Il Carillon di Absindaele
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Il Carillon di Absindaele
Dove la città finiva e prima che il bosco cominciasse si stendevano grandi prati di trifogli, ma Dan non era interessato al panorama. Teneva gli occhi fissi sulla grande torre in cima alla collina. Il Carillon suonò. Una melodia armoniosa, leggiadra, ma solenne, si riversò per le strade. Delicatamente dall’allegretto passava all’adagio e poi al grave, per poi, mutevole, risalire. Subito lo colpì la varietà di suoni che tra quelle note si mescolavano. Si diceva del Carillon, che più di cento campane lo componessero, ciascuna con un suono unico ed impossibile da imitare. Non si sapeva né chi le avesse forgiate, né come e nemmeno quali mani le orchestrassero.
Del resto, quella meravigliosa musica veniva dal Cenobio di Absindaele e nessuno dal paese mai vi si recava. Era la dimora delle Dame del Cordoglio, un ordine occulto di damigelle dedite alla caccia alle streghe, ai Maligni ed alla distruzione dei Patti Infernali. Altri cenobi erano a Vesperia e spesso nei loro pressi sorgevano cittadine che, collaborando con le Dame, prosperavano. Ma il Cenobio di Absindaele non era come gli altri: era una prigione. In gran segreto le nere carrozze vi giungevano dalle contee più lontane per dimenticare tra quelle mura gli empi condannati.
Dan, invece, non vedeva l’ora di recarvisi. Gli era toccato scrivere una lunga lettera alla Mater in persona con tanto di firma dell’editore per organizzare tutto e quando, appena due giorni prima, ricevette risposta, quasi stentò a crederci. Ottenne il privilegio raro di visitare il Cenobio, potendone poi uscire.
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Cominciava a sospettare che si fossero dimenticate di lui, quando una carrozza scura e baroccamente decorata lo raggiunse. Ne discese una graziosa ragazza in vesti monacali. Dalla cintola le pendeva un gagliardetto con su ricamata una rosa irta di spine. Dan rimase stupito. Girava voce che le Dame di Absindaele fossero di aspetto disturbante; questa, invece, non gli sembrava diversa dalle altre che gli era capitato di incontrare. Si trattene dal chiedere in merito per metà del viaggio. Quando cedette la dama, arrossendo, spiegò di essere soltanto una novizia in visita e che, proprio a causa dell’aspetto peculiare delle sue protette, la Mater aveva preferito che una dama “normale” lo accogliesse. Dan, scosso, preferì non approfondire. Passò il resto del viaggio ammirando le distese di trifogli perdersi nelle grandi pianure ad est.
Voltato l’ultimo tornante, la possente mole del Cenobio apparve. Seppure dittici di finestre appuntite vi si aprivano, le strutture, più che dormitori, sembravano bastioni di una fortezza. A coppie gli edifici erano uniti da un baluardo a formare, tutti assieme, un pentagono. Da dietro le mura, s’innalzava la torre del Carillon. Imponente, eppure leggero, non vi erano pavimenti a dividerlo. Lo si poteva costruire innalzando ai vertici di un pentagono colonne, ponendo tra ciascuna coppia un arco acuto ed impilando cinque strutture identiche alla prima. Dal tetto appuntito di quell’immensa cassa armonica, pendevano le campane.
Dan ne fu rapito. Quasi rimase deluso quando, varcato il cancello, il soffitto glielo nascose. Udendo il clangore con cui la grata si richiuse dietro la carrozza, Dan raggelò. Il suono dell’ineluttabilità. Inorridendo, si chiese quanti, prima di lui, avessero provato il medesimo senso di sopraffazione.
Aveva stimato che il chiostro interno dovesse essere ampio, ma mai si sarebbe aspettato che contenesse addirittura un piccolo lago. Ancor più stupito fu nel vedere che il Carillon non poggiava sulla terra. Cinque possenti archi rampanti, emergendo dalle profondità del lago, ne reggevano la base a circa tre metri dal pelo dell’acqua. Dan aprì il quadernetto, ma non vi scrisse nulla: la meraviglia lo aveva incantato.
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«Toglie il fiato, vero?»
Avvolta in un manto nero, una donna gli porgeva la mano affusolata, ma Dan esitò. Quella testa era decisamente strana. I primi capelli, candidi e lunghissimi, ricadevano dalle tempie sulle spalle disegnando una mantellina ed a ciascuna ciocca era legato un anello da cui chiavi luccicanti pendevano. In alto, sulla pelle glabra, era stata tatuata la graticola di un portone le cui punte, percorrendo la fronte, terminavano sulle sottilissime sopracciglia. Luminosi occhi dalle iridi verdi sporgevano dal viso magro ed un sorriso tagliente le completava il volto.
«Voi, immagino, siete la Mater.»
Dan, finalmente, le strinse la mano.
«Madama Artymesia, Dama del Cordoglio, Gran Sacerdotessa delle Coercetrix e Mater di Absindaele. Spero per voi, che siate Daniel Velz, altrimenti, non dovrei lasciarvi uscire mai più.»
«Per fortuna che lo sono, allora!».
La Mater, sorridendo, fece strada attraverso il porticato del chiostro.
Dan continuava ad osservare le consorelle impegnate nella cura degli orticelli che lambivano le rive del lago. Tutte le coercetrix erano glabre ed indossavano a mo’ di pendente una chiave d’ottone. Sulla tonaca scura vestivano un’inquietante bavero nero che aderiva al collo ed arrivava sino alle orecchie.
«Le discepole vi mettono a disagio? Sappiate che è voluto: aiuta a tenere docili i nostri ospiti.»
Dan annuì annotando qualcosa sul libricino.
