Il concorso mondiale di poesia
Il concorso mondiale di poesia
Il pianeta viveva da tanti anni una situazione drammatica poiché il proliferare dell’intelligenza artificiale aveva causato una gravissima pandemia d’ignoranza, che vedeva le istituzioni assenti, ipocritamente impegnate ad arginare le grandi ondate immigratorie.
Tutti i capi di governo utilizzavano come capro espiatorio questi grandi movimenti di massa, e nonostante il 97,74% della popolazione mondiale sapesse leggere e scrivere, l’analfabetismo funzionale ed emotivo si era radicato fino ai più alti livelli della società.
Il cittadino medio leggeva alla lettera un articolo di giornale, recependo il contenuto in maniera statica mentre il significato e ogni forma d’ironia o retorica non era compresa.
Anche i laureati, che toccavano la punta del 59,12%, mostravano notevoli lacune di comprensione.
La produzione libraria era calata vertiginosamente nell’ultimo decennio, le librerie erano quasi tutte fallite, rimanevano solo pochi siti web, dove pervicacemente si scriveva.
Il livello culturale era talmente basso che i principali premi letterari, dal Nobel al Pulitzer, dal Goncourt allo Strega, erano stati sospesi per mancanza di scrittori decenti.
Eppure, nonostante il fenomeno pandemico erodesse la cultura mondiale, grazie alle imperscrutabili leggi divine, nell’ultimo triennio si era verificato l’effetto opposto. Milioni di giovani si erano avvicinati alla scrittura, un nuovo rinascimento mondiale poco alla volta si affermò, e centinaia di filoni letterari, di filosofie, di tecniche di scrittura si diffusero in ogni dove.
Il Circodrome Mattarella, un maestoso impianto contenente trentaquattromila spettatori dedicato a uno dei più grandi Presidenti italiani, ospitava la gara letteraria del circolo internazionale Bonaj Aŭtoroj.
Era il primo concorso mondiale dopo la pandemia d’ignoranza.
Anche l’Italia era una nazione in crescita, un popolo giovane con un’età media di ventinove anni che aveva beneficiato della massiccia immigrazione. Superato il lungo periodo ultracatto-populista e il suo puritanesimo ottocentesco, arginate le drammatiche crisi economiche e culturali del ventennio d’inizio secolo la penisola sentiva un grande bisogno di cultura.
Quel giorno si sarebbe svolta la gara di poesia, un Gran Prix cui avrebbero partecipato poeti di tutto il mondo. Cinque giudici avrebbero commentato in diretta le opere, poi una giuria di trecento letterati avrebbe espresso segretamente il proprio voto.
Si calcolava che quattro miliardi di persone si sarebbero collegate in diretta streaming.
Al concorso partecipavano poeti di sessantaquattro nazioni.
Milano ospitava quell’edizione vestita di uno spirito nuovo, abbracciando con calore cosmopolita oltre trecentomila turisti. Una temperatura di trentanove gradi arroventava la città e dentro il Circodrome l'entusiasmo era altissimo.
L’Italia dopo un referendum nazionale che aveva suscitato polemiche e rigide prese di posizione dell’Accademia del Grano, partecipava con un giovane poeta di nome Guido Moto, un ragazzo nato dall’unione di una giovane donna di Pavia e un militare originario della Namibia. Nipote d’arte, poiché lontano parente di Bruno Vespa, un anchorman del ventennio.
Quando fu il suo turno di declamare la poesia in concorso, si passò nervosamente la mano sul volto e si avvicinò al microfono.
La presentatrice enunciò pomposamente il titolo della poesia.
“Signore e signori, Guido Moto, Italia, con la poesia Cupe vampe.”
Guido Moto diede un colpo al microfono per verificare il collegamento e rivolgendosi ai tecnici parlò scherzoso.
“Grazieeeeee. L’emozione fa tremar il cuore, battuta d’antan! Che ansia, eppure devo. Ragazzi, posso partire forte o vado piano con il freno a mano tirato? Yeah.”
Si fermò concentrato per iniziare a declamare il testo ma qualcosa non andava per il verso giusto. Il microfono era perfettamente funzionante, ma i tecnici avevano già chiuso la comunicazione. Per un’incredibile disattenzione avevano pensato che quelle sue parole fossero la poesia in concorso. La tecnologia aveva fatto il resto.
Guido Moto cominciò a muoversi scomposto e tarantolato, tentò di avvisare la direzione per dire che non aveva proferito neanche un verso, cercò di spiegare che quelle poche parole erano solo per capire se tutto fosse pronto, ma subito fu bloccato, perché la velocità richiesta per lo streaming, le traduzioni, le pubblicità costosissime, avevano causato la chiusura della diretta.
