L'estraneo interiore

Spazio dedicato ad Anonimania 2023 (febbraio)

Moderatore: Il Guru

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leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.

Nel definire una distinzione fra realtà e fantasia vi sono sempre state delle criticità che vale tuttora la pena di esaminare, seppur forse invisibili alle menti meno sensibili. Nello specifico, occorre riflettere su come l’idea di ritenere il mondo della veglia più concreto rispetto a quello onirico sia data per scontata, nonché eretta su una visione collettivamente assodata ma instabile.
I sogni non godono della stessa considerazione attribuita agli avvenimenti reali per via del fatto che è difficile riscontrarvi un significato interpretabile dalla ragione. Di rado si comprende come essi siano parte integrante della vita concreta, e che anzi esercitano su quest’ultima un’influenza non indifferente. L’immaginazione inconscia si avvale di un linguaggio ermetico spesso incomprensibile alla razionalità, grazie al quale è capace di comunicare indizi che rivelano bisogni o desideri celati. Ad oggi è di tendenza piuttosto comune ignorare ciò che la mente trasmette attraverso i sogni o le fantasticherie incontrollate, finendo per recepire il messaggio solo quando le conseguenze del suo contenuto si scontrano violente contro il muro del reale.
In generale, la fantasia ha molto più a che fare con la realtà di quanto non si pensi, poiché se si indagasse a fondo si scoprirebbe come l’una condizioni l’altra in continua alternanza, mediante gli strumenti di cui ciascuna dispone. È quasi un tutt’uno, solamente che è la forma di manifestazione a cambiare, mentre la sostanza rimane la stessa.
Ecco dunque la vera differenza: pura e semplice forma. Tuttavia tale differenza implica altri aspetti nascosti che caratterizzano la fantasia ma non la realtà, primo fra tutti la sua estrema sfuggevolezza. Se nel concentrarsi su un qualsiasi fatto reale riesce facile tenere fissa la mente, lo stesso non si può dire dei sogni o dei ricordi più remoti, a tratti obliati. Quella incredibile sensazione paradossale che si prova nei primi istanti in cui un sogno riemerge ma che viene in fretta trasformata (se non soffocata) non appena ci si medita troppo sopra o si tenta di tradurlo con le parole, da sempre accompagna gli uomini dotati di alta sensibilità. Provando anche solo a ricercarne la provenienza o la causa, il sogno perde di ogni misterioso fascino che lo qualifica ed i pensieri si spostano su altro, poiché ciò che si sta tentando di fare è afferrare una bolla di sapone con le dita. Talvolta, tramite l’uso dei simbolismi si può sperare di comunicare una visione onirica conservandone le emozioni originarie, senza che queste vengano alterate dagli inevitabili limiti imposti dall’impiego della parola: ma questa è un’impresa ardua persino per gli artisti più audaci.
Nonostante si possa dunque ritenere l’immaginazione come null’altro che una diversa forma espressiva di cui si serve la mente, certi sogni sembrano scaturire da una fantasia così profonda da risultare tanto insensati quanto estranei. Chi non ha mai sperimentato, almeno una volta nella vita, quell’anomalo innalzamento immaginativo che si verifica dopo il risveglio da un lungo sonno? Sogno e realtà paiono fondersi come se si fosse fatto ritorno da un mondo a cui non si sente di appartenere interamente; ma poi tutto torna alla normalità. La sensazione è il più delle volte piacevole, ma quando si riacquista piena coscienza sulla vita quotidiana e sugli affari da sbrigare si viene avvolti da una strana malinconia, che per certi animi si traduce nella nostalgia per un regno offuscato del quale non sopravvive un ricordo completo. Tutto ciò che rimane sono reminiscenze frammentate e confuse: alcune meno di altre, ma pur sempre pezzi di un puzzle che non è possibile ricomporre così per come era in origine.
Per quanto mi riguarda direttamente, non oso immaginare in quale folle stato d’orrore mi ritroverei se fossi tenuto a rammentare per intero la mia ultima, tremenda esperienza onirica; benché possa essere fuorviante denominarla tale.
Sin da giovane ho sofferto di una condizione tediosa che induceva il mio sonno a interrompersi ogni notte. Quando questo accadeva, puntualmente riemergevo dalle sue fasi più profonde e per i primi momenti venivo travolto da un forte senso di disorientamento. In molti casi mi sembrava di non riconoscere l’ambiente circostante, ed i pensieri erano rivolti altrove, verso posti lontani non appartenenti alla mia vita. Sia che poco prima stessi sognando oppure no, l’estraneità che mi coglieva era sempre la stessa; tuttavia la sensazione era di breve durata, e a seguito della ripresa di coscienza seguiva un nuovo addormentamento. Al successivo risveglio, quando il sole era già alto nel cielo, la familiare eppure sconosciuta percezione si ripresentava, seppur in forma attenuata, accompagnata da un’inevitabile stanchezza.
