Tempus Fugit
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Tempus Fugit
Magari si sarà fatto una strana idea di me. Immagino avrà sentito le voci che circolano sul mio conto. Lei è qui da pochissimo tempo dopotutto. Le posso assicurare che nonostante le apparenze, sono una persona a posto. Certo è vero non ho una casa, né una famiglia, ma quantomeno ho smesso di bere da un paio d’anni. Perfettamente sobrio. Cristo santo, meglio che non ci pensi. Quanto vorrei scolarmi quattro o cinque bicchieri di Jack Daniel’s.
Oh si, certo mi scusi, sto divagando. Lei ha perfettamente ragione. È solo che la trovo insolitamente simpatico. Lo sa, solitamente non nutro una grossa stima nei confronti degli uomini in divisa. Anche il suo assistente lì di fianco mi sembra una brava persona. È una fortuna per il corpo di polizia di Durham aver trovato due come voi.
Ma torniamo a noi. È vero ciò che affermate. La notte scorsa mi trovavo sul luogo dell’incidente. Assolutamente innegabile. Tuttavia ho una serie di considerazioni da esporvi prima di arrivare al dunque.
Lo so vi sto tenendo sulle spine e sto allungando il brodo, come diceva sempre la mia cara nonna, ma lasciate che vi spieghi.
Da un po di giorni a questa parte, il tempo qui in città non scorre più allo stesso modo. Non lo avete notato pure voi? No? Evidentemente non avendo un lavoro, né qualche modo per far passare le giornate, sono più soggetto a paranoie di questo tipo.
La notte dura sempre meno. Le lancette degli orologi corrono all’impazzata, e mentre la gente soffoca la stanchezza accumulata durante la giornata fra le lenzuola, i minuti e le ore scivolano via con la velocità di un fulmine. Le persone riposano sempre meno, ma nessuno sembra accorgersene.
Anche il mattino e il pomeriggio sfuggono alla stessa velocità. Non ditemi che non avete fatto caso nemmeno a questo.
Santo cielo, devo essere l’unico ad aver notato che gli uomini al lavoro non hanno più nemmeno il tempo di sbrigare le proprie mansioni, prima che la campana segni la fine del turno.
L’altro giorno la signora Ingrid non ha fatto tempo a lasciare a scuola il piccolo Thomas, che le lezioni erano belle che terminate. Ho calcolato che nella sola mattinata di ieri abbiamo perduto un’ora del nostro prezioso tempo.
Certo, per un senzatetto come me un’ora più o un’ora meno non fa differenza.
Come dice signor commissario? Che sto sviando il discorso? No assolutamente. Mi lasci finire.
Dev’essere stata una settimana fa all’incirca. Avevo appena sistemato il mio giaciglio per la notte, come sempre sotto la torre dell’orologio, quando iniziai a sentire dei rumori insoliti provenire dall’alto. Così presi a salire le scale, e giunto nella sala dell’orologio, sapete quella con tutti gli ingranaggi, vidi un gruppetto di orribili creature, intente a muovere le grandi lancette dorate.
Soltanto che non stavano semplicemente spostando avanti il tempo. Ho avuto l’impressione che se ne stessero nutrendo.
Rimasi nascosto in un angolo, ad osservare sbigottito quegli esseri abominevoli.
Erano piuttosto piccoli. A prima vista sembravano quasi buffi ed innocui. Poi li osservai meglio.
Avevano il volto costellato di pustole, con un lungo becco appuntito giusto al centro. Ma la cosa peggiore erano le loro mani, che poi non erano nemmeno mani, ma grossi artigli. Avete presente quelli dei falchi o delle aquile?
Ovviamente fuggii senza dir nulla. Porco demonio, ero perfettamente sobrio e quello non poteva essere uno scherzo dell’alcool.
Ho dato un nome a quelle creature, sapete? Li ho chiamati FrangiTempo, e li ho visti ancora nei giorni seguenti al primo incontro.
Ero certo che li avrei rivisti. Quello che non potevo sapere, è che li avrei incontrati nuovamente sotto una forma differente.
Si celano sotto aspetti umani, e io vi posso garantire che anche in questo momento, per le strade della città, qualche FrangiTempo sta incrociando lo sguardo di persone comuni.
