Il borgo delle Spose
Il borgo delle Spose
Dondolò sulla vecchia sedia come una ragazzina e assaporò il calore che cominciava a scaldarle i piedi. Sollevò leggermente la veste scoprendo le ginocchia grinzose e allungò le gambe in modo che il tepore arrivasse fino agli arti superiori.
Una delle galline sbattè vigorosamente le ali alzando una nuvola di polvere dal cortile. Catina si alzò e andò in cucina premendo una mano sul fianco dolorante, lavò velocemente la tazza della colazione e si preparò per i lavori mattutini, primo fra tutti annaffiare le piantine di insalata e pomodoro.
Prese il cappello di paglia dall’attaccapanni in legno e fece un gesto che era divenuto la sua routine quotidiana: allungò una mano e carezzò con dolcezza la giacca appesa vicino al suo grembiule. Se ne stava lì silenziosa da circa vent’anni, ancora con le macchie di vino e fango. Avvicinò il viso ed inspirò profondamente quel profumo che per chiunque avrebbe odorato di muffa e marcio, ma che a lei ricordava semplicemente il suo Armando. Si asciugò alla svelta le lacrime, inforcò gli zoccoli e uscì di corsa dirigendosi verso la fontana.
Di là dalla strada un gran fracasso rompeva la pace mattutina. Rita, nervosa e insofferente, armeggiava in cucina alla ricerca di un tegame.
Ernesto si sarebbe svegliato di lì a poco e se non avesse trovato la colazione pronta avrebbe passato un brutto quarto d’ora. Il tegame saltò fuori proprio nell’istante in cui Ernesto si stava alzando. Prese un pezzo di lardo dalla mensola e lo mise nella padella. Lo sfrigolio del grasso che cuoceva a fuoco vivo la rasserenò per un attimo. Era esausta, aveva cucito quasi tutta la notte braghe e camicie; le più malandate le aveva tagliate a pezzi e convertite in toppe per quelle più in buono stato.
Si lasciò cadere sulla sedia, sconfitta. Guardò di là dalla stradina, verso la casa di Catina e pensò a quanto fosse fortunata a non avere preso più marito.
Anche Teresa era sveglia, aveva appena aperto gli occhi. Destata dall’insistente abbaiare di Ugo si voltò ancora assonnata verso la finestra. Scorse Luigi vicino alla pompa intento a lavare qualche strano arnese. Il primo sole del mattino si posava sulle sue spalle forti disegnando con precisione muscoli e nervi, un corpo forgiato negli anni dal duro lavoro nei campi e dal sole impietoso.
Luigi si voltò verso la finestra e , incontrando lo sguardo della moglie, le sorrise e fece uno strano cenno con il capo. Teresa non capì subito, poi avvampò come una giovinetta quando si accorse che la spalline della sottoveste era scesa lasciandole scoperto metà seno sinistro.
Un lontano pianto di neonato la ridestò dal suo imbarazzo ma la tristezza la assalì violentemente. Erano anni che desiderava un figlio, ma il buon Dio aveva deciso che ancora non era il suo momento. Si strinse con le braccia le ginocchia e, raggomitolata, si chiuse in un pianto silenzioso.
Ludovica, sveglia ormai da ore, cercava di zittire il piccolo Carlo. Guardò con apatia quel minuto fagottino paonazzo e pianse silenziosamente insieme a lui. Una lacrima cadde sulla piccola boccuccia aperta.
Dalla camera in fondo qualcuno si stava alzando, probabilmente mamma Carmela.
Posò il bimbo sulla culla, incurante del suo pianto, afferrò velocemente il grembiule fiorito posato sulla sedia, ai piedi del letto, e se lo legò con maestria alla vita.
Doveva farsi trovare in cucina prima che sua suocera scendesse; non era proprio dell’umore giusto per sopportare i suoi insulti.
All’improvviso, dalla camera in fondo, tuonò come un boato: -Buona a nulla! Non sei nemmeno capace di accudire tuo figlio?
Ludovica portò istintivamente le mani agli orecchi e, scuotendo la testa, soffocò un grido liberatorio.
Anna dormiva tranquilla sul suo guanciale che sapeva di bergamotto e gelsomino. Vicino a lei Augusto la stringeva forte.
Lui si svegliò per primo. Sapeva che Pierino aveva già munto le vacche, ma all’acqua e al fieno ci doveva pensare lui. Si sollevò piano per non svegliare la moglie, indossò silenziosamente i calzoni e, per qualche secondo, rimase incantato a osservare il pancione rotondo di Anna.
Uscì dalla camera con gli scarponi in mano facendo scricchiolare le assi in legno del pavimento.
Anna era sveglia da un po’, fingeva di dormire, ma in realtà ripeteva a se stessa quanto fosse perfetta la sua vita: aveva un marito premuroso, un figlio in arrivo, la dispensa sempre piena e una grande casa luminosa e pulita.
