Il giacobino
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Il giacobino
Era una bella automobile, pareva appena uscita dal concessionario, con la luce dei lampioni che sulla carrozzeria immacolata sparava riflessi lucidi, quasi splendenti. Era una vettura grande, imponente, incuteva rispetto e anche un po' di timore, con le ruote esagerate pronte a scalare montagne e attraversare fiumi ma decisamente fuori posto nelle strade cittadine e il muso largo e imponente, aggressivo, che con i fanali quadrati e la maschera del radiatore che sporgeva in fuori poteva ricordare il volto di un Dio pagano, malvagio e crudele. Nell'insieme, esprimeva un'idea mista di potere, arroganza, ricchezza e disprezzo per gli altri, idea peraltro confermata dal modo incivile in cui aveva per così dire parcheggiato il suo proprietario.
L'aveva sistemata appena fuori del portico, proprio di traverso sopra il marciapiede, e bloccava completamente i pedoni che, per proseguire nel loro percorso, erano costretti a girarci attorno, passando in mezzo alla strada. E anche se a quell'ora, nel dopo cena, di pedoni non ce n'erano poi tanti in giro, la faccenda non cambiava: era il classico comportamento di chi ha poco tempo da perdere e soprattutto nessuna voglia di cercare un parcheggio come la gente normale e quindi lascia la macchina dove più gli fa comodo, era il modo di fare di una persona per la quale esiste solo se stessa e gli altri passano in secondo piano, una persona che ha tutti i diritti e non deve rispondere a nessuno. E poi in quella strada, a quell'ora, in una serata di primo autunno freddina e umida, i vigili non passano più, non c'era pericolo che nessuno chiamasse il carro attrezzi, senza considerare che un'auto del genere apparteneva certamente a un uomo di potere, e gli uomini di potere sono quelli che hanno sempre qualche santo in paradiso e le multe se le fanno togliere -quando gliele danno.
Così la pensava, e probabilmente ci azzeccava, l'uomo che sul comodino in camera da letto teneva gli "Scritti di Robespierre". Stava tranquillamente facendosi una passeggiata tornando a casa dopo una serata passata con gli amici al bar "Da Ottavio", una ex Casa del Popolo che aveva cambiato nome ma non clientela, e si era visto il proprio cammino bloccato da quella esagerazione a quattro ruote.
Una persona normale avrebbe girato attorno all'auto, al massimo ci avrebbe brontolato un po' sopra e mandato all'inferno il proprietario, ma l'uomo che sul comodino in camera da letto teneva gli "Scritti di Robespierre" no. Lui si era fermato e ora se ne stava a guardare il macchinone un po' meditabondo, con le mani incrociate dietro la schiena, con un misto di sentimenti contrastanti, come gli capitava ogni volta che si trovava di fronte a parcheggi -e automobili- del genere. Da una parte, c'era una rabbia profonda nei confronti di quelli che se ne fregano completamente dei diritti altrui, quelli che pensano che l'universo ruoti attorno a loro e che tutto sia loro dovuto, un vero e proprio odio verso l'arroganza superba del ricco e del potente che si esprimeva in comportamenti di quel genere, comportamenti incivili a dire poco. Dall'altra, c'era un sentimento quasi opposto, un misto di eccitazione e piacere, che nasceva dall'avere trovato ancora una volta l'occasione di esercitare un po' di giustizia. Non vendetta invidiosa, non cattiveria gratuita: giustizia.
