Il contratto

Spazio dedicato alla Gara stagionale d'autunno 2024.

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Namio Intile
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Il contratto

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Marzo 1980

Quando sbarcò il mondo iniziò a ondeggiargli intorno, come se quella scialuppa lo avesse ospitato in mare per delle settimane.
Si guardò intorno, e gli sembrò che nessuno si fosse accorto di lui.
Dalla risacca ebbe un aiuto a tirare la barca in secco, sopra una spiaggia dai grossi ciottoli, fino a un ripiano erboso, da cui s’inerpicò per il pianoro inclinato dov’era il villaggio, immerso in una folta vegetazione ai piedi della massa scura del vulcano.
Non scorse anima viva tra le case e iniziò a urlare per richiamare la sua presenza finché intorno a lui si radunò una piccola folla di bambini biondi, vestiti alla buona e dai visi sporchi, tanto da dargli l’impressione di essere capitato dentro al romanzo di William Golding.
«What ‘re you doing?» Lo interrogò il più piccolo della tribù.
Ci rifletté un attimo, incerto se gli avesse chiesto cosa facesse o chi fosse.
«I’m Durante» disse.
Di botto i ragazzini ne strillarono il nome in coro divertiti, lo afferrarono per le mani e lo trascinarono attraverso il villaggio, un centinaio di case dai tetti spioventi e dai prospetti variopinti con le sfumature del rosso, del verde e dell’azzurro.
Gli adulti giunsero per ultimi.
Uno di loro si fece largo tra i bambini e gli si parò davanti fermando la processione.
«’Re you ok?» Gli domandò uno di loro.
Durante cercò le parole esatte nel suo vocabolario «We shipwrecked...» spiegò, abbiamo fatto naufragio.
L’uomo dalla barba rossa gli fece un segno d’intesa e informò gli altri in una lingua ch’era una combinazione d’inglese e tedesco.
E si meravigliò che nessuno di loro apparisse stupito del suo arrivo, se pure l’attenzione dei bambini lo abbandonò per indirizzarsi alla scialuppa arenata a pochi passi dal bagnasciuga.
Alzò una mano per schermare gli occhi dal sole. «La mia borsa» strillò, quando uno dei bimbi la tirò fuori dall’imbarcazione.
«My bag...» provò a ripetere, e indicò il dinghy sulla spiaggia.
L’uomo colla barba rossa urlò qualcosa, e uno dei ragazzi più grandi li raggiunse con la piccola sacca tra le mani.
«Is it your, Durante?» Domandò serio, mentre gliela porgeva.
«Yes. It’s mine...» e gliela strappò di mano, come fosse l’oggetto più prezioso al mondo.
Gli uomini si scambiarono incomprensibili parole, ma il palmo accostato al mento, tra il pollice e l’indice a imitare la svasatura d’una campana, conferì all’uomo dalla barba rossa un’inconfondibile aria dubbiosa.
«Beatrice... kom hier» la chiamò a gran voce.
Una ragazza minuta dai capelli biondi si fece largo tra la piccola folla assorta.
«Sono Beatrice Ravetto» si presentò. «Ti trovi tra amici, non temere…» disse, in un perfetto italiano.
«Durante Donadìo» si presentò lui, e abbozzò un inchino.
La donna lo prese sottobraccio e lo allontanò dal gruppo conducendolo nell’unico spiazzo lastricato dell’isola, delimitato da un edificio d’un rosso carminio.
Camogli Hospital, suggeriva la piccola targa di marmo all’ingresso.
«Dove sono capitato» le domandò.
«Nell’isola più sperduta al mondo, l’isola dei naufraghi» disse la giovane, con un sorriso a illuminare il bel viso ovale e dei grandi occhi verdi a tradire preoccupazione più che curiosità.
Lo condusse dentro l’ospedale e lo fece sdraiare sopra un lettino.
«Allora, com’è successo?» Chiese, dopo aver terminato la visita. «Il naufragio, intendo.»
Durante si tirò su e iniziò a raccontare la storia che conosceva a menadito per quante volte l’aveva ripassata. Le disse che si trovava sopra una vecchia goletta, il Parsifal. Che faceva parte dell’equipaggio, e indicò l’abito bagnato, simile a una divisa. «Trasportavamo turisti lungo le coste del Karas, nel Protettorato del Sud-Ovest. Navigavamo in altura quando il tempo è girato al brutto, il vento ha cominciato a soffiare rabbioso, il mare è ingrossato a vista d’occhio, e onde gigantesche hanno iniziato a frangere e a spazzare il ponte. A un certo punto è scoppiato un incendio, che ha avvolto il fasciame prima ancora che potessimo tentare di sedare le fiamme. La tempesta ha fatto il resto. È successo con una velocità incredibile, e non ho potuto far altro che salvare me stesso; non credo che altri ce l’abbiano fatta.»
Nascose il volto tra le mani e poi le domandò quando sarebbe arrivata la prossima nave.
Beatrice gli rispose che l’ultima era andata via quindici giorni prima.
«Quindi?»
«Un anno meno quindici giorni.»
«Un anno?»
Durante la guardò incredulo. «Non c’è un posto vicino dove poter andare?»
«Se preferisci tornare in mare Sant’Elena è a 1500 miglia a nord, il Sudafrica 1700 a est, l’Argentina 2000 a ovest» disse ridendo.
«Non so neanche come abbia fatto a navigare… millesettecento miglia dici. Ma come fate così isolati?»
«La nostra normalità è l’isolamento, altrove saremmo dei disadattati in preda al panico» scherzò, e accennò un sorriso che le si spense tra le labbra incrociando il suo sguardo.
«Che ci fa un’italiana nel luogo più sperduto della Terra?»
«Io sono tristaniana,»
«Tristaniana?»
«Tristan da Cunha, l’isola è una delle ultime colonie britanniche. Gli inglesi, con molto humor, hanno battezzato il villaggio con l’altisonante nome di Edinburgh of the Seven Seas; ma per noi è soltanto The Settlement» spiegò. «Mio nonno era ligure: il brigantino su cui viaggiava colò a picco in queste acque mentre era diretto in Argentina. E venne accolto dai discendenti dei passati naufragi. Siamo ancora isolati, a parte una radio a onde corte con cui ascoltiamo più che comunicare. Da Cape Town mandano un cargo l’anno con i rifornimenti essenziali. Non esiste un aeroporto o un vero porto. Viviamo di pesca e agricoltura, e di un piccolo stanziamento della Corona.»
«E tuo nonno, che fece?»
«Sposò Beatrice Novak, naufragata un paio d’anni prima anche lei diretta in Argentina, e rimase a Tristan con lei. E tu, hai lasciato qualcuno in Italia?»

