La signorina

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Paola Tassinari
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La signorina

Messaggio da leggere da Paola Tassinari »

Non avrebbe mai creduto che il sogno della sua vita sarebbe diventato un incubo. Anni e anni di lavoro aspettando la pensione e quando finalmente era arrivato il tanto auspicato termine dell'impiego, era sopraggiunta la depressione. Inizialmente era stata euforica, si sentiva piena di vita, finalmente poteva dedicarsi alle sue passioni, poi piano piano, le abitudini che si era costruita lungo gli anni cominciarono a mancare. Mancava persino l'alzarsi e l'andare al lavoro, che se prima della pensione odiava la sveglia ora era costretta a metterla per ricreare l'obbligo ad alzarsi, perché la sua apatia era tale che riusciva a stare bene soltanto a letto, per poi sentire pungenti sensi di colpa per il suo non fare niente, ecco perché aveva tirato fuori di nuovo la sveglia, per costringersi ad alzarsi. Ma poi come occupare tutte quelle ore vuote? La depressione in cui era caduta le aveva tolto ogni emozione, tutto era grigio e inutile. Insensato era dedicarsi al volontariato che tanto i soldi non andavano mai a finire bene, inutile suonare uno strumento che la musica mica è qualcosa di essenziale, sciocco cucinare piatti elaborati che poi c'erano tutte le stoviglie e la cucina da pulire, meglio un panino o una mozzarella o un uovo fritto, dissennato fare sport, troppa fatica, meglio una passeggiata e se poi è un po' freddo meglio stare sul divano a rincretinirsi di televisione. La televisione l'amava e l'odiava, da una parte si sentiva omologata, un sacco di notizie idiote e insulsaggini la confortavano almeno non era la sola squinternata, dall'altra parte si sentiva una morta in quanto stava seduta ad osservare uno schermo, lei non faceva nessuna azione né cretina né intelligente. La stessa cosa le succedeva leggendo un libro, lei leggeva seduta in poltrona, viveva le esperienze di un altro non sperimentava le sue capacità. La signorina, l'avevano sempre chiamata così, in quanto maestra elementare in uno sperduto paese della pianura romagnola, non si era mai sposata e neanche mai una convivenza perché i suoi scolari erano la sua famiglia. La signorina tutta d'un pezzo, sempre certa di quello che faceva, certa delle buone regole, dei buoni diritti e dei buoni doveri, un'educatrice integerrima non solo a parole ma con gli esempi. La signorina che non solo insegnava ma faceva capire il perché delle cose, fautrice di una mente sana in corpo sano, sempre perfettina anche nella cura del suo corpo e del suo vestiario, sicura della forza della ragione e avversa alla fuffa sentimentalistica, olistica o spirituale. La signorina che amava tanto l'insegnamento, ma poi le cose erano cambiate, il suo metodo spartano che piaceva tanto ai genitori dei suoi alunni di un tempo, le aveva causato nei suoi ultimi anni di lavoro tanta amarezza e aveva iniziato ad agognare alla pensione. L'accusavano di essere severa, di pretendere troppo e di sgridare gli scolari i quali, accusavano il mal di pancia al mattino e non volevano andare a scuola… suvvia non si può richiedere a dei bambini troppo, prima della conoscenza e delle regole vi è l'inconscio, la fragilità, non è possibile che i bambini abbiano paura della loro maestra! La vedessero ora, tutte le sue certezze sfumate, tutto crollato, solo fragilità, una povera foglia frale, si sentiva così, proprio come la foglia della poesia leopardiana. All'inizio del periodo pensionistico si sentiva in grado di avviarsi felicemente verso una nuova vita, poi piano piano era scivolata giù, si rese conto che il suo mondo, le sue amicizie i suoi legami erano tutti nell'ambiente scolastico e piano piano non frequentando più la scuola si dissolsero. Lei era veneta, aveva lasciato la famiglia trasferendosi in Romagna dove aveva avuto la cattedra. Inizialmente aveva mantenuto i legami familiari, ma dopo la morte del padre che teneva con mano ferma un universo tutto al femminile, tutto si era dissolto. Tra lei, la madre e le sorelle era rimasto solo una parvenza di buona educazione, qualche telefonata e null'altro. Tutte le sere prima di addormentarsi faceva buoni propositi per il giorno dopo, si sarebbe alzata, fatta la doccia, poi sarebbe andata a sistemarsi i capelli e poi perché no, sarebbe andata al ristorante da sola, a mangiarsi un piatto di cozze alla tarantina che le piacevano tanto. Ma poi la mattina dopo, si lavava negligentemente a pezzi, beveva un tè con biscotti e si sistemava ancora in pigiama sul divano e accendeva il televisore. Finché un giorno andando a fare la spesa incontrò una gatta magra e rinsecchita con una zampa rotta, forse una randagia, la poverina strisciava la sua zampetta miagolando, sembrava che piangesse e lei la raccolse e la portò dal veterinario, poi se la portò a casa, dicendosi che se anche la gatta era di qualcuno, questo qualcuno non era degno di tenere un animale dato che lo manteneva in quelle condizioni, lei faceva un'opera pia ad appropriarsi di Regina, questo il nome che diede alla gatta. Alla signorina parve che con Regina tutto il vuoto che sentiva si fosse riempito, ora le