Il terrore non è altro che giustizia pronta, severa, inflessibile. È quindi una emanazione di virtù. - Maximilien Robespierre
L'uomo si frugò nella tasca interna del giaccone per vedere se si fosse ricordato di portare con sé qualche biglietto di quelli che aveva stampato tempo addietro e che ormai avrebbe dovuto ristampare perché non gliene erano rimasti poi tanti. I biglietti c'erano. Bene, questo gli avrebbe fatto risparmiare tempo. Si guardò attorno. Non c'era nessuno. Sapeva che una decina di metri più avanti, dietro l'angolo, si trovava un ristorante, con tutta probabilità la meta del proprietario dell'automobile, ma la cosa non lo preoccupava: a quell'ora erano di sicuro ancora a tavola, anzi se tendeva l'orecchio riusciva a sentire il vocio dei clienti, e se anche qualcuno fosse uscito per fumarsi una sigaretta, si sarebbe fermato fuori della porta del locale. Fu quindi con tranquillità che, dopo essersi guardato di nuovo attorno e anche dietro, per vedere che non ci fosse nessuno in giro, si avvicinò all'automobile dal lato che gli stava impedendo il cammino, il lato del passeggero e, quasi con noncuranza, si posizionò sul fianco della vettura e si appoggiò, sempre con fare indifferente, sulla portiera. Poi ruotando su se stesso, appoggiò la schiena sullo specchietto e spinse, continuando a far forza lentamente ma con decisione, finché non sentì un rumore che conosceva bene, quello di un supporto di specchietto che cede. Sempre con calma assoluta, e sempre guardandosi attorno, si girò e si spostò indietro per contemplare la sua opera. Niente male: la rottura dell'attacco era stata netta e lo specchietto ora penzolava appeso ai fili elettrici che lo comandavano dall'interno. Bene. L'uomo tirò fuori da sotto il giaccone uno dei suoi biglietti per sistemarlo per bene tra il vetro del parabrezza e il tergicristallo. Proprio come una multa, pensò l'uomo posizionando il cartellino, necessario per far capire a quell'animale che doveva essere il proprietario che non si trattava di vandalismo, ma di giustizia, e infatti sopra c'era scritto, in grandi caratteri maiuscoli: "IMPARA A PARCHEGGIARE MEGLIO".
Giustizia quindi era fatta, però l'uomo che sul comodino in camera da letto teneva gli "Scritti di Robespierre" non ne era convinto del tutto. Si riparò un po' nascosto sotto l'ombra del portico e incominciò a riflettere. Uhm. Un parcheggio come quello era proprio una cosa ignobile, vergognosa, e il suo autore doveva essere un individuo miserabile e spregevole, un incivile indegno di vivere in un consesso umano. La logica conseguenza di tale ragionamento era che la pena doveva essere proporzionata all' offesa, quindi ci voleva un trattamento esemplare.
Mise allora una mano sotto il cappotto e, seguendo la catenina con con cui lo teneva assicurato alla cintura, arrivò ad un portachiavi che teneva sempre in tasca e a cui era attaccato un piccolo coltellino a serramanico di color verde. Estratto il coltellino, con l'unghia ne fece uscire la lama, una piccola lama di neanche 3 cm, ma tenuta sempre bene affilata.
Di lasciare semplicemente qualche graffio sulla carrozzeria non se ne parlava, di sicuro avrebbe avuto un certo effetto, ma era roba da teppistelli, ci voleva qualcosa di più, una scritta oppure un disegno per ribadire con chiarezza all'incivile il concetto. Che cosa avrebbe potuto incidere allora? Beh, poteva essere una scritta sarcastica del tipo "GRAN BEL PARCHEGGIO", o magari anche un semplice e sempre efficace "PARCHEGGIO DI M**DA" sarebbe bastato, però col biglietto la motivazione era già chiara a sufficienza, sarebbe stata una cosa in più, quello che serviva ora era un qualcosa che riguardasse quell'animale del proprietario. Naturalmente, poteva essere sufficiente una sola parola, come "S****ZO" oppure "C*****NE", lo scopo sarebbe stato comunque raggiunto, ma il proprietario di quella massa di ferro e superbia meritava qualcosa di più. Vediamo. "GLI INCIVILI COME TE DEVONO PRENDERE L'AUTOBUS" era troppo lungo, è vero che non c'era nessuno in giro, ma non si sa mai, poteva malauguratamente capitare di dover lasciare il messaggio a metà. Mmm… Forse qualcosa che avrebbe fatto vergognare sia il proprietario che quelli che stavano in macchina con lui… Ci rimuginò un po' sopra e finalmente gli venne in mente l'idea giusta: un bel "TRASPORTO LETAME" da incidere a fondo sulla portiera dalla parte del passeggero. Guardò l'automobile e provò ad immaginarsi la scritta sulla portiera e sopra, dietro il finestrino, il profilo di una bella ed elegante signora. Sì, poteva andare, proprio un bell'effetto.
