Un raglio infinito

Spazio dedicato alla Gara stagionale d'inverno 2021/2022.

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Athosg
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Un raglio infinito

Messaggio da leggere da Athosg »

Il cartello di metallo arrugginito con scritto CHIUSO sbatteva lentamente contro l’inferriata del campo sportivo.
Dall’esterno non si notava nessun movimento e il silenzio nella campagna era interrotto solo da quel tintinnio sinistro.
I tre ragazzi erano arrivati di gran carriera, e una volta fermi si guardarono smarriti davanti a quella natura morta.
Misero a terra le biciclette e si avvicinarono al cancello d’ingresso.
Franti mosse inutilmente la maniglia.
Era un giovinetto biondo e dinoccolato, dall’aria pensierosa. Si voltò e guardò gli altri due con gesto di sfida, sospirando e grattandosi l’incurvatura del naso. Non era un bravo calciatore, non ci provava nemmeno a giocare. Studioso quanto bastava, s’intravedeva in lui un futuro da fine intellettuale, di quelli con una logica spiazzante, trasversale. Anche i professori si stupivano per quella visione del mondo così particolare. Un filosofo in erba che frequentava amichetti che negli anni a venire avrebbe sicuramente perso di vista, considerato il netto divario d’intelligenza.
I due fratelli Pasztor non si assomigliavano per nulla. Pasztor I era alto e atletico, un felino dallo sguardo cattivo. Un autentico duro. In paese girava la voce che andasse in città a farsi investire. Si metteva vicino alle strisce pedonali vicino agli incroci, e una volta individuata la vittima, generalmente anziana, faceva finta di farsi investire, per ricavare oltre alle scuse impaurite anche qualche banconota. I compagni lo tenevano a distanza o, nella peggiore delle ipotesi, cercavano di tenerselo buono.
Pasztor II era l’esatto opposto. Non molto alto, grasso, bonario e giocherellone. Era amico di tutti, rassicurante nel suo sguardo amichevole, con una vocina stridula che contrastava con la mole robusta del corpo.
“Cazzo, non ci voleva” imprecò Pasztor I.
“Dai, non fa nulla, tra qualche giorno riaprirà” gli rispose il fratello, ricevendo in cambio un’occhiata torva.
Franti rimase in silenzio a fumare. Arrivava da un altro pianeta e guardava la scena con tranquilla curiosità.
“Ve lo avevo detto” sbottò.
“Che cosa è successo a Mangiafuoco?” chiese Pasztor I.
“Ha preso una pallonata sul naso che non gli permette di stare in piedi per più di venti secondi, poi si deve sedere e appoggiare la schiena. L’hanno messo in malattia e non c’è un custode di riserva. E’ stato Csonakos con un gran tiro a giro” gli rispose Franti.
Nonostante non giocasse a pallone, gli piaceva andare a vedere i compagni di classe all’allenamento. Si presentava sempre vestito da damerino, con un paio di stivaletti di camoscio beige che rimanevano sempre lindi e vergini, anche quando pioveva e il fango occupava gran parte della viuzza per accedere alla panchina. Era sempre stata un mistero quella purezza degli stivaletti, e Franti ne andava orgoglioso, gridando e spingendo chi gli si avvicinava o addirittura tentava di infangarglieli di proposito.
“Che facciamo ragazzi? Si fa un giro in bici?”
La giornata settembrina era ancora calda.
“No. Andiamo a casa” gli rispose Pasztor I.
“Ok, ok, sei nervoso. Avresti voglia di giocare a pallone ma non puoi. Impara ad aspettare il tuo turno. Dovresti imparare dalla Francy, che…”
“Franti, vaffanculo. Vaffanculo e vaffanculo.”
I due ragazzi non si sopportavano e quella provocazione studiata a tavolino colpiva sempre nel segno. Franti non aveva paura di quel bullo, lo teneva sulla corda e si faceva rispettare.
Pasztor II era seduto su un cumulo di terra e osservava muto la scena.
Franti sbuffò e si accese l’ennesima sigaretta.
In piedi, emettendo fumo con la bocca a culo di gallina, si atteggiava ai poeti maledetti dell’ottocento. S’ispirava spesso a Baudelaire, da una foto che aveva visto leggendo I fiori del male. Aveva trovato il volume nella libreria di sua madre e subito l'immaginazione si era incendiata. Amava la figura del dandy, così lontano dagli idoli dei ragazzini tutto calcio e youtube.