cose che faceva le parevano giuste e importanti, persino lo stare davanti alla televisione ora aveva un senso, in quanto era molto bello guardarla, tenendo Regina sulle sue ginocchia, accarezzandola mentre faceva le fusa, come era importante cucinare bene perché la gatta mangiava quello che mangiava lei ed era molto golosa di tagliatelle al ragù, lasagne e cotolette. Eppoi ricominciò ad andare dal parrucchiere e a vestirsi benino per portare a spasso Regina, sempre col guinzaglio perché aveva paura che le sfuggisse e andasse a finire sotto un'auto. In inverno una breve passeggiata nei dintorni di casa, mentre in estate metteva Regina nel cestino della bicicletta e insieme partivano in lunghe scampagnate. La signorina non si sentiva più depressa anzi era felice e ogni tanto canticchiava e stava meditando di segnarsi in una scuola di canto. Ogni tanto andava col pensiero alla depressione passata, orgogliosa di esserne uscita da sola senza medici né farmaci… non sapeva ancora cosa c'era dietro all'angolo. Dopo circa due anni, un gatto, venuto non si sa da dove, si arrampicava sul glicine che si abbarbicava sul muro della casa, arrivando sul terrazzo, prima una volta ogni tanto, poi tutti i giorni e infine si accasò e rimase. Romeo il nome che diede al gatto. L'arrivo di Romeo, cambiò le carte in tavola perché non era accomodante come Regina, il guinzaglio proprio non lo voleva e figuriamoci se voleva stare nel cestino della bici, inoltre mangiava solo croccantini, poi c'era il problema più grosso occorreva sterilizzare Regina. Forse ci mise un po' a prendere tale decisione, fatto sta che una mattina alzando la tenda dello sgabuzzino dove teneva i panni e le coperte da portare alla Caritas, trovò Regina acciambellata su un telo di spugna beige contornata da sette mici che succhiavano voracemente il latte dalla mamma. I gattini, era intenzionata a darli in adozione, ma poi si affezionò talmente tanto che decise di tenerli tutti e le cose cambiarono di nuovo. Iniziò ad uscire solo alla mattina per fare la spesa e per il resto sempre a casa con i gatti. Usciva un poco scarmigliata, non era propriamente sporca ma un poco barbona questo sì, sempre senza calze anche in inverno, con le gambe graffiate e la gonna e la maglietta seppur pulite erano sempre stropicciate, inoltre aveva sempre una specie di coperta a quadri colorati di maglia sulle spalle, che quando pioveva metteva anche sul capo. La bicicletta era sempre piena di sportine di plastica bianca piene di cibo per i gatti, perché col tempo dopo i suoi nove gatti, nel piccolo giardino del suo appartamento erano arrivati altri cinque randagi. Se lei si era lasciata andare non era così per i gatti, quasi tutta la pensione serviva per loro fra le spese del cibo, del veterinario e altro. I randagi che aveva adottato erano tutti e cinque affetti da patologie gravi, uno di loro aveva una particolare malattia agli occhi e abbisognava di medicinali assai costosi. Ormai per i suoi vicini non era più la signorina era diventata la gattara, la consideravano un po' strana ma con gli anni non ci fecero più caso e se per caso avevano un gatto di cui disfarsi lo portavano da lei. Intanto gli anni passavano Regina e Romeo erano morti ma i gatti di cui si occupava ora erano ventidue. Buongiorno, buonasera erano le uniche parole che scambiava col vicinato, gli unici con cui aveva una specie di dialogo erano il fruttivendolo del quartiere da cui andava a comprare il cibo e la lettiera dei gatti e il veterinario perché andava da loro ogni mattina. Chissà se era felice coi suoi gatti, certo è che non sorrideva mai e gli occhi erano pieni di una tristezza infinita. Forse qualche volta pensava alle sue certezze di un tempo, soprattutto a quanto era stata motivata nel credere a una vita regolata, a quando il suo aspetto lindo e pulito corrispondeva a ciò che faceva, ora era trasandata perché non aveva più motivazioni e occuparsi dei gatti era l'unico esile filo che la legava a un mondo che considerava ribaltato, a cui si sentiva inadeguata. Ma la colpa era tutta sua, non aveva curato la depressione, assolutamente contraria ad assumere antidepressivi o ansiolitici, convinta di venirne fuori da sola, convinta fosse una vergogna ad andare da un neurologo o da uno psichiatra, convinta che solo i pazzi vi andavano. La colpa era tutta sua se vedeva in ogni cosa che le era capitata il bicchiere mezzo vuoto. La colpa era tutta sua se si sentiva al sicuro solo coi suoi gatti. Certo nessuno le aveva dato amicizia ma lei non aveva fatto niente di niente, non aveva mai aperto la sua porta agli altri, sia quella di casa che quella del suo cuore e lo aveva fatto solo per paura. Intanto i giorni, i mesi, gli anni si inanellavano tutti uguali, tutti simili, venti anni e più, finché fu trovata senza vita nel proprio appartamento, a diversi giorni dal decesso. Furono i vicini, preoccupati per la sua assenza a lanciare l'allarme. I mici furono ospitati al gattile comunale dove accertarono le loro ottime condizioni, ora sono in attesa di essere adottati.
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Domenico Gigante
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Messaggio da leggere da Domenico Gigante »