Sempre guardingo, si avvicinò di nuovo alla vettura e tenendosi un po' curvo per non farsi vedere incominciò col coltellino a incidere la lettera T sulla portiera lucente, e la vernice veniva via a piccoli riccioli argentati.
Punire gli oppressori dell'umanità è clemenza, perdonarli è crudeltà. - Maximilien Robespierre
Ripreso il cammino verso casa, nonostante fosse pervaso da una certa soddisfazione per il lavoro svolto, l'uomo che sul comodino in camera da letto teneva gli "Scritti di Robespierre" prese a ripensare a ciò che aveva fatto e, come gli era già capitato in altre occasioni, fu preso da una specie di dubbio e si domandò se non avesse esagerato, forse bastava solo lo specchietto, se non avesse calcato troppo la mano per dare sfogo a uno sterile sentimento di rivalsa o di vendetta, magari con un fondo di inconfessata e inconfessabile invidia.
Però, più ci pensava, più non poteva far altro che darsi ragione. Quelli che acquistano un'automobile di quel tipo, era convinto, lo fanno solo per esibirla e di conseguenza esibire, attraverso l'oggetto, la propria condizione economica e il proprio status. Se così non fosse, auto del genere, completamente inadeguate alla guida in città, fuori luogo vuoi per la dimensione che per il consumo, verrebbero utilizzate solo in campagna o in montagna, per guidare lungo prati e strade impervie: lo scopo essenziale, primario, di coloro che le acquistano e le guidano in città è appunto quello di dimostrare potere e superiorità nei confronti di tutti quelli che non si possono permettere certi lussi. Ma dal momento che dalla superiorità al dominio il passo è breve, quando al semplice possesso di quel tipo di veicoli si aggiunge un modo di parcheggiare completamente incurante dei diritti e delle esigenze degli altri, in quel caso la questione si configurava come un libero arbitrio, un abuso, in definitiva una sopraffazione, e denunciava apertamente il suo proprietario come una persona indegna del consesso civile, una persona che al diritto aveva sostituito la legge del più forte e che per questo doveva essere condannato. E con queste argomentazioni, logiche e intaccabili almeno nel suo pensiero, l'uomo finiva ogni volta per giustificarsi ed assolversi: in fin dei conti lui non faceva altro che portare giustizia dove nessun altro la portava.
La virtù è l'essenza della Repubblica. Il terrore senza la virtù è funesto - Maximilien Robespierre
Immerso nelle sue riflessioni, l'uomo era ormai arrivato nella via dove abitava e, come al solito si fermò al fianco della sua, di auto, parcheggiata sul lato della strada, perché la sua abitazione non aveva il garage. "Questo si chiama parcheggiare, parcheggiare bene" pensò guardando come le gomme erano tutte ben dentro le strisce bianche, proprio nel centro dello spazio delimitato in modo tale da permettere movimenti agevoli anche alle altre auto. Gli specchietti esterni erano stati ben ripiegati, così da evitare ulteriormente ogni possibile intralcio ad altri automobilisti, ciclisti o ai pedoni sul marciapiede. Questa era quella che l'uomo chiamava virtù, e cioè fare del proprio meglio, anche in questioni banali come parcheggiare l'auto per favorire, aiutare, soprattutto non causare in alcun modo disturbo alle altre persone. Era una questione di civiltà e di rispetto per gli altri, ed era fermamente convinto che, se tutti si fossero comportati come lui, la vita sarebbe stata più semplice e migliore, magari di poco, ma migliore. Alle volte, certo, poteva capitare che questo suo comportamento, queste sue attenzioni quasi maniacali venissero considerate inutili: la moglie alzava spesso le sopracciglia e faceva un sorrisetto ironico quando lo vedeva perdere tempo a fare manovre dopo manovre per posizionare l'auto alla perfezione, con una pignoleria esasperata. E anche lui ben sapeva che un po' in fuori o un po' in dentro non cambiava nulla e le cose andavano avanti lo stesso, ma tant'era: lui le cose doveva farle per bene, era una questione di virtù, anzi della Virtù intesa come base per la convivenza sociale. Comportarsi con virtù dimostrava che la virtù stessa era possibile, e che chi non la praticava era colpevole, e doveva essere punito. Ancora più rinfrancato e convinto della giustizia delle proprie azioni, l'uomo tirò fuori le chiavi di casa ed entrò.