“Imbecille, guarda che sta prendendo fuoco la sterpaglia” gridò Pasztor I tutt’a un tratto.
Gli altri due si guardarono sorpresi per poi voltarsi verso quest’ultimo.
Pasztor I si alzò da terra e tutto agitato gridò di nuovo.
“Brucia tutto! Al fuoco!”
Il cerino usato da Franti era finito su un piccolo rovo giallastro, seccato dall’arsura di quell’estate. La pianta aveva preso subito fuoco. La siccità dei mesi precedenti aveva inaridito tutto intorno al campo sportivo e Franti, come i bambini colti in flagrante, inizialmente reagì alzando le spalle fregandosene dell’avvertimento.
Il fuoco ormai aveva avviluppato quel piccolo rovo e si stava propagando intorno.
Franti si spaventò e corse verso l’incendio. Ci saltò sopra con veemenza, con le sue scarpe candide a punta. Impaurito, prese il giubbetto di renna e lo usò a mo’ di coperta. Anche gli altri corsero lì, e cominciarono a saltare e a sputare.
Pasztor II prese della terra e la lanciò sulle fiamme. Come impazziti, tutti correvano cercando di arginare il fuoco.
Franti, sudatissimo e rosso in viso, cominciò ad ansimare. Respirava a fatica, perché non era abituato ai grandi sforzi. Si girò verso il portone per cercare dell’acqua, sperando di trovare un qualsiasi tubo di gomma, di quelli utilizzati per bagnare il campo. Fatica inutile dietro di loro c’era solo il cancello con quel maledetto cartello tintinnante.
Il fuoco si stava ormai propagando alle robinie lì vicine, e le piccole lingue giallo-rossastre cominciavano a salire sempre più, allargandosi di albero in albero. I tre si guardarono in faccia stanchi e sudati, inermi al cospetto del crepitare delle fiamme.
“Sei stato tu” disse Pasztor II.
Franti sentì l’accusa del più buono dei due fratelli come un ago che gli si conficcava nel costato. Non disse nulla. Il giubbetto era ormai mezzo bruciato e le scarpe si erano sporcate nel tentativo di spegnere il fuoco. Gli s’inumidirono gli occhi. Volse lo sguardo intorno, smarrito e indifeso, mentre il calore cominciava a farsi sentire.
Tutti si precipitarono verso le biciclette. Una volta giunti sulla stradina sassosa, cominciarono a pedalare forte.
Superarono la salita con fatica, per imboccare poi la discesa che portava alla strada principale. Continuarono a pedalare a tutta forza.
In cinque minuti arrivarono sulla provinciale. Franti fermò gli altri due.
“Ricordatevi che siamo in tre” disse veloce.
I due fratelli lo guardarono. Erano stravolti, la fatica e la paura aveva modificato i loro grezzi lineamenti. Rimasero in silenzio per qualche attimo e poi ripartirono verso casa. Franti li osservò pedalare a tutta birra e urlò ancora “Siamo in tre.”
Ripartì, attraversando la strada senza guardare. Non passava nessuna macchina e così poté continuare la sua corsa.
Pedalava a tutta velocità, sentendo che le forze stavano per finire. Guardò verso sinistra e vide le fiamme che avviluppavano il bosco. Nel monotono mulinare delle pedivelle si guardava le scarpe sporche, sentendo una gran puzza di merda e di bruciato. Erano arrivate alla fine dei loro giorni e lui non sapeva come spiegarlo a suo padre e a sua madre.
Dopo un quarto d’ora arrivò a casa. I suoi genitori erano ancora al lavoro. Si diresse subito in cantina. Tolse le scarpe e aprì il rubinetto della lavanderia. Le mise sotto l’acqua, cominciando a pulirle. Prese una spazzola trovata sul pianale vicino alla lavatrice. Fregò con forza, gridando e piangendo.
“Dai, dai, bastarde!”
In un primo momento sembrò che le scarpe stessero tornando alla loro antica purezza. “Daiiii, daiiii…” gridava come un invasato. Poi cadde in ginocchio e si sedette contro il muro. La spazzola gialla aveva grosse setole di plastica dura e le scarpe ora erano tutte rigate. Pianse davanti all’irreparabile mutilazione del camoscio vellutato che le ricopriva. Ora sembravano stivaletti da vachero, macchiati e duri, gli mancavano solo gli speroni.