Ottobre 1978

Neanche un filo di brezza muoveva le acque immobili del golfo e il cielo rimaneva sereno a dispetto del calendario.
«Salpiamo il palamito» ordinò Enea.
Il rais del moto pesca Luisa II si sporse dalla battagliola e si allungò fuori bordo; il suo viso, grinzoso come la corteccia del sughero, non riuscì a nascondere la preoccupazione per un’annata iniziata male che prometteva di finir peggio.
Mise le eliche indietro senza dare gas e ruotò la barra al centro.
Sul ponte di poppa Vanni alzò la destra e afferrò il cavo d’acciaio su cui erano innestati gli ami per la pesca: cominciò a manovrare il verricello calandoli in mare.
«Alla via così» li spronò il rais.
Fecero su e giù lungo la costa ripida delle Cinque Terre per tutta la giornata, finché il sole non iniziò la sua corsa verso il tramonto.
Scossi il capo e cercai di scacciare dalla mente gli occhi di Maria, il suo corpo accogliente, i continui inutili tentativi di ancorarmi a quei luoghi.
«Ancora niente?» Domandò Enea.
«Un paio di ricciole e qualche aguglia...» mormorai.
«Troppo poco! Se continua così non rimarrà alternativa tra morire e fuggire...» sbottò il rais, storcendo la bocca.
«Allora è meglio fuggire» mi scappò.
Gli occhi dei miei compagni si riversarono su di me, e un silenzio che sapeva di disapprovazione mi costrinse a precisare: «Ho deciso d’andar via» e abbassai gli occhi serrando con le dita la falchetta verniciata d’un rosso scolorito ad arancio. «Se rimanessi mi sentirei un fallito... e finirei per portare male alla barca» mi scusai, provando a nascondere dietro l’alibi della sventura il mio tradimento.
«Hai un progetto? Sai già dove andare?» Mi domandò Sebastiano.
Tirai su le spalle, ma me ne pentii. Non volevo ferire Enea suggerendo che qualsiasi posto fosse meglio di quello: «Vado in Inghilterra. Cercano uomini per la pesca al merluzzo, e pagano bene. Chissà che non trovi la fortuna che non ho avuto qui.»
Solo allora il rais intervenne e mi chiese se questa era la mia ultima battuta.»
«È l’ultima» gli confermai.

Beatrice fece cenno all’uomo colla barba rossa di entrare.
«Lui è Virgil Groen, ti farà da guida finché non ti sarai ambientato» aveva deciso.
L’uomo dalla barba rossa gli fece segno di seguirlo e lo accompagnò, attraverso una mezza dozzina di stradelle fangose, fuori dal villaggio.
«Chi ci abitava è andato via» disse nel suo inglese dall’accento neerlandese, e indicò la casa. «Puoi usarla finché vuoi: lenzuola e coperte li trovi nell’armadio insieme a dei vestiti che sono sicuro ti andranno bene. Abbiamo messo tutto a posto da poco, per il tuo arrivo.»
«Non ho denaro con me» si scusò Durante.
«Quello qui non ti servirà a niente, e non ringraziare mai quando ricevi quanto ti serve per vivere.»
E lo lasciò accostando la porta.
Indovinata la camera da letto, esausto si sdraiò e iniziò a sognare un sogno che lo portò all’altro capo del mondo sulla spiaggia di un altro mare.


«You’re a fisher» sostenne Virgil uno dei pomeriggi seguenti.
L’estate australe stava finendo e iniziava a far freddo.
«Ti vedo ciondolare tutto il giorno. Wat die heck» esclamò. «Li conosco quelli come te... vogliono oceano sotto i piedi, non terra!»
E gli disse che all’alba sarebbero partite un paio di barche per la pesca. «Passerai un paio di giorni tra veri uomini, tra amici, vieni con noi.»
Non era un invito che si poteva rifiutare.
«Cosa pescate?»
«Oro rosso.»
Si sforzò di rammentare cosa quelle parole fossero in grado di raccontargli, mentre Virgil rimaneva in attesa d’una risposta.
«A che ora?» Domandò.
«Alle quattro. Ti daremo l’occorrente, basta che tu sia puntuale.»
«Ci sarò.»
Rimase sulla soglia, fin quando il sole non completò il suo arco in cielo, poi si sdraiò sul letto, che gli ricordava quello lasciato in Liguria, da tanto tempo che gli sembrava un secolo, e si addormentò.


Stavo seduto a un tavolo del Lisca Bianca con l’idea di prendere una bella sbornia quando entrò Enea, si sistemò di fronte a me e iniziò a parlare del più e del meno, buttando giù un rosso dopo l’altro, come se cercasse nell’alcool il coraggio per vuotare il sacco.
E dopo un litro buono si decise a farmi la domanda.
«Non ti pesa abbandonare quanti credono in te? Ho visto Maria piangere… non si fa soffrire chi ti ama! Vivere senza programmare nulla può essere appagante all’inizio. Può soddisfare il ragazzo che vive in te. Ma ogni uomo desidera una casa a cui tornare.»
Mi fece male quando risposi che non faceva per me, che non avevo bisogno di nessun ritorno.
«Penso che ti racconti un mucchio di stronzate» mi rimproverò.
«Io devo partire, Enea.»
«Adesso senti quel che ho da dirti» mi disse, cambiando espressione.
«Ti ascolto.»
«Non ho figli, lo sai. Ci abbiamo provato con Ada, povera donna, lei desiderava una casa piena di bambini… il Signore ha deciso diversamente. Tra un paio d’anni tirerò i remi in barca. Quel giorno il Luisa II sarà tuo, ma in cambio devi rimanere a Lerici, insieme a me.»
Era un padre stanco che cercava l’aiuto del figlio.
E come un figlio ingrato io gli risposi: «Sembra una specie di ricatto. Mi stai mettendo con le spalle al muro.»
«Punti di vista. Io la vedo come un’opportunità legata a una condizione: prendere o lasciare.»

Si svegliò con quelle parole in mente: prendere o lasciare. Erano ancora le due e quella battuta di pesca gli sembrava fatta apposta per sbarazzarsi di lui e impadronirsi della sua borsa, del suo unico tesoro. Andò a controllarla, nascosta sotto l’impiantito: la toccò e da dentro tirò fuori una vecchia fotografia tagliata a metà. Tornò a letto e l’osservò: c’era Maria, lo sguardo triste bella come la ricordava. L’altra metà l’aveva lasciata a lei insieme a lui e al suo cuore. La rigirò tra le mani e lesse la data, Ottobre 78, rimasta nella sua porzione.
Riandò a quei giorni e richiuse gli occhi.

«Cosa pretendi? Che ti dia la benedizione?» Mi rimproverò Maria, alla fine dell’ennesimo litigio.
«Voglio solo che tu capisca.»
«Che devo capire? Sono quattro anni che viviamo insieme. Fino a stamattina hai detto ti amo.»
«Lo sai che è così.»
«Dimostralo! Resta! Un lavoro ce l’hai… anche un futuro. Enea mi ha detto tutto.»
Scossi la testa e iniziai ad andare su e giù per la stanza.
«Basta rimanere al suo fianco. Hai paura?»
«Che vai cianciando? Se ho intenzione di andare è per il nostro futuro, lo faccio per te.»
«Sei un codardo» gli disse contro.
«Non è insultandomi che mi farai cambiare idea.»
«E allora dimmi cosa devo fare.»
«Io devo partire.»
«E io non starò ad aspettarti.»