Era convinto che i loro sguardi indagatori avessero dissipato ogni languore, ma si sbagliava. Artymesia lo fece accomodare in un salotto riscaldato da un ampio camino. Il balcone affacciava sul lago. Durante il pranzo, per ciascuno dei severi dipinti appesi alle pareti la Mater raccontò un aneddoto. Ammirando la sala, Dan sussultò, scoprendo come quelli che aveva creduto manichini, fossero invece vere Dame a guardia degli ingressi. Le grosse alabarde che impugnavano lo intimorivano.
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«Daniel, scrivete dunque quei molli librucoli stampati per il diletto del popolo?»
«Non disprezzerete mica la carta stampata?»
«…affatto! Ho voluto per il Cenobio una pressa a caratteri mobili. Ma non gradisco che quel dono del progresso sia usato per spettacolarizzare episodi truculenti.»
«Disprezzate, dunque, questa novità che è la cronaca ed indirettamente il suo autore.»
«Cronaca… Signor Velz, scrivete racconti dell’orrore esagerando le gesta di noi Dame. Ci fate un po’ più crudeli, inzuppate le pagine di sangue e mostruosità, poi lo vendete per un misero giuncato di rame.»
«In vero, l’editore fissa il prezzo.»
«Non di meno, i vostri scritti costano come una pinta di birra ed hanno più o meno la medesima funzione sociale.»
«Eppure, mi avete accolto con la promessa di incontrare un detenuto.»
«…e la manterrò. Ma mi piace conoscere i miei ospiti, prima di portarli nelle prigioni.»
Artymesia lo stava mettendo alla prova o, semplicemente, si burlava di lui? Rimaneva seria e distaccata, ma le sue verdi iridi suggerivano un’eccitazione simile al divertimento. Dan sentì il bisogno di alzarsi.
Vista dal balcone la torre era incantevole. Dan notò che sul tetto si aprivano alcune ampie finestre. Che nascondesse un ambiente vivibile, per quanto inaccessibile?
«Per gli Dei, dai vertici del tetto pendono gabbie!»
«Hanno una funzione decorativa. Non possono che dirsi obsolete per contenere prigionieri che, come i nostri, son capaci di compiere diabolici prodigi.»
«Mi chiedo perché non uccidiate semplicemente le vostre prede.»
«Magnanimità. Inoltre, quale spreco sarebbe! Come meglio conoscere i nostri nemici, se non studiandoli e conservandoli?»
Dan preferì non indagare oltre.
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«Veniamo a ciò che vi interessa davvero. Ditemi ciò che già sapete di Hostville.»
Dan, sfogliato il suo libricino, lesse
«“Hostville, nel Krakenshire, nella notte di Samhain è stata teatro di attività diaboliche legate alla stregoneria. Nei giorni precedenti, un gruppo di satanassi ha occupato un casolare diroccato praticandovi i rituali necessari affinché il grande Sabba potesse corrompere i Sacri Spettri che ci visitano in quella santa notte. Cinque capre sono state sacrificate e con il loro sangue bollito sono stati nutriti i prigionieri umani in vista della loro futura immolazione.”»
«…siete molto documentato, vedo.»
«Appena ho saputo della vicenda vi ho scritto la lettera che sapete e sono corso a Hostivlle.» «Sembra vi interessi più il sangue delle capre che le gesta delle mie consorelle.»
«Assolutamente no! “Cinque Dame del Cordoglio giunsero alla vigilia del rituale guidate da Madama Renya di Pytidam, dama temeraria di cui ho sentito parlare, ma per la prima volta al comando. Impugnando armi consacrate, si sono eroicamente introdotte nel covo interrompendo il rituale. Nel cruento scontro, dicono i superstiti, più di un prodigio è stato compiuto. Pare che Renya, brandendo uno scudo santificato, protesse le sue da un’impotente colonna di fuoco congiurata dalla Signora del Sangue Ardente…»
«Sara Canesworth.»
«Come dite?»
«Potreste chiamare la strega semplicemente col suo nome, no? Vede, lei spettacolarizza!» «Ma si faceva chiamare...»
«Non vedo perché mai dovreste accontentarla!».
«D’accordo. “S.C. è stata presa viva, a differenza di molti suoi seguaci. Tra questi, dai gioielli che indossava, è stato riconosciuto Lester Folt, suo amante e compagno di nefandezze. Pare che S.C. lo abbia accidentalmente carbonizzato! Il mattino seguente S.C. fu scortata ad Absindaele da cui, si spera, mai più uscirà.” Sapete altro che potrei aggiungere?»
«Soltanto, che Sara si era già macchiata di molti crimini, purtroppo. Peccato, sarebbe diventata un’abile ematomante, se soltanto non si fosse lasciata tentare da Folt. Che sia per quello che l’ha bruciato?»
«Ad Hostville tutti li descrivono come una coppia affiatata.»
«Avete perso tempo chiedendo queste frivolezze?»
«Non ho potuto fare a meno di udirlo: sapete come sono i paeselli…».
La Mater ritornò a guardare fuori e Dan la imitò.
«Ma… cosa diavolo è quella cosa?».
Una corpulenta figura coperta di stracci bruni, con fare scimmiesco, era sbucata sul tetto della torre ed aveva cominciato a scendere arrampicandosi tra le colonne.
«Gramnel è uscito, dev’essere già ora del tè!»
rispose la Dama con naturalezza. La musica del Carillon cominciò a permeare l’aria richiamando le novizie alle loro mansioni.
Nella torre, la creatura balzava tra le colonne, si tuffava, s’aggrappava alle grandi corde, batteva coi piedi su una campana per saltare su un'altra e così via. Quel corpo bizzarro danzava tra le campane con balzi degni di un acrobata circense. Dan era incredulo. Qualunque cosa Gramnel fosse, era lui a suonare il Carillon.
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Tic. Poi un altro tic. Dan si girò verso l’interno della stanza. Due glabre dame avevano servito il tè e silenziose attendevano che la mater le congedasse.
