Diario di una paranoica
Diario di una paranoica
Oggi non se lo chiedeva, o perlomeno cercava di non pensarci. Una casa, 4 mura in cui si sentiva protetta e libera, 2 lavori, non troppo, il giusto. Sì, la fatica non le pesava. La fatica non era mai stata un disastro per lei, anzi, nei momenti più accuratamente stressanti si sentiva invincibile, utile a se stessa, con uno scopo preciso o no, ma Viva. L'amore. Se lo sentiva dentro, scorrere, come fosse un liquido caldo, ardente, cercava di tenerne per sé quanto più possibile, cercava di sprigionarlo in ogni respiro. Le si leggeva nel volto, veniva fuori dai capelli, dalle mani, dalla pancia, da ogni suo movimento. Cercava di assaporare ogni granello di quella vita che aveva cercato dovunque. Sì, l'aveva desiderata, se l'era guadagnata, l'aveva bramata in ogni romanzo letto, in ogni racconto scritto o non ancora compiuto.
Aveva viaggiato come un cavaliere errante in lungo e largo nella sua cameretta, convinta che da lì in fondo dovesse partire il suo viaggio. Aveva cercato in ogni tratto qualcosa che la ricollegasse alle sue origini. E infatti erano lì. Negli occhi di sua madre, nelle movenze di suo padre. Il suo volto, a vederlo da fuori, non aveva nulla di strano. Eppure la sua pelle era stata modellata come si fa con il materiale plastico, con i polpastrelli le avevano scavato gli zigomi alti, le labbra prominenti, il viso lungo e affusolato. Nel tempo aveva riconosciuto quella mano, quelle dita. Le lacrime l'avevano aiutata a scavarle le rughette che ora cominciavano a vedersi, le avevano assottigliato il viso, avevano scavato i pensieri come acqua che corrode la roccia. Quando aveva conosciuto quella mano se lo ricordava bene. Si sentiva così forte, indistruttibile, incorruttibile. Eppure lì, proprio quando doveva dar prova e sfoggio delle sue virtù, era crollato tutto. Acqua batteva roccia. Era fatta solo di materiale plastico, si era detta, forse anche di quello scadente, che a vederlo è malleabile e inscalfibile, ma a provarlo è debole, si sfalda, non possiede forza. Non era forte. Difficile accettarlo. E non fu facile capire che quelle mani avrebbero continuato a modellarle il viso in modo irreversibile. Nessuna crema antirughe, nessun miracoloso antidoto poteva vincere. Quelle mani continuavano a modellare, rimodellare, non distruggevano, ma modificavano. Inutile disperarsi. Quando lei cominciò a frugarsi dentro, a cercarsi, non lo sapeva ancora. Non sapeva che ogni tentativo di mandar via quelle mani e i segni che lasciavano sarebbero stati del tutto inutili, non sapeva che quelle mani l'avrebbero accompagnata per sempre. Oggi però ne era consapevole. Prenderne coscienza non era stato affatto facile.
Considerate che per lei ogni cambiamento, in quella vita routinaria che con affanno si trascinava dietro, era da lei considerata come una minaccia alla sua incolumità. Si aggrappava ad una realtà che si era costruita, di cui non poteva fare a meno. Mi spiego meglio, non era folle. Al contrario, era completamente concreta. Vi starete chiedendo cosa può significare essere completamente concreti. Beh, non è poi così difficile. Basta cercare delle abitudini, delle attitudini, persino degli atteggiamenti, delle reazioni coerenti al contesto e all'immagine che si vuole dare. Ripetere il tutto, per tutti i giorni, le settimane, i mesi, gli anni della propria esistenza. Non fu un processo consapevole, ma certamente sapeva che era proprio così che si immaginava. La sua storia non era poi così particolare. Del resto, si era sempre considerata come un ingranaggio di un sistema, un filo di rame, se vogliamo, che insieme ad altri fili di rame componevano un circuito che si andava a collegare ad altri circuiti, in sistemi sempre più complessi. Questo era per lei l'intera società. Come darle torto! E dei tanti individui che compongono una società, lei aveva deciso di essere un individuo qualunque. Un individuo unico, certo. Tutti siamo unici. E per individuo qualunque non intendeva essere un omino senza significato che vagava nel mondo senza uno scopo. Voleva semplicemente stare bene. S'immaginava adulta, un lavoro, circondata dagli affetti, una vita ricca di serenità, un matrimonio, dei figli.