Durante ispezionò il fuori con la segretezza d’un animale notturno. Una pioggia fine cadeva senza far rumore sulla strada trasformata in palude.
Quando giunse al molo Virgil era sopra una delle barche con indosso una spessa cerata gialla.
Gli presentò i tre tristaniani a bordo e gli fornì l’occorrente. Mollarono gli ormeggi e si allontanarono verso occidente, finché anche le luci rosse e verdi della stretta imboccatura divennero invisibili e solo le nubi che avvolgevano eternamente il Queen Mary’s Peak potevano distinguersi nell’oscurità.
Fu solo dopo un’ora buona che Durante domandò dove andassero.
«Inaccessible» rispose Virgil.
«Un’isola, a circa venti miglia da Tristan» precisò John, un tristaniano alto e massiccio.
Rimasero in silenzio e fu solo dopo un paio d’ore che l’isola si mostrò ai loro sguardi: la cima d’un vulcano chissà come spuntata dalle profondità dell’Oceano, dal lato a settentrione tagliata a mezzo in modo da formare un altipiano che in un punto declinava dolcemente verso l’acqua.
Su Inaccessible c’era un’unica insenatura, semicircolare, in cui il mare non frangeva e cullava i cormorani come all’interno d’una laguna.
Le imbarcazioni si fecero largo nella baia cavalcando le creste d’una risacca millenaria dal ruggito profondo e regolare, e subito Durante s’avvide, sopra lo specchio d’acqua argenteo, agitarsi appena scossi dal vento diversi galleggianti con una bandiera nera in cima.
«Vediamo se ricordi come si fa» fece uno dei tristaniani. E gli mise in mano un lungo bastone col finale a uncino.
«Tirala su» lo incitò Virgil.
«Oro rosso» urlò Sebastian, da dentro la tuga rialzata.
Quando Durante la mosse l’asta si accese nel rossore del crepuscolo, e con un guizzo esperto afferrò la boa con l’uncino e tirò la cima finché la gabbia metallica non giunse sul pelo dell’acqua permettendo ai due uomini rimasti a guardare d’agguantarla tirandola a bordo. Virgil spezzò l’oscurità con una torcia, e i grandi crostacei che la riempivano per la prima volta nella loro vita videro la luce.
«Oro rosso. Aragoste!» Fece Durante, e iniziò a ridere.
«Sembra che tu non abbia fatto altro per tutta la tua vita» si congratulò John.
«Cosa ne fate? Le mangiate o…»
«Le congeliamo» lo anticipò Sebastian.
E Durante pensò ala grande cella frigorifera giù al molo.
Come se gli avesse letto nel pensiero John aggiunse che l’unico generatore dell’isola serviva solo a lei. «Ogni sei mesi un peschereccio porta tutto via, e ci lascia il denaro.»
«Sarete ricchi.»
«Nessuno è ricco sull’isola, dovresti saperlo» lo ammonì Virgil.
«È il Contratto» spiegò con calma Sebastian. E gli raccontò che era stata un’idea dei padri fondatori di Tristan duecento anni prima.
«Deve firmarlo chi decide di rimanere sull’isola» aggiunse Sebastian.
«E cosa stabilisce, questo contratto.»
«Che non esiste la proprietà privata, e che tutto ciò che si trova sull’isola serve all’uso comune. Non esiste il mio o il tuo, solo il nostro.»
«Ma come fate a dividere…»
«Se tutto appartiene a tutti cos’hai da dividere?» Lo canzonò Virgil.
E a Durante sembrò che lo compatisse, come si fa coi matti. «Qui non ci sono furti, non esiste lo sfruttamento, nessuna sofferenza causata dall’avidità di un singolo individuo. Condividiamo ogni cosa, nel bene e nel male. Collaborando abbiamo superato ogni avversità. E le scelte che riguardano la comunità devono essere condivise da tutti.»
«Siete comunisti?» Suggerì Durante.
«Quelli li trovi in Unione Sovietica, o in Cina. Noi siamo una famiglia.»
«Quindi tutto quello che ho… è anche vostro.»
«Solo a condizione di reciprocità. Se firmi il Contratto decidendo di rimanere con noi.»
«Mi stai facendo una proposta?»
«Ti sto dando una possibilità» disse Virgil.
La mattina trascorse velocemente. Ogni nassa veniva svuotata, ripulita e ributtata in mare, per un nuovo raccolto. Poi, quando il sole ebbe superato lo zenit, Sebastian accese il motore, diede volta alla galloccia di prua lasciando a dritta il corpo morto, e si avvicinò a terra.
«Sbarchiamo» propose Virgil.
La vegetazione era fitta, alta quanto un uomo, e il sole vi penetrava obliquamente, rado e vivo. S’inerpicarono per uno stretto sentiero appena tracciato e giunsero sull’altipiano. Virgil e John si accoccolarono e smossero alcuni cespugli tirando via delle tavole.
«Cos’è?» domandò Durante.
«Acqua» rispose Virgil, e dalla sacca tirò fuori due recipienti di plastica. «Ma tu non puoi berla.»
«E questi?»
«Servono per gli isolani.»
«Ha proprietà diuretiche?» Suggerì Durante.
John e Virgil scoppiarono a ridere, riempirono in fretta i bidoni e tornarono sui loro passi. S’imbarcarono e ripresero la rotta verso casa.
Il vento si era calmato e, cullato dal beccheggio dello scafo e dal ronzio del motore, Durante si addormentò.

La porta della camera da letto era aperta, pure se ricordava d’averla chiusa. Allarmato spostò due assi dal pavimento e frugò dabbasso infilando le braccia: solo la sua vecchia fotografia tagliata a metà gli rimase in mano.
Mentre carezzava il viso del ritratto vide lei entrare.
«Dov’è la mia borsa» Le domandò furioso, sconvolto dal timore di aver perduto l’unico tesoro. «Tutte quelle storie sul Contratto, sulla proprietà comune... e avete rubato la mia borsa. Siete solo dei ladri» accusò Beatrice.
«Dove hai preso quel denaro, Durante?»
Si alzò e le andò incontro, la fronteggiò.
«È una lunga storia.»
«Non manca tempo.»
La osservò perplesso, e pensò che aveva una bella faccia tosta.
«Incontrai un tizio, che mi fornì un contatto a Southampton: e lì mi ingaggiarono, ma non era di pesca al merluzzo che si trattava. Volai in Sudafrica e a Cape Town m’imbarcai sopra una goletta. Trasportava armi…»
«La guerra nel Protettorato.»
Fece cenno di sì.
«E la tempesta?»
«Il mare s’ingrossava, il vento soffiava rabbioso e spingeva il Parsifal verso la costa del Karas, poco a nord di Lüderitz. Axel Beker, il capo dei finti turisti che occupavano il ponte inferiore, da ore stava rintanato in cabina in preda al mal di mare. Erano mesi che sbarcavamo clandestinamente armi a Walvisbaai, per le milizie afrikaaner e per i farmers tedeschi in lotta contro i ribelli della SWAPO. Lo vidi sdraiato sopra la cuccetta, avvolto nel puzzo acido del suo vomito.»
«E cos’hai fatto?»
«Gli dissi che il tempo peggiorava, che proseguire era pericoloso.»
«Allora eri tu al comando…»
Non poté far a meno di ammetterlo.
«E Axel?»
«Mi domandò se potevamo andare a motore. Gli dissi che in un’imbarcazione del genere il motore è solo ausiliario e non avremmo fatto molta strada con questo vento. Gli consigliai di cambiare rotta per assecondare il vento in acque sicure; ma non volle ascoltarmi.»
«Per quale motivo?»
«Fretta… avidità, sconsideratezza. Le solite storie. Gli dissi che non garantivo nulla; allora si innervosì, estrasse la pistola e me la poggiò in faccia. Tu garantisci quello che voglio, con la tua vita. Portaci a destinazione senza far affondare questa bagnarola, mi minacciò»
«E tu?»
«Il vento stava rinforzando, il cielo era denso di nubi, la pioggia cadeva giù a secchiate e io non volevo affondare con quei matti…»
«Prosegui.»
«C’era una cassaforte a bordo, nel quadrato, e sapevo che era zeppa di sterline. Avevo scoperto la combinazione per caso, il mese prima. Misi ko l’energumeno biondo di guardia e m’impadronii del contenuto, ordinai all’equipaggio di terzarolare la velatura e di scendere sotto coperta. Quando rimasi solo bloccai il timone e spinsi il motore a manetta. La terraferma era più vicina di quanto non avessi raccontato ai miei compagni: in meno di un’ora il Parsifal si sarebbe schiantato sui bassi fondali delle Saddle Hills. Afferrai la borsa e calai la scialuppa per seguire il vento meridionale in direzione ovest.»
«Ricordi la combinazione della cassaforte?»
«Che ti interessa?»
«Va bene, ma adesso guarda la foto che hai in mano.»
L’avvicinò agli occhi: «È Maria. Cosa c’entra con questa storia.»
Beatrice si strinse al suo fianco e da una tasca trasse fuori una foto tagliata a metà.
L’accostò a quella di Durante e le due porzioni combaciarono perfettamente.
«L’avevo lasciata a Maria prima di partire» balbettò meravigliato.
«Proprio non ricordi» provò a stimolarlo. «Ce la scattarono a Camogli, sotto la Dragonara.»
La data sul retro s’era finalmente composta.
«Dieci ottobre 1878» lesse, e disse che c’era un errore.
La donna scosse la testa, e gli disse di guardare i loro vestiti.
«Nessuno vive così a lungo, e senza invecchiare. Cosa vuoi darmi a bere» s’infuriò. «Sei una bugiarda, e una ladra! Derubate i naufraghi e li fate sparire… vi interessa solo il mio denaro.»
«Non c’era nulla dentro la borsa, a parte la foto che tieni in mano.»
«L’hai fatto sparire tu.»
«Chi beve l’acqua di Inacessible non invecchia, ma dimentica: i ricordi affiorano frammentati, senza ordine. Per questo abbiamo bisogno di una guida che li rimetta insieme.»
«Lerici, Maria, Enea, il Parsifal, il naufragio…» mormorò.
«Sono ricordi vecchi di quasi un secolo, l’unica realtà sono io, a Tristan. Per sempre.»
«Sempre?»
«Non possiamo lasciare l’isola. Dobbiamo bere quell’acqua per restare in vita.»
«Non ricordo» implorò, e serrò i pugni. «Sto impazzendo! Da dove vengono le immagini che ho in testa?»
«Non è necessario che tu debba subito ricordare. L’importante è che ti possa fidare di me, per farlo insieme.»
Durante annuì e afferrò la mano che Beatrice gli porgeva.
«Adesso cerca di riposare, parleremo un’altra volta di quel denaro che tanto ti angoscia.»


