Quasi
Quasi
La distesa marina era infinita, con la linea dell’orizzonte a comporre un tutt’uno tra mare e cielo.
Come fosse il primo uomo sulla Terra, s’immerse con naturalezza, scivolando grazie all’energica azione iniziale.
Superato lo stupore primitivo di ritrovarsi immerso in quel liquido amniotico, cominciò a nuotare con ritmo sostenuto, inspirando ogni quattro bracciate, con la bocca che fuoriusciva dall’acqua quando virava la testa verso sinistra. Dopo un po’ si fermò, galleggiando tranquillamente e senza sforzo, per scrutare la spiaggia di Bergeggi.
Era metà luglio, forse l’apice dell’estate, dove il sole e il caldo, una volta raggiunto lo zenit, avrebbero iniziato il lento declino verso un autunno ancor lontano. Giobbe pensò che come la felicità racchiudesse il suo tempo in un battito di ciglia, così l’estate maturava in un solo momento. Un unico attimo, dove il resto apparteneva al prima o al dopo. Fece il morto, guardando il cielo e le piccole striature che lo percorrevano, libero e sicuro nelle piccole correnti che lo cullavano come in un sogno.
Lentamente prese la via del ritorno, seguendo il ritmo delle onde.
Ne uscì rinfrescato da un vento leggero che gli accarezzava la schiena. Si appoggiò agli scogli a riprender fiato. Guardò in alto verso il sole, poi chiuse gli occhi, massaggiandosi i piedi con le onde che giocavano con i ciottoli levigati sulla riva.
Contò il rifrangere delle onde, sincopato e imperfetto in un ritmo sempre diverso. L’Eden è qui, pensò.
Si trovava in quella posizione da qualche minuto, quando vide arrivare un ragazzo. Camminava un po’ malfermo sulla ghiaia rotolante facendo attenzione al cammino. Arrivatogli vicino, gli sfiorò un piede, mentre Giobbe riposava.
“Scusa, è arrivata un’onda improvvisa” gli disse il ragazzo.
“Niente di che, mi hai quasi toccato, ma non c’è stata collisione” gli rispose Giobbe ridendo.
Era un giovane uomo di una trentina d’anni. Quando questi si voltò verso la spiaggia, vide che aveva una gobba sulla schiena. Una protuberanza che il ragazzo portava con disinvoltura e ben celata fatica. Aveva un bel viso dai tratti fini e delicati, con una cornice di corti capelli castani. L’espressione nascondeva a malapena una sofferenza interiore, dovuta a quella gracilità congenita. Giobbe si chiese se l'impressione sarebbe stata la stessa qualora non avesse visto la gobba. Forse no, ma si sarebbe sicuramente accorto dell’estrema delicatezza del viso, di questo ne era certo.
La gobba. Non era un dettaglio facilmente risolvibile, pensò. Forse era causata da un’errata posizione del feto durante la gestazione, uno scossone che aveva spostato l’esserino nel grembo materno. Pensò che non fosse semplice correggerla, non era un naso prominente o storto, non era neppure un paio di orecchie a sventola o un seno piccolo che aveva necessità o desiderio di svilupparsi. Insomma, non era qualche difetto che un buon chirurgo avrebbe potuto correggere.
“Hai detto quasi…questo è il mio nome!” gli disse il ragazzo con occhi stupiti.
“Quasi?”
“Sì, poco fa, mi hai detto che ti avevo quasi toccato. Quasi è il mio soprannome. Da Quasimodo, il gobbo di Notre Dame” continuò il ragazzo.
“Accidenti non mi ero neanche accorto di averlo detto. Questi…avverbi, interiezioni…come si chiamano? Li pronunciamo perché li abbiamo appresi negli anni, come s’impara a camminare o a sedersi. Quasi, appunto, non ce ne accorgiamo quando li usiamo” gli rispose Giobbe.
“Esatto, quasi! È un soprannome che mi diedero i miei compagni alle medie. Poi continuò alle superiori e all’università e anche con i nuovi incontri ho mantenuto sempre questo nome. Forse per disinnescare la simil-bomba che mi porto sulle spalle.”