Si nascondono ovunque. Sono il giardiniere sud Americano che taglia la siepe al parco, o la nuova baby sitter a casa dei coniugi Leskell. Sono praticamente invisibili all’occhio umano, e si palesano nella loro forma demoniaca solamente in presenza di un orologio o di qualche arnese che segni il tempo.
Si va bene, va bene ora la faccio finita una volta per tutte. Come? Qual è il motivo per cui fanno questo? Non ne ho la più pallida idea. Credo si nutrano del nostro tempo, e che ne abbiano bisogno in dosi sempre maggiori, ma più di ciò non posso azzardare.
Ieri sera, dopo aver sentito certi fastidiosi rumori, sono risalito alla torre dell’orologio.
Ci saranno stati almeno una ventina di quei malefici FrangiTempo. Ero pronto a toglier loro ciò di cui avevano bisogno.
Ricordo di essere uscito allo scoperto, mentre i loro occhi da rapace mi fissavano, e di essermi lanciato contro il meccanismo dell’orologio. L’ultima cosa che son certo di aver visto, sono stati quei corpi librati in volo, pronti a sferrare l’attacco.
Il resto è storia che già conoscete. L’orologio è finito in mille pezzi, precipitando al suolo. Quegli esseri non devono aver un grande cervello per aver sferrato un’offensiva tanto sciocca e avventata, per di più proprio mentre mi stavo scansando dalla traiettoria del colpo.
Qualche graffio me lo hanno lasciato. Vedete, proprio qui sul braccio destro.
Questo è tutto ciò che ho da confessare. Ora se non vi dispiace, preferirei andare. Alle volte ho come l’impressione che mi stiano seguendo, che vogliano mettermi a tacere, in quanto sono l’unico a conoscere il loro segreto. Sono certo che durante il nostro interrogatorio qualcuno di quegli esseri si sia sfamato ancora.
Lasciatemi dare un’occhiata all’orologio nel taschino della mia giacca. Dovrebbero essere all’incirca le undici. Eccolo qui, guardate voi stessi. Mezzogiorno in punto. Il tempo è fuggito ancora.
Signor commissario, va tutto bene? Che le succede? Signor assistente, cosa sono quei puntini sul suo viso. Santo cielo, quegli artigli…
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il tema "gli invasori sono tra noi". Comunque lo svolgimento in forma di interrogatorio al commissariato dà al racconto una parvenza di plausibilità, che lo arricchisce. Voto massimo.
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Siamo spesso molto bravi ad ingannare noi stessi, specie quando si tratta di mettere al sicuro la nostra pigrizia.
Ci fabbrichiamo perfino dei sensi di colpa, allo scopo di poterci crogiolare nell’inerzia, e non fare nulla di ciò che andrebbe fatto.
“Come dice signor commissario? Che sto sviando il discorso? No assolutamente. Mi lasci finire.”
Ma non vedete come sono ridotto, come potete aspettarvi qualche cosa da me?
Non vedete come soffro, come sono lacerato dai sensi di colpa?
Lasciatemi in pace io ho fatto tutto il possibile per combattere questi malefici FrangiTempo.
Non c’è che dire, una bella commedia.
L’importante è che non c’immedesimiamo in essa al punto di crederci o emulare il protagonista.
Altrimenti rischiamo di ammalarci di disperazione.
La commedia in scena, descritta al “commissario”, è ambientata sul set di Hogwarts: naturalmente presso la cattedrale di Durham.
Buona rappresentazione scenica di una vicenda tratta dalla vita quotidiana di molti, tutt’altro che a lieto fine purtroppo.
Degna dunque della saga cinematografica Harry Potter, questa commedia descrive il deragliamento della natura umana dai binari della vita terrena.
Naturalmente quando noi esseri umani c’incamminiamo verso il sentiero che conduce alla vetta della montagna, siamo tutti principianti ed impreparati.
Spesso procediamo per tentativi, ma se non riusciamo a sentire la voce della nostra Guida interiore, nessuno potrà insegnarci scorciatoie o passaggi più adatti alle nostre capacità.
Così ci incamminiamo per sentieri sbagliati.
Tutto ciò si concretizza in perdite di tempo, spesso accade che non s’impari nulla, e naturalmente, tanto meno, troviamo la via giusta.
Perché?
Perché non siamo cresciuti abbastanza per riconoscere la strada, o meglio perché più o meno coscientemente, ignoriamo le indicazioni della nostra Guida.
Esiste un'unica Guida: Dio.