«Mater, lasciate che ve lo dica. È davvero un peccato costringere delle fanciulle così dolci a deturparsi la testa.»
«Non sono costrette, lo scelgono. Da novizie sono Dame come le altre, soltanto una volta intrapreso il cammino della Coercitrix viene loro chiesto quel sacrificio. È necessario: il sacro inchiostro non può spargersi se non su una pelle pura come solo l’esposizione quotidiana alle acque del Lago Absyn può garantire.»
«Non mi paiono tutte tatuate.»
«O la loro preparazione è incompleta, oppure ve li celano.»
«Volete dire che, anche voi, avete altri tatuaggi? Ma, tagliate via solo il crine, oppure…»
«Dan, se volete che mantenga la mia parola di farvi incontrare la signorina Caneworth, bevete il vostro tè e smettetela di sfidare la mia pazienza.»
Dan assaporò la bevanda che gli veniva porta. Percepiva un retrogusto fresco e piacevole, pervaso da una nota di sambuco.
«Mater, devo dirvelo, questo infuso è sopraffino. Non credo di averne mai bevuti di migliori. Questa musica e questi sapori… Quasi mi sento stordito!»
«Me ne compiaccio.»
«Cosa c’è?»
«Foglie di tè, un po’ di menta ed alcune foglioline dei nostri orticelli. Vedete? Le coltivano laggiù. Noi la chiamiamo Nebbia Argentea».
Dan avrebbe voluto approfondire l’argomento, ma una delle Dame si avvicinò alla Mater e sottovoce le sussurrò “Giungerà per sera”. La Mater congedò la ragazza e la visita cominciò.
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Artymesia guidò Dan al pian terreno: i quartieri alti ospitavano i dormitori e visitarli sarebbe stato sconveniente. Gli mostrò invece la sala d’arme e le numerose cappelle dedicate agli Dei. Ad ogni porta, la Mater afferrava una delle chiavi che le pendevano dai capelli. Nelle catacombe gli mostrò le tombe delle più venerande eroine del suo ordine, narrandone le gesta. A lungo visitarono la fonderia dove venivano forgiati sia i caratteri per le presse, che le armi delle consorelle. Dan chiese se anche le campane del Carillon fossero state forgiate là e cosa le rendesse tanto uniche. Artymesia sorrise.
«Alcune sì, altre ci furono donate. Certo, sono state tutte benedette, ma non vi è nulla di speciale nella loro fattura. Il segreto è tutto nelle mani di Gramnel: soltanto lui sa far vibrare gli animi in quel modo.»
Dan annuì, ma la sensazione che qualcosa gli venisse taciuto rimase.
La camera delle torture lo provò. Tutti i macchinari gli parvero terrificanti, ma il volto della Vergine di Ferro fu ciò che lo mise più a disagio. Non gli era stato mostrato che metà dell’arsenale, quando fu costretto, barcollando, ad uscire. Se non gli avessero offerto un’altra tazza di tè per rifocillarlo, di sicuro sarebbe svenuto. Dan avrebbe voluto vedere le armi e gli scritti sottratti ai prigionieri, ma, dato che nemmeno alle novizie veniva permesso, non gli fu concesso.
La sala delle presse a caratteri mobili gli ridiede il buon umore. Tre novizie ed un’iniziata avevano il compito di convertire in stampa i documenti scritti a mano che accompagnavano i prigionieri. Da lì procedettero alla biblioteca. Con grande sorpresa di Dan, su di uno scaffale in bella vista vi erano i “librucoli molli” di un certo Velz. Non tutte le consorelle li disprezzavano, dunque.
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Ritornarono al chiostro che era ormai il tramonto. Dan, nonostante si sentisse frastornato ed assonnato, voleva incontrare la strega. Troppo si era impegnato per arrivare fin là ed aveva già così tanto rischiato, che per nessuna ragione al mondo avrebbe rinunciato. Nella mente ripassava cauto tutto ciò che avrebbe dovuto chiedere e fare. Il primo passo sarebbe stato raggiungere la cella e, finalmente, vederla.
Il suo entusiasmo si spense quando Artymesia lo condusse al moletto del lago. Là erano ormeggiate alcune barche a remi la cui polena raffigurava una Dama con la mano protesa in avanti a reggere una campanella. In una di queste, una Dama, sistemata al posto del rematore, li attendeva con una lanterna.
«Mater, non voglio offendere la vostra ospitalità, ma credo che non vi sia tempo per un giro del lago.»
«Dan, non preoccupatevi, ci sarà tempo per ogni cosa. Mantengo sempre la mia parola. Non vorrete mica andarvene senza aver visitato il Carillon?»
così dicendo, la donna distese un braccio verso la costruzione che troneggiava sul lago. Adesso, con il rosso del tramonto che filtrava tra i suoi vuoti, il Carillon assumeva un che di minaccioso. Anche l’idea di vedere Gramnel da vicino non allettava Dan particolarmente. Ma Artymesia aveva già deciso.
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Nonostante la barca scivolasse placida sulla quieta superficie del lago, Dan cominciava ad avvertire un certo mal di mare, ma, non volendo perdere altro tempo, preferì non lamentarsi. Dalla riva non se ne era accorto, ma per qualche motivo delle grate chiudevano gli archi alla base della torre. Inoltre, per quanto le cercasse, non vedeva né una scala, né una corda, né nessun altro modo per salire dalla barca alla piattaforma sorretta dagli archi rampanti.