Marzo 2021

«La sua sicurezza viene meno. Ci siamo quasi» osservò la dottoressa Beatrice Novak «Sono riuscita a far breccia, ma non ho insistito.»
Wirgil Van der Heck si avvicinò alla vetrata impaziente.
Il sole scivolava dietro il Tafelberg incappucciato di nubi mentre le luci di Kaapstad iniziavano ad accendersi.
«Ma ancora non ci siamo» disse l’uomo, che lei vedeva per la prima volta. E sorseggiò il suo tè.
«Che devo dire a Manfred Klermont?»
«È solo una questione di tempo perché l’ipnosi dia i suoi frutti. Il mondo artificiale costruito utilizzando parte dei suoi ricordi sembra ora ben strutturato nel suo inconscio. Un paio di giorni e otterremo il numero del conto cifrato.»
«Non fissi termini che non è sicura di poter rispettare, dottoressa. I miei amici Voortrekker sono gente pericolosa, e la posta in palio è altissima, meglio non offrire aspettative che potrebbero andar deluse.»
«Sono sicura del mio lavoro, Van der Heck. Ho individuato io l’infiltrato e ho scoperto come agiva questo italiano all’interno dell’organizzazione. Adesso manca l’ultimo tassello.»
«Il pezzo più importante: senza tutti gli sforzi non varrebbero nulla, e lei rischierebbe quanto il nostro amico nell’altra stanza.»

L’uomo si sentì fiacco all’improvviso e cercò una sedia.
«Si sente bene?»
La fissò.
«Un miliardo di rand» gli disse.
«Cosa?»
«È la cifra che Dante Donadìo ha nascosto in Svizzera facendovi credere che fosse nella Oranije Staat Bank di Bloemfontein.»
«Come fa a saperlo?»
«So molte cose.»
«Cosa ha messo nel tè? Non riesco a muovermi.»
«Un veleno. Non temere, non ti ucciderò io, ma i tuoi amici per il tuo tradimento.»
L’uomo mosse le labbra, e dalla sua bocca uscì un suono indecifrabile.
La donna sussurrò al suo orecchio: «Novak è il nome dei miei genitori adottivi. Io sono Hilde Walkür.»
L’uomo strabuzzò gli occhi e il respirò si fece affannoso, ma non riuscì a muoversi.
«Donadìo venne da me perché soffriva di attacchi di panico… un caso. In una seduta fece il tuo nome, Van der Heck. Un nome che non posso dimenticare. Ho indotto Donadìo a sottrarre il danaro all’organizzazione, ho fatto in modo che ti mettessi in contatto con me. Ma la tua prudenza ci ha fatto incontrare solo adesso.»
La donna si allontanò. «Per i miei genitori e per mia sorella» e infilò nella giacca di lui un foglio e una chiave. «Pochi dettagli che basteranno a farti a pezzi lentamente nel tentativo di sapere dov’è il denaro»
Sicura di aver onorato il contratto che aveva con se stessa, per la prima volta dal giorno in cui era rimasta sola si sentì libera.


City Life, marzo 2025

«Al mio tre si sveglierà: uno, due e…»
«Che avventura» disse entusiasta, mentre la sala si illuminava.
L’uomo seduto al suo fianco gli fece un segno d’intesa.
«La Neuralink è lieta del suo gradimento» commentò la voce in sottofondo. «Le ricordiamo, oltre a Il Contratto, dello stesso autore: Babi Yar, Ritorni, La colonna Diamanti e Antudo. Arrivederci con i nostri migliori prodotti d’intrattenimento.»
«Che meraviglia quest’innesto neurale. Proprio quello che ci vuole in tempi di pandemia: dopo la febbre nera viaggiare è diventato impossibile» disse Manfredi.
«Il guaio è tornare alla realtà» fece Ludovico. «Domani tornarò con mia moglie, per una prova. Perché non porti la tua?»
«Beatrice odia la tecnologia: preferisce leggere quegli inutili vecchi libri di carta lei.»
Ultima modifica di Namio Intile il 21/10/2024, 14:40, modificato 1 volta in totale.
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Eleonora2
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Messaggio da leggere da Eleonora2 »

Mi sono assentata, dopo il voto. Qui, da lettrice, ho trovato la bellezza del raccontare. Mi sono goduta fino in fondo il brano. Il viaggio in mare, la condivisione del proprio lavoro, il venire accolti da ambienti e persone a cui non si è abituati o non si fa caso, la diversità E potrei continuare. Di solito li smonto facendo tanti pezzettini o ricostruendo il testo, stando attenta al modo in cui è stato messo insieme, per imparare.
Il voto non esprime la mia stima e il gioco,in questo caso, vale, di gran lunga, la candela. Non voglio incasellarlo in un genere. Mi sembrerebbe di limitarlo.
Yakamoz
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Messaggio da leggere da Yakamoz »

Notevole! Un po' un labirinto di trame, identità, tempi: marzo 1980, ottobre 1978, marzo 2021, marzo 2025 (multitemporalità e multitrama). Passato, presente e futuro si intrecciano e, a mano a mano, rivelano la storia. Ci vedo dentro qualcosa di occulto, nascosto, che a una prima lettura (ma prometto di rileggerlo) non riesco bene a focalizzare e razionalizzare. Appena ci si appresta a leggere il testo, in generale qualsiasi testo, si cerca di capire chi siano i personaggi che abitano la storia. Giusto per farsi un'idea. Qui, all'inizio, abbiamo un naufrago, e Durante è proprio l'archetipo di un naufrago: un uomo in cerca di riscatto e identità, ma che ha comunque un proprio passato (simbolicamente rappresentato dalla borsa). Il suo tesoro: una foto tagliata a metà di una donna, Maria (del perduto amore), e molto denaro (avuto chissà come, ma poi, nel suo prosieguo, la storia lo rivelerà). L'incontro coi bimbi dai capelli biondi, Virgil e, soprattutto, Beatrice, una sorta di guida, confidente e guardiana dell'isola.