Mi ha fatto venire in mente mia suocera. Storie diverse, naturalmente, ma entrambe segnate da un vuoto di relazioni, che cercano di colmare nella maniera sbagliata. Il tuo racconto disseziona la malattia in modo quasi giornalistico, ed in questo è efficace. Purtroppo nel nostro paese c'è ancora una forte resistenza nei confronti dei trattamenti psicoterapeutici (non invece nei confronti dei farmaci, di cui c'è un abuso). Il male della Signorina avrebbe potuto benissimo essere trattato con sedute dallo psicologo.
Per tornare al tuo lavoro mi permetto di suggerirti una riletta per correggere la punteggiatura e mettere qualche paragrafo per facilitare la lettura. Brava!
Vorrei essere il mare che si muove per rimanere se stesso e più di tanto non lo sposta il vento. Fragile ma tenace.
Paola Tassinari
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FraFree ha scritto: 28/03/2022, 19:09 Da un lato, mi ha trasmesso tanta tristezza per lei, che ha perso una parte di vita nella depressione. Dall'altro, tanta tenerezza per i gatti, che grazie a lei hanno potuto avere cibo, cure e affetto. Anche loro sono stati importanti per una pseudo ripresa della signorina, ma sarebbe servito anche altro, come ausilio. La depressione è una brutta bestia (la conosco e tu hai descritto benissimo cosa comporta), non basta (nella forma importante) la pet therapy, occorrono cure farmacologiche, psicoterapia e rapporti sociali.
Un buon racconto, supportato da una scrittura corretta e genuina.
Fra
Grazie Fra per il commento, "ma sarebbe servito anche altro, come ausilio. La depressione è una brutta bestia (la conosco e tu hai descritto benissimo cosa comporta), non basta (nella forma importante) la pet therapy, occorrono cure farmacologiche, psicoterapia e rapporti sociali", hai scritto ciò che penso e ciò che volevo trasmettere… la depressione è la malattia dell'occidente grasso, ci hanno tolto la speranza, non si esce dal buio se non si vede altro che buio
Paola Tassinari
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Domenico Gigante ha scritto: 29/03/2022, 11:26 Mi ha fatto venire in mente mia suocera. Storie diverse, naturalmente, ma entrambe segnate da un vuoto di relazioni, che cercano di colmare nella maniera sbagliata. Il tuo racconto disseziona la malattia in modo quasi giornalistico, ed in questo è efficace. Purtroppo nel nostro paese c'è ancora una forte resistenza nei confronti dei trattamenti psicoterapeutici (non invece nei confronti dei farmaci, di cui c'è un abuso). Il male della Signorina avrebbe potuto benissimo essere trattato con sedute dallo psicologo.
Per tornare al tuo lavoro mi permetto di suggerirti una riletta per correggere la punteggiatura e mettere qualche paragrafo per facilitare la lettura. Brava!
Grazie del commento e grazie del consiglio sulla punteggiatura che è un mio grosso difetto, tendo a scrivere come a parlare, se sono motivata vado sino a che ho fiato. Fanno bene al tuo paese a essere attenti ai trattamenti psicoterapeutici perché sono un'arma a doppio taglio, si diventa dipendenti ( i medici ti imbottiscono perché il loro protocollo non richiede di guarirti, ma solo di neutralizzarti, con gli psicofarmaci sei più o meno una carota) e non ne vieni più fuori. Quindi sì ai medicinali perché in certi momenti non se ne può fare a meno ma con molta, moltissima attenzione e attenti al medico perché (purtroppo) non tutti sono validi in un contesto come i nervi e i sensi e i neuroni in cui ancora non si conosce molto
Alycetta7
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Messaggio da leggere da Alycetta7 »