Ricordo un caso, in particolare, in cui mi svegliai in preda all’affanno. Come al solito faticavo a capire dove mi trovassi, nonostante un barlume di consapevolezza mi suggerisse la verità. La mente era un turbine di pensieri assurdi ed idee fantasiose che mai si potrebbe vivere durante la veglia, e il cui frutto non possono essere altro che i sogni. In effetti, era come se stessi sognando pur senza dormire.
La singolarità di quell’episodio nasceva forse dal fatto che, al contrario degli altri casi, dovette trascorrere molto tempo prima di riaddormentarmi. Constatando che il sonno non accennava a tornare, mi alzai dal letto e mi affacciai alla finestra. Fuori la luce dei lampioni illuminava le strade deserte, attraversate da sottili strisce di nebbia fluttuanti. Lo scenario restituiva colori che interpretavo in modo del tutto bizzarro e nuovo, come a servirmi della vista per la prima volta. Ma non si trattava soltanto della vista: infatti sentivo di star adoperando altri sensi estranei a quelli comuni, più vaghi ed evanescenti, i quali mi permettevano di cogliere delle strane sfumature oniriche in ogni dettaglio della notte. Fu allora che provai la prima inquietudine derivante da quel tipo di esperienze, poiché ebbi come l’impressione di non trovarmi per davvero nella mia stanza, avvertendo invece che il mio vero io si fosse traslato in un qualche luogo remoto e oscuro che non conoscevo.
Ma l’autentico orrore lo sperimentai solamente in seguito, durante la notte il cui ricordo non racchiude altro che paura. Quanto segue costituisce il breve tentativo di trasporre su carta tale paura, per quanto sia consapevole che il sentimento da me provato in origine ne risulterà inevitabilmente alterato.
Ancora una volta mi ridestai da un sonno senza dubbio molto profondo, e ancora una volta fui preda dell’angoscia più oppressiva. La testa mi doleva terribilmente, invasa da una tempesta di concetti impossibili. La cognizione del tempo e dello spazio non mi aveva ancora abbandonato del tutto, ma nel giro di pochi istanti ogni certezza s’indebolì. Percepii i sensi evaporare uno dopo l’altro, farsi sempre più flebili, insignificanti; finché la materia intorno a me assunse un altro tipo di concretezza. Poi si accesero nuovi sensi, più fini ed orrendamente differenti da quelli di cui gli esseri organici sono dotati. Grazie ad essi potevo scorgere ciò che si cela dietro il velo della corporeità, oltre l’orizzonte del visibile, sotto gli strati della sostanza. Il sogno, o l’incubo, più intensamente vivido stava pervadendo ora la mia mente, ma ero sveglio.
Poi, la consapevolezza della mia identità prese a vorticare in un maelstrom di terrore inconoscibile, dentro cui era presto destinata a sprofondare. Ritagli di coscienza si stavano lentamente staccando dalla mia mente per fare spazio ad altre aliene percezioni che non avevano nulla a che fare con me, ma che mi costrinsero a sondare orrori che dimorano su altri piani di esistenza, normalmente eclissati dalla logica e dal pensiero razionale. Ciò che stavo vivendo era un’autentica dissociazione dello spirito e del corpo: per la prima volta, i contenuti più inintelligibili che la mente occulta si erano manifestati davanti alle porte della ragione, ed un’altra parte di me era emersa per cercare disperatamente d’interpretarli; ma che cosa stava trovando?
Tutto culminò con una definitiva, misericordiosa perdita di coscienza. Il mattino mi trovò in uno stato di completo sbigottimento: la luce che filtrava attraverso la finestra rendeva ogni immagine nuova e familiare allo stesso tempo, come se mi fossi risvegliato da un sonno infinitamente lungo, del quale conservavo una concezione temporale distorta. Mi sembrava che non facessi uso della vista e degli altri sensi per molto tempo.
Da allora gli effetti della mia condizione scemarono fino a svanire, restituendo la pace al mio sonno. Eppure la notte i sogni si fanno inquieti, e durante il giorno mi pare di vedere strane cose che non dovrebbero esistere. La mia immaginazione si è elevata a livelli notevoli, al punto che alle volte si ritrova ad un passo dal soverchiare ogni pensiero logico. Non so se sono sull’orlo della follia, ma certamente non sono più lo stesso.
Ho compreso che l’uomo conosce solo una parte di sé, ed in pochi sanno confrontarsi con la paura di non riconoscere il proprio volto nello specchio dell’io più recondito. La realtà non è che una limitata componente derivante dal filtro a cui un cervello sottopone il mondo: ma tutto il resto, in quali neri abissi precipita?
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Messaggio da leggere da Il Guru »