Dopo qualche minuto di scoramento riprese il controllo della situazione. Doveva cercare una scusa con i suoi genitori.
Sapeva che avrebbe dovuto fare l’attore, interpretare un ragazzetto che spaventato dalla visione di qualche piccola macchia aveva cercato di eliminarla e così facendo aveva combinato un bel guaio. Avrebbe dovuto essere pronto nel simulare l’angoscia provata pochi minuti prima. Doveva guardare negli occhi soprattutto sua madre con l’atteggiamento contrito di un povero disgraziato che aveva commesso l’errore e cercava perdono.
E il giubbetto? Lo aveva perso, oppure glielo avevano rubato. Con calma avrebbe pensato alle due possibilità.
Si accese una sigaretta e gettò il cerino nello scarico del lavello.
A piedi nudi, con i calzini azzurri a far bella mostra, sorrise e cominciò a pensare all’incendio. Era stata una giornata disastrosa e per il momento nessuno lo sapeva. Doveva studiare tutti i piani, prima che tutto il mondo ne avesse saputo, e lui avrebbe cercato di sfangarla.
“Aaaaahhhhhhhhhh!” gridò a voce alta nella lavanderia e tutto rimbombò intorno a lui.
Non poteva rimanere fermo ad aspettare. Si rimise gli stivaletti modello vachero e riprese la bicicletta. Uscì a testa bassa per non incrociare lo sguardo di nessuno e ritornò sulla strada principale. Cominciò a pedalare impazzito, con il sudore negli occhi e lo sguardo fisso sulla strada.
In dieci minuti percorse quasi tutto il tragitto fino al campo sportivo. Da un lato la lunga distesa dei campi di granturco imbionditi dal sole di quella calda estate e dall’altro il rumore del fuoco, il suo leggero crepitare nelle fiamme alte che non trovavano ostacolo al loro avanzare. Il bosco indifeso soccombeva, illuminando di rosso l’orizzonte.
Proseguendo, incontrò un signore che conosceva di vista.
“Che è successo?” chiese con il cuore in gola.
“E non lo vedi? Qualche coglione ha appiccato il fuoco al bosco. Gli taglierei la gola a un pirla simile!” gli rispose l’uomo molto arrabbiato.
Franti lo guardò stranito e ripartì. Dopo una curva a gomito, intraprese un piccolo rettilineo. Al termine si apriva un incrocio. Ogni accesso era chiuso al traffico e molte persone erano accorse curiose a vedere lo spettacolo. Poco lontano si vedeva un grande capannone che stava per essere inghiottito dal fuoco.
“Che disastro, Dio che disastro.” Un uomo si teneva la testa tra le mani e urlava.
I pompieri erano già in azione. Tre camion cisterna e un paio di vetture. Lunghi getti d’acqua erano sparati sulle mura pericolanti in fiamme. Si udiva chiaramente lo sbattere delle mucche terrorizzate lungo i rettilinei delle mangiatoie, un ammasso di carne e mammelle muggiva di dolore e di terrore. Anche le povere bestie stavano per essere divorate dal fuoco.
All’improvviso un raglio infinito sezionò l’aria.
Un asino, completamene avvolto dalle fiamme, correva impazzito nel recinto. Era riuscito a fuggire dalla stalla, con la forza della disperazione aveva trovato un pertugio e vi si era infilato. Il fuoco gli dilaniava le carni. Piange, pensò Franti impressionato. L’asino era diventato una torcia, si dibatteva rovesciandosi a terra, rialzandosi accecato e andando a sbattere contro il muro e poi ritornare verso la staccionata. Uno, dieci, centomila ragli perforarono le orecchie di Franti, che chiuse gli occhi in silenzio.
Ritornò verso la bicicletta e si rimise in strada. Ora la pedalata era leggera e armoniosa, sembrava che il mezzo si spostasse da solo. Rientrò a casa senza accorgersene, e la trovò ancora vuota. I suoi genitori erano sicuramente corsi sul posto dell’incendio. Si sdraiò sul letto, così com’era. Stanco e sudato, con gli stivaletti da vachero.
Li attese e appena sentì aprire la porta chiamò sua madre. Disse che aveva mal di pancia. Lei con la solita premura gli preparò una minestrina di riso. Mangiò in fretta e andò a letto. Era venerdì sera, aveva a disposizione un intero fine settimana per pensare al da farsi. Prese un foglio di carta e scrisse alcune regole. Doveva essere inflessibile e deciso nel seguirle.