Poi c'è la linea, o più linee, della memoria (ottobre 1978, marzo 1980), rivissuta attraverso un processo narrativo di analessi (flashback, ma io da italiano preferisco scrivere analessi o retrospezione), dove lui viveva con Maria e lavorava con Enea su una barca da pesca. Ma il pescato è povero, e qui vediamo un uomo in crisi, indeciso tra l'amore per il mare, anche per la sua donna, e il più forte desiderio di cambiamento, di ricerca, di avventura, di ricchezza, potere; pure a discapito di perdere tutto quel che in quel momento si possiede: compresa Maria. Ritroviamo poi ancora Durante in mare, coi suoi nuovi compagni, alla ricerca dell'oro rosso (aragoste) verso l'isola "Inaccessibile", dove esiste una fonte, la fonte dell'eterna giovinezza. È molto interessante l'analisi dei ricordi frammentati che si fa più avanti nel racconto: perché chi è giovane, in effetti, ha pochi ricordi, essendo appunto giovane, rispetto a una persona molto più matura (in un rapporto inversamente proporzionale). E ancora il racconto prosegue con uno sfogo, quasi lite, con Beatrice (che mi ricorda un po', come personaggio, quella più famosa di Dante), in cui esiste una doppia confessione reciproca tra Durante e Beatrice: lui confessa di essere un trafficante d'armi, pure ladro e forse assassino, avendo sottratto dei soldi (sterline) dai suoi compagni d'avventura, per poi scappare come naufrago verso l'isola. E lei, Beatrice, quasi come in un racconto fantasy, rivela di essere Maria e accosta i due pezzi di foto, dandone prova. A questo punto, il racconto ricorda un po', in alcune similitudini, la favola araba del soldato che vive a Baghdad, che, vedendo la morte in una festa a fine guerra, cerca di sfuggirle e chiede al Sultano il cavallo più veloce che c'è per raggiungere la città più lontana che può: Samarcanda (la patria di Tamerlano, il più feroce guerriero che la Storia conosca). Come dire: fuggivo lontano da te per poi rincontrarti dove non credevo possibile. E sarebbe stato un bel finale se fosse andato così tra Durante e Beatrice. Ma la loro verità, che credono vera, non è la realtà. Perché entrambi non sono veri; e una cosa, se non è vera, non può contenere verità reali ma solo apparenti. Solo un sogno (peraltro sognato da un altro, come sembra di intuire) che svanisce all'alba e introduce una dimensione futuristica (altro/i piano/i narrativo/i), sollevando interrogativi sulla natura della realtà e sull'identità, del quale la Neuralinx è l'artefice.

Concludendo, il racconto è molto denso di significati (pluralità di significazioni) e pertanto ha molteplici chiavi di lettura: partendo dall'identità, l'isolamento, il senso di comunità e il sacrificio, l'idea di una società senza proprietà privata e condivisa, come quella di Tristan, e lo svilimento finale che tutto non esiste o esiste solo in una sorta di artificiale momento onirico.

Non so cosa altro aggiungere… (mi fai quasi paura…)

Un caro saluto, Namio Intile

Antonio

P.S. Non mi aspettavo un racconto così, leggendo le prime righe… rimasto molto meravigliato, e dirti bravo è davvero molto poco.

Voto 10/10 (ma qui si fa a metà, 5/5)
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TU... SEI... UN... IRRIPETIBILE...
Chapeau!
Da quanto tempo organizzavi quest'epilogo? Fantastico! Bello, bello, bello! (modello Amanda Sandrelli in "Non ci resta che piangere")
Questa volta, però, ho notato una punteggiatura non consona (alla tua qualità): cominci addirittura con "Quando sbarcò il mondo iniziò a ondeggiargli intorno" così, tutto d'un fiato. Lì mi sono detto "Ohibò! Che succede?"
Inoltre questo racconto, nel chiudere gli altri, che citi e dei quali richiami anche i personaggi, soffre di non avere una sua propria conclusione. Apparentemente ne ha diverse, e nessuna. E quella che ha non è la sua propria...
Insomma... Non so, queste sono le impressioni a caldo, e forse è bene che lo rilegga con maggior attenzione, soprattutto le parti di chiusura... Ma allora questo rafforzerebbe l'idea che il racconto da solo non ha dignità propria...
Mi hai creato un bel frullato in testa!
Ciò detto, nulla da eccepire sulla qualità della trama: davvero intrigante!
E anche questa stagione, vincerò la prossima stagione! :D
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Marino Maiorino ha scritto: 02/10/2024, 17:01 TU... SEI... UN... IRRIPETIBILE...
Chapeau!
Da quanto tempo organizzavi quest'epilogo? Fantastico! Bello, bello, bello! (modello Amanda Sandrelli in "Non ci resta che piangere")
Questa volta, però, ho notato una punteggiatura non consona (alla tua qualità): cominci addirittura con "Quando sbarcò il mondo iniziò a ondeggiargli intorno" così, tutto d'un fiato. Lì mi sono detto "Ohibò! Che succede?"
Inoltre questo racconto, nel chiudere gli altri, che citi e dei quali richiami anche i personaggi, soffre di non avere una sua propria conclusione. Apparentemente ne ha diverse, e nessuna. E quella che ha non è la sua propria...
Insomma... Non so, queste sono le impressioni a caldo, e forse è bene che lo rilegga con maggior attenzione, soprattutto le parti di chiusura... Ma allora questo rafforzerebbe l'idea che il racconto da solo non ha dignità propria...
Mi hai creato un bel frullato in testa!
Ciò detto, nulla da eccepire sulla qualità della trama: davvero intrigante!
E anche questa stagione, vincerò la prossima stagione! :D
Marino, come scusa so che non vale molto, ma non avevo più caratteri a disposizione. Il racconto originale è sui 70000 caratteri e condensarlo, senza stravolgerne il senso, mi ha esaurito e ho dovuto venire a patti persino con le virgole. I cinque racconti sono legati in quanto ambientati in una sorta di realtà ucronica, che tuttavia, nel finale, si rivela una distopia. Finale minuscolo, mi rendo conto. Le ucronie sono disseminate qua e là in ogni racconto. Il mio intento era di scrivere sette racconti, con un prologo e un epilogo adeguati, che nei racconti postati non ci sono e a cui sto lavorando. Tuttavia questi cinque concludono l'arco narrativo in modo decente all'interno delle gare. Alla fine ne potrei trarre una specie di romanzo legando le cinque sette parti tra loro in modo da rendere la narrazione organica. I cinque racconti sono infatti autoconclusivi, per esigenze di gara, e quindi non immediatamente consequenziali. Anche se è il più complicato, e il più ostico (ho cercato di condensare alcuni passaggi di Sein und Zeit per come li intendevo), Ritorni è il mio preferito, ma anche quello che è stato meno apprezzato nelle gare. Probabilmente il tema era troppo ambizioso e il mio tentativo in fondo velleitario.
A loro volta le ucronie hanno un filo di Arianna, che è la Necessità. Una mia piccola mania. Ma la Necessità greca, Ananke, sopra cui da anni mi scervello. Ma è probabile che non sia ancora riuscito a padroneggiarla come si deve e mi sono reso conto che era un concetto non univoco anche per la filosofia e il mito greco.
Ananke è una sorta di principio primo, che precede persino il Kaos primordiale, che avvolge permea e dà forma e indirizzo all'esistente e che io ho sempre pensato molto vicino all'Essere su cui si arrovella la filosofia da un secolo e mezzo.
Eh, i greci sono stati capaci di grandi intuizioni, basta vedere le rovine delle loro città.
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Marino Maiorino
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Re: Il contratto

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Hai detto più di quanto necessario!
Ma dove lo troviamo, il lavoro non espunto? Perché la verità è che quest'epilogo mi ha davvero galvanizzato: vederlo dalla prospettiva del dopo è stato scioccante, davvero! Sublime! Di quelle cose che pareggiano molti giorni di brutte esperienze.

