Il merlo indiano
Il merlo indiano
Quella mattina la donna, appena sveglia, dopo una spiccia toelette nel bagno, di fronte allo specchio, aprì, come suo solito, la grande porta-finestra che dava sul terrazzo. Questo allo scopo di inondare di luce la stanza, favorendo il risveglio dei figli, altrimenti restii ad abbandonare le braccia di Morfeo, e cambiare l’aria viziata delle ore notturne.
Fuori il cielo era di un azzurro assoluto. Si prospettava un’altra bella giornata di sole, di spiaggia e di mare. “Bambini, su, fuori dal letto!” esclamò spazientita, visto che non aveva notato nessun movimento sotto le coperte. Lentamente, un po’ come lo spuntare dei funghi, emersero prima un braccino, poi l’altro, quindi la testolina arruffata del primogenito, seguito subito dopo dal fratellino. Si udirono due lunghi sbadigli. Nel frattempo la mamma si occupava di far alzare la più piccina.
Improvvisamente, dall’infisso spalancato entrò un grosso “coso” nero e volò in cima all’armadio, accanto a una borchia di metallo dorato e lucente di una delle valige. L’attenzione di tutti fu subito catturata dall’intruso e la donna, dopo alcuni attimi di smarrimento, osservandolo meglio, notò che il “coso” altro non era se non un uccello, di dimensioni intermedie tra quelle di un merlo e di un corvo, dal piumaggio nero con riflessi azzurro-acciaio.
Pensò che, probabilmente, dovesse trattarsi di una gazza attratta dal luccicare della parte metallica che, effettivamente, stava tentando di afferrare col becco ricurvo, giallo-aranciato.
“Mamma, mamma! Cos’è quello? Un pappagallo?” chiese il bambino di età intermedia. “No, stupido! Non vedi che è un piccione?” l’altro ribatté. “Credo si tratti di una gazza ladra, attirata da quell'oggetto luccicante” la madre rispose, tentando una precisazione.
Frattanto, il grosso uccello centuplicava gli sforzi nel tentativo di staccare la borchia dal resto della valigia, producendo un forte rumore.
La bimba più piccola che, in un primo tempo, aveva osservato tutta la scena con espressione attonita, fu presa da improvvisa paura per quel “coso” che si dimenava sull’armadio e scoppiò in un pianto disperato.
La donna, allora, decise di cacciare quell’uccellaccio dalla stanza. Salì, in piedi, sopra il letto più vicino all’armadio e, brandendo un rotocalco, tentò di colpire il volatile gridando: “Sciò, sciò, va' fuori! va' fuori!” Sulle prime l’animale tentò di resistere, opponendo colpi di becco ai colpi di giornale; poi, forse spaventato a sua volta, desistette dal proposito di sottrarre quell’ oggetto luccicante e con pochi colpi d’ala volò fuori dalla stanza, scomparendo alla vista.
Passati che furono nemmeno cinque minuti, si udì un forte bussare dietro la porta e un parlare concitato di due voci maschili. La giovane donna andò ad aprire e si trovò di fronte due buffi individui, dei quali, uno teneva in mano un grosso retino per ornitologia che produceva un esilarante effetto “da vispa Teresa”. “Allora, dov’è?” chiese quello senza retino. “L’abbiamo visto entrare qui!” “Ah! Si riferisce alla gazza, mi dispiace, ma l’ho appena cacciata via! Sa, mi spaventava la bambina!” L’uomo assunse un’espressione sconsolata e disse: “Ma quale gazza, signora! È un rarissimo esemplare di una sottospecie di Gracula religiosa, comunemente nota come “merlo indiano”. È fuggito dalla voliera dello zoo comunale. C’è una grossa somma come premio per chi lo cattura o vi contribuisce fornendo utili informazioni. Sono ore che gli stiamo dando la caccia!” La donna si scusò, adducendo a sua discolpa le proprie scarse conoscenze in campo zoologico. “Non si preoccupi, signora, lei non ha nessuna colpa” concluse l’uomo. Poi, i due si congedarono. La donna li osservò dalla finestra, mentre perlustravano i paraggi, con appresso quello strano retino. Poi sparirono alla vista. Passò una mezzora. Erano pronti per scendere a colazione.