Aveva organizzato le cose in grande. Aveva fatto le liste. Lei viveva di liste. Tassello per tassello, gradino dopo gradino, conquista dopo conquista, amava tirare linee come a dire sì, sì, l'ho fatto, questa è andata, dopo questa una in meno me ne manca. Ma poi mancava a cosa? Non lo sapeva nemmeno lei, se lo sapeva non osava dirlo, se le diceva non si avverava più. E dopo aver tirato una linea, gioiva, si definiva serena, si crogiolava nell'attesa. Sì, avete capito bene. Attesa. Che brutto era l'istante dopo aver tirato la linea. Sedersi all'angolo, guardare il bello, la fatica, con il traguardo tagliato e mettersi ad aspettare che qualcosa di brutto dovesse ancora capitare. Qualcosa deve sempre capitare. Qualcosa di inatteso, qualcosa di inaspettato. Inaspettato, ma che si aspetta. Chi lo sa cos'è? Nessuno. Tutti potevano solo immaginare, ma invano.
Che strano concetto, quello della serenità. Una parola così bella, ma piena di contraddizioni. Cosa vi viene in mente quando parlate di serenità? La pace dei sensi, l'apoteosi del momento, il sudore con il quale si guadagna. La famosa luce in fondo al tunnel. Ma nessuno pensa all'istante immediatamente dopo in cui ci pronunciamo sereni? Lei ci pensava continuamente. A quel momento in cui tutto sarebbe svanito. Diceva che nell'istante esatto in cui qualcuno le chiedeva il suo stato in momenti sereni, non poteva più esserlo. La gente dovrebbe sempre stare attenta a fare certe esternazioni di serenità. Perché, pensava, esiste la serenità, in fondo?
Andria, Istituto Secondario "Padre Nicolò Vaccina", 2004.
Il prof di religione era davvero figo. Tutte lo bramavano. Ma lei non lo bramava in quel senso. Lei non avrebbe mai smesso di ascoltarlo. Quel giorno teneva una gran bella lezione. Nelle sue mani tanti fogli uscivano tutti scarabocchiati da una Moleskine nera, di quelle piene di cultura. Un giorno l'avrebbe avuta anche lei. Lo sapeva.
Bene, la lezione era sui concetti di bene e male, per raccontare dell'occulto da un punto di vista filosofico.
Pensiamo ai concetti di bene e male. Il bene esiste perché si può distinguere dal male. Se non ci fosse il male, che senso avrebbe il concetto di bene?!
Quanto ricordava quella lezione. Quanto l'aveva assorbita. Mai più l'avrebbe dimenticata. Le tornava sempre in mente quando compiva un'azione sbagliata, le si ritorceva contro quando ne compiva una giusta.
Da qui il concetto che tutto, ma proprio tutto ha delle conseguenze. Ed era proprio da qui che partiva nella sua testa la contrapposizione tra serenità e malessere. Da qui avevano origine i suoi problemi.
Era questa la sua paranoia. Come poteva essere serena se la vita le aveva già lanciato degli spoiler, se sapeva che a quella serenità sarebbe sicuramente e perentoriamente seguita un malessere? E durante il malessere avrebbe maledetto il momento di serenità, chiedendosi il motivo per il quale non era riuscita a vivere il momento precedente in cui tutto andava bene. Andava sempre a finire così.
Ci pensava come una disgraziata, affondando il suo sguardo in quella finestra, cercando di ricavare una poesia in quell'immagine di albero spoglio che dava sulla città in cui viveva adesso. Sulle sue gambe il suo Pc, fedele compagno, nelle mani una tazza bollente di tè, di quelle in ceramica fragile, come lei.
Chissà se mai avrebbe sviluppato l'abilità di viversi il momento. Chissà se mai sarebbe stata serena.
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Re: Commento
Ha ragione, sig. Marcello, in questo concordo con lei. Ma in realtà mi piace raccontarmi in questo modo un po' impersonale, una specie di brainstorming con me stessa, che nonostante tutto non porta altro che alla consapevolezza dei miei limiti. Una cosa un po' pirandelliana, in effetti, ora che ci penso. Questo sarebbe stato il mio modo di scrivere il diario, solo che queste pagine ho scelto di destinarle a questo sito. Un modo un po' strano di intendere il diario personale, ma io sono anni che lo scrivo così, ahimè, seppur consapevole della diversità delle regole di un diario.Marcello Rizza ha scritto: 23/11/2020, 14:14 Bello e scritto molto bene. Ma non concorda il titolo perché, a mio avviso, non sono pagine di diario. Puoi spiegarci il titolo? Aspetto a votare per capire meglio. Nel mio racconto, per esempio, il titolo l'ho modificato già a concorso avanzato. In ogni caso, con le spiegazioni che mi convincono sul titolo o con un altro titolo, è un racconto da 5.
