Kitsune
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Kitsune
Percorro il canale che scorre vicino all’hotel, accompagnata dal suono assordante delle cicale; il caldo è già soffocante anche se la giornata è solo agli inizi. La vegetazione delle aiuole a ridosso degli argini del canale è ripiegata su se stessa, aspetta il sollievo di una vera pioggia che sembra non arrivare mai. Solo poche macchie di colore qua e là ravvivano l’ambiente, alberi di San Bartolomeo e piante gamberetto in fiore. Non i ciliegi dell’Hanami*, ma ne ammiro comunque i petali delicati. Più avanti vedo una signora: indossa stivali di gomma e cammina nell’acqua bassa. Con un mestolo di legno dal lungo manico bagna le piante del suo pezzo di giardino, il giardino di tutti. Questo prendersi cura di un bene comune mi regala un attimo di gioia.
Sul treno ripenso a ciò che ho letto riguardo al luogo che sto andando a visitare. Non è stato tanto il tempio, dedicato alle divinità del riso e del saké, ad aver catturato la mia attenzione quando ho letto la guida di viaggio. Piuttosto mi ha attratto il sentiero che, immerso nel bosco, risale la montagna per una manciata di chilometri. Il cammino ha inizio alle spalle del santuario ed è racchiuso da centinaia di torii** rossi, portali per il mondo spirituale.
Le strade del quartiere che devo attraversare per raggiungere la Fushimi Inari-Taisha sono un fiume in piena di turisti accalcati, sudati; potrei anche fermarmi e la corrente mi porterebbe senza sforzi a destinazione. Quando finalmente raggiungo il santuario mi soffermo per qualche momento ad ascoltare il suono delle Furin*** che vibrano allegre e danno voce al vento.
Una strana calma comincia a filtrare dentro me, come se quel luogo non mi fosse del tutto sconosciuto. Come se fossi tornata a origini delle quali non sospettavo l’esistenza. O forse è il demone volpe delle leggende che si sta insinuando in me.
In questa stagione della mia vita mi sento permeabile agli influssi esterni, forse comincio a nutrire il bisogno di credere in qualcosa. Cammino come in trance su per gli scalini; luce e ombra, ombra e luce. Un’alternanza che magnifica la sensazione di distacco e di appartenenza che si amalgamano a creare una tonalità sempre meglio definita. Le persone attorno a me si diradano, sono sempre più sola e sempre più tranquilla, il sudore che mi scivola lungo la schiena è piacevole, cola come cera, una carezza lieve. Ad accompagnarmi ora ci sono solo statue dal muso allungato e il loro sguardo penetrante.
Mi si apre di fronte un luogo che sembra dimenticato da secoli. La vegetazione è un tutt’uno con le rocce, decine di piccoli altari si susseguono e la luce filtra lieve dall’alto. Mi avvicino a uno di quegli altari, il più grande; una grossa corda si muove in oscillazioni appena percettibili, sembra sospesa nel nulla e protendersi verso il cielo, verso il divino. Sento nelle tempie un pulsare lento ma intenso, mi rifugio in uno stato di estraneità, non so per quanto tempo. Come attraverso un velo, vedo immagini che si rincorrono, sembra una danza di colori confusi e forme che si amalgamano. Rimango così, immobile, la carne come pietra, la mente come vento. Poi sono di nuovo io, afferro la corda e tiro. Eseguo il rituale e la formula esce dalle mie labbra con una naturalezza che non mi so spiegare; non avevo mai compiuto quei gesti, non avevo mai sentito né pronunciato quelle parole.
Scendere, tornare, andare verso il basso. Verso la gente, verso il caldo che ricomincio a percepire, ma che non mi pare più così soffocante. È come tornare alla vita, l’esistenza dalla quale a volte vorrei sfuggire. Un desiderio di sparire e unirmi alla natura che mi ha reso debole e ha permesso a qualcosa di impossessarsi di me. Questi pensieri mi assorbono a tal punto che mi ritrovo con un senso di sorpresa davanti al disegno che illustra l’intero complesso sacro. Cerco con lo sguardo quel luogo che, lo sento, mi ha segnato. Ma seguendo il cammino di torii dipinti non lo trovo, me lo sono immaginato, ciò che ho creduto di vivere è stata una pura illusione.