Un vero rivoluzionario dovrebbe essere pronto a perire nel processo. - Maximilien Robespierre
Erano passate le 16, l'inverno si stava già mangiando la luce del giorno, i lampioni si erano accesi e stava già diventando buio. L'uomo che sul comodino in camera da letto teneva gli "Scritti di Robespierre" era imbottigliato nel traffico del venerdì sera. Era nervoso perché l'ufficio dove si doveva recare chiudeva alle 17, e lui doveva, anzi: voleva, era per lui una questione di principio, consegnare i documenti in tempo.
Aveva anche calcolato bene i tempi, però la pioggia aveva rallentato tutti, e ora rischiava di non farcela. Tamburellò nervosamente le dita sul volante. Ecco, finalmente qualcosa si era mosso e le auto avevano ripreso a scorrere. Arrivò in piazza Garibaldi che mancavano pochi minuti alla chiusura dell'ufficio. Fece due volte il giro del piazzale, ma non gli riuscì di trovare un posto libero per parcheggiare. Dannazione. A dir la verità, se lui non fosse stato lui, avrebbe potuto parcheggiare a pochi metri di distanza dal palazzo a cui era diretto, praticamente dall'altra parte della strada, sistemando l'auto appena fuori delle postazioni segnate però occupando in questo modo parte delle strisce di attraversamento pedonale, ma era una cosa che andava decisamente contro i propri principi. Sennonché, dopo un terzo, inutile giro per trovare un parcheggio libero, gli fu chiaro che se voleva consegnare per tempo i documenti, avrebbe dovuto commettere una trasgressione di quelle che aveva sempre condannato negli altri. Guardò l'orologio, mancavano ormai pochi minuti alle 17 e con una decisione tanto improvvisa quanto sofferta, fece un ulteriore giro della piazza e si andò a fermare sopra le strisce pedonali. Disse a se stesso che ci sarebbe stato solo per pochi minuti, che in realtà non intralciava nessuno e che si poteva comunque attraversare la strada senza problemi, che ormai era buio e gente in giro a piedi non ce n'era, che nessuno se ne sarebbe nemmeno accorto, che anche il rispettare le scadenze era una questione importante… ma nonostante questi suoi pensieri avessero tutti una certa logica, quando smontò dalla sua auto e si avviò verso l'ufficio aveva una specie di peso nell'anima, la coscienza di avere abbandonato, sia pure per poco, la strada della virtù.
Era trascorso neanche un quarto d'ora e l'uomo che sul comodino in camera da letto teneva gli "Scritti di Robespierre" aveva fatto in tempo a consegnare i documenti e adesso soddisfatto se ne stava facendo ritorno alla macchina quando, prima di attraversare la strada, si fermò e la guardò. Un brutto parcheggio, uno di quelli che no, non dovevano essere fatti. Riconobbe nel proprio comportamento una trasgressione, la colpa del mancato rispetto dei diritti altrui. Che importava se non c'era anima viva in giro? Che importava se c'era stata una oggettiva necessità? Una necessità non giustifica l'abuso, e anche se l'abuso non aveva creato danni a nessuno, l'abuso c'era stato. E doveva essere punito. Sentì un groppo alla gola, ma fu solo un attimo e la sua decisione fu presa. Si rese conto che quello che stava per fare era una cosa assurda, folle e probabilmente perfino ridicola, ma non poteva mancare ai suoi principi una volta ancora, non poteva tralasciare di punire e punirsi per ciò che aveva fatto. Con una piccola lacrima che scivolò giù per la fredda guancia, lentamente staccò il coltellino dal portachiavi alla cintura e si avviò per l'opera di giustizia. Robespierre l'avrebbe capito, Robespierre avrebbe fatto lo stesso.