Comunque, la ringrazio per il suo apprezzamento. Buona giornata!
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L'angoscia, l'ansia ed il panico sono resi molto bene e ci sentiamo realente imprigionati in queste quattro mura da cui potremmo uscire in qualunque momento. Ho gradito molto la parte delle "mani plasmatrici", originale e ben scritta.
Mi sento però di fare un appunto (oltre a quello sul titolo già citato): non è un racconto vero e proprio. Nel senso che non c'è una vicenda che si svolge e la situazione è statica. Tutto avviene nella mente di un personaggio che agisce molto poco.
Non è un problema in sé: sarebbe un ottimo incipit per un romanzo. Il personaggio è delineato alla perfezione e non c'è nulla da ridire nè sullo stile nè sulla resa. Semplicemente, arrivato alla fine, ho avuto la sensazione che nulla fosse finito o cominciato. Un peccato, perchè ormai mi ero affezionato alla protagonista ed alla sua mente frizzante!
Darò comunque un buon voto perchè mi hai intrattenuto non poco e perchè trovo che il tuo stile sia originale. Ma quel senso di incompletezza, non so... non va via.
Complimenti, e spero di rileggerti ancora!
Gara d'Estate 2021 Sorriso di Rondine
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Qualche nota:
"Non ci credeva Lei non ci credeva." inserirei una virgola dopo credeva.
"Chissà per quanto, pensò." i pensieri li metterei a capo, dopo un punto fermo, per separarli dalla voce narrante in modo da porli in risalto e per non confondere il lettore quando sono lunghi e articolati.
"Una casa, 4 mura in cui si sentiva protetta e libera, 2 lavori, non troppo, il giusto."
I numeri vanno scritti in corsivo, solo le date sopportano e supportano le cifre.
"Se lo sentiva dentro, scorrere, come fosse un liquido caldo," una proposizione arzigogolata. Quel dentro è pleonastico, sgradevole la forma riflessiva e quello scorrere tra virgole.
"Le si leggeva nel volto," quel le è un errore. Il soggetto qui cessa di essere la protagonista e diventa l'amore. Io costruirei la frase in modo diverso.
"Considerate che per lei ogni cambiamento, in quella vita routinaria che con affanno si trascinava dietro, era da lei considerata come una minaccia alla sua incolumità. Si aggrappava ad una realtà che si era costruita, di cui non poteva fare a meno. Mi spiego meglio, non era folle. Al contrario, era completamente concreta. Vi starete chiedendo cosa può significare essere completamente concreti. Beh, non è poi così difficile. Basta cercare delle abitudini, delle attitudini, persino degli atteggiamenti, delle reazioni coerenti al contesto e all'immagine che si vuole dare."
In questo lungo periodo è l'autore che entra in scena e si rivolge ai suoi lettori cambiando tempo verbale, che dal passato vira al presente.
Quindi non solo abbandoni la voce narrante a se stessa, sostituendoti ad essa (come fosse cosa che riguarda l'autore in prima persona e non lei), ma lasci anche il tempo verbale scelto all'inizio della narrazione.
A mio avviso sono tutte cose da non fare. Dovresti fare in modo di lasciar sempre l'autore fuori la porta quando narri di modo che la voce narrante possa spiegare quanto si deve. Rivolgersi ai lettori è poi, per quanto mi riguarda, una pratica spiacevole perché sottintende una complicità, tra autore e lettore, che non esiste in realtà.
Insomma, spero tu abbia capito, e mi fermo qui.
Nel suo complesso questo flusso di coscienza, per esser tale, avrebbe bisogno di liberarsi da qualche incrostazione e, a mio avviso, dovrebbe rinunciare anche a quella forma metaforica che hai provato a dargli.
Spesso fuori dai giusti contesti le forme metaforiche si trasformano, si diluiscono e perdono efficacia, in lunghi periodi allusivi di cui il lettore farebbe volentieri a meno.
Mi pare però che tu abbia parecchia buona stoffa e ottime idee.
Re: Commento
Ti ringrazio, farò tesoro dei tuoi appunti. In realtà molta della punteggiatura non mi sono resa conto che sia stata spazzata via (forse non ho ottimizzato il testo in fase di inserimento dello stesso per la partecipazione della gara). La prossima volta sarà mia premura essere più attenta!Namio Intile ha scritto: 24/11/2020, 11:24 Benvenuta su Bravi Autori.
Qualche nota:
"Non ci credeva Lei non ci credeva." inserirei una virgola dopo credeva.