Renata spalancò la porta della bottega per fare entrare un po’ di luce e calore. Prese la scopa di saggina dal retro e iniziò a spazzare con foga spingendo nuvole di polvere direttamente sulla stradina.
Ripose la scopa e si sistemò il fazzoletto annodandolo dietro la nuca e bloccandolo ai lati con due forcine.
Sapeva che di lì a poco sarebbe entrata Rita. Quella donna non le piaceva, ma non poteva fare a meno di compatirla. Tutti sapevano che razza di mascalzone si fosse messa nel letto: Ernesto era un uomo cattivo, lo era sempre stato fin da bambino e Rita lo sapeva bene, ma la vedovanza le stava stretta e pur di avere un uomo accanto si era presa Ernesto.
Afferrò i ferri da maglia, stava preparando una copertina per il piccolo di Anna e Augusto. La levatrice le aveva confermato che non doveva mancare molto ormai e che al cambio della luna avrebbe partorito. Le aveva anche confidato che, in un momento di preoccupazione, Anna le aveva esternato la speranza che il piccolo somigliasse alla madre. La levatrice aveva proseguito il suo racconto svelando a Renata che, probabilmente, il figlio non era di Augusto ma di Luigi.
Anna era una donna buona ma molto ingenua e, quando Luigi l’aveva incontrata per caso nella vigna, era scoppiato in un pianto disperato e, singhiozzando, le aveva rivelato che temeva che non sarebbe mai potuto diventare padre. Erano anni che lui e Teresa provavano a concepire, ma nulla.
Anna si era lasciata impietosire ed era bastata una sua istintiva carezza per far sentire l’uomo autorizzato a spingerla contro il carro e ad abusare di lei.
Spesso a Renata saliva la rabbia, soprattutto quando la domenica, a messa, vedeva Luigi sorridere e tenere la mano della moglie.
Ma chi era lei per spifferare quel terribile segreto. Ciò che accadeva all’interno del borgo delle Spose doveva rimanere all’interno del borgo delle Spose.
Renata sfilò qualche punto, poi si rimise a sferruzzare. Sperava che oggi non venisse Ludovica. La tristezza che aveva negli occhi quella donna le lasciava un senso di malessere per tutta la giornata.
Stava ancora pensando ai suoi occhi tristi quando la tenda a frange si spostò. Una lama di luce entrò sbattendo dritta contro il registratore di cassa mettendo in risalto la polvere sui tasti. Riconobbe la borsa di paglia di Teresa mentre una figura minuta ma formosa faceva il suo ingresso nella piccola bottega di paese.
Teresa salutò educatamente, poi si spostò frettolosamente verso lo scafale dei formaggi. Non aveva potuto fare a meno di notare il lavoro a maglia di Renata, sapeva che lo stava facendo per il piccolo di Anna e Augusto, o forse avrebbe fatto meglio a dire Luigi. Sapeva tutto, la levatrice chiacchierona glielo aveva detto, ma lei amava Luigi, era un uomo buono ed era sicura che anche lui l’amasse. La colpa era sua se aveva compiuto un gesto tanto deplorevole, se lei fosse stata capace di dargli un figlio lui non avrebbe mai approfittato di Anna.
Tante volte avrebbe voluto parlare con lei ma, all’ultimo aveva sempre cambiato idea e le era molto grata per aver mantenuto il segreto.
Anche Catina fece il suo ingresso. Renata la osservò e le sorrise. Il suo sguardo si spostò verso i piedi che indossavano ancora gli zoccoli di legno.
Catina stava per giustificarsi quando la tenda a frange venne quasi strappata via. Ludovica entrò sconvolta, tremante e in lacrime.
-Renata… ti prego, Renata, Catina aiutatemi, vi scongiuro!
Catina e Renata si precipitarono verso di lei che sembrava dover crollare da un momento all’altro. La sorressero per le braccia e le carezzarono la testa.
-Teresa! Va nel cortile, prendi un bicchiere d’acqua dalla pompa.
Teresa era rimasta impietrita a fissare la grande macchia di sangue sul grembiule di Ludovica.
-Teresa! Muoviti!- Renata non sopportava chi non si rendeva utile.
Ludovica iniziò a singhiozzare e a balbettare parole e frasi inconsulte: -Non volevo… giuro che non volevo. E’ stato un incidente. Non volevo! Ve lo giuro. E’ morta, c’era tanto sangue. E’ morta. L’ho uccisa io… non volevo.
Teresa arrivò con il bicchiere d’acqua. Catina lo afferrò.
-Bevi cara, calmati.
Ludovica bevve avidamente rischiando di soffocarsi, poi si voltò velocemente, si mise a carponi e vomitò anche l’anima.
Renata prontamente le tenne la fronte con una mano.
Dopo qualche minuto si calmò.
-Mamma Carmela è morta- singhiozzò e tirò su con il naso. –L’ho spinta in cucina… mi stava insultando come sempre e io non c’ho visto più, le ho dato una spinta… giuro che non volevo, è stato un incidente.