Giobbe lo ascoltava in silenzio.
“Una cosa simile non potevo nasconderla, né agli altri né a me stesso. Da piccolo è stata dura, ho fatto le elementari a casa, perché i miei genitori non volevano che frequentassi i bambini. Temevano che mi prendessero in giro e che io non potessi sopportare la loro ferocia. A quell’età sono troppo istintivi perché capiscano come stanno le cose.”
“È vero, alle elementari si ha l’argento vivo addosso, un’energia irrefrenabile. E sono cattivi, proprio perché guidati dall’istinto.”
“Alle medie è stato difficile lo stesso, però anch’io ero più forte, più conscio del mio essere. Mi ricordo che mi chiamavano Gobbo. Sai, vivo a Torino e i gobbi sono i tifosi della Juve. Poi poco alla volta cominciarono a chiamarmi Quasimodo. Questo nome non mi piaceva, mi sembrava un dispregiativo. Un giorno una ragazzetta riprese tutti i miei compagni. Era già una leader, disse loro che la vita negli anni a venire ci avrebbe riservato dei pesi da portare sulle spalle, fatiche che non conoscevamo ancora, ma che si sarebbero rivelate quando già sarebbero state accatastate su di noi. Io, invece, essendo già abituato, ero il più forte e preparato della classe. E propose che il mio nome sarebbe diventato Quasi.”
“Incredibile” gli rispose Giobbe che era completamente assorbito da quell’incontro.
“Sì, quando ci penso anch’io, vedo qualche cosa d’incredibile in ragazzetti di dodici anni. E da lì il mio nome fu Quasi. Fu votato all’unanimità, con un gran casino. La ringrazierò sempre quella ragazzina.”
Giobbe lo ascoltava, a volte guardandolo e a volte chiudendo gli occhi e lasciandosi cullare dalla sua voce e dal mare che gli lambiva i piedi nel suo eterno movimento.
“Quasi. Quasi. Ma sai che è un bellissimo nome? Perché tutti noi siamo quasi. O perlomeno, sono quasi chi non cerca certezze definite, conformiste, plastificate. Tutti noi siamo quasi felici, quasi ce la facciamo, quasi cambiamo strada, quasi glielo diciamo, quasi non lo permettiamo, quasi siamo radicali per poi ritornare quasi sulla nostra strada.”
I due ragazzi si guardarono sorridendo. Giobbe mulinava lentamente i piedi sui sassi e Quasi lo imitò.
“Quasi è un piccolo freno al desiderio di assoluto che impera nella nostra società, alla rabbia circolante, alla percezione d’ingiustizia che alimenta sentimenti di vendetta.” Quasi si fece serio e proseguì. “Io, purtroppo ma anche per fortuna, non ho vissuto tutto questo, perché il mio difetto mi ha tenuto un po’ in disparte dalle cose di ogni giorno e vedo tutto con maggior distacco. Sono stato come un drone che è volteggiato sulle scuole, sulle palestre, sui parchi frequentati dai giovani. Ho studiato e viaggiato, sono stato fortunato, perché i miei genitori sono stati meravigliosi e hanno fatto di tutto perché crescessi il più felice possibile.”
Il sole era sempre alto nel cielo e la spiaggia stava cominciando a popolarsi di bagnanti. Nulla al confronto con il fastidioso caos domenicale, in quel mercoledì pomeriggio.
“Quasi, io ti vedo come un ragazzo in gamba.” Giobbe si era seduto nell’acqua, con i piedi a fare da frangiflutti alle onde leggere. “Hai una sensibilità e un equilibrio che ti verrà utile in futuro e il peso che porti sulle spalle diventerà uguale a quello dei tuoi coetanei. Ormai questo è un mondo aperto, dove le differenze ci esalteranno.”
“Speriamo!” gli rispose il ragazzo con un sorriso aperto.