Naturalmente le persone, o gli accadimenti, che vengono a mostrarci il sentiero o a sostenerci nei punti più difficoltosi, sono da Lui inviate.
Ogni essere umano è dotato di tutte le armi, apparati e materiali necessari, naturali e soprannaturali, per portare a buon fine questo viaggio verso la vetta.
Teoricamente, è impossibile riuscire a perderci, quindi è impossibile che perdiamo tempo.
In pratica, però, quel che sovente facciamo è chiudere occhi ed orecchi davanti ai suggerimenti che ci vengono dall’Alto, con il risultato di complicare a noi stessi le cose.
Inciampando e cadendo in situazioni sbagliate e fallimentari che rallentano il nostro percorso d’ascensione, ancor prima che noi si possa raggiungere le vere pareti e le vie di salita tecnicamente più impegnative.
Inciampare sul sentiero di avvicinamento in pianura non è da Alpinisti, diciamocelo sinceramente … potremmo evitarlo, senza troppa diffcoltà e senza accampare le solite scuse, più o meno scenografiche.
L’essere umano, tende naturalmente a trovare la via di ascensione, e così anche il senso della propria vita. Perdere tempo equivale a smarrire l’una e l’altra cosa.
Essendo dotato di libertà, l’essere umano può anche rifuggire coscientemente la Verità, e così perdersi lungo strade sbagliate, ben sapendo che sono tali, ma senza trovare in sé stesso la forza per spezzare l’incantesimo maligno che lo tiene avvinto a ciò che è per il suo peggio.
Sembra proprio la condizione del protagonista, che mente a sé stesso, sapendo di mentire: al commissario rappresentante il proprio ego. Un ego che alla fine giustamente lo spaventa.
Il protagonista si crea un alibi precostituito, volto a giustificare in anticipo il fatto che fallirà mancherà nella cosa più importante della sua vita: cioè nel significato stesso della vita.
Mancherà nel riconoscere qualcosa che, di fatto, è già sotto i nostri occhi, solo che alcune volte non riusciamo a riconoscere.
Siamo umani, e fallibili.
Cerchiamo il meglio, ma, spesso, ci aggrappiamo al partito peggiore: e così differiamo il momento della Verità.
E questo è un peccato: allontanarsi da Dio è indubbiamente un peccato.
Puntando all’essenziale, non perdiamo mai tempo.
L’essenziale è Verità, e la Verità è presso Dio. La verità è Dio!
Per capirlo, tuttavia, serve tempo, sembra un paradosso, ma è così.
Nessun essere umano possiede una saggezza tale da comprendere una simile evidenza con una prontezza operativa tale da riuscire a metterla in pratica senza frapporre alcun indugio, evitando una qualche dispersione di tempo.
Esiste un solo modo per non perder tempo: abbandonare il proprio Ego.
Lasciare andare tutto l’inutile bagaglio di brame e di paure, e lasciarsi guidare dalla sola voce che, in mezzo al coro delle voci fatue e discordanti, ha l’accento della Verità, la voce della Guida che saprà indicarci dove mettere i piedi e trovare gli appigli in sicurezza anche sulle pareti più difficili ed impegnative, che a qualsiasi mortale senza Guida appaiono come impossibili.
Il solo tempo veramente perso è dunque quello in cui reiteriamo gli stessi errori, rifiutandoci d’imparare alla scuola della vita.
Reiterare sempre gli stessi errori indica uno squilibrio, una disarmonia profonda, l’incapacità di essere docili davanti agli accadimenti della vita, accompagnata dalla superbia di voler dare torto ai fatti per poter dare ragione alla nostra pigrizia.
E si badi bene: Qui non si parla di pigrizia fisica: si può essere materialmente assai attivi, ma pigri spiritualmente e moralmente.
Proprio questa sindrome è la maggiormente diffusa: l’iperattività mirante a mascherare la pigrizia interiore.
Accogliendo Dio, l’essere umano ritrova se stesso e si realizza pienamente.
Rifiutando Dio, l’essere umano si smarrisce nel peccato.
Non si scala mai una montagna, rischiando la vita, per godere le emozioni irripetibili dell’attimo: non sarebbe una cosa seria.
La vita è una cosa estremamente seria.
Si scala una montagna per cercare e per ritrovare sé stessi, secondo la nostra vera natura di creature di Dio.
La sola azione veramente importante, la sola ascensione necessaria è quella che porta alla luce il senso della nostra chiamata.
