Storia di un cigno che imparò a volare lontano
Storia di un cigno che imparò a volare lontano
Il cielo era limpido e sereno sulle rive del laghetto a fianco del meraviglioso castello. Un gruppo di cigni bianchi nuotava fra le bellissime ninfee. Una mamma cigno e il suo piccolo, di nome Arturo, fendevano dolcemente l’acqua, ma Arturo guardava il cielo.
<< Mamma, io vorrei volare!>> disse Arturo
<< Quando diventerai più grande, rispose la madre, potrai fare qualche piccolo balzo qua e là, ma volare… >>
<< Volare cosa? >> domandò il piccolo alla madre.
<< Volare è pericoloso. Il mondo è pieno di insidie, di pericoli e di assurdità. Guarda invece la bellezza di questo laghetto. Qui abbiamo tutto. Un meraviglioso castello, la dolcezza delle ninfee, l’abbondanza di cibo, la compagnia dei pesci, non ci manca nulla >>
E così dicendo butto la testa nell’acqua e riemerse subito con una grande foglia nel becco. La ingoio felice e guardò Arturo.
Arturo provò a fare lo stesso. Per lui non era semplice come per la madre. Mise la testa nell’acqua, ma il suo collo era corto. Ci provò e riprovò e solo alla fine, dopo diversi tentativi, finalmente riuscì ad acchiappare un lumachino timido, timido.
<< Ci sono riuscito! >> disse, ma non appena aprì il becco, il lumachino, rapido, si dileguò.
<< Bravo! >> disse la mamma << Esercitati. Come vedi la vita non è facile. Anche se sembra di avere tutto a portata di becco è necessario allenarsi molto per fare anche le cose più semplici >>
Arturo fece silenzio. La mamma aveva ragione. Anche vivere nel laghetto vicino al castello costituiva una bella avventura, ma i suoi occhi, di nascosto, timidamente, andarono nuovamente verso il cielo.
Anche il cielo era molto bello. Era grande e azzurro. Il laghetto era bello, ma sembrava piccolo e Arturo sentiva ancora timidamente il desiderio di volare.
Si perse un po’ in quel pensiero, ma la mamma lo richiamò.
<< Arturo, che fai? Sei rimasto indietro, non vedi che i cigni sono già arrivati alla grotticella? Su, muoviti, dobbiamo raggiungerli o faranno festa senza di noi >>
Così, quel giorno, Arturo si rese conto che a volte non bisognava perdersi troppo nei sogni e, nuotando rapidamente, raggiunse il gruppo dei cigni. La festa era una cosa bella e a lui piaceva tanto giocare. Il cielo per il momento poteva semplicemente aspettare.
*
Passò il tempo. Arturo era diventato bravo a muoversi nel laghetto. Era cresciuto e ora riusciva anche a fare qualche piccolo balzo qua e là. I suoi amici cigni non saltavano in alto come lui e Arturo, a furia di allenarsi, era diventato bravissimo nel salto. Un giorno, senza che se ne accorgesse, si ritrovò addirittura fuori dal laghetto con un solo balzo.
<< Incredibile! Hai visto mamma, ho fatto un salto lunghissimo! >>
<< Bravo Arturo >> disse la mamma << Bravo figlio mio, vedo che stai diventando grande >>
Arturo era cresciuto e iniziava a vedere alcune cose di sé che gli altri cigni avevano sì, ma non proprio come lui. Ad esempio le sue piume erano bianche, questo sì, ma avevano anche delle piccole chiazze nere e le sue gambe erano più magre e affusolate.
Arturo era felice di essere se stesso, ma ogni tanto, nuotando con i cigni si vergognava.
La mamma lo aveva rincuorato.
<< Non preoccuparti figlio mio, ognuno di noi è fatto in un modo diverso. C’è chi ha le gambe lunghe e chi ha il becco corto, non preoccuparti, è la crescita. Guarda me, ad esempio, ho le ali piccole, ma non è un problema, sono fatta così >>
<< Già! >> disse Arturo. Ancora una volta la mamma aveva ragione. Che cigna! Ne sapeva una più del lago.