Torno a quella stanza che considero una casa temporanea; aspetto la notte indecisa tra la delusione di non aver trovato niente e il sollievo dall’angoscia di un mistero che forse non saprei gestire. E tra la veglia e il sonno sento crescere in me una strana sensazione, perdo il controllo, varco la soglia.
È notte fonda e la donna si mette a sedere nel letto, le lenzuola sono intrise del suo sudore, il suo sguardo nel buio sembra riflettere la luce della luna che entra dalla finestra dimenticata aperta. Il suo viso è cambiato, i suoi occhi ora hanno riflessi dorati, il viso si è come allungato, i capelli hanno sfumature rosse. Con movimenti lenti mette i piedi nudi a terra, si spoglia e cammina. Ha fame, molta fame, si deve nutrire. Varca la soglia che dà sul giardino, un guaito nasce dalla sua gola, poi corre via, la notte la inghiotte, forse per sempre.
*È usanza in Giapppone ammirare la bellezza della fioritura dei ciliegi e delle piante in generale, in primavera. Hanami è il termine usato per descrivere questa tradizione. (Liberamente tratto da Wikipedia)
** I torii sono portali d’accesso tradizionali alle aree sacre, in Giappone. (Liberamente tratto da Wikipedia)
*** I Furin sono campanelle che, mosse dal vento, suonano
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Il finale lascia pensosi e, forse, quella fame non è fame di cibo ma di qualcosa che abbiamo perso nel tempo e che la camminata e il giungere in quel posto hanno risvegliato.
Ci sono posti, non solo in giappone, che hanno un potere intriso nell'aria, nel terreno e in tutto quello che li compone… potere che in momenti di estraneamento dalla folla può essere recepito… come un regalo!
Jacopo
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Un viaggio in un luogo lontano, tanto lontano che forse nemmeno esiste, o forse sì, ma non importa. Sola, la protagonista percorre strade sconosciute e affollate da turisti, il caldo è soffocante, la natura sofferente, la vegetazione piegata su se stessa in cerca di frescura. Si sente
estranea. Poi arriva la calma, in un posto sconosciuto che invece sente di aver sempre conosciuto. Sale, percorre i gradini in salita, nel chiaroscuro, tra ombra e luce. Una improvvisa frescura, un luogo dimenticato da secoli, la vegetazione tutt'uno con le rocce, armonia, la solitudine, un luogo che le sembra di conoscere da sempre. Ecco, è a casa. Ma cos'è la casa? La solitudine. Le persone si diradano, una sensazione di benessere. Una grossa corda, come un pendolo oscilla, protesa verso il nulla, verso il divino. Se le parole avessero un senso. Quel pendolo dimostra la rotazione della terra, il desiderio di solitudine la necessità di staccarsi dal mondo, verso il nulla, verso il divino? No, la solitudine è il desiderio di se stessi. Stare finalmente soli. Un desiderio di sparire.
Ma no, non ti ha reso debole quello, ma il suo esatto contrario.
E infatti siamo costretti a scendere, a tornare in basso, a tornare tra la gente, a tornare al caldo.
Tornare alla vita o sfuggire alla vita?
Forse oggi, proprio oggi, costretti come siamo a comparire, a essere osservati, monitorati, studiati, profilati, sempre e dovunque, in qualunque circostanza dobbiamo fuggire. Come possiamo sfuggire? Con la solitudine, l'unica libertà negata, ma l'unica a cui veramente aspiriamo, come una corda tesa verso il cielo, in un mondo che, in nome della trasparenza, della sicurezza, della tolleranza, della tracciabilità, del rispetto, deve trasformare ogni privato in pubblico mentre tutto ciò che è pubblico si trasforma in privato.
Un magnifico racconto allegorico. Scritto con grande leggerezza, uno dei tuoi migliori mai letti. Complimenti.
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Re: commento
Ciao Jacopo, ti ringrazio per la lettura e per il commento. Sì ci sono luoghi che parlano e uno dei motivi che mi ha spinto a scrivere questo racconto è stato proprio il voler rendere in qualche modo omaggio a un paese e una cultura che mi affascinano.Jacopo Serafinelli ha scritto: 25/12/2023, 17:56 Bel racconto e scritto con leggerezza descrittiva… molto efficace.