Ananke... Ma guarda un po'...
Mi ci ero già imbattuto in passato, e avevo già visto questo suo aspetto mutevole, che alle volte le fa assumere le "sembianze" del Destino. Era anche rappresentata come un serpente, vero? Il grande serpente che depose l'Uovo Primordiale...
Qualche stagione fa avevo proposto "Vite di coppia". Difficile che lo ricordi, ma sebbene avesse seguito una trama tutta sua, iniziò proprio quando la mia ricerca inciampò in Ananke.
Il Destino come Necessità, o la Necessità come Destino: magari era necessario che ti leggessi, magari era destinato. Chissà.
Grazie, ad ogni modo di quello che ci hai proposto.
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Re: Il contratto

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Noto che il commento non è stato apprezzato perché non ha ricevuto nessuna risposta, un po' come lanciare un sasso in un pozzo e non sentire nemmeno un'onda. Buon pro mi faccia! La prossima volta, se per caso mi capiterà di commentare, invece di scrivere 4.159 caratteri, mi limiterò a buttare giù due o tre frasi, tanto per scrivere qualcosa.

Saluti
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Re: Il contratto

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Yakamoz ha scritto: 03/10/2024, 11:39 Noto che il commento non è stato apprezzato perché non ha ricevuto nessuna risposta, un po' come lanciare un sasso in un pozzo e non sentire nemmeno un'onda. Buon pro mi faccia! La prossima volta, se per caso mi capiterà di commentare, invece di scrivere 4.159 caratteri, mi limiterò a buttare giù due o tre frasi, tanto per scrivere qualcosa.

Saluti
Non ho risposto perchè mi è uscita la lacrimuccia tanto erano significative e profonde le considerazioni che mi hai lasciato. E io quando mi dicono cose belle non so che dire, che vuoi che ti dica. Senza dire che qualunque cosa ti avessi risposto avrebbe sfigurato e rovinato quanto hai scritto.
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Re: Il contratto

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Marino Maiorino ha scritto: 02/10/2024, 19:20 Hai detto più di quanto necessario!
Ma dove lo troviamo, il lavoro non espunto? Perché la verità è che quest'epilogo mi ha davvero galvanizzato: vederlo dalla prospettiva del dopo è stato scioccante, davvero! Sublime! Di quelle cose che pareggiano molti giorni di brutte esperienze.

Ananke... Ma guarda un po'...
Mi ci ero già imbattuto in passato, e avevo già visto questo suo aspetto mutevole, che alle volte le fa assumere le "sembianze" del Destino. Era anche rappresentata come un serpente, vero? Il grande serpente che depose l'Uovo Primordiale...
Qualche stagione fa avevo proposto "Vite di coppia". Difficile che lo ricordi, ma sebbene avesse seguito una trama tutta sua, iniziò proprio quando la mia ricerca inciampò in Ananke.
Il Destino come Necessità, o la Necessità come Destino: magari era necessario che ti leggessi, magari era destinato. Chissà.
Grazie, ad ogni modo di quello che ci hai proposto.
No, il racconto non lo ricordo. Sull'ouroboros, compare un po' in tutti i racconti ed è un filo che tiene insieme la narrazione.
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Re: Il contratto

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Yakamoz ha scritto: 03/10/2024, 11:39 La prossima volta, se per caso mi capiterà di commentare, invece di scrivere 4.159 caratteri, mi limiterò a buttare giù due o tre frasi, tanto per scrivere qualcosa.
Scusa, ma questa tua reazione è fuori luogo.
Ognuno ha i propri tempi e le proprie voglie.
Se una tua voglia è quella di commentare, commenta liberamente, senza però "obbligare" a una risposta chi ti leggerà.
Secondo il tuo ragionameto, sai quanto dovrei essere offeso io stesso o tanti altri? Tantissimo.
E' vero, tuttavia, che ricevere una risposta è piacevole, ma la soddisfazione di aver dato un proprio commento dovrebbe, (almeno secondo me) prevalere fortemente rispetto all'eventuale replica.
Ti invito anche a riflettere sul fatto che ti sei riferito a Namio, uno dei frequentatori del sito più comunicativi e partecipativi del forum: avresti potuto dargli fiducia e aspettare un pochino di più una sua risposta (non obbligatoria), no? :mrgreen:
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Yakamoz ha scritto: 01/10/2024, 13:32 Notevole! Un po' un labirinto di trame, identità, tempi: marzo 1980, ottobre 1978, marzo 2021, marzo 2025 (multitemporalità e multitrama). Passato, presente e futuro si intrecciano e, a mano a mano, rivelano la storia. Ci vedo dentro qualcosa di occulto, nascosto, che a una prima lettura (ma prometto di rileggerlo) non riesco bene a focalizzare e razionalizzare. Appena ci si appresta a leggere il testo, in generale qualsiasi testo, si cerca di capire chi siano i personaggi che abitano la storia. Giusto per farsi un'idea. Qui, all'inizio, abbiamo un naufrago, e Durante è proprio l'archetipo di un naufrago: un uomo in cerca di riscatto e identità, ma che ha comunque un proprio passato (simbolicamente rappresentato dalla borsa). Il suo tesoro: una foto tagliata a metà di una donna, Maria (del perduto amore), e molto denaro (avuto chissà come, ma poi, nel suo prosieguo, la storia lo rivelerà). L'incontro coi bimbi dai capelli biondi, Virgil e, soprattutto, Beatrice, una sorta di guida, confidente e guardiana dell'isola.

Poi c'è la linea, o più linee, della memoria (ottobre 1978, marzo 1980), rivissuta attraverso un processo narrativo di analessi (flashback, ma io da italiano preferisco scrivere analessi o retrospezione), dove lui viveva con Maria e lavorava con Enea su una barca da pesca. Ma il pescato è povero, e qui vediamo un uomo in crisi, indeciso tra l'amore per il mare, anche per la sua donna, e il più forte desiderio di cambiamento, di ricerca, di avventura, di ricchezza, potere; pure a discapito di perdere tutto quel che in quel momento si possiede: compresa Maria. Ritroviamo poi ancora Durante in mare, coi suoi nuovi compagni, alla ricerca dell'oro rosso (aragoste) verso l'isola "Inaccessibile", dove esiste una fonte, la fonte dell'eterna giovinezza. È molto interessante l'analisi dei ricordi frammentati che si fa più avanti nel racconto: perché chi è giovane, in effetti, ha pochi ricordi, essendo appunto giovane, rispetto a una persona molto più matura (in un rapporto inversamente proporzionale). E ancora il racconto prosegue con uno sfogo, quasi lite, con Beatrice (che mi ricorda un po', come personaggio, quella più famosa di Dante), in cui esiste una doppia confessione reciproca tra Durante e Beatrice: lui confessa di essere un trafficante d'armi, pure ladro e forse assassino, avendo sottratto dei soldi (sterline) dai suoi compagni d'avventura, per poi scappare come naufrago verso l'isola. E lei, Beatrice, quasi come in un racconto fantasy, rivela di essere Maria e accosta i due pezzi di foto, dandone prova. A questo punto, il racconto ricorda un po', in alcune similitudini, la favola araba del soldato che vive a Baghdad, che, vedendo la morte in una festa a fine guerra, cerca di sfuggirle e chiede al Sultano il cavallo più veloce che c'è per raggiungere la città più lontana che può: Samarcanda (la patria di Tamerlano, il più feroce guerriero che la Storia conosca). Come dire: fuggivo lontano da te per poi rincontrarti dove non credevo possibile. E sarebbe stato un bel finale se fosse andato così tra Durante e Beatrice. Ma la loro verità, che credono vera, non è la realtà. Perché entrambi non sono veri; e una cosa, se non è vera, non può contenere verità reali ma solo apparenti. Solo un sogno (peraltro sognato da un altro, come sembra di intuire) che svanisce all'alba e introduce una dimensione futuristica (altro/i piano/i narrativo/i), sollevando interrogativi sulla natura della realtà e sull'identità, del quale la Neuralinx è l'artefice.