Avvicinandosi alla macchina dal lato del marciapiede, si accorse però che qualcuno, con un chiodo o un altro aggeggio appuntito, gli aveva già rigato la macchina incidendoci sopra "PARCHEGGIO DI M**DA. Prima rimase a bocca aperta, stupito, ma poi non riuscì a trattenere un sorriso: l'idea si stava facendo strada.
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- Roberto Bonfanti
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Ben scritto, complimenti.
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Il testo è organizzato come un racconto breve con il capovolgimento finale che si riallaccia al titolo.
L'unico difetto, se così si può dire, è l'assenza di dialoghi, ma anche quella dei pensieri del protagonista, sovrastati dalla voce narrante che avvolge l'intero testo.
Gli aforismi di Robespierre poi sono inseriti come fossero i pensieri del protagonista stesso, e questa è una chicca.
Gradevole la lettura, il racconto ha, è evidente, un piglio umoristico e ironico.
Di Robespierre ho letto molto tempo addietro un volume in cui erano racchiusi i discorsi e la sua corrispondenza. Non ricordo se fosse proprio il tuo nel titolo, e io, come al solito, il libro non lo trovo. Dalla lettura ho il ricordo di una persona sensata, con un impianto ideologico che condivido in massima parte. La rappresentazione della storiografia corrente è naturalmente incentrata sul Terrore, da cui per analogia il terrorismo. E quindi pensando a Robespierre viene in mente l'Allah u akbar di turno. E i giacobini sono serviti, il termine è diventato spregiativo pure quello. E infatti già solo a leggere il tuo titolo sembra pure il tuo giacobino personcina proprio a modo sembra di
primo acchito non possa essere.
- Marino Maiorino
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Mentre lo leggevo avevo pensato a un paio di diversi finali (il twist farà scoprire che il potente è un amico o parente che ha avuto serie ragioni per parcheggiare così, o un potente vero come un politico, o un malavitoso), e altri si sono affacciati mentre leggo dell'omino che parcheggia lui fuori posto (vendetta del potente? Che farebbe un omino così se lo multassero, e quindi lui si trovasse di fronte alla giustizia vera?), fino alla scoperta finale (fin lì pensavo che avrebbe applicato a sé stesso la punizione comminata al padrone del SUV).
Tra i tanti, quello da te scelto mi ha deluso un po'. Se ci pensi bene, sarebbe stato straziante fargli applicare a sé stesso la punizione comminata al proprietario del SUV. Invece tu lo sollevi da questa pena, lo premi addirittura: la lezione sta cominciando a diffondersi! Dopo tanto Robespierre...
Altra nota che vorrei osservare e che in realtà è positiva (giacché sei riuscito a descrivere perfettamente la mente di tanti "fissati" con un minimo di cultura), riguarda la fissazione per Robespierre. Spesso ce li ritroviamo tra i piedi, personaggi simili, che assorbono letture di un tempo passato e le prendono come un Vangelo, un Verbo Sacro da seguire per dare un senso alla loro vita (che, purtroppo, non ne dà molti). In realtà, ognuno ha la sua, di fissazione, in questo senso, ma alcuni personaggi (Robespierre è proprio un tipino...) sono meno indicati di altri, secondo la mia personalissima opinione. Il problema sta nel fatto che essi sono il frutto unico ed esplosivo di una condizione puntuale nella storia umana. Mi spiego meglio.