Il finale lascia pensosi e, forse, quella fame non è fame di cibo ma di qualcosa che abbiamo perso nel tempo e che la camminata e il giungere in quel posto hanno risvegliato.
Ci sono posti, non solo in giappone, che hanno un potere intriso nell'aria, nel terreno e in tutto quello che li compone… potere che in momenti di estraneamento dalla folla può essere recepito… come un regalo!
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Re: Commento
Ciao Namio, grazie! Le tue parole mi hanno davvero fatto molto piacere, sono molto felice di essere riuscita, per lo meno ai tuoi occhi, a creare qualcosa di bello. Le tue riflessioni sono come sempre profonde e leggerle permette anche a me, che l’ho scritto, di coglierne le sfaccettature o meglio riviverle dopo una scrittura che nel mio caso è spesso molto istintiva.Namio Intile ha scritto: 25/12/2023, 20:53 In una parola, Selene: splendido.
Un viaggio in un luogo lontano, tanto lontano che forse nemmeno esiste, o forse sì, ma non importa. Sola, la protagonista percorre strade sconosciute e affollate da turisti, il caldo è soffocante, la natura sofferente, la vegetazione piegata su se stessa in cerca di frescura. Si sente
estranea. Poi arriva la calma, in un posto sconosciuto che invece sente di aver sempre conosciuto. Sale, percorre i gradini in salita, nel chiaroscuro, tra ombra e luce. Una improvvisa frescura, un luogo dimenticato da secoli, la vegetazione tutt'uno con le rocce, armonia, la solitudine, un luogo che le sembra di conoscere da sempre. Ecco, è a casa. Ma cos'è la casa? La solitudine. Le persone si diradano, una sensazione di benessere. Una grossa corda, come un pendolo oscilla, protesa verso il nulla, verso il divino. Se le parole avessero un senso. Quel pendolo dimostra la rotazione della terra, il desiderio di solitudine la necessità di staccarsi dal mondo, verso il nulla, verso il divino? No, la solitudine è il desiderio di se stessi. Stare finalmente soli. Un desiderio di sparire.
Ma no, non ti ha reso debole quello, ma il suo esatto contrario.
E infatti siamo costretti a scendere, a tornare in basso, a tornare tra la gente, a tornare al caldo.
Tornare alla vita o sfuggire alla vita?
Forse oggi, proprio oggi, costretti come siamo a comparire, a essere osservati, monitorati, studiati, profilati, sempre e dovunque, in qualunque circostanza dobbiamo fuggire. Come possiamo sfuggire? Con la solitudine, l'unica libertà negata, ma l'unica a cui veramente aspiriamo, come una corda tesa verso il cielo, in un mondo che, in nome della trasparenza, della sicurezza, della tolleranza, della tracciabilità, del rispetto, deve trasformare ogni privato in pubblico mentre tutto ciò che è pubblico si trasforma in privato.
Un magnifico racconto allegorico. Scritto con grande leggerezza, uno dei tuoi migliori mai letti. Complimenti.
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Bei ricordi i hai fatto rivivere e ti ringrazio veramente di cuore.
A presto.
- Alberto Marcolli
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commento Kitsune
Come attraverso un velo vedo immagini - - Come attraverso un velo, vedo immagini
È notte fonda e la donna si mette a sedere nel letto - - personalmente questo passaggio in terza persona non me lo so spiegare.
Refuso - - mette i pedi nudi a terra –
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Un ottimo racconto – mi associo al parere di Namio.
Voto 5
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Re: commento Kitsune
Alberto Marcolli ha scritto: 02/01/2024, 14:31
Buongiorno Alberto, grazie mille per il commento e per il voto!
Più avanti vedo una signora: indossa stivali di gomma e cammina nell’acqua bassa. Domanda: camminava nel canale? Come mai?
Perché usa l‘acqua del canale per bagnare delle aiuole che si trovano lungo la strada.
Come attraverso un velo vedo immagini - - Come attraverso un velo, vedo immagini
Grazie, correggo!
È notte fonda e la donna si mette a sedere nel letto - - personalmente questo passaggio in terza persona non me lo so spiegare.
Mi è venuto spontaneo spostare il punto di vista dato che la donna si estranea/non è più in lei.
Refuso - - mette i pedi nudi a terra –
Grazie, correggo anche questo!
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Un ottimo racconto – mi associo al parere di Namio.