Concludendo, il racconto è molto denso di significati (pluralità di significazioni) e pertanto ha molteplici chiavi di lettura: partendo dall'identità, l'isolamento, il senso di comunità e il sacrificio, l'idea di una società senza proprietà privata e condivisa, come quella di Tristan, e lo svilimento finale che tutto non esiste o esiste solo in una sorta di artificiale momento onirico.

Non so cosa altro aggiungere… (mi fai quasi paura…)

Un caro saluto, Namio Intile

Antonio

P.S. Non mi aspettavo un racconto così, leggendo le prime righe… rimasto molto meravigliato, e dirti bravo è davvero molto poco.

Voto 10/10 (ma qui si fa a metà, 5/5)
Come ho scritto a Marino la serie dei racconti si sviluppa come una ucronia che ha come tema portante la Necessità e che nel contratto si risolve in una distopia. Già in Nostoi, Ritorni, ho provato a curvare il tempo e a trasformarlo in circolare destrutturandolo. Gli altri racconti sono invece più lineari, diacronici, mentre qui ho provato a inserire delle analessi e a frammentare il tempo attraverso lo stratagemma dei ricordi mancanti, dei ricordi senza nessi apparenti, del presente offuscato dal passato in cui i piani dell'amnesia slittano sull'acqua di Inaccessible, per poi variare ancora nei ritorni indotti e riallacciarsi alla distopia finale che conclude il ciclo ucronico. Odisseo era un naufrago, il prototipo del naufrago, e il suo viaggio è un lungo ritorno. Il tema del ritorno a sé, al proprio passato viene affrontato mediante la memoria. La memoria non è solo singolare, ma anche plurale, è una memoria condivisa. È la memoria di Durante, ma anche di Durante e Beatrice, di Durante e Maria, di Virgil ed Enea, di Sebastian e Sebastiano, di John e Vanni. Ognuno di noi ogni giorno muore nello svanire della memoria altrui. Durante muore quando Maria lo cancella dalla sua memoria e ritorna in vita quando Beatrice ricompone la foto e quindi la memoria condivisa di quell'attimo. La memoria è una identità difficile da perdere, ma è anche selettiva, ermeneutica, in una parola la memoria è bugiarda mai vera. La memoria nasconde e non rivela. E noi vediamo il mondo attraverso una memoria che non svela, ma copre ogni cosa con i suoi veli, come il Cristo velato della Cappella Sansevero. Odisseos è oudeiv, Odisseo è Nessuno. E anche Durante è perciò Nessuno.
E se Dante è solo un diminuitivo perché venne battezzato Durante, vi lascio scopire chi sia Donadio.
Per inciso la storia del Contratto di Tristan da Cunha è vera. Funziona così anche adesso in quell'isola in cui i cognomi sono quelli dei naufraghi e in cui veramente esiste il Camogli Hospital. I tristaniani sono l'unico gruppo umano al mondo a non soffrire di alcun tipo di allergie o intolleranza. Anche questo è un mistero. E veramente non hanno porto né aeroporto e solo una nave ogni anno si ferma al largo a rifornirli e a ricordar loro che il mondo ancora esiste.
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Re: Il contratto

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Massimo Baglione ha scritto: 03/10/2024, 19:13 Scusa, ma questa tua reazione è fuori luogo.
Ognuno ha i propri tempi e le proprie voglie.
Se una tua voglia è quella di commentare, commenta liberamente, senza però "obbligare" a una risposta chi ti leggerà.
Secondo il tuo ragionameto, sai quanto dovrei essere offeso io stesso o tanti altri? Tantissimo.
È vero, tuttavia, che ricevere una risposta è piacevole, ma la soddisfazione di aver dato un proprio commento dovrebbe, (almeno secondo me) prevalere fortemente rispetto all'eventuale replica.
Ti invito anche a riflettere sul fatto che ti sei riferito a Namio, uno dei frequentatori del sito più comunicativi e partecipativi del forum: avresti potuto dargli fiducia e aspettare un pochino di più una sua risposta (non obbligatoria), no? :mrgreen:
Salerno, lì 04/10/2024,
scusa, senza voler polemizzare, Massimo Baglione (scusa se ti do del tu), ma io quella frase l'ho scritta con rammarico e un po' di tristezza, perché ho pensato che avevo scritto cose inopportune, o forse inadeguate (perfino stupide), nel mio commento. Non ho mai preteso che qualcuno/a mi rispondesse. A volte calco un po' la mano nei miei commenti, ma non esiste mai malevolenza, pregiudizio o cattiveria in me. Quindi ero solo triste quando le ho scritte quelle parole, perché sono un essere umano e provo dei sentimenti.
Poi, vedendo che Namio Intile aveva già risposto a Marino Maiorino, mi sono sentito come messo da parte, sempre perché sono un essere umano e posso sbagliare a valutare le cose.

Grazie per queste parole, Namio Intile (scusa se ti do del tu):

"Non ho risposto perché mi è uscita la lacrimuccia tanto erano significative e profonde le considerazioni che mi hai lasciato. E io quando mi dicono cose belle non so che dire, che vuoi che ti dica. Senza dire che qualunque cosa ti avessi risposto avrebbe sfigurato e rovinato quanto hai scritto."

Grazie anche per questa lacrima! (Come disse quel telecronista argentino quando Maradona… Ma io a quei tempi ancora non esistevo. Ho visto solo i video su YouTube.)

Ti dico un'ultima cosa, Namio, prima di concludere questa mia risposta: non basta essere colti, e tu lo sei molto, ma per scrivere davvero bene – e non è piaggeria o retorica la mia – ci vuole sia cuore e come una ferita dentro per farlo come fai tu.

Cari saluti, Namio Intile,
Cari saluti, Massimo Baglioni,

Antonio Giordano
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Messaggio da leggere da Andr60 »

Cosa posso aggiungere alla recensione di Yakamoz/Antonio? Il racconto è bello, complesso e ricco di significati e, per una volta, sconfina nella fantascienza distopica. Avevo letto di sfuggita la storia dell'isola Tristan da Cunha, ma non l'avevo approfondita. Mi ricorda il villaggio di Asterix assediato dai Romani: è l'ultimo appezzamento (probabilmente l'unico) in cui vige un sistema economico che si ispira al comunismo più che al capitalismo.
Venendo alla scrittura, non so se davvero Namio abbia una ferita e usi la letteratura per curarsi, ma di certo lo fa ottimamente, e senza Bigpharma!
Tanti cari saluti, e complimenti
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Messaggio da leggere da Ombrone »

Direi che c'é poco da aggiungere ai meritatissimi complimenti già fatti da altri.
Anche circa le analisi direi che difficilmente potrei aggiungere altro.
Sicuramente siamo al 5.