La società vive in uno stato di "equilibrio" quasistatico tra diverse forze: istanze delle masse, necessità del potere, evoluzione dei concetti, etc. Alcune di queste forze diventano in alcuni momenti soverchianti, intollerabili. Si genera così una tensione nella società un po' come un terremoto non è altro che energia elastica che si è accumulata nel sottosuolo e viene rilasciata di botto quando il terreno non riesce più ad assorbirla. Robespierre (la Rivoluzione Francese) è uno di questi terremoti sociali, ma siccome nel mio modello la società è comunque in uno stato di "equilibrio" quasistatico, nel quale ciò che accade è coerente con principi di azione e reazione, anche le idee di Robespierre sono figlie di quel tempo e di quelle condizioni sociali.
Credo sia chiara la mia critica: va bene fissarsi sulle idee di un Robespierre per cultura personale, ma oggi manca alla maggior parte di noi la capacità di attualizzare quel pensiero, la capacità di prendere quel pensiero, non saltare alle conclusioni, ma ripercorrere invece un'analisi di ciò che ha condotto a quelle parole, espungerlo da anacronismi (oggi non esistono classi o ceti e non esiste almeno sulla carta la schiavitù), e arrivare così a un pensiero che sarà sì ispirato a Robespierre, ma non arriverà necessariamente alla ghigliottina.
Mi si potrà obiettare: ma infatti il personaggio non entra nel ristorante a ghigliottinare il proprietario del SUV. Neanche Robespierre lo faceva, aveva il popolo con sé, e i tribunali del popolo. Quindi il personaggio del racconto va nella pratica al di là del suo idolo, si fa più papista del Papa (alle volte le nostre lingue colgono così tanto in così poco... ).
Ciò detto, un paio di errori che ho notato: nel primo paragrafo, sotto la citazione, usi "imponente" due volte, di seguito; nel secondo paragrafo andrebbe "sé stessi", con l'accento.
Ovviamente, non mi sarei speso tanto se non mi fosse piaciuto.
Racconti alla Luce della Luna
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bel racconto, complimenti! Mi è piaciuta molto l'idea, questi corsi e ricorsi storici, per cui cambiano le modalità di comportamento, ma l'uomo rimane sempre lo stesso. E così, molto spesso, ora come ai tempi della rivoluzione francese, le belle parole e i bei pensieri servono solo a mascherare le nostre frustrazioni interiori. Mi è piaciuto anche il finale, che sarebbe stato ancora migliore (parlo del mio gusto personale ovviamente, nulla di più) se alla fine si fosse scoperto che il protagonista aveva danneggiato proprio la sua auto, che magari non aveva riconosciuto a causa di un'amnesia temporanea o in preda ai fumi dell'alcool.
A rileggerti, ciao.
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Forse qualche dettaglio sensoriale in più sul luogo e/o personaggio non sarebbe stato male.
- Domenico Gigante
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Al di là delle riflessioni devo essere sincero: il racconto non mi ha entusiasmato: un po' lungo e ossessivo. Lo alleggerirei un po' e lo renderei più scorrevole con frasi brevi. Il finale non mi convince: sei dalla parte del tuo personaggio o contro? Nel primo caso il tuo finale lo esalta; nel secondo lo assolve. E, in una parabola sulla Giustizia come contrappasso, lo vedo comunque troppo buonista.
In ogni caso il tuo è certamente un buon lavoro, che denota coscienza e conoscenza. Complimenti!
- Alberto Marcolli
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Commento: Il giacobino
Un paio di ‘d’ eufoniche da sistemare.
‘se stessa’ manca l’accento -- ripetizione 'imponente'
A questo punto della storia umana, io toglierei gli asterischi alle parolacce. In questo turpiloquio generalizzato una in più o una in meno non fa più la differenza. E anche perché sull’auto la scritta sarà stata senza asterischi, credo.