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Re: Commento
Buongiorno e grazie per la lettura e il commento, mi fa piacere quanto dici perché era una delle mie ambizioni quella di dare una immagine di un mondo lontano e affascinante.Marirosa ha scritto: 03/01/2024, 9:27 Il titolo mi ha subito catturata, perché sono molto affascinata dal Giappone. Il racconto è molto descrittivo, e molto dettagliato. Si legge bene, infatti l'ho letto d'un fiato, e mi ha molto coinvolto. Il finale è aperto. Magari si è davvero trasformata nella volpe delle leggende, magari ha trovato la sua via. Racconto davvero molto bello, e suggestivo. Fa anche riflettere, ed è facile immaginare i luoghi descritti. Hai catturato l'atmosfera giapponese dei luoghi lontani dalle grandi città. Ancora i miei complimenti, ho apprezzato il tuo racconto.
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voto massimo per i tuoi flashback di un'esperienza mistica.
Ma perché rinunciarvi? Perché dubitare, dopo averla vissuta? È così tirannica la "realtà"?
Kitsune... (nientemeno) ti parla, si fa notare da te. E fanno così: ti fanno capire che ci sono, ti parlano di sé, ci offrono chiavi di lettura del mondo che non sappiamo usare...
Ma ci sono. E a suo tempo capiremo che vuol dire la bellezza che ti hanno ispirato.
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sarà che ho un figlio che abita in Giappone, quindi sono un po' di parte, ma hai scritto delle descrizioni magnifiche.
mi sembrava di avere davanti agli occhi tutto quanto.
ripeto: molto bello e coinvolgente, carico di armonia e spiritualità, di cui abbiamo tutti un gran bisogno
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Ciao Laura, ti ringrazio molto per il tuo bel commento e per il giudizio positivo. Aver evocato ricordi/sensazioni personali mi dà motivo di pensare di aver fatto qualcosa di buonoLaura Traverso ha scritto: 23/01/2024, 0:21 Ciao Selene, Il tuo racconto è molto poetico e sprigiona spiritualità. Parli del Giappone ma la tua storia mi ha avvicinato col ricordo all' India, vi ho trovato molte analogie come le campanelle che suonano mosse dal vento. in india ci sono ovunque le preghiere (bandierine colorate appese a fili orizzontali sospesi in alto) che sventolano nel vento e trasportano desideri e, appunto le preghiere, di coloro che a esse si sono affidati. Il finale del tuo racconto non spiega, lascia solo immaginare. E mi piace pensare che il viso di lei che si trasforma allungandosi si stia trasformando in una divinità. D'altra parte il finale è aperto e adatto a molte interpretazioni... davvero un bel racconto, con una trama originale e scritto con una terminologia delicata e assai efficace.
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Ciao Andr60, grazie per il tuo commento; sì, in certi luoghi ancora si ha la sensazione di varcare una sorta di portale per un altro mondo o forse un altro tempo.Andr60 ha scritto: 01/02/2024, 9:41 Un racconto che è riuscito a creare l'atmosfera misteriosa e affascinante dell'Oriente, quel senso di comunanza con la Natura che in Occidente si è gradatamente perduto. Che poi tale senso resista in Oriente, e non sia assediato come qui dalla smania del controllo e della tracciabilità, è un altro paio di maniche. Si ha però la sensazione che in India, Giappone, Cina, ecc., ci siano ancora delle "oasi", dei luoghi rimasti intatti dal frastuono contemporaneo, adatti a percepire l'immensità del Creato.
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Re: Commento
Ciao Marino, grazie per il tuo messaggio e per il generoso voto. Già, non sempre si è pronti ad accogliere ciò che arriva, ma l’esperienza in sé porta già il cambiamento, anche se pare impercettibile.Marino Maiorino ha scritto: 07/02/2024, 0:14 Ciao Selene,
voto massimo per i tuoi flashback di un'esperienza mistica.
Ma perché rinunciarvi? Perché dubitare, dopo averla vissuta? È così tirannica la "realtà"?
Kitsune... (nientemeno) ti parla, si fa notare da te. E fanno così: ti fanno capire che ci sono, ti parlano di sé, ci offrono chiavi di lettura del mondo che non sappiamo usare...
Ma ci sono. E a suo tempo capiremo che vuol dire la bellezza che ti hanno ispirato.
