugualmente valide. Come abbiamo potuto appurare di persona, non esiste quindi un’unica verità, ma tante verità relative ed ognuna di essa è giusta e sbagliata nello stesso tempo. Per giungere ad una verità più grande è necessario un confronto sincero con gli altri. Questo confronto dovrà sempre essere fatto in nome dell’uguaglianza e della fratellanza in quanto è sempre meglio adoprarsi per essere uniti che messi l’uno contro l’altro. D’ora in avanti un nuovo compito ci attende: dobbiamo andare a trovare gli altri fratelli che hanno bisogno di noi, del nostro conforto, della nostra guida. E non pensiate che il nostro buon Dio lasci qualcosa al caso ma, al contrario, tenete sempre in mente che la Sua volontà è sempre esplicata e noi non potremo mai comprendere appieno il Suo disegno divino”.
MERCURIO. Ti dirò. Ha ordinato che… dal sterco del suo bove nascano ducento cinquanta dei scarafoni, dei quali quattordici sieno calpestati et uccisi per il piè di Albenzio, vinti sei muoiano di rinversato, venti doi vivano in caverna, ottanta vadano in peregrinaggio per il cortile, quarantadoi si retireno a vivere sotto quel ceppo vicino a la porta, sedeci vadano isvoltando le pallottole per dove meglio li vien comodo, il resto corra a la fortuna…
Giordano Bruno, Lo spaccio de la bestia trionfante, 1584.
- Massimo Baglione
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Re: La conta degli scarafaggi
Questo racconto lo volevi far partecipare alle Gare letterarie?, oppure volevi pubblicarla online come tua opera personale?
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Re: La conta degli scarafaggi
sì, volevo partecipare alla gare letterarie ma mi pare di capire che è tardi per iscrivermi.
Ivan
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Re: La conta degli scarafaggi
Se vuoi te lo sposto nelle Gare adesso, oppure posso anche aspettare l'inizio della Gara d'inverno e poi spostartelo in quella, dato che il tuo testo inizia proprio parlando di inverno.
Opterò per questa seconda ipotesi nel caso tu non riuscissi a leggere questa mia risposta in tempi utili.
Nel frattempo, leggi le istruzioni
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Idea: originale, fin dalle prime righe mi ha ricordato "La metamorfosi" di Franz Kafka.
Trama: affascinante l'intelligenza "umana" dimostrata dalle blatte. Hanno conoscenze dei nomi delle cose (bue, paglia, recinzione), di religione (di fronte a Dio siamo tutti uguali) e conoscono la matematica (siamo duecentotrentasei, vuol dire che quattordici di noi sono state schiacciate).
Personaggi: tratteggiati bene, nonostante si tratti di blatte. Il contadino è credibile quanto la moglie, anche se hanno poco spazio.
Argomento: il disgusto iniziale viene subito sostituito dal tifo per le blatte, nonostante nella realtà ci si comporti diversamente.
Lettura: il testo è molto lungo (24.522 caratteri secondo Word) e quindi la lettura diventa pesante, perchè ci si aspetta il finale, che però non arriva mai.
Grammatica e Sintassi: non conosco quel dialetto, immagino sia corretto.
ooteca = non so cosa sia;
ad un certo punto = d eufonica;
ed insignificanti = d eufonica;
si vedeva chiaramente come tutte loro fossero paralizzate dalla paura e nessuno osava proferire parola.
si vedeva chiaramente come tutte loro fossero paralizzate dalla paura e nessuno osasse proferire parola.
a dir poco, confusa
a dir poco confusa (consiglio)
lampada ad olio = d eufonica;
inermi ad osservarlo = d eufonica;
la vita è la vostra (si usa nel parlato)
la vita è vostra
ad un tuo simile o ad un’altra = d eufoniche;
Giudizio: si legge con interesse. Andrebbe ricontrollato e snellito.
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Re: La conta degli scarafaggi
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Re: La conta degli scarafaggi
Se vedi qui sotto, nella risposta rapida per esempio, trovi sia il box dove scrivere il testo, sia poco sopra di esso il box del titolo.
- Angelo Ciola
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lunghezza davvero eccessiva, un po' di tagli farebbero solo bene alla storia, soprattutto dove inserisci i particolari delle situazioni, spesso inutili e superflui.
scritto abbastanza bene, con pochi refusi, parte da una idea balorda ma pian piano si evolve, anche se in realtà non termina mai, non si chiude.
alla prossima
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Il racconto parte da un'idea molto interessante, almeno per me, ma non so quanto io possa essere considerato attendibile visto che ho un "debole" per queste storie che rovesciano il punto di vista antropocentrico, e quindi sono di parte. La narrazione a tratti mi ha vagamente ricordato l'episodio omerico di Odisseo e i suoi compagni rinchiusi nella grotta di Polifemo, con la differenza che qui il gigante omicida è un semplice uomo e i minuscoli protagonisti sono blatte. Si finisce per seguire con apprensione le vicissitudini di questi insettini, sperando che almeno alcuni di loro sopravvivano, e il finale è effettivamente sospeso tra il sollievo per aver superato la prima notte di vita, la speranza per il futuro e il timore che i guai siano appena iniziati (del resto, penso che gli scarafaggi non siano gli animali con la condotta di vita più serena e tranquilla, no?).