- Stare zitto.
- Far finta di essere sereno perché l’accaduto non lo sfiorava nemmeno.
- Se le cose avessero preso una brutta piega, doveva negare tutto. Negare sempre.
- Doveva attendere qualche giorno, poi tutto si sarebbe calmato.
- Nell’eventualità di essere messo alle strette, avrebbe potuto ribaltare l’accusa verso i fratelli Pasztor. Avevano una fama poco raccomandabile che calzava a pennello con la situazione.

Si addormentò in un sonno agitato, pieno di mille colori, dove a tratti echeggiava il raglio disperato di quell’asino morente.
Il giorno dopo lesse l’articolo del giornale. In quell’incendio erano morte ventisette mucche e un asino. Fece finta di nulla a tavola, mentre i suoi genitori ne discutevano.
“Sarà stato uno delle giostre” disse suo padre.
“Matteo, come fai a saperlo?”
“L’ha detto Giorgia, la moglie del macellaio. Quando c’è qualche festa nei dintorni, puntualmente accade qualcosa di strano. Chissà come mai!
Sua madre guardò il marito e scosse la testa.
“Matteo, ho letto l’articolo attentamente. E’ stato un incendio fortuito, non c’è nulla di doloso. Per accendere un fuoco potrebbe bastare un fiammifero gettato così, in maniera stupida.”
“Beh…sì…in effetti può essere come dici. Però Giorgia era sicura nel dire quello che diceva. Io le credo. Si è anche giocata i numeri al lotto: ventisette per le mucche, uno per l’asino e sessantacinque per lo straniero che ha appiccato il fuoco.”
“Li hai giocati anche tu?”
“Sì”
“Allora speriamo di vincere” rispose la madre.
Franti continuò a non parlare. La testa frullava come uno spremiagrumi nel tentativo di trovare un appiglio per cambiare discorso. Tanta era la paura di essere scoperto. Sua madre lo avrebbe perdonato ma suo padre sicuramente no.
Molto probabilmente aveva già fatto il solito comizio nei bar per addossare la colpa a qualche extracomunitario. Non sopportava i diversi e se fosse trapelato che dietro l’incendio c’era la mano di suo figlio, la frittata sarebbe diventata troppo appiccicosa.
Finito di pranzare andò in bagno.
Si guardò nello specchio. Sapeva che il raglio dell’asino lo avrebbe svegliato ancora nel cuore della notte. Era il suo destino ormai.
Pianse.
L’esile corpo era scosso da violenti colpi di tosse che cercava di soffocare con un asciugamano. Come si sarebbe comportato Baudelaire? Cos’avrebbe detto o non detto, si chiese.
Vomitò tutto quello che aveva mangiato.
Una volta svuotato lo stomaco si sentì leggero e libero. Si lavò la faccia e scoprì di essere forte, nonostante stesse scivolando in una voragine senza fine. Provò una sensazione di ribrezzo verso se stesso per la codardia studiata per deviare il corso degli eventi. Non è l’errore che fa piccolo l’uomo, pensò, e affermare la verità al mondo lo avrebbe salvato.
Uscì dal bagno e andò in camera. Doveva spiegare ai suoi genitori che le scarpe e il giubbetto si erano irrimediabilmente rovinati nel tentativo di arginare l’incendio. E doveva confessare la sua colpa, quella stupida leggerezza di gettare un fiammifero non ancora spento in quella selva gialla e secca.
Ora aveva solo bisogno di riposare e non pensare. Mise le cuffie e accese lo stereo. Una musica eterea gli riempì la mente. Guardò la copertina di Atom Heart Mother dei Pink Floyd. Sorrise amaro nel vedere la mucca che lo osservava.
Prima di immergersi nello spleen, si ripromise di andare dal sindaco a vuotare il sacco della sua coscienza. Era il padre di un suo compagno di scuola e di lui si fidava.
Egidio
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Messaggio da leggere da Egidio »