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Re: Commento
Ciao Antonio, ti ringrazio per il tuo commento e per il tuo voto, ma soprattutto per le tue osservazioni che apprezzo molto. Sono tutte opportune e mi prenderò il tempo per valutare ogni tua proposta, probabilmente non le coglierò tutte perché sono un po’ zuccona riguardo il fatto di rileggere prima di postare hai perfettamente ragione, ma ti assicuro che io l’ho fatto e ciò che c’è di sbagliato o impreciso è dovuto a disattenzione o ignoranza e per entrambi i mali questo contesto è una preziosa medicina. Mi spiace per la tua decisione, io partecipo da ormai tanto tempo e mi ha aiutato molto il confronto con gli altri per quanto mi sia spesso successo di essere in disaccordo o anche, sì, di rimanerci male. Comunque non so cosa ti abbia portato a pensare di non partecipare più, se davvero non ti piace fai bene, ma magari anche solo una pausa può essere d’aiutoA. Giordano ha scritto: 22/02/2024, 1:49 Mie osservazioni
1) "Percorro il canale che scorre vicino all'hotel, accompagnata dal suono assordante delle cicale; il caldo è già soffocante anche se la giornata è solo agli inizi."
Le cicale friniscono, che è pure onomatopeico il verbo. Suono è generico.
Sarebbe stato meglio scriverla così:
"Percorro il canale che scorre vicino all'hotel, accompagnata dal frinire assordante delle cicale; il caldo è già soffocante anche se la giornata è solo agli inizi."
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2) "Più avanti vedo una signora: "indossa" stivali di gomma e cammina nell'acqua bassa."
Gli stivali, più propriamente, si calzano. Indossare va bene, perché comunque si tratta di abbigliamento.
Ma per essere pignoli, sarebbe stato meglio scriverla così:
"Più avanti vedo una signora: "calza" stivali di gomma e cammina nell'acqua bassa."
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3) "Piuttosto mi ha attratto il sentiero che", immerso nel bosco, " risale la montagna per una manciata di chilometri."
L'inciso crea uno stop.
Sarebbe stato meglio scriverla così:
"Piuttosto mi ha attratto "il sentiero immerso nel bosco" che risale la montagna per una manciata di chilometri."
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4) ""Quando finalmente raggiungo il santuario" "mi soffermo per qualche momento ad ascoltare il suono delle Furin***" "che vibrano allegre e danno voce al vento."
Se una frase inizia con avverbio temporale, consuetudine vuole che si isoli la proposizione. Inoltre, il "che" (congiunzione/pronome/soggetto) suona male nella frase.
Costruzione neutra della frase:
"Mi soffermo per qualche momento ad ascoltare il suono delle Furin*** che vibrano allegre e danno voce al vento quando finalmente raggiungo il santuario."
Ma se dislocata, sarebbe stato meglio scriverla evidenziando la "temporale" e senza la relativa, ma coi verbi nominali, così:
"Quando finalmente raggiungo il "santuario, mi soffermo" per qualche momento ad ascoltare lo scampanellio delle Furin***" vibrare allegre e dare voce al vento.", ho specificato il suono. Meglio, no?
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5) "Una strana calma comincia a "filtrare" dentro me, come se quel luogo non mi fosse del tutto sconosciuto."
I "filtri" di solito bloccano o limitano un qualcosa, esempio: La luce filtrava dalla finestra, nel senso che solo una parte, e non tutta la luce, entra dalla finestra. Per la tua frase il verbo "fluire", secondo me, rende meglio:
"Una strana calma comincia a "fluire" dentro me, come se quel luogo non mi fosse del tutto sconosciuto."
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6) "Cammino come in trance su per gli scalini"
Questa frase mi suona male con quel "su", sarebbe stato meglio scriverla così:
"Salgo come in trance per gli scalini", essendo salire verbo intr.
"Salgo come in trance gli scalini", senza "per" in un italiano meno controllato, ma che si legge spesso anche in testi letterari. Scegli tu.
Io l'avrei scritta così, per dare più enfasi:
"Salgo come in trance gli scalini, uno dopo l'altro, quasi senza accorgermene."
Ma il testo è tuo e non mio. Decidi tu.