Quando vi furono sotto, la rematrice suonò la campanella di prua. Dan alzò il capo. Sullo sfondo di un cielo violaceo, svettava il Carillon. Da dove era adesso riusciva vedere, in alto, il complicato sistema di corde e pulegge da cui le campane, oscillando appena, penzolavano. Lassù, arrampicandosi tra l’architettura e le corde, un’ombra scendeva divenendo sempre più grande. Alla fine, afferrando con l’enorme mano una delle colonne e poggiando i piedi sul bordo degli architravi, Gramnel il gigante si mostrò. Nel buio cappuccio della cappa che lo avvolgeva, i suoi piccoli occhi luccicavano come stelle.
Dan sapeva che nelle vaste piane ad est dello Shamrockshire vivevano i giganti, ma mai gli era capitato di incontrarne uno. Era alto più di tre metri e largo alle spalle più di due. Dal cappuccio sgusciava un viso dai lineamenti ciottolosi, con un gran naso aquilino e la larga mascella coperta di barba nera. Con voce cavernosa diede il benvenuto ai visitatori, poi gli rivolse un sorriso maligno. Ad un cenno di Artymesia, sfruttando la sua forza per tirare una grossa catena, fece sollevare la grata che riempiva l’arco di accesso al Carillon. Una piccola scaletta fu calata. Dan salì per primo, la Mater lo seguì. Gramnel, balzando sulla piattaforma, lasciò che la grata calasse dietro di loro. Uno strano senso di déjà vu pervase Dan. Essere rinchiuso in un recinto al centro del lago non era esattamente quello che si sarebbe aspettato.
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«Daniel, mi sembrate confuso. Dovreste essere contento! Siete tra i pochissimi che hanno avuto il piacere di conoscere il mastro campanaro di Absindaele.» disse Artymesia.
Gramnel, piegandosi sulle ginocchia, porse la gigantesca mano a Dan che, stordito dalla mole del suo interlocutore, riuscì a malapena a poggiarvi la sua.
«Sta bene ‘sto qua?» tentò di sussurrare il gigante.
«Temo non fosse abituato alle barche… né ai giganti… né all’assenzio.»
«Assenzio?» chiese Dan sedendosi a terra.
«Si, Dan, assenzio. Qui al Cenobio ne produciamo una varietà unica, capace sia di stordire che, in parte, di inibire certe soprannaturali capacità. Guardate la riva: come brillano le loro foglie! Non sembra proprio una Nebbia d’Argento?»
La testa di Dan girava come un carosello. Cosa stava succedendo? Non era andato, fino a quel momento, tutto come aveva pianificato? Aveva visto il Cenobio… e il Carillon… avrebbe parlato con Sara. Ma quando?
«Mater, avevamo un patto… Ricordate? Non dovremmo…»
«Non siate impaziente. Non volete vedere da vicino una delle meraviglie del Carillon? È un privilegio unico. Che ospite indegna sarei, a negarvelo? Gramnel, procedete.»
Il testone incappucciato annuì.
Agile, il gigante s’arrampicò sulle colonne, salì su una grossa campana d’ottone e lasciando scorrere la corda tra le mani, scivolarono assieme verso il basso. A mezzo metro dalla piattaforma si fermò. Gramnel vi si infilò sotto e sganciò un meccanismo. La catena che usci dalla campana terminava nell’insolito batacchio adagiato al suolo. Al posto dell’asta, un morbido fagotto di stracci, tenuti stretti da otto spesse cinghie di cuoio, s’infilava in quella che, più che la testa di un battente, sembrava una pesante maschera sepolcrale. A Dan ricordò l’orribile volto della Vergine di Ferro. Sulla fronte c’era il buco di una serratura.
Dan, immobile, si sentì sopraffare da un tremendo presentimento. Fortunatamente, non era uno sciocco: aveva nascosto addosso, da qualche parte, un pugnale. Ma per quanto cercasse di afferrarlo, era troppo frastornato per riuscirci. Si udì un campanello. Gramnel sollevò la grata. Era il momento per fuggire, gettarsi nel lago e sparire. Ma quell’idea vorticava assieme ai suoi ricordi nel vuoto dell’assenzio. Dan, in ginocchio, fissava la testa d’ottone.
La Mater vi si accovacciò accanto, reggendo una ciocca di capelli. Tra le dita luccicava una chiave. La serratura scattò. Un gemito soffocato divenne un respiro ansimante, poi, quando Artymesia sfilò il casco, fumi verdi si diffusero ed il volto smunto di una donna dagli occhi spalancati ne scivolò fuori. Dan urlò portandosi le mani al volto. Sara Canesworth, boccheggiante, si dimenava nella camicia di forza. Avvolgendosi attorno ai piedi, la catena la vincolava alla campana. La strega strabuzzò gli occhi per la sorpresa. Riconoscendolo gli sorrise.
In preda al terrore Dan guardò in alto. Ogni battente un casco, ogni campana una prigione. Balzò indietro, cercando di fuggire, ma qualcosa di freddo e duro lo arrestò. Un volto lo fissava dal pesante scudo che una Dama dal crine bruno brandiva, impedendogli la fuga. Al suo fianco, c’era la Dama che lo aveva accompagnato in carrozza.
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«Non provateci, vi ho disarmato da molto…» sussurrò Artymesia «…e distrutto il Patto Infernale di Sara, anche i vostri poteri sono andati. Ormai è una pura formalità, ma… Renya, lo riconoscete?».
La Dama, senza abbassare lo scudo, lo fissò.
«Si, Mater. S’è vestito diversamente e ha tagliato la barba, ma è quel satanasso di Folt. Mi aveva fregato, con quel giochetto dei gioielli.».
Gramnel piombò su Dan avvolgendolo in un robusto manto. L’uomo tentò di dimenarsi, ma era ormai troppo avvelenato per opporsi. Il cuore pompava impazzito.
«Come?!» fu l’unica cosa che riuscì a strillare.