Questo racconto ha uno stile narrativo che inquadra le situazioni in modo efficace, dettagliato. La forma è curata, corretta. E poi, il protagonista ha, tra i suoi idoli Baudelaire, poeta che è stato un punto di riferimento dei miei vent'anni. Per me, è scritto molto bene e anche la trama è interessante.
Macrelli Piero
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Messaggio da leggere da Macrelli Piero »

Non ho mai creduto al potere redentivo della confessione né in campo spirituale né in quello civile. La colpa te la tieni e te la elabori. Ma il personaggio agisce con una sua autonomia e così sia. Anche a me è sembrato troppo lungo per un racconto breve e troppo breve per poter sviluppare tutti gli aspetti. Siccome devo sempre dire la mia, lo farò anche adesso. Vedrei il finale con la malinconia e presa d'atto di come vanno le cose, come avviene nel finale (straziante) de "I Ragazzi Della Via Pal".
Andr60
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Messaggio da leggere da Andr60 »

Tra Cuore e i ragazzi della via Pal, la storia di una leggerezza che diventa una catastrofe per il piccolo paese dei protagonisti.
Franti andrà davvero dal sindaco a confessare di essere stato lui? Se il nome è un segnale, probabilmente no. Avere buoni propositi è una cosa, realizzarli è tutt'altra.
ElianaF
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Commento: Un raglio infinito

Messaggio da leggere da ElianaF »

Particolare la scelta del nome dei personaggi, che li caratterizza fin dal principio. Ben descritta la scena dell'asino che brucia.
La frase "Era un giovinetto biondo e dinoccolato, dall’aria pensierosa." introduce uno stile che non viene poi mantenuto nel resto del racconto
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Fausto Scatoli
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Messaggio da leggere da Fausto Scatoli »

storia di una leggerezza trasformatasi in dramma, almeno così mi pare.
dramma che sembra elaborato dal protagonista dopo aver assistito ad alcune scene tremende ma che, indipendentemente dal pensiero dell'autore, non credo andrà a confessare le proprie colpe.
perlomeno questo è quanto mi esce dalla lettura, naturalmente è la mia interpretazione e niente altro.
scritto piuttosto bene e con buone descrizioni, è scorrevole e si lascia leggere benissimo.
l'unico modo per non rimpiangere il passato e non pensare al futuro è vivere il presente
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Temistocle
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Messaggio da leggere da Temistocle »