“Ciao!” udirono distintamente provenire dal terrazzo. Il merlo indiano era lì e li osservava, come in attesa. La donna prese il telefono e, dopo averlo cercato sulla guida, compose il numero dello zoo…
Poi intimò alla prole di fare silenzio e attese…
Il merlo, per nulla impaurito, entrò volando direttamente sulla valigia e ricominciò a provare, a colpi di becco, a staccare la borchia. Nel contempo ripeteva: “ Ciao! Come ti chiami? Io mi chiamo Carlo”. - E poi, mentre si accaniva contro la borchia disse, rivolto all'oggetto: - Non crederai di farla in piuma a me, maledetto gioiello! Quella signora cattiva ti ha fisssto a questo contenitore di vestiti per evitare di essere derubata. E' riuscita a scacciarmi una prima volta. Ma io non mi sono arreso e sono tornato. - Dapprima la donna penso'di aver avuto un'allucinazione, ma poi s'arrese all"evidenza e penso' che da quello straordinario pennuto avrebbe potuto ricavare una fortuna...
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Ma entriamo nel merito del racconto. Simpatico, lineare e gradevole. Aggettivi positivi, ma che potrebbero non soddisfare l'autore, ma di più non so dire con sicurezza.
Invece mi piacerebbe parlare di punteggiatura: è giusta? è sbagliata? Quelle virgole sono troppe? Per me che ho difficolta con le regole della punteggiatura quelle virgole sono troppe. Ho ripreso a studiare grammatica e sintassi, ma di manuali sull'uso della punteggiatura non c'è molto e , a volte, sono in contrasto. Mistero.
- Alberto Marcolli
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Commento Il merlo indiano
La camera da letto – basta “La camera”
Questo, allo scopo di – io toglierei la virgola
e di cambiare – io direi “ e cambiare”
era d’un azzurro – io direi “era di un azzurro”
la mamma s’occupava - - direi “si occupava”
Commento al finale del racconto
Pensare che la mamma possa meritare un lauto compenso mi sembra dura. Con il merlo nella camera sarebbe bastato chiudere la finestra per catturarlo, ma con il merlo libero sul terrazzo tutto lascia supporre che il grosso uccello si voglia semplicemente divertire, non certo farsi prendere.
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ho trovato il tuo racconto semplice e lineare, oltre che piacevole da leggere. Personalmente avrei creato più mistero intorno a quel “coso nero”, tenendo magari il lettore un po' sulle spine ma, se capisco bene, a te piace fare delle istantanee di vita vissuta senza aggiungere orpelli e infiorettature che, oltretutto, potrebbero andare a danno della chiarezza del racconto stesso. Voto 4.
Re: Il merlo indiano
La camera da letto – basta “La camera”
Questo, allo scopo di – io toglierei la virgola
e di cambiare – io direi “ e cambiare”
era d’un azzurro – io direi “era di un azzurro”
la mamma s’occupava - - direi “si occupava”
Commento al finale del racconto
Pensare che la mamma possa meritare un lauto compenso mi sembra dura. Con il merlo nella camera sarebbe bastato chiudere la finestra per catturarlo, ma con il merlo libero sul terrazzo tutto lascia supporre che si voglia semplicemente divertire, non certo farsi prendere.
Grazie per le correzioni. Per il finale, io avevo ipotizzato che il merlo indiano fosse in attesa di poter rientrare e riprovarci con la borchia. La donna, perlomeno, lo sperava (avrebbe fatto stare tutti immobili e in silenzio). Oppure, meglio ancora, segnalando la posizione del volatile sperava di contribuire alla cattura, il che le avrebbe assicurato comunque la ricompensa.