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«Ebbene, vi spetta…» disse la Mater «…la vostra lettera: è arrivata troppo presto. Che Velz fosse corso là era plausibile, ma come avrebbe fatto ad informare il suo editore in tempo? Renya era già partita, ma non appena ho ricevuto la lettera, ho provveduto a riconvocarla. Ma, ci sarebbe voluto del tempo: come smascherarvi? Fortunatamente, la sua allieva…» così facendo indicò la novizia «…aveva deciso di rimanere. Valutava se divenire mia discepola… Così, ho pensato di mandarla da voi»
«Piccola sgualdrina! Sei stata tu a smascherarmi!» urlò Dan ansimando.
«No, purtroppo non era sicura. Vi ha visto a Samhain per la prima volta, non come Renya che vi ha braccato a lungo. Siete stato voi a tradirvi, Folt.»
«Come? Non capisco…»
Artymesia sorrise.
«Dopo pranzo, Folt. Non potevate saperlo…» disse la donna mentre Gramnel armeggiava con un casco simile a quello che avevano tolto da Sara. «…ma anche se non ho mai incontrato Velz, gli ho scritto molto e lui mi ha sempre risposto. Il fatto è, signor Folt, che io adoro i suoi libri!»
Folt spalancò gli occhi urlando e cercando di liberarsi, ma le cinghie gli stringevano ormai il corpo. Un forte odore d’assenzio scendeva dal casco che Gramnel gli stava chiudendo attorno alla testa. In preda allo stordimento, l’ultima cosa che vide fu il cancello tatuato della Mater scorrerle sul viso e coprirle lo sguardo. I suoi occhi verdi brillarono nella notte. Una serratura scattò, poi più nulla.
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La barca attraccò al moletto e le Dame ammirarono il Carillon luccicare in un cielo di stelle. La sagoma di Gramnel vi si arrampicava. Una melodia romantica, ricca di toni sublimemente decadenti, vibrò nel plenilunio arricchita da un nuovo, irriproducibile suono.
Gara d'Estate 2021 Sorriso di Rondine
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Re: [risposta dell''autore]
@Liliana Tuozzo mi fa molto piacere che ti sia piacuto, le Dame del Cordoglio fanno parte di un progetto più grande ed a cui lavoro da un po' [se ti interessa, puoi trovare altre illustrazioni su instagram @chinevesperiane nella mia vetrina] . Si, in Gramnell c'è una parte di quasimodo, senza dubbio.Un carillon molto particolare. Un racconto che si addentra nella caccia alle streghe e alla loro punizione tramite le Dame del Cordoglio, con a capo una Mater. Ben descritti i personaggi, sia lo scrittore sotto mentite spoglie, le Dame e il gigante che suonando misteriose campane da vita al suono unico del carillon, mi ricorda un po' il gobbo di Notre Dame. Un racconto affascinante che non delude chi ama questo genere.
Grazie @ Francesco Pino , sono contento che la lunghezza non ti abbia scoraggiato (mi dava preoccupazione). Il dubbio su come sopravvivano i prigioni è lecito. MA come avrai intuito sono molti i fenomenti straordinari che si verificano da quelle parti... ed anche questo è uno dei tanti misteri del Carillon.Non sono un cultore del genere ma il racconto mi è piaciuto. pur essendo piuttosto lungo si lascia leggere facilmente e le descrizioni sono fatte veramente bene. Ottima la sorpresa nel finale. Mi è rimasto solo il dubbio su come i prigionieri potessero sopravvivere a quella situazione.
Bravo!
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Bravo anche ad aver disseminato i giusti indizi richiamando il personaggio del vero cattivo abbastanza presto (e bravo per quei cognomi simili eppure diversi) e sottolinenando subito lo strano effetto del té: non hai nascosto nulla al lettore che ha potuto sviluppare le proprie idee e, a un certo punto, dubitare perfino del narratore.
Come voto ti assegno 5 perchè secondo me la tua storia merita di prevalere su ogni altra, però ho due piccole note.
I dialoghi. Meglio andare a capo dopo ogni battuta del personaggio, perchè rende più facile al lettore comprendere chi sta parlando, visto che sei così parco nelle descrizioni aggiuntive (disse X, rispose Y) e poi esserlo perchè le voci dei due peronaggi sono perfettamente identificate dal contesto dei loro discorsi (e questo vuole essere un altro complimento per la tua bravura).
L'inganno. Che nel tuo caso è anche l'asso nella manica della storia perchè prima porti il lettore ad identificarsi col narratore e poi sveli rapidamente il segreto. In questo momento non ho tempo di rileggere la parte di introspezione del personaggio (e ce n'è molta, altro complimento) ma bisognerebbe verificare se, forse, non hai fatto trapelare qualche pensiero di troppo del personaggio per sviare il lettore. Cerco di spiegarmi meglio, quando si utilizza l'io narrante e si entra nei suoi pensieri, non si può, al fine di ingannare il lettore, far pensare al personaggio cose che lui non penserebbe mai perchè si violerebbe l'implicito patto di coerenza con chi legge: nessuno "cattivo", nella protezione della propria mente, penserebba mai male di se stesso! Spero di esseremi spiegata a sufficienza e credo che tu sia la persona più adatta per sapere se hai o meno commesso questo piccolo inganno a danno del lettore.
In ogni caso, bravo: i miei complimenti.
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mancano delle virgole e ce ne sono altre dove non dovrebbero.
ci sono delle d eufoniche da eliminare.
sarebbe opportuno, per aiutare il lettore, andare a capo dopo ogni dialogo, così da rendere il tutto più piacevole anche alla vista.
metto un voto medio proprio per questo, anche se la storia merita di più
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Giunto in fondo con l'affanno, devo tributarti un applauso per impegno e fantasia, e ti dar0' pure un buon voto di stima, ma non sono in grado di scrivere una recensione seria.