Per i miei gusti le frasi sono spesso troppo lunghe e finiscono con il rendere la lettura meno scorrevole. Poco male, se lo ritieni utile non sarà certo un problema dividerle con qualche punto.
Hai scomodato il povero Robespierre, pace all’anima sua, per giustificare due comportamenti incivili, anzi tre, perché sia chiaro, qui tutti hanno sbagliato e di grosso. Tanto è vero che pure Robespierre finì la sua vita sulla ghigliottina.
Con gli anni ho imparato, mio malgrado, che anche per un amante della scrittura non basta aver imparato a scrivere bene, conta molto di più la scelta degli argomenti su cui scrivere. Non ti dico quante volte mi sono visto rifiutare dei miei lavori con un commento più o meno sempre lo stesso: la scrittura è buona, le storie molto meno. Manca questo, manca quello, non hai ben sviluppato i sentimenti che animano i tuoi personaggi, ecc.
A mio modesto parere, nel tuo caso per la scrittura ci siamo abbastanza. Come ti ho detto accorcerei le frasi e ridurrei l’uso del ‘che’. In quanto all’argomento trattato è ovvio che in un breve racconto non ci si può aspettare la luna. Non sappiamo quasi niente dell’incauto parcheggiatore. Per lui prima parla la sua auto e poi i giudizi espressi dall’uomo “che sul comodino in camera da letto teneva gli Scritti di Robespierre”.
A rileggerti
Masquerade
antologia AA.VV. di opere ispirate alla maschera nella sua valenza storica, simbolica e psicologica
A cura di Roberto Virdo' e Annamaria Ricco.
Contiene opere di: Silvia Saullo, Sandro Ferraro, Luca Cenni, Gabriele Pagani, Paolo Durando, Eliana Farotto, Marina Lolli, Nicolandrea Riccio, Francesca Paolucci, Marcello Rizza, Laura Traverso, Nuovoautore, Ida Daneri, Mario Malgieri, Paola Tassinari, Remo Badoer, Maria Cristina Tacchini, Alex Montrasio, Monica Galli, Namio Intile, Franco Giori.
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BiciAutori - racconti in bicicletta
Trentun paia di gambe hanno pedalato con la loro fantasia per guidarci nel puro piacere di sedersi su una bicicletta ed essere spensierati, felici e amanti della Natura.
A cura di Massimo Baglione.
Copertina e logo di Diego Capani.
Contiene opere di: Alessandro Domenici, Angelo Manarola, Bruno Elpis, Cataldo Balducci, Concita Imperatrice, Cristina Cornelio, Cristoforo De Vivo, Eliseo Palumbo, Enrico Teodorani, Ettore Capitani, Francesco Paolo Catanzaro, Germana Meli (gemadame), Giovanni Bettini, Giuseppe Virnicchi, Graziano Zambarda, Iunio Marcello Clementi, Lodovico Ferrari, Lorenzo Dalle Ave, Lorenzo Pompeo, Patrizia Benetti, Raffaella Ferrari, Rebecca Gamucci, Rosario Di Donato, Salvatore Stefanelli, Sara Gambazza, Sandra Ludovici, Sonia Piras, Stefano Corazzini, Umberto Pasqui, Valerio Franchina, Vivì.
La spina infinita
"La spina infinita" è stato scritto quasi vent'anni fa, quando svolgevo il mio servizio militare obbligatorio, la cosiddetta "naja". In origine era una raccolta di lettere, poi pian piano ho integrato il tutto cercando di dare un senso all'intera opera. Quasi tutto il racconto analizza il servizio di leva, e si chiude con una riflessione, aggiunta recentemente, che riconsidera il tema trattato da un punto di vista più realistico e maturo.
Di Mario Stallone
A cura di Massimo Baglione.
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Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.
La Gara 5 - A modo mio
A cura di Pia.
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La Gara 16 - Cinque personaggi in cerca di storie
A cura di Manuela.
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La Gara 54 - Sotto il cielo d'agosto
A cura di Giorgio Leone.
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