Kamikaze
Kamikaze
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fai un quadro della Roma anni '80, una generazione che ha preceduto "La grande bellezza" che è poi diventata quella che dicono (o preferiscono tacere) le cronache, attraverso gli occhi di un "prudente" borghesotto, che si fa, ma con attenzione.
Il tuo racconto è ben scritto, ma a me è mancato qualcosa, forse il dramma, la tragedia. È poco sentita la fine di Kamikaze, come potrebbe essere qualcosa di accaduto a un conoscente alla lontana.
Non è necessario fare un dramma di tutto quello che si racconta ma, senza quello straziare di sentimenti, cosa resta del tuo racconto? Un vago avvertimento di fare attenzione a come ci si sballa?
E se non è questo, che volevi denunciare, ma magari l'atteggiamento disincantato, squallidamente passivo di una certa borghesia persino di fronte a tragedie del genere, dov'è allora la molla a rigettare tanta miseria morale? Dov'è una lezione alla Christiana F.? Questo racconto non mi sa nemmeno di necrologio.
Non lo so, probabilmente sono solo io che ho pretese assurde, ma credo che non siamo qui solo per fare esercizi di stile, o meglio, di buon scrivere. O forse, confesso un mio "difetto di fabbrica", è che comincio a temere le prime perdite di amici, e io sono uno che si attacca alle persone in maniera morbosa.
Insomma... https://allpoetry.com/No-man-is-an-island
A presto
Racconti alla Luce della Luna
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Ho apprezzato la chiusura, con citazione di un testo di canzone (credo, confesso la mia totale ignoranza in materia): ci sta bene, è azzeccata. Opto per il 3.
Saluti
Vittorio
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Scrivere racconti con un dramma autentico non è semplice, perché non ci si può limitare "sinteticamente" a descrivere azioni e protagonisti che si autodistruggono; è necessario esplorare chi siano "loro" e quali siano le motivazioni che li spingono a intraprendere tali strade. E alla fine non bastano affermazioni del tipo:
"Mi dispiacque molto, perché Kamikaze era, in fondo, un buono, figlio di una società consumistica che soffocava la libertà di pensiero, cresciuto in una famiglia priva di valori e di responsabilità. Per cercare di adattarsi, aveva messo poco di suo, mostrando una certa ingenuità e inadeguatezza. Era troppo legato a quella scimmia che gli sussurrava all'orecchio, brontolando quando si sentiva trascurata. Sul filo sottile della vita non riusciva a mantenere l'equilibrio e preferiva non cercare nuove direzioni. Non era in grado di affrontare il cambiamento e sceglieva di anestetizzare la propria mente piuttosto che cercare nuovi stimoli."
Affermazione che risulta certamente vera e reale, ma troppo generica e potrebbe applicarsi a tanti come Kamikaze che, per volontà o destino, incontrano la loro "brutta fine". Sarebbe stato più fondamentale, invece, ritrarre Kamikaze per quello che era "LUI" come persona, anche nel suo processo personale di autodistruzione, per renderlo non solo riconoscibile, ma anche "vivo e autentico", evitando che diventasse alla fine solo semplicemente uno dei tanti nomi "quasi anonimi" scritti in un necrologio. Perché il buon cuore di un racconto, soprattutto drammatico, non sta solo nella storia, volendo pure efficace, ma più, ed essenzialmente, nel modo in cui si tracciano i personaggi.
Tante belle cose, Letylety
Antonio
Voto, 3/5: "Essendo un racconto abbastanza ben scritto nella sua costruzione narrativa, cioè per quanto riguarda la trama, ma troppo 'limitato e sintetico' nella sua visione e analisi dei personaggi. Belli i versi finali, insufficienti però a compensare quello che si è scritto prima."
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Re: Commento
Andr60 e Maiorino, in realtà avete ragione entrambi. Dipende da come si osserva la storia: in modo personale (più immersivo) o da osservatore esterno (più distaccato).Andr60 ha scritto: ↑oggi, 9:07 Il racconto mi è piaciuto poiché, oltre alla scrittura ben curata, credo che da esso traspaia il carattere del protagonista. Non sono d'accordo con Marino Maiorino (al quale è mancato il dramma, nella storia raccontata): è proprio il fatto che non ci sia, questo dramma, che denota il modo di vivere di chi sta raccontando, che si droga, ma con moderazione, e che ha degli amici, ma nemmeno poi tanto. Uno che sembra surfare sulla vita.
Io non mi sono fatto condizionare dal giudizio di Maiorino, perché io sono uno "scrittore" – o pretendo di esserlo – di "drammi" e "tragedie", ma per me un dramma, o situazione contrastante, pur essendo condizionata dal contesto, alla fine va considerata sempre come un'esperienza unica e personale e va oltre il contesto. Nel racconto di Lety il dramma c'è, ma è raccontato e giustificato da una frase finale che può avere senso o non può averne affatto, e non è vissuto. Spero di essere stato capito (per questo prima ho scritto "scrittura da cronaca").
Ho scritto questa piccola cosa solo per precisare. Comunque è sempre soggettivo un giudizio, perché io non faccio il critico letterario. Racconta Geltri (togli la G e metti la F), quel giornalista, "simpatico" per certi versi, ma di cui io non condivido neppure una parola, che lui ha iniziato a scrivere sui giornali "come critico cinematografico", pur non essendo quella esattamente la sua "materia". La sua vera vocazione era ed è "addobbare vetrine di negozi".
Ciao, Andr60
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Re: Kamikaze
Voglio solo riprendere un tratto del mio commento che forse è sfuggito:
"E se non è questo, che volevi denunciare, ma magari l'atteggiamento disincantato, squallidamente passivo di una certa borghesia persino di fronte a tragedie del genere, dov'è allora la molla a rigettare tanta miseria morale?"
Cioè, avevo valutato la possibilità che il fulcro del racconto potesse essere proprio nella mancanza del dramma che nel dramma in sé, ma in tal caso mi è mancata la parte dove si sottolinea questa mancanza.
Di nuovo, il mio commento è solo espressione del mio gusto!
A presto!
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