Un racconto che racchiude tante storie di vita come questa, il tuo. Mi ha trasmesso un mix di tristezza e tenerezza, per il decadimento negli anni della signorina e per quel barlume di felicità ritrovata all'arrivo della prima gatta Regina. Sei riuscita a descrivere al meglio le fasi altalenanti della depressione e in generale della vita di una persona sola. Complimenti!
Ultima modifica di Alycetta7 il 01/04/2022, 0:01, modificato 2 volte in totale.
Paola Tassinari
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Re: La signorina

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Alycetta7 ha scritto: 31/03/2022, 17:36 Un racconto che racchiude tante storie di vita come questa, il tuo. Mi ha trasmesso un mix di tristezza e tenerezza, per il decadimento negli anni della signorina e per quel barlume di felicità ritrovata all'arrivo della prima gatta Regina. Sei riuscita a descrivere al meglio le fasi altalenanti della depressione e in generale della vita di una persona sola. Complimenti!
Grazie, purtroppo è un tema che conosco abbastanza bene
RobertoBecattini
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Messaggio da leggere da RobertoBecattini »

Mi ha colpito molto, mi ha intristito, è una storia paradigmatica. Lo stile colloquiale che hai utilizzato lo rende ancora più efficace. Hai descritto bene il processo con cui si diventa gattare, c'è un vuoto affettivo che si cerca di riempire con sempre più animali di cui prendersi cura. Ti devo solo fare un appunto: la lettura è stata faticosa a causa del paragrafo unico. Dovresti spezzare il testo in alcuni punti. Anche la forma è importante.
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RobertoBecattini ha scritto: 31/03/2022, 22:44 Mi ha colpito molto, mi ha intristito, è una storia paradigmatica. Lo stile colloquiale che hai utilizzato lo rende ancora più efficace. Hai descritto bene il processo con cui si diventa gattare, c'è un vuoto affettivo che si cerca di riempire con sempre più animali di cui prendersi cura. Ti devo solo fare un appunto: la lettura è stata faticosa a causa del paragrafo unico. Dovresti spezzare il testo in alcuni punti. Anche la forma è importante.
Grazie Roberto, il tuo consiglio questa volta lo adotterò, almeno tenterò… altri mi hanno parlato della mia scrittura soffocante, ma è come volessi far sentire la fatica che faccio a scriverlo, infatti ho deciso di non scrivere più romanzi perché troppo a lungo durava la mia dedizione, non si può stare 14 ore al computer, mangiando davanti al video quello che capita e di notte sognare la trama per tre o quattro mesi, ogni romanzo mi è costato un esaurimento nervoso con relativo ricovero.
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Alberto Marcolli
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Commento: La signorina