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Difficile che nel parlato una mamma ripeta "luccichio della borchia" per spiegare a un figlio piccolo la presenza dell'uccello nella stanza.
Mi è piaciuto invece quella "spiccia toelette", quasi un ossimoro, anche se forse è "toeletta.
Un po' abusate le "braccia di Morfeo" e la "lauta ricompensa".
Nel complesso carino, con un finale aperto eh eh.
Re: Il merlo indiano
Piacevole. A volte un po' ridondante (anni… d'età, occorre specificare?)
Difficile che nel parlato una mamma ripeta "luccichio della borchia" per spiegare a un figlio piccolo la presenza dell'uccello nella stanza.
Mi è piaciuto invece quella "spiccia toelette", quasi un ossimoro, anche se forse è "toeletta.
Un po' abusate le "braccia di Morfeo" e la "lauta ricompensa".
Nel complesso carino, con un finale aperto eh eh.
RobediKarta
Condivido in parte le tue osservazioni sulla forma. intanto, grazie per il gradimento. Correggerò la ridondanza, " luccichio della borchia", "lauta ricompensa". Lascerò, invece, toelette (francesismo): in origine, prima del copia-incolla c'era il corsivo. Non modificherò neppure le "braccia di Morfeo" perché, nel contesto, ci sta bene (a mio parere).
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Re: Il merlo indiano
Commento: Il merlo indiano
Re: Il merlo indiano
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c'è qualche refuso e rivedrei la punteggiatura, ci sono troppe virgole.
le descrizioni sono buone, soprattutto a livello visivo.
mi lascia un poco perplesso il finale, quando la mamma chiama lo zoo: non credo che il merlo si faccia catturare facilmente, mi da più l'impressione di prendere in giro tutti.
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Re: Il merlo indiano
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Come si direbbe in altri contesti: "placet iuxta modum".
Mi sembra una scrittura un po' ingessata, molto letteraria e poco colloquiale. Nel complesso la storia fila abbastanza bene.
Re: Il merlo indiano
Re: Il merlo indiano
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Piccole note:
"va' fuori! va' fuori!", con troncamento.
"quell’oggetto luccicante", va eliminato lo spazio dopo l'apostrofo, e in genere dopo tutti i segni di punteggiatura.
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Re: Il merlo indiano
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Mi sembra che il racconto ne abbia giovato; è una storia carina, scritta con stile lineare e tono leggero. Buone le descrizioni e anche le figure dei due ornitologi, quasi delle macchiette; in definitiva lo trovo piacevole da leggere.
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Re: Il merlo indiano
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Ma se la forma è adeguata, la sostanza lo è un po' meno. Il tuo è un racconto breve, meno di cinquemila battute, e come tutti i racconti brevi dovrebbe seguire la regola d'oro dei racconti brevi; mi spiego meglio: ho letto nei precedenti commenti i nostri colleghi lamentare una certa delusione per il finale. Delusione non altrimenti focalizzata, e a cui proverò a dar forma. La regola d'oro delle short stories, dicevo, consiste proprio nell'architettura del finale. Va da sé che in poche battute non si possono approfondire temi o caratteri e quindi l'intero testo, come le storielle o le barzellette, si deve risolvere in un finale ad effetto, in un colpo di teatro che chiuda e dia un senso al breve testo. Nel tuo racconto il finale a effetto manca, lo lasci sospeso per consentire al lettore di farsi una sua idea, mi pare di aver capito. Ottimo cosa in sé, ma non in un racconto breve. Per lasciare il finale in sospeso avresti dovuto, a mio parere, allungare il racconto, dire qualcosa di più dei personaggi, farli parlare, mostrare le loro emozioni, merlo compreso. Circostanza che per la brevità delle battute non può avvenire. E quindi per un buon finale, nel tuo caso, ci vuole una trovata che produca nel lettore una sorta di esclamazione: eheheh, wow, ehi, ollallà, ma va', che faccia sorridere o che strappi una risata.