"Chissà per quanto, pensò." i pensieri li metterei a capo, dopo un punto fermo, per separarli dalla voce narrante in modo da porli in risalto e per non confondere il lettore quando sono lunghi e articolati.
"Una casa, 4 mura in cui si sentiva protetta e libera, 2 lavori, non troppo, il giusto."
I numeri vanno scritti in corsivo, solo le date sopportano e supportano le cifre.
"Se lo sentiva dentro, scorrere, come fosse un liquido caldo," una proposizione arzigogolata. Quel dentro è pleonastico, sgradevole la forma riflessiva e quello scorrere tra virgole.
"Le si leggeva nel volto," quel le è un errore. Il soggetto qui cessa di essere la protagonista e diventa l'amore. Io costruirei la frase in modo diverso.
"Considerate che per lei ogni cambiamento, in quella vita routinaria che con affanno si trascinava dietro, era da lei considerata come una minaccia alla sua incolumità. Si aggrappava ad una realtà che si era costruita, di cui non poteva fare a meno. Mi spiego meglio, non era folle. Al contrario, era completamente concreta. Vi starete chiedendo cosa può significare essere completamente concreti. Beh, non è poi così difficile. Basta cercare delle abitudini, delle attitudini, persino degli atteggiamenti, delle reazioni coerenti al contesto e all'immagine che si vuole dare."
In questo lungo periodo è l'autore che entra in scena e si rivolge ai suoi lettori cambiando tempo verbale, che dal passato vira al presente.
Quindi non solo abbandoni la voce narrante a se stessa, sostituendoti ad essa (come fosse cosa che riguarda l'autore in prima persona e non lei), ma lasci anche il tempo verbale scelto all'inizio della narrazione.
A mio avviso sono tutte cose da non fare. Dovresti fare in modo di lasciar sempre l'autore fuori la porta quando narri di modo che la voce narrante possa spiegare quanto si deve. Rivolgersi ai lettori è poi, per quanto mi riguarda, una pratica spiacevole perché sottintende una complicità, tra autore e lettore, che non esiste in realtà.
Insomma, spero tu abbia capito, e mi fermo qui.
Nel suo complesso questo flusso di coscienza, per esser tale, avrebbe bisogno di liberarsi da qualche incrostazione e, a mio avviso, dovrebbe rinunciare anche a quella forma metaforica che hai provato a dargli.
Spesso fuori dai giusti contesti le forme metaforiche si trasformano, si diluiscono e perdono efficacia, in lunghi periodi allusivi di cui il lettore farebbe volentieri a meno.
Mi pare però che tu abbia parecchia buona stoffa e ottime idee.
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Re: Commento
Scusa, ma mi preme precisare che quello che si pubblica qui nel forum (e nel sito in generale) non viene in alcun modo modificato da nessuno. L'opzione di ottimizzazione del testo, qui, si limita a ottimizzare le spaziature e poco altro, e deve essere un'azione volontaria di chi pubblica il post.Papergirl ha scritto: 24/11/2020, 12:12In realtà molta della punteggiatura non mi sono resa conto che sia stata spazzata via (forse non ho ottimizzato il testo in fase di inserimento dello stesso per la partecipazione della gara). La prossima volta sarà mia premura essere più attenta!
Giusto per non lasciarti in testa dei fraintesi, dato che sei nuova
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l'idea è buona e lo svolgimento non è male, ma probabilmente sei alle prime armi e tanti particolari possono sfuggire.
le descrizioni sono buone, pur non eccellendo, ma nel complesso la storia si fa pesante.
la si legge senza problemi, però con alcune correzioni e modifiche diventerebbe molto più scorrevole.
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Masquerade
antologia AA.VV. di opere ispirate alla maschera nella sua valenza storica, simbolica e psicologica
A cura di Roberto Virdo' e Annamaria Ricco.
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La spina infinita
"La spina infinita" è stato scritto quasi vent'anni fa, quando svolgevo il mio servizio militare obbligatorio, la cosiddetta "naja". In origine era una raccolta di lettere, poi pian piano ho integrato il tutto cercando di dare un senso all'intera opera. Quasi tutto il racconto analizza il servizio di leva, e si chiude con una riflessione, aggiunta recentemente, che riconsidera il tema trattato da un punto di vista più realistico e maturo.
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A cura di Massimo Baglione.
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Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.
La Gara 5 - A modo mio
A cura di Pia.
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La Gara 16 - Cinque personaggi in cerca di storie
A cura di Manuela.
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La Gara 54 - Sotto il cielo d'agosto
A cura di Giorgio Leone.
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