Messaggio da leggere da Alberto Marcolli »

"Anni e anni di lavoro aspettando la pensione e quando finalmente era arrivato il tanto auspicato termine dell'impiego, era sopraggiunta la depressione. Inizialmente era stata euforica, si sentiva piena di vita, finalmente poteva dedicarsi alle sue passioni, poi piano piano, le abitudini che si era costruita lungo gli anni cominciarono a mancare. "
in questo periodo segnalo due "finalmente" in tre righe.
suggerisco anche le seguenti modifiche:
"Anni e anni di lavoro aspettando la pensione e, quando finalmente era arrivata, sopraggiunse la depressione "
basta così. Il concetto di attesa è già descritto a sufficienza.
"Inizialmente era stata euforica, si sentiva piena di vita, finalmente poteva dedicarsi alle sue passioni, poi piano piano, le abitudini che si era costruita lungo gli anni cominciarono a mancare. "
"Inizialmente l'euforia l'aveva invasa. Piena di vita, era impaziente di dedicarsi alle sue passioni, e mai avrebbe immaginato che quelle abitudini, da lei costruite lungo gli anni, avrebbero cominciato a mancarle. "

Mi fermo qui, ma tutto il testo necessiterebbe di una opportuna revisione. Già altri "bravi autori" ti hanno segnalato:
"correggere la punteggiatura e mettere qualche paragrafo per facilitare la lettura"
"la lettura è stata faticosa a causa del paragrafo unico. Dovresti spezzare il testo in alcuni punti. Anche la forma è importante."

In una tua risposta a un commento, scrivi:
"ho deciso di non scrivere più romanzi perché troppo a lungo durava la mia dedizione, non si può stare 14 ore al computer, mangiando davanti al video quello che capita e di notte sognare la trama per tre o quattro mesi, ogni romanzo mi è costato un esaurimento nervoso con relativo ricovero."
ACCIDENTI!!
Per quanto ne so, scrivere è faticoso, ma anche MOLTO appagante. Serve organizzazione e metodo, ovviamente. Ci sono ottimi corsi di scrittura, ma alla fine ciascuno di noi deve trovare il suo sistema. Il tuo è davvero massacrante e urge cambiare, non smettere. La scrittura è un ottimo rimedio proprio per sconfiggere la depressione di cui parli nel tuo racconto.
Per ora non voto. Mi offro invece per una revisione, suggerendoti una versione più snella che poi svilupperai seguendo i tuoi gusti personali.
Buon lavoro e soprattutto non mollare.
Paola Tassinari
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Re: La signorina

Messaggio da leggere da Paola Tassinari »

Gentile Alberto, non voglio sembrare presuntuosa, ringrazio per l'offerta di una revisione, ma la rifiuto, perché non mi occorre, ho scritto centinaia di articoli, su riviste, quotidiani e altro, so come si scrive corretto, in modo asettico, pulito e coordinato, riesco a essere molto sintetica quando voglio. Nei romanzi, nei racconti, nelle poesie ho un mio stile, faticoso, disarmonico, ossessivo ma mio e ho faticato per ottenerlo. Cerco di andare oltre e per farlo, per narrare sul trascendentale uso la scrittura e i suoi segni come fossero su uno spartito musicale e scelgo il tipo di musica che mi serve per comunicare l'emozione che cerco di trasmettere, non mi interessa essere facilmente leggibile, il mio intento è quello di lasciare un qualcosa che non si dimentica. Per quanto riguarda lo scrivere la mia rinuncia è solo per i romanzi, perché la loro stesura mi porta via dei mesi e il mio modo di scrivere catartico: trascendo, sto in un altro luogo, non è possibile farlo a lungo, così ho deciso di scrivere solo gli articoli, i racconti ecc. Grazie.
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Alberto Marcolli
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Re: La signorina