Non poté dire più nulla.
L’enorme orologio d’acciaio che scandiva i due minuti per la recensione dei cinque giudici cominciò a ticchettare i secondi.
Partì il primo commento.
Amina Rodionova per la testata Russiasiatica News.
“Che dire, il titolo mi sembra azzeccato. Vi leggo una contorsione immaginifica dello scritto. Mi piace perché non è in rima e il pensiero si manifesta con naturalezza. Pur tuttavia non mi ha trasmesso quell’emozione che attendevo. Sembra che la poesia perda poco alla volta il ritmo iniziale.”
Dal Circodrome uscì un mugugno di disapprovazione. Qua e là piccoli gruppi sventolavano bandiere nazionali, molti spettatori erano vestiti con i colori ufficiali del proprio stato o con variopinti copricapi. Moltissimi i visi truccati. L’allegria era contagiosa e il tifo caldissimo.
Guido Moto si tolse la giacca. La camicia azzurra era diventata blu scuro all’altezza delle ascelle.
Arrivò il turno di Paul Smith, critico del Mississippi Blues Post.
“Fantastico. La scuola italiana ha colpito ancora nel segno. Questo è un classico esempio di ermetismo tribale, dove la società si fonde nel poeta, il quale si erge a giustiziere del nulla esistenziale. Splendida è la mimica dell’autore, questa non è solo poesia, è Teatro! Ho studiato la storia di Guido Moto, e devo dire la scrittura è sempre stata un dono di Dio nei membri della sua famiglia.”
Marie Lafilette del Figaro des Paris prese il microfono con decisione, come fosse il testimone in una gara di atletica.
“Personalmente trovo questa poesia indefinita. Sfiora orizzonti sconfinati per evaporare in un deserto arido. Il tema andava ampliato con forza mentre il poeta ha usato l’umiltà dei pavidi, come dire, si è scusato e non si è capito di cosa. Troppo vaga e un tantino compressa, non ha incontrato il mio gusto.”
Guido Moto chiese una salvietta per detergere il sudore che lo inondava da capo a piedi. Aveva passato tre round, gliene rimanevano ancora due.
Venne il turno di Mohamed Al Assan Bin Dun, uno dei critici più famosi del mondo arabo.
“Guido Moto non è andato per il sottile, ha sparato ad alzo zero fregandosene di ogni conformismo. Ha ballato, si è dimenato come l’uomo dei nostri tempi. Ha imposto con delicatezza un ritmo leggero lasciando al lettore il compito di immaginare il resto della poesia. Fulminante!
Un boato accolse le ultime parole, il Circodrome era diventato una bolgia infernale.
L’ultimo commento toccò a Juanita Mezzemezz, direttrice di Vague, the world.
“Io sono rimasta affascinata da questo componimento. Ha introdotto una domanda cui è superfluo rispondere tanto è difficile, complicata, cosmopolita, cromatica e al fine allegorica la vita oggi. E vivaddio se lasci una speranza a noi mortali. Tu sei immortale, perché hai l’eleganza dell’umiltà.”
Migliaia di bandiere con il color ocra simbolo dell’Onu sventolavano nell’immenso impianto e la moltitudine intonò PIMPUMPAM, l’inno mondiale cantato in esperanto.
Ormai la camicia di Guido Moto era diventata tutta di colore blu e un odore acre si propagava dalle ascelle.
“Guido, mi sembra una Torre di Babele! Ma che hanno capito?” gli disse la segretaria, urlandogli nelle orecchie per coprire il frastuono del Circodrome. Era giovane e bella in quel tailleur grigio perla attillato.
“Eva, che ti devo dire? Devo risentire cosa ho detto!” le rispose abbracciandola fortissimo.
Lei lo guardò stupita stringendolo forte a sua volta. In cuor suo sperò che Eva avesse capito il significato di quell’abbraccio.
Arrivò il periodo di pausa per permettere le votazioni e la proclamazione della poesia vincente. Guido Moto tornò in hotel a lasciar decantare la grande emozione accumulata.
Subito si fece una doccia. Poi riempì un bicchiere di vino rosso e accese una sigaretta.
Rilassato, lesse ad alta voce la poesia in concorso, e pensando a Eva in quello stupendo tailleur grigio perla attillato, finalmente poté cominciare a sognare.