Un po' lungo, ma l'ho letto fino alla fine perché mi è piaciuto. Io, a differenza di altri qui sopra, credo che una confessione (laica o religiosa) possa cambiare la situazione, perché vuol dire guardare fino in fondo la realtà, affrontarla, dare verotà alla storia. Le cose che accadono non sono fatti separati gli uni dagli altri, ma parte di un tutto di cui facciamo parte anche noi con le nostre azioni e reazioni. La confessione di Franti non avrebbe ridato vita alle mucche e all'asino, ma avrebbe messo la storia nella giusta posizione, l'avrebbe resa corretta, non 'sbagliata'.
Namio Intile
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Messaggio da leggere da Namio Intile »

Uno dei racconti migliori in gara. La tua prosa è come sempre molto curata e attenta ai dettagli con le quali dimostri una cura per il lettore. Al di là dei riferimenti al romanzo di Molnar il racconto non riprende i temi di quell'opera e si concentra sul senso di colpa. Il Franti,che ricorda un'altra opera di narrativa per ragazzi, vive quella disattenzione che ha causato una discreta distruzione nel paese in cui vive come una responsabilità personale, una orribile macchia. Ottima la caratterizzazione maniacale del suo carattere, con le scarpe pulitissime e il giubbetto sempre in ordine, e quel rapporto viziato con la madre da cui sembra discendere la sua insicurezza e il sentimento di ribellione che si manifesta nella lettura dei Fiori del Male scoperti però proprio nella libreria della madre.
Se proprio devo farti un appunto sta nel non aver approfittato dell'occasione da te stesso creata per approfondire il rapporto tra il Franti e la madre.
A rileggerti.
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Giovanni p
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Messaggio da leggere da Giovanni p »

Un bel racconto, anche se il finale mi ha un po' deluso. C'è secondo me qualche errore di punteggiatura. Il racconto è carico di emozioni e Franti riesce ad essere un personaggio di spessore. La scrittura scivola bene.
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Alberto Marcolli
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Commento Un raglio infinito

Messaggio da leggere da Alberto Marcolli »

Refuso
Un asino, completamene avvolto

Personali proposte:
che frequentava amichetti che -- uso del che in sole 4 parole
città a farsi investire... di farsi investire, -- ripetizione
metteva vicino alle strisce pedonali vicino agli incroci ---- vicino... vicino
Si presentava sempre vestito da ... sempre lindi e vergini,.. Era sempre stata – tre sempre in tre righe

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Senza l’uso dei cerini non avrebbe retto la storia dell’incendio, ma un fumatore incallito come Franti che si accende le sigarette con i cerini mi porta indietro, come minimo, agli anni cinquanta, anche se già allora esistevano gli accendini a benzina.
La dinamica della storia appare, a mio parere, molto costruita e poco verosimile.
Un particolare fra tutti. Un asino e ventisette mucche chiuse in una stalla dalle pareti di legno, altrimenti come avrebbero potuto prendere fuoco anche all’interno? E poi: una stalla costruita al limitare di un bosco e nessun contadino nei paraggi, pronto a intervenire? Sono abbastanza pratico di stalle e allevamento di bovini per ritenere la faccenda del tutto improbabile.