Messaggio da leggere da Alberto Marcolli »

Grazie per la risposta che chiarisce molti miei dubbi.
So bene quanto sia importante avere un proprio stile, ed è proprio la mancanza di un mio stile ad aver provocato il rifiuto di tanti miei lavori.
Non so molto di te, ma abbastanza per sapere che questo è il tuo stile faticoso, disarmonico, ossessivo ma tuo.
Forse, avendo te scelto di entrare in questo forum di "bravi autori", mi aspettavo una prosa, non dico asettica, pulita e ordinata (non sarebbe stata adatta all'argomento del racconto) ma meno faticosa questo si.
Personalmente mi hai spiazzato e magari questo era il tuo scopo. La mia offerta per una revisione era un piccolo trucco per avere delle conferme, a parte il fatto che se avessi visto la foto del tuo profilo, tutto questo non sarebbe servito.
Come lettore la dirò come gli inglesi, mia seconda lingua, "like it or lump it".
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Messaggio da leggere da Temistocle »

Il tema è importante (lo conosco bene anche io) e la narrazione lo asseconda, ma… un paragrafo unico è impossibile da leggere, almeno per me!
Ho letto il tuo racconto perchè nel suo è comunque breve e cattura l'attenzione ma, per dire, uno come Saramago (primo esempio che mi viene in mente) non riesco a seguirlo.
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Re: Commento

Messaggio da leggere da Paola Tassinari »

Temistocle ha scritto: 06/04/2022, 16:35 Il tema è importante (lo conosco bene anche io) e la narrazione lo asseconda, ma… un paragrafo unico è impossibile da leggere, almeno per me!
Ho letto il tuo racconto perchè nel suo è comunque breve e cattura l'attenzione ma, per dire, uno come Saramago (primo esempio che mi viene in mente) non riesco a seguirlo.
Grazie Temistocle e grazie agli altri commentatori, non mi ero resa conto di quanto fosse difficile leggere i miei scritti. Ne terrò conto. Il mio scrivere così fitto, mi deriva da due autori che amo Joyce ed Eco e anche per il fatto che la maggioranza degli scritti per i quotidiani e riviste on line richiedono, frasi brevi e paragrafi quasi inesistenti, nonché il grassetto per le parole chiave, perché il lettore, in particolare quello in Rete, è considerato pigro, disattento e con poca cultura… così ho acquistato quasi inconsapevolmente, per gli scritti "liberi", questi paragrafi lunghissimi, da diventare unici, come hai scritto giustamente, per ribellione al pregiudizio che Internet non possa essere cultura seria, ottima e col cuore… solo con voi Bravi Autori mi sono resa conto che esagero, davvero ho esagerato… grazie mille
Gabriele Pecci
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Messaggio da leggere da Gabriele Pecci »

Ciao, Paola, inutile dire ottimo racconto, si percepisce a pelle che quello che hai scritto in parte è parte del tuo vissuto, come lo è del mio e di molti altri, ognuno secondo propria misura. Forse io non sono mai stato totalmente avvolto dalla o peggio nella depressione, forse nel mio caso era stato un lasciarsi andare consapevole di me stesso, un portarmi consapevolmente al limite. Ho passato più di un anno e mezzo (niente quindi al racconto da te scritto), seduto allo stesso pub, quasi ogni sera a bere e guardare passare me stesso e gli altri vicino. Ecco io non mi sono isolato, io ero solo in mezzo agli altri, parlavo, mi confrontavo, raccontavo e sentivo storie, conoscevo gente, ma in fondo niente mi toccava davvero, ero un muro. Ecco questo è il punto focale il tocco.
Il tocco o la spinta, verso il vero abisso o verso la possibile risalita da esso, non può venire dagli altri, perché gli altri in certi momenti anche se ne siamo totalmente immersi, semplicemente non esistono. Il tocco iniziale o finale, di salvezza o di condanna quindi, per essere percepito reale, può venire in entrambi i casi solo da noi stessi (questo vale chiaramente e soprattutto anche nel e per chiedere aiuto). Hai detto bene è la paura di affrontare se stessi è quello che frega, il non volersi guardare nel profondo oggi, per non sentirsi male domani, aspettando quindi un oggi che diventerà sempre, per forza di cose, domani. Questo insieme all'egoismo di crederci sempre e solo noi in grado di dare o rendere conto a noi stessi, la paura di mostrare agli altri la fragilità stessa che ci divora dentro e accettare/mostrare così i nostri stessi limiti, questo è in termini pugilistici un uno due difficile da incassare e spesso se la guardia non è alta, non ci si rialza più purtroppo.
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Messaggio da leggere da Paola Tassinari »