Quasi cominciò a camminare sul bagnasciuga, immerso nei suoi pensieri e in ciò che aveva svelato in quell’incontro. Poco a poco, in equilibrio un po’ malfermo, entrò in acqua. Cominciò a nuotare a dorso, mulinando i piedi velocemente, mentre le braccia si muovevano dall’alto verso il basso. Lento nel progredire arrivò comunque lontano, una piccola testa che interrompeva la linea dell’orizzonte. Giobbe lo guardava, sorpreso da tanta vitalità.
Il ragazzo rimase in acqua più di mezz’ora, come un pesce nel suo habitat. Poi, sempre lentamente, ritornò a riva.
“Sei un bravo nuotatore e hai tanta resistenza” osservò Giobbe.
“Sì, vado speso in piscina per migliorare la postura.”
Quasi ansimava per lo sforzo, e passò lo sguardo su tutta la spiaggia.
“Devo andare, c’è Veronica che mi aspetta. E’ quella ragazzina che mi ha inventato il nome. Ci vogliamo bene, non ci siamo più lasciati dalla prima volta che ci siamo incontrati. In bocca al lupo, Giobbe” gli disse.
“In bocca al lupo, Quasi. You’ll never walk alone.”
Quasi si allontanò caracollando tra i sassi e le piccole onde. Giobbe lo seguiva con lo sguardo, incuriosito e accaldato. Pensò a come quello splendido gioiello imperfetto gli avesse illuminato la giornata.
Lo vide arrivare vicino a un ombrellone, dove una ragazza si riparava dal sole. La giovane, quando lo vide, si alzò in piedi e lo abbracciò. Era bella nel suo costume blu, con i capelli biondi al vento. Giobbe osservava da lontano la scena di una piccola dea che abbracciava Quasi in maniera dolce e prolungata.
Nel calore di quel pomeriggio estivo, i due ragazzi si stringevano in un’eterna promessa d’amore.
Giobbe si guardò i piedi abbronzati e magri, straordinariamente tonici dopo quella giornata di mare. Sorrideva e si chiese se anche Veronica fosse juventina.
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sono quasi chi non cerca certezze definite meglio "è quasi chi… "
Sono stato come un drone che è volteggiato sulle scuole
Forse meglio ha volteggiato.
Bel messaggio, mi è piaciuta molto la descrizione iniziale di Giobbe da solo in acqua. Il dialogo prende subito quota e diventa filosofico, ecco, questa parte è bella ma ci ho creduto poco. Anche il finale me l'aspettavo, ero sicuro che Veronica gli sarebbe rimasto accanto. Il mio costante bisogno di essere spiazzato purtroppo influenza i miei voti. Mi è piaciuto nel complesso.
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Non mi ha generato nè pietismo nè compassione, ma soltanto ammirazione per questo ragazzo che non si è lasciato "azzerare" dai problemi connessi al suo handicap fisico. L'amore di questa ragazza, direi illuminata, rappresenta indubbiamente un grande pilastro, a discapito della mentalità di quell'umanità mediocre che spesso ci ribalta addosso i nostri punti deboli. E il nostro eroe ne esce vincitore.
Complimenti, mi è piaciuto.
- Marino Maiorino
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Lo svolgimento però lascia un po' a desiderare (proprio nel senso che il lettore desidera di più/di meglio, qualcosa al livello del tema).
Gran parte del racconto è un monologo travestito da dialogo, non ci sono due punti di vista, non c'è scoperta: sei tu che rimugini sul tema, e lo fai a due voci.
La scelta dei termini: "collisione". Perché? Per usare "quasi"? Trova un'altra espressione, ma evita un termine che va bene per le automobili.
"Veronica" - Non puoi scrivere il nome di Veronica alla fine del racconto, e non perché sia la ragazza di Quasimodo, ma perché di un'amica così mi ricorderei anche se non l'avessi mai più vista in vita mia! Le persone importanti hanno SEMPRE un nome perché sono uniche! Il fatto che sia addirittura la ragazza di Quasi rende il punto in cui ne sveli il nome ancora più "fuori posto".