Riassunto: il protagonista del racconto, dopo aver ripassato gli appunti del corso di psicologia dinamica, ricorda di aver fatto una volta un sogno molto brutto, che non riesce a interpretare, ma che gli fa capire che Freud aveva ragione: l’inconscio esiste, ed è una gran brutta bestia di cui, del proprio, nessuno riesce a parlare.

Intanto, non è un racconto, ma il riassunto di alcuni concetti di psicoanalisi (non importa se più lacaniana, freudiana o junghiana o altro, fa lo stesso), dove non esce che questo: il protagonista trova il suo inconscio e ne resta traumatizzato, ma solo dopo un preambolo di ben 3.697 battute che sa di lezione di psicoanalisi o saggio (peraltro di una psicanalisi molto ai primordi).

Nonostante i seguenti 5.596 caratteri, un racconto vero e proprio, che trascini e renda partecipi, per me non c’è: sembra sia descritto un sogno lucido, ma in modo vago; si ripete che si provavano sensazioni terribili o angosciose, ma non si stimola davvero il lettore a entrare in quello stesso stato nemmeno indirettamente. Insomma, alla fine, non trasporta e non convince. Lo stile - non so se volutamente o meno - appare arcaico.

All'Ombra che lo ha scritto mi permetto due suggerimenti: far sì che il racconto sia in una lettera, trovata da qualcuno, di una persona nata prima di Freud (Breuer, suo maestro, non sarebbe male), il che intanto giustificherebbe lo stile a tratti vetusto, oltre alle forze misteriose (Breuer praticava anche l'ipnosi, e magari si potrebbe giocare sull'autoipnosi).

Comunque il preambolo è troppo lungo, va accorciato, e bisogna invece cercare di far provare sentimenti al lettore anziché far "vorticare in un maelstrom di terrore inconoscibile" la coscienza, cosa parecchio difficile da immaginare. Proviamo a calarci "in un pozzo nero, circondato da ombre striscianti che brulicano tutto intorno, iniziano a camminarci sulla pelle e, senza che possiamo muoverci, entrano attraverso i nostri pori, sollevando a ondate la nostra pelle. E a ogni ondata un ricordo si sfalda, si rompe, e con esso la nostra anima che urla impotente, mentre dei lampi di luce all'improvviso pulsano di lato - ma no, non è luce da fuori, sono gli assoni nel nostro cervello che gridano, a modo loro, disperati! (...)". (o una cosa del genere).

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Messaggio da leggere da Il Guru »

Io ho una grande passione per Balzac e Dostoevskij: scrivono talmente bene che non ti accorgi che riempiono pagine e pagine del nulla, ma è un vero piacere.
Quest'ombra spende innumerevoli caratteri per fare lo stesso, solo che non è al livello dei due grandi autori sopra citati.

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Messaggio da leggere da Il Guru »

L’estraneo interiore è un racconto ben scritto, con una prosa puntuale, frasi piacevoli e ben costruite. Ho apprezzato particolarmente l’immagine della bolla di sapone per la sua forza evocativa.

La mancanza di paragrafi o di pause evidenti rende però il testo difficilmente digeribile, poi per i primi due terzi non succede niente: è solo una dissertazione che non porta a nulla; sembra che inizi qualcosa con il ricordo del sogno, ma non arriva niente di fatto.


Il racconto sembra improntato con uno stile lovecraftiano, ma manca sia la tensione che l’orrore perché riesca a provocare una reazione nel lettore.


Purtroppo non c’è una storia.


L'ombra, secondo me, dovrebbe pensare di più al concetto di narrazione in senso classico, ad esempio pensando in termini di trama, personaggi e ambientazione, per poi eventualmente sperimentare come tentato di fare qui. All’autore o autrice non manca né il talento né la capacità di scrivere bene.

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Messaggio da leggere da Il Guru »

Questa tecnica narrativa avrebbe bisogno di un maggiore spazio, rispetto al racconto, per essere apprezzata. Premio il coraggio per avere usato una tale forma, ma lo scritto arranca e scorre a fatica.