C'è la scelta di un punto di vista straniante, quindi, ma l'operazione non è condotta fino in fondo, nel senso che lo scarafaggio pensa e si esprime in maniera "umana, troppo umana", direbbe Nietzsche (per restare in tema di filosofia, vista la presenza nel testo di Bruno). Ci sono passaggi nel testo in cui se la voce narrante fosse quella di un umano che sta scappando dalle grinfie di un gigante mitologico non cambierebbe niente o quasi. E' praticamente impossibile dar vita su carta a un punto di vista completamente non-umano, ma evitando di esprimere nozioni troppo antropologiche come quella religiosa si sarebbe ottenuto sicuramente un risultato migliore. Se proprio volevi dare al testo un significato mistico-religioso potevi dipingere gli scarafaggi credenti in un'anima cosmica o in un principio che pervade tutta la natura, così invece sembrano insetti cattolici! E non che abbia qualcosa contro eventuali cattolici a sei zampe, ma ripeto, mi sembrano idee troppo estranee a quelle che avrebbe una creatura del genere.
Mi è piaciuta non poco l'idea di far parlare il contadino in dialetto: se fosse una storia ambientata ai giorni nostri avrebbe forse senso che si esprima in italiano, ma nel XVI secolo ci sta l'uso del dialetto/volgare. E non è nemmeno troppo difficile da capire, quantomeno il senso delle frasi, anche per un non-parlante quell'idioma.
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Insomma, sono arrivato alla fine per puro spirito di partecipazione della gara, altrimenti l'avrei mollato a metà. L'idea è originale, una volta vinta la ripulsa per gli scarafoni, poi c'è un collegamento filosofico con quella che può essere la vita reale, ma credo andrebbe rivisto per renderlo più fluido.
Calendario BraviAutori.it "Year-end writer" 2020 - (a colori)
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Gara d'autunno 2020 - Beu, e gli altri racconti
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Il Bestiario del terzo millennio
raccolta di creature inventate
Direttamente dal medioevo contemporaneo, una raccolta di creature inventate, descritte e narrate da venti autori. Una bestia originale e inedita per ogni lettera dell'alfabeto, per un bestiario del terzo millennio. In questa antologia si scoprono cose bizzarre, cose del tutto nuove che meritano un'attenta e seria lettura.
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BReVI AUTORI - volume 1
collana antologica multigenere di racconti brevi
BReVI AUTORI è una collana di libri multigenere, ad ampio spettro letterario. I quasi cento brevi racconti pubblicati in ogni volume sono suddivisi usando il seguente schema ternario:
Fantascienza + Fantasy + Horror
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Rosa + Erotico + Narrativa generale
La brevità va a pari passo con la modernità, basti pensare all'estrema sintesi dei messaggini telefonici o a quelli usati in internet da talune piattaforme sociali per l'interazione tra utenti. La pubblicità stessa ha fatto della brevità la sua arma più vincente, tentando (e spesso riuscendo) in pochi attimi di convincerci, di emozionarci e di farci sognare.
Ma gli estremismi non ci piacciono. Il nostro concetto di brevità è un po' più elastico di un SMS o di un aforisma: è un racconto scritto con cura in appena 2500 battute (sì, spazi inclusi).
A cura di Massimo Baglione.
Contiene opere di: Fausto Scatoli. Giorgio Leone, Annamaria Vernuccio, Luca Franceschini, Alphaorg, Daniel Carrubba, Francesco Gallina, Serena Barsottelli, Alberto Tivoli, Giuseppe C. Budetta, Luca Volpi, Teresa Regna, Brenda Bonomelli, Liliana Tuozzo, Daniela Rossi, Tania Mignani, Enrico Teodorani, Francesca Paolucci, Umberto Pasqui, Ida Dainese, Marco Bertoli, Eliseo Palumbo, Francesco Zanni Bertelli, Isabella Galeotti, Sandra Ludovici, Thomas M. Pitt, Stefania Fiorin, Cristina Giuntini, Giuseppe Gallato, Marco Vecchi, Maria Lipartiti, Roberta Eman, Lucia Amorosi, Salvatore Di Sante, Valentina Iuvara, Renzo Maltoni, Andrea Casella.
Human Takeaway
(english version)
What if we were cattles grazing for someone who needs a lot of of food? How would we feel if it had been us to be raised for the whole time waiting for the moment to be slaughtered? This is the spark that gives the authors a chance to talk about the human spirit, which can show at the same time great love and indiscriminate, ruthless selfishness. In this original parody of an alien invasion, we follow the short story of a couple bound by deep love, and of the tragic decision taken by the heads of state to face the invasion. Two apparently unconnected stories that will join in the end for the good of the human race. So, this is a story to be read in one gulp, with many ironic and paradoxical facets, a pinch of sadness and an ending that costed dearly to the two authors. (review by Cosimo Vitiello)
Authors: Massimo Baglione and Alessandro Napolitano.
Cover artist: Roberta Guardascione.
Translation from Italian: Carmelo Massimo Tidona.
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Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.