- MattyManf
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Ringraziamenti Vari
Per quanto riguarda l'inganno ho cercato di curarlo il più possibile (non mi piace prendere in giro i lettori), ho cercato di riportare soltanto quei suoi pensieri che potessero essere comuni ad entrambi i suoi aspetti. Anzi, ho nascosto (come hai notato ) alcune piccole rivelazioni, poiché sì, è lui il primo a tradirsi anche con il lettore (ad esempio, quando si impunta per che gli dicono che Sara avesse potuto odiare il suo amante; oppure quando nella sala delle torture ha un mancamento; mentre, al contrario, non si sente lusingato nello scorpire i "suoi" testi in biblioteca, ma soltanto divertito dall'ipocrisia della cosa.
Fausto Scatoli, ti ringrazio per il voto e per il tempo che ci hai dedicato. Mi dispiace che quà e là sia saltato qualcosa. PEr i dialoghi, la prossima volta li formatterò come mi state suggerendo! Grazie ancora e lieto di averti intrattenuto.
Mariovaldo apprezzo lo sforzo e la pazienza, nonchè lo spirito con sui ti sei impegnato a finire un racconto lungo e che non è nelle tue corde. PEr questo, sono doppiamente contento che il finale ti abbia appagato. Non sarà una recensione seria, ma è sicuramente un commento di cuore.
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Re: Ringraziamenti Vari
Sì, vero, ora che sottolinei questi elementi direi che tutto quadra e sei stato più che corretto e coerente con il lettore. Sei stato davvero bravo a "selezionare" i pensieri del personaggio da condividere con il lettore al fine di indurre in chi legge le conclusioni che volevi tu, acosì che il colpo di scena funzionasse.MattyManf ha scritto: 13/11/2020, 17:17 Ida-59, che dire, il tuo commento è uno dei più bei complimenti che potessi ricevere (oltre ad essere una vera e propria recensione di quanto ho voluto ondividere.) Sapere che tu hai apprezzato così tanto questo racconto da dargli 5 mi entusiasma molto.
Per quanto riguarda l'inganno ho cercato di curarlo il più possibile (non mi piace prendere in giro i lettori), ho cercato di riportare soltanto quei suoi pensieri che potessero essere comuni ad entrambi i suoi aspetti. Anzi, ho nascosto (come hai notato ) alcune piccole rivelazioni, poi che sì, è lui il primo a tradirsi anche con il lettore (ad esempio, quando si impunta per che gli dicono che Sara avesse potuto odiare il suo amante; oppure quando nella sala delle torture ha un mancamento; mentre, al contrario, non si sente lusingato nello scorpire i "suoi" testi in biblioteca, ma soltanto divertito dall'ipocrisia della cosa.
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Re: Il Carillon di Absindaele
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Re: Il Carillon di Absindaele
ti ringrazio da subito sia per il voto che per i commenti e errò a mente il tuo invito a rileggere ancora tutto quanto.
Volutamente non sto aggiornando il testo che (come ricorderai dall'edizione formattata) era diviso in capoversi spaziati e non... ma questa struttura nel copia incolla dal DOCX si è perduta. Lo sto facendo per correttezza, visto che così avevo caricato il racconto.
Se invece il concorso prevede che io possaaggiornare il racconto, allora applicherò anche le correzioni che mi stai suggerendo.
Anche io ho conosciuto il signor Saramago, trovo le sue idee ottime e per il suo stile singolare.
Grazie ancora... e alla prossima!
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Re: Il Carillon di Absindaele
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Re: Il Carillon di Absindaele
Sono felice che nonostante sia lontano dai tuoi gusti tu l'abbia apprezzato così tanto. Ti ringrazio!Il racconto appartiene ad un genere che non conosco bene, ma lo trovo molto particolare, mi ha colpita positivamente. Le descrizioni sono ricche di particolari e il linguaggio pure è molto curato. Credo che sia affascinante l'immagine del carillon, il cui mistero agghiacciante è rivelato nel finale. Ho preferito la parte iniziale del racconto e quella centrale, mentre il finale non mi è molto chiaro, ovvero non ben capito la dinamica dell'accusa rivolta al protagonista. comunque, il mio giudizio è positivo.
Per quanto riguarda il finale, non c'è una accusa ma una trappola. L'uomo è lo stesso di cui parlano a circa metà racconto (Folt) che si sta spacciando per lo scrittore (Dan). Quello che Folt non sa è che il suo inganno è già stato scoperto prima che arriva al Carillon e la donna lo asseconda soltanto per attendere che la sua sonsorella (Renia) torni e riconosca definitivamente l'uomo in quanto impostore.
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Re: Il Carillon di Absindaele
Grazie per il commento, mi fa piacere che ti sia piaciutoBel lavoro Matty! Le atmosfere e i personaggi si addicono bene allo sfondo della vicenda ma nella conclusione avrei voluto capire di più sul protagonista e i suoi trascorsi con gli altri personaggi, ma a parte questo, bravo
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Re: Il Carillon di Absindaele
Ho riformattato i dialoghi e i capoversi.Marcello Rizza ha scritto: 14/11/2020, 15:34 Puoi aggiornare il racconto, anche io mi ero posto la domanda e l'amministratore me l'ha confutata.
Spero che avesso il testo risulti più fruibile.
Grazie ancora per l'informazione!
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Qualche nota: "Una melodia armoniosa, leggiadra, ma solenne, si riversò per le strade. Delicatamente dall’allegretto passava all’adagio e poi al grave, per poi, mutevole, risalire."
Ho studiato pianoforte per un tot di anni e ancora mi ricordo. Allegretto, adagio e grave sono termini coerenti in quanto notazioni di tempo o andamento. Quindi bene, ma proprio perciò a posto di quel risalire sarebbe più corretto accelerare.
"In gran segreto le nere carrozze vi giungevano dalle contee più lontane per dimenticare tra quelle mura gli empi condannati.