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Re: L'estraneo interiore

Messaggio da leggere da Maria Spanu »

Personalmente penso che chi ha dato un commento anonimo su questo scritto non abbia ben compreso il reale significato di quest'ultimo. Dire che non esiste una storia è pressoché falso; non è che per descrivere una situazione bisogna per forza inserire personaggi, trame, colpi di scena o altre robe (non pretende di essere un romanzo o un racconto fantasy).
Questo è un viaggio descritto, a mio parere, magistralmente (la tecnica di scrittura e la conoscenza del vocabolario italiano) che rappresenta alla perfezione il dubbio, la paura, la curiosità di un mondo che effettivamente non siamo in grado di comprendere e spiegare. Un mondo che non è affatto facile descrivere, ma quest'ombra lo ha fatto in un modo molto personale e sincero, dando quel colore allo scritto che viene visto solo dalle persone che hanno "uno spirito sensibile capace di meravigliarsi delle piccole cose, come i bambini"(cit) . Evidentemente, nel 2023, questa capacità è sempre più rara visto che siamo completamente assuefatti dal materialismo e dall'unico desiderio di "apparire" ma non di "essere".
Ripeto, magari non troviamo personaggi come Zeno o Moscarda a farci compagnia ma troviamo una persona sensibile che racconta se stesso nel profondo, nel profondo delle sue paure, per questo almeno dobbiamo averne RISPETTO.

VOTO 5
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Re: L'estraneo interiore

Messaggio da leggere da Massimo Baglione »

Ricordo ai non partecipanti che (oltre a commentare) intendono anche votare, devono selezionare una delle opzioni di voto lassù indicate.
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Re: L'estraneo interiore

Messaggio da leggere da Il Guru »

Posso dire che questo “racconto” mi sia piaciuto? No, devo essere
sincero. È scritto bene e rispetta tutti i canoni di una buona scrittura?
Non sono un professionista ma, da quello che ne capisco, direi proprio di
sì. Pertanto il racconto in esame, anche solo per questo punto, già
meriterebbe la sufficienza. Ha inoltre il plus di abbinare questa ottima
scrittura, persino sovrabbondante di particolari, a concetti piuttosto
difficili da far passare: il risultato è una comprensione facile e
intuitiva. Non c’è una trama vera e propria? È vero. Non ci sono emozioni
vive e lampanti, momenti topici o sequenze emozionanti? È altrettanto vero.
Ma la letteratura, fino a un centinaio di anni fa, era anche (anzi,
soprattutto) questo: non mi pare il caso, pertanto, di buttare al macero
tanta storia. Non do il massimo dei voti solo perché, a mio parere, nella
parte iniziale sono presenti un po’ troppe ripetizioni di concetto: una
scorciatina avrebbe forse giovato. Nel complesso comunque lo reputo un buon
lavoro, pertanto

VOTO: 4
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Messaggio da leggere da Il Guru »

L'autore ha optato per un racconto didascalico, dove la narrazione vera e propria viene condensata nella parte centrale. Un racconto totalmente narrato e descritto da due diversi narratori. Il primo, impersonale, introduce il discorso al tempo presente e spiega la sua distinzione tra sogni e realtà. Una lunga sequenza argomentativa fa da cappello all'intero racconto e, per forza di cose, rallenta il discorso narrativo e forse stordisce il lettore.

A metà racconto, o poco più, il narratore diviene un io narrante, si immedesima nel protagonista e segue le sue vicende passo passo. È questa la vera sequenza introduttiva del racconto, con un breve seguito in parte narrativo, in parte descrittivo, e di nuovo argomentativo. L'impostazione che l'autore ha scelto è, per forza di cose, farraginosa. Peraltro il nuovo narratore cambia anche i tempi verbali, che dal presente scivolano nel passato, per ricordare probabilmente. Un effetto voluto, a mio avviso.

Nel breve periodo di epilogo l'io narrante rimane tale, ma recupera il tempo presente dell'inizio e continua ad argomentare, o riflettere sull'argomento principale.

Dunque il racconto c'è, esiste una organizzazione del testo in funzione della storia narrata. Non si tratta di un "saggio" (come affermato da alcuni), ma l'intento didascalico è preponderante e forse un po' asfissiante per un racconto tanto breve. In poche parole il racconto, a mio avviso, manca di equilibrio preferendo l'autore affidarsi a sequenze argomentative o riflessive rispetto a quelle narrative o descrittive propriamente dette, per ignorare del tutto quelle dialogiche. Ne risulta una narrazione sbilanciata sul tema scelto dall'autore, su asserzioni e tesi che, servite al lettore in questo modo, possono forse annoiare o far storcere il naso.

A ogni modo, apprezzo il tentativo.

Voto: 3
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