A rileggerti
Re: Il merlo indiano
Egidio ha scritto: 25/12/2021, 6:35 La giovane donna, con i tre bambini ancora piccoli, era arrivata in albergo da pochi giorni, accompagnata dal marito che, poi, se n’era tornato nella città di provenienza per lavorare. Avrebbero trascorso due settimane di ferie estive in quell’amena località di mare. La camera era situata in un’elegante dependance che si trovava nel bel mezzo di un folto parco ombreggiato. I bimbi erano due maschietti e una femminuccia. Quest’ultima poteva avere un anno, o poco più.
Quella mattina la donna, appena sveglia, dopo una spiccia toelette nel bagno, di fronte allo specchio, aprì, come suo solito, la grande porta-finestra che dava sul terrazzo. Questo allo scopo di inondare di luce la stanza, favorendo il risveglio dei figli, altrimenti restii ad abbandonare le braccia di Morfeo, e cambiare l’aria viziata delle ore notturne.
Fuori il cielo era di un azzurro assoluto. Si prospettava un’altra bella giornata di sole, di spiaggia e di mare. “Bambini, su, fuori dal letto!” esclamò spazientita, visto che non aveva notato nessun movimento sotto le coperte. Lentamente, un po’ come lo spuntare dei funghi, emersero prima un braccino, poi l’altro, quindi la testolina arruffata del primogenito, seguito subito dopo dal fratellino. Si udirono due lunghi sbadigli. Nel frattempo la mamma si occupava di far alzare la più piccina.
Improvvisamente, dall’infisso spalancato entrò un grosso “coso” nero e volò in cima all’armadio, accanto a una borchia di metallo dorato e lucente di una delle valige. L’attenzione di tutti fu subito catturata dall’intruso e la donna, dopo alcuni attimi di smarrimento, osservandolo meglio, notò che il “coso” altro non era se non un uccello, di dimensioni intermedie tra quelle di un merlo e di un corvo, dal piumaggio nero con riflessi azzurro-acciaio.
Pensò che, probabilmente, dovesse trattarsi di una gazza attratta dal luccicare della parte metallica che, effettivamente, stava tentando di afferrare col becco ricurvo, giallo-aranciato.
“Mamma, mamma! Cos’è quello? Un pappagallo?” chiese il bambino di età intermedia. “No, stupido! Non vedi che è un piccione?” l’altro ribatté. “Credo si tratti di una gazza ladra, attirata da quell'oggetto luccicante” la madre rispose, tentando una precisazione.
Frattanto, il grosso uccello centuplicava gli sforzi nel tentativo di staccare la borchia dal resto della valigia, producendo un forte rumore.
La bimba più piccola che, in un primo tempo, aveva osservato tutta la scena con espressione attonita, fu presa da improvvisa paura per quel “coso” che si dimenava sull’armadio e scoppiò in un pianto disperato.
La donna, allora, decise di cacciare quell’uccellaccio dalla stanza. Salì, in piedi, sopra il letto più vicino all’armadio e, brandendo un rotocalco, tentò di colpire il volatile gridando: “Sciò, sciò, va' fuori! va' fuori!” Sulle prime l’animale tentò di resistere, opponendo colpi di becco ai colpi di giornale; poi, forse spaventato a sua volta, desistette dal proposito di sottrarre quell’ oggetto luccicante e con pochi colpi d’ala volò fuori dalla stanza, scomparendo alla vista.