Una chiamata che è individuale.
Ognuno di noi ha la sua, con le proprie strade.
Ma il senso di ogni chiamata è universale: fare della nostra vita una risposta al richiamo di Dio.
Il richiamo di Dio è l’amore. Il senso della nostra vita è amare.
In questo senso, il tempo è prezioso e va usato bene.
Il tempo che ci avvicina alla verità, tuttavia, non è mai sprecato.
La natura umana è volutamente tale che ben difficilmente riesce vedere la Verità di primo acchito.
Ancor più raramente è in grado di procedere verso di essa per la via più breve, che è pure, almeno all’inizio, la più faticosa.
Non perdiamo tempo, suvvia.
Fatti non foste a viver come bischeri, ma per seguir di Virtute e Canoscenza.
Dovrei mettere cinque per la scenografia e l’ambientazione, cinque per come è scritto e sopratutto cinque per la presa per le natiche indirizzata a tutti i bischeri di questo mondo.
Che ti frega però è quell’ : "apposto". Quindi il mio voto è quattro.
Santo cielo, quegli artigli…
è la ciliegina sulla torta della commedia in scena.
Il bischero seriale con quella frase riesce addirittura a superare sé stesso.
https://www.youtube.com/watch?v=HTRHL3yEcVk
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perbacco, la stesura è buona e l'idea non è malvagia, però ci sono parecchi refusi e la punteggiatura sarebbe da rivedere.
mi permetto di segnalare un paio di cose che balzano agli occhi: io centro poco (c'entro) e sono una persona apposto (a posto)
sarò pignolo, ma leggere certi stravolgimenti della lingua italiana lo trovo fastidioso.
alla prossima
http://scrittoripersempre.forumfree.it/
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Buono il ritmo e le descrizioni, forse un senza casa ed ex ubriaco che usa dei termini troppo sofisticati.
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Qual è, non ammette apostrofo.
Per il resto la forma è corretta.
Il racconto in sé non mi ha detto molto, condivido in toto il pensiero di Giorgio Leone, si basa tutto sulla trovata dei mangia tempo e nient'altro, ma non è dato sapere come quando chi come dove perché e via discorrendo. Allo stesso modo del protagonista non si sa nulla e nulla della sua facoltà di accorgersi di ciò che gli altri non vedono. Anzi pare per questo una sorta di schizofrenico travolto dalle sue psicosi. Fosse stato così non sarebbe riuscito poi male; ma il finale con quegli artigli mi ha riportato nel genere favola fanciullesca, senza morale finale però. Dove i mostri, oltre a mangiare il tempo, si pappano pure i cristiani.
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A parte questo l’idea dei FrangiTempo e delle ore rubate è interessante, la forma usata riesce a dare tutte le informazioni aggirando l’info-dump, in più si può leggere nel brano anche una metafora della frenesia odierna; corri di qui, corri di là, abbiamo sempre l’impressione che il tempo ci sfugga dalle mani.
https://chiacchieredistintivorb.blogspot.com/
Intervista su BraviAutori.it: https://www.braviautori.it/forum/viewto ... =76&t=5384
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Il tempo scorre veloce, certe giornate sembrano scorrere più velocemente del solito anche a me, ma dopo un'attenta analisi forse siamo semplicmente stati incapaci di sfruttare al meglio le 24 ore messe a nostra disposizione.
Non riesco a definire il racconto, intendo dire che non riesco a capire se sia uno sfogo, se sia un monologo o cosa, perché il protagonista parla a terzi, che non entrano mai in scena, sono come figure dietro le quinte, apparentemente di scarsa importanza, importanza ottenuta alla fine con il finale già visto e reso pian piano prevedibile, e perché non c'è una "punteggiatura da dialogo", rendendo il racconto una specie di allucinazione vissuta unicamente dal barbone, che forse così sobrio alla fine non era.
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"La spina infinita" è stato scritto quasi vent'anni fa, quando svolgevo il mio servizio militare obbligatorio, la cosiddetta "naja". In origine era una raccolta di lettere, poi pian piano ho integrato il tutto cercando di dare un senso all'intera opera. Quasi tutto il racconto analizza il servizio di leva, e si chiude con una riflessione, aggiunta recentemente, che riconsidera il tema trattato da un punto di vista più realistico e maturo.
Di Mario Stallone
A cura di Massimo Baglione.
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Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.