Arturo era felice, perché la mamma gli voleva bene e così continuò a stare con gli amici del lago e a fare feste anche se le ali avevano qualche piuma più scura e le sue gambe erano un po’ più lunghe. Rincuorato dall’amore della madre continuò a nuotare nel lago e a fare salti, sempre più lunghi.
*
Un salto oggi, un salto domani, Arturo ormai era diventato un esperto. Era cresciuto molto e ora vedeva chiaramente di avere delle ali diverse da quelle della mamma e degli altri cigni. Erano diventate grandi e forti e una notte sentì di volerle aprire. Muovendo le ali Arturo si accorse che lo sostenevano a mezz’aria. Le sue ali carezzavano dolcemente il vento e lui sentiva di potersi muovere senza toccare terra. Arturo sapeva volare!
*
Sulle prime questa comprensione scosse molto il cuore del giovane Arturo. Nessuno dei cigni piccoli cigni del lago sapeva ancora volare lontano. Nemmeno la mamma volava spesso e si accontentava, invece, di fare solo dei piccoli balzi a pelo d’acqua e Arturo non l’aveva mai vista uscire dal laghetto.
Arturo, ancora giovanissimo, ci riusciva, ma, si domandava, anche lui, non era forse un cigno come tutti gli altri?
Come era possibile che tutti i piccoli cigni del lago non fossero capaci di saltare così lungo? Una cosa, per lui, così facile...
Arturo era capace di saltare lungo e forse anche di volare lontano, ma per il momento la cosa lo spaventava.
Il cielo era bello e attraente, ma Arturo non voleva essere oggetto di giudizio da parte degli altri cigni.
Cosa avrebbe potuto dire il cigno Oreste e il cigno Stecco, sempre pronti a criticarlo, se per caso non fossero riusciti loro a fare il salto che faceva lui?
<< Ci insegni male Arturo >> gli ripetevano.
Ma lui era stato chiaro: << per saltare lungo bisogna allenare le zampe >> e loro le avevano corte e palmate, molto più delle sue. Nel nuoto nessuno li batteva, ma nel salto, Arturo era veramente imbattibile.
<< La mamma ci ha fatto leggermente diversi >> diceva Arturo ai fratelli, ma loro, un po’ ci credevano e un po’ no e lui ne soffriva.
Un giorno, addirittura, arrivarono a litigare duramente.
Avevano fatto una piccola gara di nuoto. Oreste e Stecco erano arrivati prima. Oreste e Stecco erano grandi nuotatori. Arturo faticava a muovere le sue zampe lunghe nell’acqua e cercava di nuotare e di nuotare per raggiungerli, ma alla fine, senza neanche rendersene conto, aveva
dispiegato le ali, che ormai erano diventate grandi e con un movimento leggero e delicato, era saltato fuori dall’acqua con un tale balzo che in meno di un secondo aveva attraversato tutto il lago e si era ritrovato dall’altra parte.
Era andato così lontano, il piccolo Arturo, che per scendere aveva dovuto addirittura planare.
<<Vedi >> disse uno dei fratelli << Quello lì non è come noi. Hai visto, sa già volare >> << Deve sicuramente essere uscito da un uovo di corvo. Hai visto che nere che sono le piume delle sue ali e che becco appuntito che si ritrova? >> << E non parliamo delle zampe, sembrano proprio quelle di una Gru >>
Arturo sentendo questi commenti era scoppiato in lacrime.
Davvero lui, che si sentiva così leggero nell’aria, poteva essere un uovo abbandonato di qualche corvo?
Perché il mondo, con lui, era così crudele?
La mamma cigno aveva sgridato in modo fermo il brutto comportamento dei fratelli di Arturo esprimendo profonda amarezza.