Dan, invece,"
Questo ultimo invece presuppone che Dan e tutti quanti sappiano che il Cenobio, ossia il monastero, è in realtà una prigione. Ma questa conoscenza urta un po' con il fatto che i prigionieri vi venivano portati in gran segreto.
"ricevette risposta, quasi stentò a crederci. Ottenne il privilegio raro di visitare il Cenobio, potendone poi uscire."
Nel finale la voce narrante conferma i miei dubbi sulla conoscenza di Dan del fatto che il Cenobio sia una prigione.
Inoltre ricevette e ottenne non rispettano la concordanza dei tempi. Andrebbero coniugati al passato rispetto all'azione in corso, aveva ricevuto e ottenuto.
" le pendeva un gagliardetto" sei sicuro che gagliardetto sia il termine più appropriato? Io nutro molti dubbi.
"Girava voce che le Dame di Absindaele fossero di aspetto disturbante; questa, invece, non gli sembrava diversa dalle altre che gli era capitato di incontrare."
Diversa dalle altre dame, ma in questo modo non ha molto senso a mio avviso.
"Quando cedette la dama, arrossendo, spiegò di essere soltanto una novizia in visita e che, proprio a causa dell’aspetto peculiare delle sue protette, la Mater aveva preferito che una dama “normale” lo accogliesse. "
Quando egli cedette (alla tentazione, alla curiosità e quindi dopo dovresti mettere la virgola), la dama (che in questo caso è soggetto, mentre senza virgola diventa complemento oggetto) spiegò...
"Seppure dittici di finestre appuntite vi si aprivano"
Il termine dittico unito a finestra non ha senso, anzi è errato. Sarebbe più appropriato bifora o altro ancora.
" Da dietro le mura, s’innalzava la torre del Carillon. Imponente, eppure leggero, non vi erano pavimenti a dividerlo. Lo si poteva costruire innalzando ai vertici di un pentagono colonne, ponendo tra ciascuna coppia un arco acuto ed impilando cinque strutture identiche alla prima. Dal tetto appuntito di quell’immensa cassa armonica, pendevano le campane."
" Da dietro le mura, s’innalzava la torre del Carillon. Imponente, eppure leggero, non vi erano pavimenti a dividerlo. Lo si poteva costruire innalzando ai vertici di un pentagono colonne, ponendo tra ciascuna coppia un arco acuto ed impilando cinque strutture identiche alla prima. Dal tetto appuntito di quell’immensa cassa armonica, pendevano le campane."
La torre è il termine che indica la struttura architettonica, quindi ti dovresti riferire a essa nell'illustrarne le caratteristiche e quindi adoperare il femminile.
Il termine poteva è poi, a mio avviso, errato. Era stata costruita.
E inoltre perché ciascuna coppia? Forse lo dovevi specificare prima che ai vertici del pentagono si trovava un coppia di colonne.
Insomma, non mi addentro oltre, e ritengo che tu abbia capito: il testo necessita di una maggiore attenzione che passa attraverso un lavoro di calma rilettura.
Dovresti adoperare il vocabolario per evitare di adoperare termini inappropriati e io farei a meno anche di molti aggettivi e avverbi; penso poi che sia inutile anticipare l'aggettivo al sostantivo (nera carrozza) per cercare di dare un'impronta retrò al testo.
Per il resto, seppure io non frequenti questa varietà letteraria, mi pare che tu abbia della stoffa.
A rileggerti
Re: Il Carillon di Absindaele
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Re: Il Carillon di Absindaele
Giustissimo, farò questa correzione, ma non so se cambierò questa versione "in gara".Ho studiato pianoforte per un tot di anni e ancora mi ricordo. Allegretto, adagio e grave sono termini coerenti in quanto notazioni di tempo o andamento. Quindi bene, ma proprio perciò a posto di quel risalire sarebbe più corretto accelerare.
Quello che intendevo dire è che si sa che è una prigione, ma non si vuole far sapere chi vi viene portato nè quando. Non è una prigione per criminali qualsiasi, è una prigione per streghe e stregoni.Questo ultimo invece presuppone che Dan e tutti quanti sappiano che il Cenobio, ossia il monastero, è in realtà una prigione. Ma questa conoscenza urta un po' con il fatto che i prigionieri vi venivano portati in gran segreto.
Nel finale la voce narrante conferma i miei dubbi sulla conoscenza di Dan del fatto che il Cenobio sia una prigione.
Ma, rileggendo, trovo lecita la tua preplessita e vedrò di rendere meglio la cosa.
Qui, non ho capito bene io. Forse che se non spiego come siano fatte quelle normali, non si capisce la necessità di farle sentire di verse? Se è così posso capire, ma speravo che leggendo fosse naturale immaginarle simili a suore o sacerdotesse. Evidentemente, non è cosìDiversa dalle altre dame, ma in questo modo non ha molto senso a mio avviso.
Ti ringrazio, non mi veniva il termine giusto e ho scritto cosìIl termine dittico unito a finestra non ha senso, anzi è errato. Sarebbe più appropriato bifora o altro ancora.
Ho capito cosa intendi, ma vedo che non sono riuscito a farti immaginare la struttura come la ho in mente. Ad ogni vertice c'è una colonna, ma nello spazio tra due di queste vi è un arco. Metto anche un immagine che ho realizzato per questo racconto.La torre è il termine che indica la struttura architettonica, quindi ti dovresti riferire a essa nell'illustrarne le caratteristiche e quindi adoperare il femminile.
Il termine poteva è poi, a mio avviso, errato. Era stata costruita.
E inoltre perché ciascuna coppia? Forse lo dovevi specificare prima che ai vertici del pentagono si trovava un coppia di colonne.