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il tuo racconto è piaciuto molto, ma mi mette in difficoltà sul voto da dare. Lo stile mi piace, ma questa non è una novità ci hai abituati bene, l'idea è buona ma secondo me non è ben rifinita,
Mancano secondo me diversi dettagli e descrizioni che avrebbero dato dinamismo alla storia, per i esempio gli interventi dei giudici sono semplici dialoghi impilati, il narratore ci spiega solo chi sono ma non ci mostra altro.
Per il resto simpatico che un discendente di Vespa si chiami Guido Moto, come secondo me è interessante la riflessione sull'analfabetismo funzionale.
Per ora voto 3, ma se modificherai il testo cambierò volentieri il mio voto. In bocca al lupo.
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Apprezzabile, invece, l'allegoria della poesia e della sua critica, esasperazione degli odierni talent dove la forma è più importante del contenuto; questa sì, la trovo azzeccata come deriva culturale in chiave pop, come la scelta del nome del protagonista, veramente geniale Guido Moto discendente del nostro Bruno Vespa.
Il racconto è intrigante, ben scritto, ironico, ma non mi sento di dargli il massimo dei voti, mi fermo a un 4.
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Apprezzabile, invece, l'allegoria della poesia e della sua critica, esasperazione degli odierni talent dove la forma è più importante del contenuto; questa sì, la trovo azzeccata come deriva culturale in chiave pop, come la scelta del nome del protagonista, veramente geniale Guido Moto discendente del nostro Bruno Vespa.
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Commento: Il concorso mondiale di poesia
Trovo alcune frasi troppo lunghe. Si dovrebbe almeno interromperle con qualche virgola.
Es.
“Il pianeta viveva da tanti anni una situazione drammatica poiché il proliferare dell’intelligenza artificiale aveva causato una gravissima pandemia d’ignoranza, che vedeva le istituzioni assenti, ipocritamente impegnate ad arginare le grandi ondate immigratorie.”
Nel mio stile da scrittore (circa) di “corti” avrei scribacchiato:
“Il pianeta viveva da tanti anni una situazione drammatica. Il proliferare dell’intelligenza artificiale aveva causato una gravissima pandemia d’ignoranza, con le istituzioni assenti, ipocritamente impegnate ad arginare le grandi ondate immigratorie.”
Secondo esempio:
“l cittadino medio leggeva alla lettera un articolo di giornale, recependo il contenuto in maniera statica mentre il significato e ogni forma d’ironia o retorica non era compresa.”
“Il cittadino medio leggeva alla lettera un articolo di giornale, recependo il contenuto in maniera statica, mentre il significato e ogni forma d’ironia o retorica non era compresa.”
Ci sono altri esempi, ma lascio a te valutarne la necessità o meno.
Buon uso del “che” (mio noioso pallino), salvo un caso c.s.:
“... per dire che non aveva proferito neanche un verso, cercò di spiegare che quelle poche parole erano solo per capire se tutto fosse pronto,”
Per ovviare si potrebbe anche scrivere:
“... per dire che non aveva proferito neanche un verso, cercò di spiegare come quelle poche parole servissero solo per capire se tutto fosse pronto,”
Ho trovato nel racconto una apprezzabile vena umoristica, sufficiente ad appiopparti un bel quattro, ma varrebbe la pena lavorarci su ancora, come già ti hanno suggerito gli ottimi BRAVIAUTORI, che mi hanno preceduto.
Concordo sulla faccenda delle ondate migratorie. Evidente che le istituzioni avevano fallito il loro compito, vista la situazione creatasi.
- Domenico Gigante
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e divertente nella rimodulazione dei i nomi (Guido Moto/Bruno Vespa). Forse troppo lucidità è razionale, poco empatico, ma credo che l'intenzione fosse proprio questa.
- Marino Maiorino
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Dai una bella scossa ai "critici", quelli che criticano molto ma poetano (o dipingono, o scrivono, o comunque fanno) molto poco.
Il che mi induce a pensare che la tua sia una critica più ampia a una società che più perde intelletto, meno potrà recuperarlo: nel tuo racconto il concorso si svolge dopo alcuni anni di discesa culturale, e si comprende che la risalita è in realtà una gran fregnaccia.
E chi potrà realmente distinguere il buono dal cattivo? Guido Moto se ne rende conto perché è toccato in prima persona, perché lui è(era) di quelli che fanno, ma saprà resistere alla fama? Manterrà intatto il proprio spirito o si adeguerà?
Credo tu faccia riferimenti non tanto velati a noi su BA, nel bene e nel male: noi creiamo, ma quanto possiamo essere certi di essere compresi persino tra noi?
Il timbro usato per il linguaggio non mi è piaciuto terribilmente, ma è una questione di gusto: riconosco che è azzeccatissimo per il racconto.
Grazie e a rileggerti!
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