I due giovani cigni si erano dimostrati rammaricati dell’accaduto, ma aveva anche fatto notare che, insomma, Arturo era un cigno molto singolare.
La mamma li aveva ugualmente ammoniti.
Il rispetto era fondamentale anche se Arturo aveva delle caratteristiche, come saper saltare lungo, tutte sue.
Non dovevano mancargli di rispetto, ma anzi avrebbero dovuto guardare le sue qualità con grande ammirazione.
Arturo aveva guardato la mamma e la mamma lo aveva guardato a sua volta con immenso amore. Arturo era amato e questa era l’unica cosa importante.
Il giovane aveva smesso di piangere anche se qualcosa, nel suo cuore, ugualmente, era cambiato.
*
Il freddo stava arrivando. Arturo non aveva più saltato così lungo anche se sapeva di esserne capace e non aveva più provato a volare lontano.
Aveva però molto freddo.
Così una notte, quando gli altri cigni dormivano, decise di fare un piccolo balzo, così, per riscaldarsi un po’.
Subito si ritrovò oltre il laghetto e visto che era andato tutto bene e che nessuno si era svegliato, decise di aprire le ali e di oltrepassare anche il castello.
Planando leggermente si ritrovò oltre la magnifica torre e dietro di essa scopri l’esistenza del mondo.
*
Tantissime luci colorate apparivano dietro ad infinite finestre. Un’intera città si era svelata agli occhi del giovane Arturo e lui, attratto da tutte quelle luci e desideroso di sperimentare il volo, decise che avrebbe spiccato un altro salto, ancora più in alto, per arrivare alla prima luce.
Così prese la rincorsa e in un batter d’occhio eccolo vibrare nell’aria.
Che meraviglia era volare leggero sulla città. Quanti comignoli invitanti, quante alture. Arturo era estasiato. La città era un luogo bellissimo, ma la mamma lo aveva avvertito sulle insidie del mondo e così un po’ perché ancora non conosceva il posto, un po’ per paura, un po’ per nostalgia del laghetto, decise che per il momento sarebbe rientrato. Raccolse con il becco un rametto e planò sulla torre del castello.
Appoggiò il suo rametto sulla torre e si accorse che la vista da quel punto era magnifica. Decise che in futuro si sarebbe fatto un piccolo rifugio di rametti per poter godere di quel panorama.
Il giorno stava arrivando e Arturo, sempre molto in silenzio, ritornò al laghetto dove i cigni dormivano ancora.
*
La mamma cigno, non si sa come, si era accorta che Arturo era uscito dal laghetto, ma per il momento avevo deciso di non dire nulla al piccolo, che ormai tanto piccolo non era più.
*
Arturo era grande, le ali erano diventate belle e imponenti e le sue zampette, sempre più lunghe e affusolate, lo spingevano a correre libero sull’erba. L’emozione era tanta e forse anche il timore, ma anche la notte seguente Arturo si levò in volo, oltrepasso il lago e planò sulla torretta del castello.
*
Se ne stava appollaiato fra i rametti che lui stesso aveva raccolto la sera prima quando vide passare un essere umano.
*
Anzi, non era solo un uomo, accanto a lui c’era una donna. I due discutevano animatamente e Arturo li sentiva litigare dall’alto della torre. Tutto quel baccano avrebbe sicuramente svegliato i cigni e così Arturo, che tutto voleva fuorché essere scoperto, decise che doveva planare e farli smettere in qualche modo.
Quando i due lo videro scendere maestoso dalla torre e appoggiarsi al lampione che stava sopra la loro testa si zittirono immediatamente.
Arturo era bellissimo e la sua grazia trionfava meravigliosamente, come solo la natura può fare, sulla strada della città.
<< Guarda, una cicogna! >> disse la giovane donna
<< Una cicogna! >> pensò Arturo << Devono avermi scambiato per qualcun altro! >>
<< Smettetela di litigare, sveglierete i cigni che dormono nel lago >>
disse loro sbattendo il becco, ma i due udirono solo un suono incomprensibile.