Detto questo, il racconto si lascia leggere e la capacita narrativa dello scrittore è indiscutibile.
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Domenico Gigante
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Messaggio da leggere da Domenico Gigante »

L'ho apprezzato molto. La narrazione scorre fluida e non ho sentito la fatica della pur ampia lunghezza. La cosa che mi ha colpito, oltre alla caratterizzazione dei personaggi, è il modo in cui hai penetrato lo stato d'animo e i il lavoro della coscienza del Franti, pur non sottraendo nulla al racconto degli eventi; anzi riuscendo pienamente a fondere le due parti tra il tumulto dei pensieri e l'agitazione fisica del protagonista. Anche il finale aperto lo trovo molto efficace: so per esperienza personale che Franti non riemergerà dallo spleen con la stessa sicurezza e convinzione di intenti con la quale vi è disceso. D'altra parte è un dandy. egocentrico, individualista e vezzeggiato, con problemi evidenti con il suo lato sociale e morale. A rileggerti.
Vorrei essere il mare che si muove per rimanere se stesso e più di tanto non lo sposta il vento. Fragile ma tenace.
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Roberto Bonfanti
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Messaggio da leggere da Roberto Bonfanti »

Un buon racconto, con forse troppe sottotrame che non si evolvono (i due fratelli Pasztor che a un certo punto spariscono dalla narrazione, i numeri giocati al lotto, il rapporto con la madre ecc.) e un finale lasciato aperto (Franti confesserà o no? Propenderei per la seconda ipotesi, vista l’indole dell’aspirante dandy).
Pensavo che il racconto fosse ambientato negli anni ’70: quale adolescente di oggi si metterebbe ad ascoltare Athom Heart Mother, per di più con lo stereo e le cuffie? Anche il vestiario di Franti va in quella direzione, con gli stivaletti a punta e il giubbotto di renna, nonché i fiammiferi. Però si accenna a youtube…
Avrei scritto vaquero piuttosto che vachero.
Al netto di queste considerazioni mi è piaciuto, per la scrittura, la trama e la resa dei personaggi, forse lo asciugherei o svilupperei i punti che ho indicato.
Che ci vuole a scrivere un libro? Leggerlo è la fatica. (Gesualdo Bufalino)
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Stefano M.
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Messaggio da leggere da Stefano M. »

Verrebbe da dire “I Ragazzi della Via Pal” crescono, leggendo questo racconto. Ne è rimasto qualcuno in meno, ma le dinamiche ci sono tutte. Non me ne vogliano gli altri, ma per molti aspetti lo valuto come il migliore letto fino ad ora. Stile semplice e pulito, correttamente adolescenziale, che non si perde in vuoti virtuosismi ma arriva dritto al punto. Il personaggio principale è molto ben delineato e (soprattutto) credibile: pensa, parla e agisce come un vero ragazzino, con le sue incongruenze, inesperienze e qualche trauma che non guasta mai. Davvero i miei complimenti all’autore, un “5” ben meritato!
Ultima modifica di Stefano M. il 16/03/2022, 11:20, modificato 2 volte in totale.
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Massimo Baglione
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Re: Un raglio infinito

Messaggio da leggere da Massimo Baglione »

Ricordatevi di specificare esattamente "Commento" nel campo "Titolo" del messaggio usato per commentare i racconti (senza prefissi come "Re:" o altro), altrimenti non verranno conteggiati dal sistema, grazie!
Se invece state solo rispondendo, non serve specificare.
Ricordatevi anche che il testo del commento deve essere lungo almeno 200 battute.
Vi rimando alle istruzioni delle Gare letterarie.
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Marino Maiorino
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Messaggio da leggere da Marino Maiorino »

Buonissimo!
C'è un livello di introspezione estremamente difficile da raggiungere (a mio avviso), che ha a che vedere con l'infanzia/adolescenza. È difficile perché la società in genere tilda negativamente quasi tutto ciò che ha a che vedere con quell'età, soprattutto quando si faccia il paragone con "i problemi dei grandi".
Qui invece c'è un terribile, bellissimo, veritiero racconto di crescita, con un protagonista perfettamente interpretato.
Nulla da eccepire, nemmeno nei dettagli e risvolti psicologici così ben tratteggiati.
«Amare, sia per il corpo che per l'anima, significa creare nella bellezza» - Diotima