L'età di Giobbe - Dapprima sembra una persona più matura, da come pensa e da come parla a Quasi, poi scrivi che sono due ragazzi, ma Giobbe continua a esprimersi paternalisticamente. Credo sia nell'uso continuo che fai della parola "ragazzo", come se Giobbe consideri tale Quasi, cosa che avrebbe senso solo se si sentisse più anziano.
Veronica non va in acqua con Quasi, ed è un po' questa l'occasione affinché possa prodursi la chiacchierata (ma niente impedisce a TRE ragazzi di chiacchierare). È un mercoledì di luglio e una coppietta va alla spiaggia, e lei non lo raggiunge per mezz'ora?
Ribadisco perció la mia prima impressione: hai trovato un modo gradevole di proporre un argomento sensibile, ma "sa" troppo di racconto. Dovrebbe invece far credere che sia realmente accaduto.
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Il racconto non mi è dispiaciuto, malgrado qualcosa manchi per essere di livello alto. Il tuo stile è davvero buono e non ho notato errori in genere.
Secondo me assomiglia ai racconti che ha già proposto, e che devo dire mi piacciono.
A presto.
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Se quel Quasimodo, che non è Salvatore, è un po' scontato mi chiedo invece quel Giobbe da dove salta fuori. Ho pensato al biblico libro in cui matura una sorta di rottura dell'Alleanza tra Dio e l'Uomo e in cui la salvezza e la ricompensa vengono rinviate a data da destinarsi, cioè a dopo la morte. Non lo saprò mai vista la tua ritrosia a partecipare se non con i racconti che posti.
E credo, ahimè, che le tue classifiche sempre basse siano un riflesso di questa mancanza a prescindere dalle opere presentate.
Il tema del racconto, a differenza di quanto i miei colleghi hanno scritto, non credo sia la disabilità. Quella è solo la scintilla, la comoda stazione da cui far partire il treno della tua narrazione.
E invece è quel Quasi al centro del tuo discorso: “Quasi. Quasi. Ma sai che è un bellissimo nome? Perché tutti noi siamo quasi. O perlomeno, sono quasi chi non cerca certezze definite, conformiste, plastificate. Tutti noi siamo quasi felici, quasi ce la facciamo, quasi cambiamo strada, quasi glielo diciamo, quasi non lo permettiamo, quasi siamo radicali per poi ritornare quasi sulla nostra strada.”
I due ragazzi si guardarono sorridendo. Giobbe mulinava lentamente i piedi sui sassi e Quasi lo imitò.
“Quasi è un piccolo freno al desiderio di assoluto che impera nella nostra società, alla rabbia circolante, alla percezione d’ingiustizia che alimenta sentimenti di vendetta.” Quasi si fece serio e proseguì.
E non è un caso se la prima parte della riflessione sia di Giobbe e la continuazione del nostro Quasi.
L'intero racconto è costruito per permettere lo svolgersi di questo dialogo, l'esplicitazione di questa riflessione di carattere sociologico.
Il finale manca un po' di mordente perché l'intero racconto non è organizzato come una short story ma più come una personale riflessione dell'autore, per cui manca una storia vera e propria da poter giudicare. E mi riferisco a questo particolare quando ti scrivo all'inizio di racconto non troppo ben confezionato.
Un buon testo, e sempre mi spiace che con Athosg manchi, al di là del racconto, uno scambio reciproco.
Re: Commento
Come spessissimo ti capita cogli il senso del racconto. Giobbe, sinonimo di pazienza, è il nome che utilizzavo per firmare le mail negli ultimi tre mesi di lavoro, prima di licenziarmi. Per quanto concerne la mia scarsa partecipazione, non posso che confermare. Diciamo che è un bel po' di tempo che leggo pochissimo (come libri e racconti), in sovrappiù ho difficoltà nel commentare e ancor più nel votare. Qualcuno in passato si era lamentato per la scarsa partecipazione di alcuni partecipanti. Che dire? dalle mie parte si dice: cent cò cent crap!Namio Intile ha scritto: 08/09/2022, 17:15 Mi pare un buon racconto. Scrivi bene non da oggi e quindi i tuoi corti non sono mai banali anche se questo non troppo ben confezionato. Certo quel Giobbe e quel Quasi, i due protagonisti, non sono bene caratterizzati e distinti tra loro e quindi le sequenze dialogiche per forza di cose risultano un po' piatte.