Passati che furono nemmeno cinque minuti, si udì un forte bussare dietro la porta e un parlare concitato di due voci maschili. La giovane donna andò ad aprire e si trovò di fronte due buffi individui, dei quali, uno teneva in mano un grosso retino per ornitologia che produceva un esilarante effetto “da vispa Teresa”. “Allora, dov’è?” chiese quello senza retino. “L’abbiamo visto entrare qui!” “Ah! Si riferisce alla gazza, mi dispiace, ma l’ho appena cacciata via! Sa, mi spaventava la bambina!” L’uomo assunse un’espressione sconsolata e disse: “Ma quale gazza, signora! È un rarissimo esemplare di una sottospecie di Gracula religiosa, comunemente nota come “merlo indiano”. È fuggito dalla voliera dello zoo comunale. C’è una grossa somma come premio per chi lo cattura o vi contribuisce fornendo utili informazioni. Sono ore che gli stiamo dando la caccia!” La donna si scusò, adducendo a sua discolpa le proprie scarse conoscenze in campo zoologico. “Non si preoccupi, signora, lei non ha nessuna colpa” concluse l’uomo. Poi, i due si congedarono. La donna li osservò dalla finestra, mentre perlustravano i paraggi, con appresso quello strano retino. Poi sparirono alla vista. Passò una mezzora. Erano pronti per scendere a colazione.
“Ciao!” udirono distintamente provenire dal terrazzo. Il merlo indiano era lì e li osservava, come in attesa. La donna prese il telefono e, dopo averlo cercato sulla guida, compose il numero dello zoo…
Poi intimò alla prole di fare silenzio e attese…
Il merlo, per nulla impaurito, entrò volando direttamente sulla valigia e ricominciò a provare, a colpi di becco, a staccare la borchia. Nel contempo ripeteva: “ Ciao! Come ti chiami? Io mi chiamo Carlo”.
Prontamente la signora chiuse la porta-finestra e si mise a tranquillizzare la bimba spiegandole con parole semplici quel che stava succedendo.
Masquerade
antologia AA.VV. di opere ispirate alla maschera nella sua valenza storica, simbolica e psicologica
A cura di Roberto Virdo' e Annamaria Ricco.
Contiene opere di: Silvia Saullo, Sandro Ferraro, Luca Cenni, Gabriele Pagani, Paolo Durando, Eliana Farotto, Marina Lolli, Nicolandrea Riccio, Francesca Paolucci, Marcello Rizza, Laura Traverso, Nuovoautore, Ida Daneri, Mario Malgieri, Paola Tassinari, Remo Badoer, Maria Cristina Tacchini, Alex Montrasio, Monica Galli, Namio Intile, Franco Giori.
Vedi ANTEPRIMA (508,85 KB scaricato 64 volte).
BiciAutori - racconti in bicicletta
Trentun paia di gambe hanno pedalato con la loro fantasia per guidarci nel puro piacere di sedersi su una bicicletta ed essere spensierati, felici e amanti della Natura.
A cura di Massimo Baglione.
Copertina e logo di Diego Capani.
Contiene opere di: Alessandro Domenici, Angelo Manarola, Bruno Elpis, Cataldo Balducci, Concita Imperatrice, Cristina Cornelio, Cristoforo De Vivo, Eliseo Palumbo, Enrico Teodorani, Ettore Capitani, Francesco Paolo Catanzaro, Germana Meli (gemadame), Giovanni Bettini, Giuseppe Virnicchi, Graziano Zambarda, Iunio Marcello Clementi, Lodovico Ferrari, Lorenzo Dalle Ave, Lorenzo Pompeo, Patrizia Benetti, Raffaella Ferrari, Rebecca Gamucci, Rosario Di Donato, Salvatore Stefanelli, Sara Gambazza, Sandra Ludovici, Sonia Piras, Stefano Corazzini, Umberto Pasqui, Valerio Franchina, Vivì.
La spina infinita
"La spina infinita" è stato scritto quasi vent'anni fa, quando svolgevo il mio servizio militare obbligatorio, la cosiddetta "naja". In origine era una raccolta di lettere, poi pian piano ho integrato il tutto cercando di dare un senso all'intera opera. Quasi tutto il racconto analizza il servizio di leva, e si chiude con una riflessione, aggiunta recentemente, che riconsidera il tema trattato da un punto di vista più realistico e maturo.
Di Mario Stallone
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Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.
La Gara 5 - A modo mio
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La Gara 16 - Cinque personaggi in cerca di storie
A cura di Manuela.
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La Gara 54 - Sotto il cielo d'agosto
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