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La faccenda è andata così, che vennero ad avvisarmi che era morta e che non si sapeva di cosa.
«L'abbiamo trovata in casa, dissero, era tre giorni che non si faceva vedere, così ci siamo andati. Era sul letto, vestita come al lavoro.»
Nemmeno il dottore era stato in grado. Sul certificato aveva scritto "morte improvvisa" e fin lì ci sarei arrivato anch'io. Ma sapete, quando una non conta niente, proprio niente come quella lì, non si fanno tante complicazioni. Settantaquattro anni e ancora nei campi come manovale. Senza marito, senza figli, nessuno. Viveva isolata, fuori dal paese, una casa bassa, a un piano, che un tempo era stata un ricovero per le bestie.
Le feci il funerale e fu tutto. In chiesa ci saranno state dieci persone, una più una meno, e solo compagni di lavoro. A portarla al cimitero ci pensarono i servizi funebri del Comune. Affittai un loculo a mie spese e le ordinai una lapide: Alda Ricci, e le date.
«Don Adone… »
Sì, mi chiamo Adone, non è colpa mia. Roba dei genitori, sia pace alla loro anima, ma fino a un certo punto. E sarebbe niente se almeno gli corrispondessi, senza questo naso a cavolfiore e la bocca tutta sbandata a sinistra. Trauma da parto, forcipe: così mi hanno sempre detto e così ripeto da cinquant'anni.
Insomma: «Don Adone…» È Consalvo, il figlio della Carmina, che mi sta sempre fra i piedi perché vuole diventare chierichetto. A me non serve nessun chierichetto, ma Consalvo è duro come le pietre, che qui non mancano, e altrettanto sordo da quell'orecchio.
Però mi colpisce la parola "carabinieri" e scendo a vedere.
Sono in due, li conosco da bambini, fanno servizio in paese. Si chiamano Angelo e Nicola. Brava gente, alla fine.
«Una seccatura» mi dice Nicola e mi mostra un foglio molto autorevole.
Si tratta di una perquisizione a casa della Ricci Alda, contrada di Monte, senza numero civico. Motivo: sospetto possesso di arma non dichiarata.
«Lei ha le chiavi, don Adone» dice ancora Nicola «così evitiamo di sfondare la porta.
È vero, le chiavi le ho io. Me le hanno consegnate dopo i funerali perché non sapevano cosa farne ma lo sa il diavolo dove le ho messe.
«Sono passati due mesi» dico «ora le cerco, abbiate pazienza.»
Li faccio accomodare in canonica e mi do da fare. Nel frattempo, l'idea che la Ricci possedesse un'arma mi fa ridere. Sarà qualche residuato bellico della quindici diciotto, seppure, o un rudere di pistola tedesca abbandonata quando scapparono vent'anni fa. L'avrà trovata nei campi e se l'è portata a casa, mi dico, oppure niente del tutto, vedrai, solo una bizza del magistrato. Arma, arma, ma quale arma, continuo a ripetermi mentre apro e chiudo cassetti, ispeziono tasche, frugo nelle tre tonache che posseggo compresa quella che ho addosso. Alla fine mi torna in mente. Vicino alla porta della canonica, il portaombrelli, sono lì dentro. Angelo e Nicola mi guardano mentre infilo il braccio fino giù in fondo per ripescarle e Angelo si mette a ridere: «Ma che, le aveva nascoste, don Adone?»
Spiego che quando di una cosa non so che farmene, spesso ho l'abitudine di gettarla nel portaombrelli, così è sicuro che non si perde.
Lo sanno tutti che sono strano.
Si trattava di una bomba a mano ancora carica. Lo vengo a sapere il giorno dopo perché in paese non si parla d'altro. Sembra l'avesse nascosta nella lana del materasso, praticamente ci dormiva sopra. Le chiavi non me le restituiscono perché fanno parte dell'indagine.
Ma quale indagine? Comunque, tutto finisce lì e nessuno mi chiede più niente.
Dopo una quindicina di giorni viene a trovarmi la Carmina.
«Don Adone…»
Metto le mani avanti.
«Se è per la faccenda del chierichetto» le dico «ti potevi risparmiare l'incomodo.»
No, non è quella la ragione. La Carmina tiene gli occhi bassi, si guarda i piedi e istintivamente io guardo i miei.
«No» dice sempre a occhi bassi «è che vorrei confessarmi.»
Ossignore, l'ho confessata l'altro ieri, che puoi aver fatto. Ma lei insiste, insiste e io, per levarmela da torno, la porto in chiesa.
Non perde tempo. Si fa il segno della croce e poi mi sussurra attraverso la grata a voce così bassa che non capisco niente e devo chiederle di parlare un po'più forte.
«La bomba, la bomba della Ricci. Sono stata io.»