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Calendario BraviAutori.it "Writer Factor" 2014 - (a colori)

Calendario BraviAutori.it "Writer Factor" 2014 - (a colori)

(edizione 2014, 6,30 MB)

Autori partecipanti: Valeria Barbera, nwMarco Bertoli, Lucia Carpenetti, Antonella Cavallo, nwAngela Di Salvo, Sandra Ludovici, nwEliseo Palumbo, Antonella Pighin, nwDaniela Rossi, Franca Scapellato, nwSer Stefano, Lia Tomasich,
A cura di Tullio Aragona.
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Alcuni esempi di nostri libri autoprodotti:


I sette vizi capitali

I sette vizi capitali

antologia AA.VV. di opere ispirate alle inclinazioni profonde, morali e comportamentali dell'anima umana

A cura di Massimo Baglione.

Contiene opere di: nwMarco Bertoli, Federico Mauri, Emilia Pietropaolo, nwFrancesca Paolucci, nwEnrico Teodorani, nwUmberto Pasqui, Lidia Napoli, nwAlessandro Mazzi, Monica Galli, nwAndrea Teodorani, nwLaura Traverso, nwNicolandrea Riccio, nwF. T. Leo, Francesco Pino, nwFranco Giori, Valentino Poppi, Stefania Paganelli, nwSelene Barblan, Caterina Petrini, nwFausto Scatoli, nwAndr60, Eliana Farotto.

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Le radici del Terrore

Le radici del Terrore

Antologia di opere ispirate agli scritti e all'universo lovecraftiano

Questa antologia nasce dalla sinergia tra le associazioni culturali BraviAutori ed Electric Sheep Comics con lo scopo di rendere omaggio alle opere e all'universo immaginifico di Howard Phillips Lovecraft. Le ventitrì opere selezionate hanno come riferimento la narrativa "lovecraftiana" incentrata sui racconti del ciclo di Cthulhu, già fonte di ispirazione non solo per scrittori affermati come Stephen King, ma anche in produzioni cinematografiche, musicali e fumettistiche. Il motivo di tanto successo è da ricercare in quell'universo incredibile e "indicibile", fatto di personaggi e creature che trascendono il Tempo e sono una rappresentazione dell'Essere umano e delle paure che lo circondano: l'ignoto e l'infinito, entrambi letti come metafore dell'inconscio.
A cura di Massimo Baglione e Roberto Napolitano.
Copertina di Gino Andrea Carosini.

Contiene opere di: Silvano Calligari, nwEnrico Teodorani, nwRona, Lellinux, Marcello Colombo, nwSonja Radaelli, Pasquale Aversano, Adrio the boss, Benedetta Melandri, Roberta Lilliu, nwUmberto Pasqui, nwEliseo Palumbo, Carmine Cantile, nwAndrea Casella, Elena Giannottu, nwAndrea Teodorani, Sandra Ludovici, Eva Bassa, nwAngela Catalini, Francesca Di Silvio, nwAnna Rita Foschini, Antonella Cavallo, Arianna Restelli.
Special guests: gli illustratori americani e spagnolo Harry O. Morris, Joe Vigil and Enrique Badìa Romero.

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Masquerade

Masquerade

antologia AA.VV. di opere ispirate alla maschera nella sua valenza storica, simbolica e psicologica

A cura di Roberto Virdo' e Annamaria Ricco.

Contiene opere di: Silvia Saullo, Sandro Ferraro, Luca Cenni, nwGabriele Pagani, Paolo Durando, Eliana Farotto, nwMarina Lolli, nwNicolandrea Riccio, nwFrancesca Paolucci, nwMarcello Rizza, nwLaura Traverso, nwNuovoautore, nwIda Daneri, Mario Malgieri, nwPaola Tassinari, nwRemo Badoer, nwMaria Cristina Tacchini, Alex Montrasio, Monica Galli, nwNamio Intile, nwFranco Giori.

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