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7) "il sudore che mi "scivola lungo" la schiena è piacevole, "cola come cera, " una carezza lieve."
Poco fluida la frase.
Sarebbe stato meglio scriverla così per rendere meglio ciò che la frase vuole intendere:
"il sudore, come cera colante (o che cola), mi scivola lungo la schiena in una carezza lieve e piacevole.", senza "che", perché non serve, poi decidi tu.
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"Mi si apre di fronte un luogo che sembra dimenticato da secoli."
Perché sembra e non è? Nell'estasi tutto è possibile, no?
Meglio così per dare più mistero:
"Mi si apre di fronte un luogo dimenticato da secoli."
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10) "Eseguo il rituale e "la formula" esce dalle mie labbra con una naturalezza che non mi so spiegare; non avevo mai compiuto quei gesti, non avevo mai sentito né pronunciato quelle parole."
Formula stona nel contesto magico della frase. Io la toglierei:
"Eseguo il rituale e le parole escono dalle mie labbra con una naturalezza che mi stupisce. Non avevo mai compiuto quei gesti, non avevo mai sentito né pronunciato quelle frasi prima di allora."
Perché è implicito che le parole sono una formula che fa parte di un rituale. Scegli tu.
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11) "È come tornare alla vita, l'esistenza dalla quale a volte vorrei sfuggire. Un desiderio di sparire e unirmi alla natura che mi ha reso debole e ha permesso a qualcosa di impossessarsi di me."
Questi due periodi sembrano scritti da Nicola Lagioia. Parole che evocano un significato letterale che non esiste nella frase, perché priva di connessioni appropriate, e il suo senso è solo intuibile dalle singole parole e dai brevi sintagmi.
Andrebbe scritta così per essere comprensibile:
"È come un ritorno alla vita e a un desiderio di fondermi con la natura per sfuggire da quell'esistenza che a volte mi ha reso vulnerabile e ha permesso a qualcosa di (oscuro, malevole) impossessarsi di me."
Ma la frase ideale è questa:
“È come un ritorno alla vita e a un desiderio di fondermi con la natura per sfuggire da quell'esistenza che a volte mi ha reso vulnerabile e ha permesso a una forza oscura d’impossessarsi di me.”
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Commento
È un racconto non racconto. Magico/sensistico/mistico. Che inghiotte il lettore in un vortice di sensazioni, tutte ben evocate dall'autrice. Meraviglioso in alcuni passaggi! E nonostante non abbia una trama precisa e presenti diverse incertezze nella sua esposizione, il testo riesce bene a trasmettere la tua "intelligenza emotiva" alquanto marcata. Molto interessante la scena della "metamorfosi" finale. Un mio consiglio è di rileggere con più attenzione prima di postare.
Tante belle cose, Selene Barblan, e voto massimo: 5
Antonio
P.S.: le mie "osservazioni" da lettore attento puoi anche non considerarle, ma sono tutte pertinenti. Decidi tu!
Questo è il mio ultimo commento. Lo faccio a te perché hai scritto il racconto più bello. Poi lascio, senza polemiche. E non per presunzione, ma solo perché mi sento "estraneo/alieno" in questo contesto.
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Re: Commento
Ciao Fausto, caspita grazie! Sapendo quanto sei preciso questo tuo giudizio positivo mi fa particolarmente piacere, mi fa pensare che i miei sforzi per limare le mie difficoltà formali pian piano stiano portando da qualche parte.. contenta ti sia piaciuto:)Fausto Scatoli ha scritto: 23/02/2024, 19:35 piaciuto molto, ti faccio i miei complimenti.
sarà che ho un figlio che abita in Giappone, quindi sono un po' di parte, ma hai scritto delle descrizioni magnifiche.
mi sembrava di avere davanti agli occhi tutto quanto.
ripeto: molto bello e coinvolgente, carico di armonia e spiritualità, di cui abbiamo tutti un gran bisogno
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"La spina infinita" è stato scritto quasi vent'anni fa, quando svolgevo il mio servizio militare obbligatorio, la cosiddetta "naja". In origine era una raccolta di lettere, poi pian piano ho integrato il tutto cercando di dare un senso all'intera opera. Quasi tutto il racconto analizza il servizio di leva, e si chiude con una riflessione, aggiunta recentemente, che riconsidera il tema trattato da un punto di vista più realistico e maturo.
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