*
I due innamorati, impressionati dalla presenza di Arturo, smisero di litigare << Salutiamoci, è meglio. Domani è un altro giorno >> si dissero e Arturo che aveva sentito quelle parole le comprese e le recitò a se stesso.
È vero << Domani è un altro giorno >>
*
Arturo avrebbe voluto, ad un certo punto, avere le zampe palmate, il becco più largo e forse seguire una dieta più vegetariana, come i suoi amici del laghetto, ma visto che era stato abituato ad accettarsi così com’era dall’amore della mamma, che più volte lo aveva rincuorato, decise che proprio perché si chiamava Arturo andava bene così e anche la sera seguente si alzò in volo dal laghetto, giusto per capire come fischiava il vento sul rifugio di rametti che lo faceva sentire tanto bene.
*
Così, quando i cigni del lago si addormentarono, dispiegò le grandi ali e silenziosissimo si alzò nell’aria leggero come una piuma, si appollaio sulla torre del castello e, felice, decise che avrebbe guardato le luci della città.
*
Non è un male in sé amare la solitudine. In essa io trovo una parte di me stesso. Male sarebbe ammalarsi di amarezza restando fra chi non prova il nostro stesso sentire. Non voglio restar sempre solo, ma sento che ora il mio posto è anche questo nido davanti a questo meraviglioso panorama.
*
Era bello stare nel lago con gli amici e la mamma, ma era bello anche guardare il panorama dalla torre. Il vento iniziava a diventare più freddo, sempre più freddo e Arturo sentiva sempre di più il desiderio di volare. Così, attratto da una luce lungo la strada della città, decise di raggiungerla. Non sarebbe andato oltre la strada maestra. Oltre, per il momento, era ancora troppo, ma la luce poteva raggiungerla.
*
Arturo si levò in volo e planando arrivò alla luce fioca che usciva da una piccola stanza.
*
Si appoggiò al balconcino che stava di fronte alla finestra e, incuriosito, guardò all’interno per vedere chi aveva ancora, a quell’ora così tarda, la luce accesa.
*
Dentro la stanza c’era un ragazzo che aveva un grandissimo libro aperto sul tavolo ed era intento a leggere e a sottolineare. Ogni tanto si fermava per ripetere quello che aveva appreso e annotarlo su un grande quaderno.
<< Studia! >> pensò Arturo, si prepara ad affrontare qualcosa, forse un esame importante. Un esame di scuola. Anche lui, ora lo ricordava, aveva dovuto esercitarsi molto per imparare a prendere le lumache del lago e forse ancora di più doveva esercitarsi nel volo se voleva un giorno arrivare oltre la fine della strada.
Si sentiva, infatti, stanco e così rientrò e andò a riposare sulla torre per far entrare nel cuore quello che aveva visto e per riprendere le forze.
*
Fu così che, per diverse notti, Arturo si svegliava e andava ad allenarsi, in solitaria. Saliva e scendeva planando dalla torre del castello. Si allenava a prendere i rametti in volo e a riportarli al suo rifugio. Cercava di arrivare, muovendo bene le ali, fino alla fine della via, dove spesso vedeva la luce accesa della camera del ragazzo. Si esercitava a partire in corsa e da fermo e a furia di duri allenamenti divenne veramente molto bravo nel volo.
*
Il freddo era arrivato. Arturo non riusciva più a stare nel lago. L’acqua era troppo fredda per lui. La mamma lo rincuorava << il sole caldo tornerà!>> ma lui sentiva nel cuore un grandissimo desiderio di andare oltre la fine della strada e raggiungere il cielo.
*
Ormai il freddo era troppo. Arturo continuava a guardare il cielo azzurro e un giorno, nell’aria, passò uno stormo di cicogne. Erano belle! Le loro ali fendevano il vento meravigliosamente. Arturo sentì il desiderio di aprire le sue ali e, in un batter d’occhio, si alzo dal laghetto in volo.