«Tu a far che?» le chiedo.
Così vengo a sapere due cose, una più sorprendente dell'altra: la prima è che la Carmina aveva scritto, dopo la morte della Ricci, una lettera anonima ai carabinieri per denunciare che la suddetta Ricci Alda possedeva, in casa sua un'arma da guerra ancora funzionante. La seconda è che la Carmina sa scrivere.
«Ma tu come lo sapevi?»
«Me l'aveva detto lei. Ma non ho fatto nulla finché è morta" aggiunge "perché non volevo che avesse guai da viva.»
Che qualcuno potesse avere dei guai da morto, poi, era un'idea tutta sua che non ho voluto approfondire.
Voleva l'assoluzione. L'ho fatta uscire dal confessionale senza impartirgliela.
«Questo non è un peccato. È… insomma, hai fatto le cose a modo tuo ma non è un peccato.»
La Carmina mi ha guardato come se fossi pazzo. O forse fissava la mia bocca che, quando qualcosa mi addolora, si storce ancora di più.
«E che cos'è?"» mi ha chiesto «Don Adone, forse lei non ha capito bene. Io…»
L'ho fermata con un gesto.
«Non dire la verità se nessuno te l'ha chiesta.»
Non era una frase da prete, ma lo sanno tutti che io sono un prete venuto male.
Poi sono successe due cose, una buona e una strana. La cosa buona è che Consalvo non si è fatto più vedere. Quella strana è che qualcuno ha divelto e portato via la lapide della Ricci. Se n'è accorto il guardiano del cimitero che ha avvisato, chissà perché, i carabinieri.
Furto di lapide: esiste un reato simile?
Sono tornati Angelo e Nicola a chiedermi se avessi qualche sospetto.
«Ma ragazzi» gli ho detto «che volete che ne sappia io? Certo, mi dispiace. Gliene farò fare un'altra. Però mi sembra un po' tutto esagerato. Sospetti…ma di cosa? Lasciamola riposare in pace, no?»
Angelo ha fatto fare un mezzo giro al cappello che aveva poggiato sul tavolo.
«Il fatto è, don Adone, che la lapide l'abbiamo ritrovata.»
«Ah si? E allora? Dov'era?»
«Vicino casa sua.»
«Casa mia?»
«No, no, vicino casa della Ricci, a contrada di Monte.»
Insomma, mi spiegano che l'avevano piantata proprio lì, a due passi dal tugurio dov'era morta. L'aveva trovata un pastore.
«Secondo lei perché?» mi chiede Angelo.
Naturalmente, gli rispondo che non lo so: è falsa testimonianza, ottavo comandamento.
Più tardi vado a guardarmi allo specchio. La bocca è storta come non mai, il naso sembra addirittura cresciuto e io ho una tale pena di me stesso e di tutti che mi assolvo da solo.
Certo che per una che non contava niente, ma proprio niente, come quella Alda Ricci, doveva essere una bella soddisfazione: nel giro di pochi mesi una bomba e una lapide e nessuna spiegazione.
Mi rendo conto che avrei dovuto chiedere alla Carmina cosa mai dovesse farci la Ricci con una bomba a mano nel materasso ma mi sembrava di saperlo già.
Non ne aveva avuto il tempo, ecco tutto. Era morta prima di arrivare in fondo. Poteva sopportare ancora, non molto forse, ma ancora un po'. Stava solo aspettando di averne abbastanza, e forse più che abbastanza, e poi via, togliere la sicura e addio. E sicuramente la Carmina lo sapeva, era questo il peccato che avrebbe dovuto confessare. Ma poi, mi chiedo, quale peccato. Peccato è vivere come aveva vissuto Alda Ricci, ecco, e non si sa se c'è qualcuno da perdonare o se è impossibile qualsiasi perdono.
Qui attorno è ancora pieno di cose di guerra. Un bomba a mano la puoi trovare per caso, non c'è niente di strano in questo. E puoi dire a qualcuno che non ti va più di resistere, anche questo si può fare, e la persona a cui l'hai detto può magari rodersi l'anima, come la Carmina, ma rispettare il segreto fino a quando diventa inutile. Non è difficile darsi una mano. Molto più difficile è portarsi sulle spalle per cinque chilometri una lapide di marmo come avevo fatto io. Ma in fondo l'avevo pagata e non mi sembrava di commettere un furto. Non aveva senso in un cimitero, quel pezzo di marmo. Stava molto meglio accanto al luogo dove Alda Ricci aveva vissuto, da sola come una morta, e dove era morta mentre ancora viveva.
Lo so che poi la toglieranno, ma io sono abbastanza strano da farmi quei cinque chilometri altre dieci volte, se è il caso: e anche se tutto questo, alla fine, forse non serve a niente.
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