Quindi senza perdere tempo e per aggiungere qualcosa che agli altri manca, provo a scovare qualche pelo nell'uovo,

Nelle prime righe usi l'espressione " iniziò a richiamare la sua presenza" che onestamente suona male… cosa significa? Inizio a chiamare per far notare la sua presenza (ad agitare le braccia per far notare etc etc)

Bello l'intreccio di linee temporali e di "storie" nella storia, mi piace molto ma forse è un po' complicato… per la dimensione del racconto, ti dico la verità in dei punti mi sono perso coi personaggi e con i nomi.

Ma questo proprio per sforzarmi di trovare qualcosa da limare facendo il bastian contrario.

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Re: Il contratto

Messaggio da leggere da Namio Intile »

Ciao, Ombrone, grazie per il passaggio. Ho sistemato quel "iniziò a richiamare la sua presenza" mancava una parola effettivamente. A mio discarico, ho molto tagliato per entrare nei 25000 caratteri, che poi qui sono pure in difetto rispetto al mio contatore, mentre a mio carico resta il fatto che leggi e rileggi e non me ne sono accorto. Quindi grazie. Il contratto è un racconto autoconclusivo, ma per afferrarne a pieno il contenuto temo dovrai leggere le prime quattro puntate, tutte postate nelle gare stagionali negli ultimi due tre anni, e i cui titoli nell'ultima sezione del racconto pure cito.
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Re: Il contratto

Messaggio da leggere da Ombrone »

Oh.. tranquillo stai parlando con un maestro assoluto in materia di refusi e dimenticanze... onestamente a volte penso addirittura di avere un po' di dislessia.... e penso si noti nei miei post

E capisco pure perfettamente la difficolta nel tagliare.. tagli tagli tagli e ti rimangono i pezzi appesi
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Messaggio da leggere da Vittorio Felugo »

Ho apprezzato molto questo racconto, mi piacciono le storie che nascondono sorprese (e questo ne ha più d'una). Immaginavo che fosse parte di qualcosa più ampio, tagliato per limiti di spazio. Complimenti per la fantasia e l'originalità. Unica pecca, di qualche battuta non si capisce quale personaggio la pronunci (ricordo un "disse" isolato, credo riferito a Durante, ma non ne sono sicuro). Direi 4 come voto, perchè, dovendolo adattare, mi pare che si sia perso qualcosa.
Saluti,
Vittorio
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Autori partecipanti: nwNunzio Campanelli, nwMarino Maiorino, nwLodovico, nwPatrizia Benetti, Antares, nwMonica Porta may bee, nwLicetti, nwYendis, nwCarlocelenza, Scrittore97, nwAnto Pigy, nwPardan, nwFreecora, nwLorella15, nwPolly Russell, nwLeggEri,
A cura di Mastronxo e Ser Stefano.
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Alcuni esempi di nostri libri autoprodotti:


Mai Più

Mai Più

Antologia di opere grafiche e letterarie aventi per tema il concetto del MAI PIÙ in memoria del centenario della fine della Prima Guerra Mondiale, di AA.VV.

Nel 2018 cade il centenario della fine della Prima Guerra Mondiale, perciò abbiamo voluto celebrare quella follia del Genere umano con un'antologia di opere grafiche e letterarie di genere libero aventi per tema il concetto del "mai più".

Copertina di Pierluigi Sferrella.
A cura di Massimo Baglione.

Contiene opere di: nwIda Dainese, nwAlessandro Carnier, Romano Lenzi, nwFrancesca Paolucci, Pasquale Aversano, nwLuisa Catapano, nwMassimo Melis, Alessandro Zanacchi, Furio Bomben, nwPierluigi Sferrella, nwEnrico Teodorani, nwLaura Traverso, nwF. T. Leo, nwCristina Giuntini, Gabriele Laghi e Mara Bomben.

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La Paura fa 90

La Paura fa 90

90 racconti da 666 parole

Questo libro è una raccolta dei migliori testi che hanno partecipato alla selezione per l'antologia La Paura fa 90. Ci sono 90 racconti da non più di 666 parole. A chiudere l'antologia c'è un bellissimo racconto del maestro dell'horror Danilo Arona. Leggete questa antologia con cautela e a piccole dosi, perché altrimenti correte il rischio di avere terribili incubi!
A cura di Alessandro Napolitano e Massimo Baglione.

Contiene opere di: Maria Arca, Pia Barletta, Ariase Barretta, nwCristiana Bartolini, Eva Bassa, Maria Cristina Biasoli, Patrizia Birtolo, Andrea Borla, Michele Campagna, Massimiliano Campo, Claudio Candia, Carmine Cantile, Riccardo Carli Ballola, nwMatteo Carriero, Polissena Cerolini, Tommaso Chimenti, Leonardo Colombi, Alessandro M. Colombo, Lorenzo Coltellacci, Lorenzo Crescentini, Igor De Amicis, Diego Di Dio, nwAngela Di Salvo, nwStefano di Stasio, nwBruno Elpis, Valeria Esposito, Dante Esti, nwGreta Fantini, Emilio Floretto Sergi, Caterina Franciosi, Mario Frigerio, Riccardo Fumagalli, Franco Fusè, Matteo Gambaro, Roberto Gatto, Gianluca Gendusa, Giorgia Rebecca Gironi, Vincenza Giubilei, Emiliano Gotelli, Fabio Granella, Mauro Gualtieri, nwRoberto Guarnieri, Giuseppe Guerrini, Joshi Spawnbrød, Margherita Lamatrice, Igor Lampis, nwTania Maffei, Giuseppe Mallozzi, Stefano Mallus, Matteo Mancini, Claudia Mancosu, Azzurra Mangani, Andrea Marà, Manuela Mariani, Lorenzo Marone, nwMarco Marulli, Miriam Mastrovito, Elisa Matteini, Raffaella Munno, nwAlessandro Napolitano, Roberto Napolitano, Giuseppe Novellino, Sergio Oricci, Amigdala Pala, Alex Panigada, Federico Pergolini, Maria Lidia Petrulli, Daniele Picciuti, nwSonia Piras, Gian Filippo Pizzo, nwLorenzo Pompeo, nwMassimiliano Prandini, Marco Ricciardi, Tiziana Ritacco, Angelo Rosselli, Filippo Santaniello, Gianluca Santini, Emma Saponaro, Francesco Scardone, Giacomo Scotti, nwSer Stefano, Antonella Spennacchio, Ilaria Spes, Antonietta Terzano, Angela Maria Tiberi, Anna Toro, Alberto Tristano, Giuseppe Troccoli, nwCosimo Vitiello, nwAlain Voudì, Danilo Arona.

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B.A.L.I.A.

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Buona Alternativa alla Lunga e Illogica Anzianità

Siamo nel 2106. BALIA accudisce gli uomini con una logica precisa e spietata, in un mondo da lei plasmato in cui le persone nascono e crescono in un contesto utopico di spensieratezza e di bel vivere. BALIA decide sul controllo delle nascite e sulle misure sanitarie da adottare per mantenere azzerato l'incremento demografico e allungare inverosimilmente la vita di coloro che ha più a cuore: gli anziani.
Esiste tuttavia una fetta di Umanità che rifiuta questa utopia, in quanto la ritiene una distopia grave e pericolosa.
BALIA ha nascosto il Passato ai suoi Assistiti, ma qualcuno di questi ha conservato i propri ricordi in un diario e decide di trascriverli in una rischiosa autobiografia. Potranno, questi ricordi, ripristinare negli Assistiti quell'orgoglio di vivere ormai sopito? E a che prezzo?
Di Ida Dainese e Massimo Baglione.

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Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.