*
Ora tutti potevano vederlo. Arturo era una cicogna, bellissima e maestosa, capace di volare divinamente. La mamma aveva gli occhi lucidi. Le lacrime le scendevano mentre il giovane Arturo volteggiava sul lago.
<< È giunto il momento, figlio mio, di andare oltre la fine della strada. Unisciti a quelle cicogne e vai verso il sole caldo >>
Arturo era emozionato. Quelle parole entrarono dolci nel suo cuore. Era quello il suo desiderio << Ritornerò ogni anno per salutarvi >> disse
<< E dimorerò nel mio nido sulla torre vicino al laghetto >> E così dicendo, guardando l’immensità del cielo, si alzò in volo e raggiunse lo stormo di cicogne. Insieme a loro volò verso la bellezza del mondo che Arturo sentiva da sempre essere l’anima del suo grande cuore.
Fine
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anche la punteggiatura è migliorata ma sarebbe ancoraa da rivedere.
per i dialoghi si usano o il trattino - o i caporali « » e attenzione alle maiuscole.
come nella versione precedente, non comprendo molto la suddivisione, ma è una scelta tua e quindi va bene.
la storia è comunque bella
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Re: Storia di un cigno che imparò a volare lontano
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Re: Storia di un cigno che imparò a volare lontano
Se invece state solo rispondendo, non serve specificare.
Ricordatevi anche che il testo del commento deve essere lungo almeno 200 battute.
Vi rimando alle istruzioni delle Gare letterarie.
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Ecco, forse questo è il problema principale del testo. Una favola ha vita breve, la fiaba può intrattenere e dilungarsi.
I tempi verbali sono corretti e anche la voce narrante funziona tranne che in un passaggio.
Per i discorsi diretti adopera i caporali (Alt 174 e 175 del tastierino numerico) ed eviterei di spezzettare visivamente la narrazione con l'inserimento di spazi vuoti.
Ti segnalo:<<Vedi >> disse uno dei fratelli << Quello lì non è come noi. Hai visto, sa già volare >> << Deve sicuramente essere uscito da un uovo di corvo. Hai visto che nere che sono le piume delle sue ali e che becco appuntito che si ritrova? >> << E non parliamo delle zampe, sembrano proprio quelle di una Gru >>
Separa i discorsi diretti che appartengono ai diversi protagonisti mandandoli a capo, e magari indicando chi è che parla.
Arturo era grande, Avrei messo era diventato grande.
Non è un male in sé amare la solitudine. In essa io trovo una parte di me stesso. Male sarebbe ammalarsi di amarezza restando fra chi non prova il nostro stesso sentire. Non voglio restar sempre solo, ma sento che ora il mio posto è anche questo nido davanti a questo meraviglioso panorama.
Ecco qui, come ti avevo anticipato, la voce narrante diventa un io narrante. Anzi sembra quasi che sia l'autore a intervenire con un suo giudizio.
Insomma, è un buon testo pure con i suoi limiti e necessita solo di un po' di lavoro.
Spero che non lo riproporrai per la terza volta.
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Ci sono alcune mancanze (un paio di accenti su passati remoti) e delle eccedenze: troppi avverbi in "mente", che appesantiscono il testo; troppi asterischi che spezzano il testo anche dove non è necessario; alcune ripetizioni di termini piuttosto ravvicinate; un punto di vista (io narrante) che si intromette nella storia.
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La spina infinita
"La spina infinita" è stato scritto quasi vent'anni fa, quando svolgevo il mio servizio militare obbligatorio, la cosiddetta "naja". In origine era una raccolta di lettere, poi pian piano ho integrato il tutto cercando di dare un senso all'intera opera. Quasi tutto il racconto analizza il servizio di leva, e si chiude con una riflessione, aggiunta recentemente, che riconsidera il tema trattato da un punto di vista più realistico e maturo.
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Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.
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