Se quel Quasimodo, che non è Salvatore, è un po' scontato mi chiedo invece quel Giobbe da dove salta fuori. Ho pensato al biblico libro in cui matura una sorta di rottura dell'Alleanza tra Dio e l'Uomo e in cui la salvezza e la ricompensa vengono rinviate a data da destinarsi, cioè a dopo la morte. Non lo saprò mai vista la tua ritrosia a partecipare se non con i racconti che posti.
E credo, ahimè, che le tue classifiche sempre basse siano un riflesso di questa mancanza a prescindere dalle opere presentate.
Il tema del racconto, a differenza di quanto i miei colleghi hanno scritto, non credo sia la disabilità. Quella è solo la scintilla, la comoda stazione da cui far partire il treno della tua narrazione.
E invece è quel Quasi al centro del tuo discorso: “Quasi. Quasi. Ma sai che è un bellissimo nome? Perché tutti noi siamo quasi. O perlomeno, sono quasi chi non cerca certezze definite, conformiste, plastificate. Tutti noi siamo quasi felici, quasi ce la facciamo, quasi cambiamo strada, quasi glielo diciamo, quasi non lo permettiamo, quasi siamo radicali per poi ritornare quasi sulla nostra strada.”
I due ragazzi si guardarono sorridendo. Giobbe mulinava lentamente i piedi sui sassi e Quasi lo imitò.
“Quasi è un piccolo freno al desiderio di assoluto che impera nella nostra società, alla rabbia circolante, alla percezione d’ingiustizia che alimenta sentimenti di vendetta.” Quasi si fece serio e proseguì.
E non è un caso se la prima parte della riflessione sia di Giobbe e la continuazione del nostro Quasi.
L'intero racconto è costruito per permettere lo svolgersi di questo dialogo, l'esplicitazione di questa riflessione di carattere sociologico.
Il finale manca un po' di mordente perché l'intero racconto non è organizzato come una short story ma più come una personale riflessione dell'autore, per cui manca una storia vera e propria da poter giudicare. E mi riferisco a questo particolare quando ti scrivo all'inizio di racconto non troppo ben confezionato.
Un buon testo, e sempre mi spiace che con Athosg manchi, al di là del racconto, uno scambio reciproco.
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La Gara 5 - A modo mio
A cura di Pia.
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La Gara 16 - Cinque personaggi in cerca di storie
A cura di Manuela.
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La Gara 54 - Sotto il cielo d'agosto
A cura di Giorgio Leone.
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A cura di Roberto Virdo' e Annamaria Ricco.
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Contiene opere di: Alessandro Domenici, Angelo Manarola, Bruno Elpis, Cataldo Balducci, Concita Imperatrice, Cristina Cornelio, Cristoforo De Vivo, Eliseo Palumbo, Enrico Teodorani, Ettore Capitani, Francesco Paolo Catanzaro, Germana Meli (gemadame), Giovanni Bettini, Giuseppe Virnicchi, Graziano Zambarda, Iunio Marcello Clementi, Lodovico Ferrari, Lorenzo Dalle Ave, Lorenzo Pompeo, Patrizia Benetti, Raffaella Ferrari, Rebecca Gamucci, Rosario Di Donato, Salvatore Stefanelli, Sara Gambazza, Sandra Ludovici, Sonia Piras, Stefano Corazzini, Umberto Pasqui, Valerio Franchina, Vivì.
La spina infinita
"La spina infinita" è stato scritto quasi vent'anni fa, quando svolgevo il mio servizio militare obbligatorio, la cosiddetta "naja". In origine era una raccolta di lettere, poi pian piano ho integrato il tutto cercando di dare un senso all'intera opera. Quasi tutto il racconto analizza il servizio di leva, e si chiude con una riflessione, aggiunta recentemente, che riconsidera il tema trattato da un punto di vista più realistico e maturo.
Di Mario Stallone
A cura di Massimo Baglione.
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Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.