Ancora ti ringrazio di cuore per l'attenzione con cui hai letto (e sopportato) questo testo. Sono contento che alla fine lo abbia anche gradito. Accetto i tuoi consigli e mcercherò di migliorare il mio stile. Unica cosa che vorrei dirti, è che lo stile "retrò" è proprio quello che ho cercato di rendere.nsomma, non mi addentro oltre, e ritengo che tu abbia capito: il testo necessita di una maggiore attenzione che passa attraverso un lavoro di calma rilettura.
Dovresti adoperare il vocabolario per evitare di adoperare termini inappropriati e io farei a meno anche di molti aggettivi e avverbi; penso poi che sia inutile anticipare l'aggettivo al sostantivo (nera carrozza) per cercare di dare un'impronta retrò al testo.
GRazie ancora ed alla prossima!
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Re: Il Carillon di Absindaele
Grazie, lieto che ti sia piaciuto!FMonti80 ha scritto: 23/11/2020, 11:33 Anche io non sono un cultore dle genere ma il racconto è piacevole, curioso ed interessante, complimenti!
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La musica incessante a tutto volume può essere una forma di tortura, ma è la prima volta (che io sappia) che uno scrittore s'immagina un supplizio in cui è il condannato stesso a farne parte...
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Re: Commento
TI ringrazio per il commento e sono contento che ti sia piaciuto.Andr60 ha scritto: 24/11/2020, 18:12 Ammetto di non essere neanch'io tra i cultori del fantasy, comunque il racconto mi è piaciuto, anche se all'inizio ho fatto un po' di fatica. Si vede che fa parte di un progetto di più ampio respiro, per la cura con la quale ti occupi dei personaggi e dell'ambientazione. L'influsso del campanaro mostruoso di Notre Dame è evidente, però ho notato anche un riferimento alla Sorellanza delle Bene Gesserit (dalla serie Dune di F. Herbert), rielaborato.
La musica incessante a tutto volume può essere una forma di tortura, ma è la prima volta (che io sappia) che uno scrittore s'immagina un supplizio in cui è il condannato stesso a farne parte...
Si, il riferimento alle Bane Gesserit è presente, anche se scrivendolo non lo avevo notato. Ma sarebbe inutile negare che c'è una somiglianza e che questo ordine in particolare (Coercetrix) si ispiri all'aspetto di quelle.
Gli altri ordini (solo menzionati nel racconto) li ho immaginati più simili alle suore occidentali ( Così avevo immaginato Dama Renya: https://www.instagram.com/p/CGuRzJyDMsc/)
Spero di produrre (e condividere su questo sito) altro materiale con lo stesso stile, ma migliore.
Fa sempre piacere sapere che qualcuno trova originali le mie idee,
speriamo riesca a mantnere le aspettative...
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Re: Commento
Grazie Selene per il commento, è un onore sapere che il mio racconto ha soddisfatto un amante del genere! Che dire, un apprezzamento di quelli che ti fa sentire davvero bene.Selene Barblan ha scritto: 25/11/2020, 20:02 Ciao MattyManf, premetto che il genere fantasy mi piace, e anche molto, soprattutto però nei romanzi. Forse proprio perché è un genere che apprezzo sono anche un po’ più critica e non mi accontento così facilmente. In questo caso devo dire però che sei riuscito a fare un bel lavoro; lo trovo originale pur con le strizzatine d’occhio ad altre storie, c’è mistero, humor e anche una buona dose di dettagli raccapriccianti. C’è qualche revisione da fare ma nel complesso non si perde il piacere della lettura. Bello anche il disegno, sarei curiosa di vederne uno anche del Carillon perché non sono sicura di averlo immaginato così come l’hai pensato. Secondo me si adatterebbe bene anche ad un fumetto. Il finale incuriosisce, dà spazio ad altri capitoli. Globalmente mi è piaciuto, un bel lavoro, che si distingue!
Se sfoglierai i post prima di questo potrai trovare un disegno del Carillon.
Se sei interessata ald altre illustrazioni, puoi controllare la mia firma ( o qui:@ChineVesperiane )
Grazie per il buon voto!
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Re: Il Carillon di Absindaele
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Re: Il Carillon di Absindaele
Mi fa piacere di averti regalato un brivido e di averti coinvolto con un genere che non ti appartiene.
Spero di mantenere alto il livello anche con le prossime idee. Non vedo l'ora di rileggere anche te!
Grazie!
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Pur se l'impianto narrativo regge, penso che potresti lavorarci ulteriormente per farne un romanzo, ma anche così è un ottimo lavoro.
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Re: [risposta dell''autore]
Sono contento che tu abbaia apprezzato il mio modo (forse pesante) di scrivere.
Sono felice che questo mio mondo tenebroso ed "intriso di amore e morte" ti sia piaciuto, in effetti, ci lavroro da un po'.
L'idea di rirpendere questa storia ed ampliarla mi alletta, ma credo che lo lascerò così. Fa già parte di un progetto più grande ed esteso tra vari altri lavori che sto producendo.
Ti confesso, che da poco più di un anno sto lavorando ad un romanzo ambientato nello stesso universo narrativo e che spero di ultimare prima di Natale (prima stesura).
Questo per dirti che anche io penso che i temi e i luoghi esplorati in questa storia possano espandersi ed essere approfonditi, ma almeno per ora non lo farò estendendo questo racconto.
Spero che gradirai leggermi ancora in futuro!
Se hai gradito l'ambientazione, puoi dare uno sguardo a questi altri raccontini: Olzn'Orepar e Rose Nere
Alla prossima e grazie ancora!
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Haiku - il giro del mondo in 17 sillabe
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Gara d'estate 2020 - Anniversari, e gli altri racconti
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GrandPrix d'inverno 2022/2023 - Conchiglie sulla spiaggia - e le altre poesie
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69 Orizzontale: l'Antologia erotica
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77, le gambe delle donne
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