Catina e Renata si scambiarono uno sguardo complice, sapevano esattamente cosa fare; non era la prima volta che dovevano rimediare a una disgrazia.
Fecero rialzare Ludovica e chiesero a Teresa di seguirle. Renata cercò le chiavi della bottega nel tascone del grembiule. Chiuse la porta e i suoi segreti all’interno.
Le quattro donne si diressero verso la casa di mamma Carmela, seguite dalle loro ombre. Catina camminava con una mano sul fianco, il dolore era diventato quasi insopportabile. Renata le porse un braccio perché potesse sorreggersi. Accanto a loro Teresa posava una mano sulla spalla di Ludovica che trascinava i piedi lasciando dei solchi sulla strada di polvere. Nessuna di loro avrebbe più parlato lungo la via.
Era chiaro ciò che avrebbero fatto e oggi l’avrebbero capito anche le due giovani donne.
Quello che accadeva nel borgo delle Spose doveva rimanere nel borgo delle Spose.
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Mi piace la dimensione corale, d'altronde anche Verga nei Malavoglia aveva dato spazio alla coralità. Mi piace lo spazio dato alle donne: donne che soffrono in silenzio, donne che subiscono, donne che fanno buon viso a cattivo gioco, donne complici che vanno avanti in un mondo contadino, che qui viene descritto come un po' maschilista e prepotente. Ho apprezzato il linguaggio. Un dubbio: mi chiedevo se il titolo fosse inventato, perché ho visto che esiste veramente un borgo medievale con questo nome.
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la storia è a tratti surreale, ma questo non significa che non possa essere accaduto.
quel che mi piace è che ogni descrizione pare collegarsi alla successiva modificandola, in bene o in male non importa.
forse ci sono troppi personaggi per un racconto breve, magari in una novella si sarebbero diluiti e avremmo avuto maggiori particolari, comunque è ben scritto e si lascia leggere fino in fondo.
pochi i refusi.
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Davvero troppi personaggi e troppe storie per un breve racconto, secondo me. L'idea e buona, ma così compressa per me rende poco perchè non lascia suffciente spazio all'introspezione dei personaggi, alle loro motivazioni e ai dettagli. Insomma, troppa carne al fuoco per cuocerla in modo accurato, anche se l'autrice ha lavorato bene.
Qualche piccolo refuso:
- Si lasciò cadere sulla sedia sconfitta. (ci voleva una virgola dopo sedia, altrimenti è la sedia ad essere sconfitta e non la donna).
Luigi si voltò verso la finestra e , incontrando (uno spazio di troppo prima della virgola)
afferrò velocemente il grembiule fiorito posato sulla sedia, (direi che è meglio dire grembiule fiorato)
Ma chi era lei per spifferare quel terribile segreto. (manca il punto interrogativo finale)
Teresa salutò educatamente, poi si spostò frettolosamente verso (due avverbi in mente nella stessa frase sono troppi)
le ho dato una spinta…giuro che (ci vuole sempre lo spazio dopo i puntini di sospensione)
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A metà circa mi sono perso e ho dovuto spesso riprendere dai paragrafi precedenti. I personaggi più che in un intreccio sono in un guazzabuglio. L'idea sarebbe stata ottima per un racconto da pubblicare nella propria vetrina in modo da poterlo articolare meglio e comprimerlo meno. E' una buona base per un lavoro veramente completo (e complesso) ma come è presentato qui è alquanto "zippato". Peccato perché l'ambientazione e le descrizioni sia dei personaggi che soprattutto dei luoghi è di buona fattura.
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Quanto al contesto, contadino certo, ma descrivi anche una bottega con un registratore di cassa, quindi i tempi se non sono recentissimi sono almeno recenti: e questo stride con l'immagine generale da passato remoto che l'autore vuole rendere. Così come i nomi: Ludovica, Carla, Catina, Teresa: non so, mi paiono troppo moderni.
Insomma, buono l'impianto stilistico e la qualità del testo e del lessico, ma la narrazione mi pare che necessiti di una buona messa a punto .
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Ho molto apprezzato lo i vocaboli scelti ed il lessico fluico. Le descrizioni, tanto dei luoghi quanto delle azioni sono brevi ma efficaci. Un po' meno quelle dei personaggi di cui, spesso, conosciamo appena il nome (ma è naturale quando si ha tutto un paese da tratteggiare.
La struttura [Nome della Sposa], [storia della sua vicenda] conferisce alla storia il suo caratteristico ritmo e subito trascina giù nei suoi capoversi. Ma, a mio avviso, alla lunga può stancare e confesso di essermi perso.
Fortunatamente, il racconto ritorna rapidamente accattivante ed il finale non delude.
Più che di storie, questo racconto, così come il paese di cui narra, si compone di aneddoti.
Una lettura è d'obbligo. Lo stile è lodevole. La storia, forse, l'avrete già sentita non lontano da casa vostra... ma è proprio questo che credo l'autrice volesse
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