Gabriele Pecci ha scritto: 08/04/2022, 14:46 Ciao, Paola, inutile dire ottimo racconto, si percepisce a pelle che quello che hai scritto in parte è parte del tuo vissuto, come lo è del mio e di molti altri, ognuno secondo propria misura. Forse io non sono mai stato totalmente avvolto dalla o peggio nella depressione, forse nel mio caso era stato un lasciarsi andare consapevole di me stesso, un portarmi consapevolmente al limite. Ho passato più di un anno e mezzo (niente quindi al racconto da te scritto), seduto allo stesso pub, quasi ogni sera a bere e guardare passare me stesso e gli altri vicino. Ecco io non mi sono isolato, io ero solo in mezzo agli altri, parlavo, mi confrontavo, raccontavo e sentivo storie, conoscevo gente, ma in fondo niente mi toccava davvero, ero un muro. Ecco questo è il punto focale il tocco.
Il tocco o la spinta, verso il vero abisso o verso la possibile risalita da esso, non può venire dagli altri, perché gli altri in certi momenti anche se ne siamo totalmente immersi, semplicemente non esistono. Il tocco iniziale o finale, di salvezza o di condanna quindi, per essere percepito reale, può venire in entrambi i casi solo da noi stessi (questo vale chiaramente e soprattutto anche nel e per chiedere aiuto). Hai detto bene è la paura di affrontare se stessi è quello che frega, il non volersi guardare nel profondo oggi, per non sentirsi male domani, aspettando quindi un oggi che diventerà sempre, per forza di cose, domani. Questo insieme all'egoismo di crederci sempre e solo noi in grado di dare o rendere conto a noi stessi, la paura di mostrare agli altri la fragilità stessa che ci divora dentro e accettare/mostrare così i nostri stessi limiti, questo è in termini pugilistici un uno due difficile da incassare e spesso se la guardia non è alta, non ci si rialza più purtroppo.
Ciao Gabriele, il racconto non è il mio vissuto. Ma la storia di una persona che ho conosciuto e che da insegnante è diventata una "gattara". Cambio i nomi, romanzo un poco e racconto il malessere di noi occidentali, tramite me stessa ( ho decine di racconti sulla mia depressione e anche romanzi) e le persone che incontro, che mi colpiscono per il loro dolore sordo. Tra l'altro volevo con questo racconto, evidenziare che per quanto gli animali ci diano molto non possono "guarirci" perché sono causa di ulteriore alienazione, almeno io la penso così. Per gran parte della mia vita sono vissuta in campagna e ho raccolto i cani e i gatti abbandonati, quando non andavano di moda, quindi amo gli animali, ma ora non ne ho neanche uno, perché soffro a vedere i cani vestiti, ingioiellati, a spasso in passeggino e i gatti al guinzaglio, li trovo come dire, alienati pure loro, e allo stesso tempo, in altre parti del mondo i bambini muoiono di fame. La mia depressione nasce da questo non senso che è diventata la vita, io non mi ci trovo, non riesco ad adattarmi, fingo di essere 'adeguata' e scrivo per non adeguarmi ad un mondo che rapisce i bambini poveri per portare via a loro gli organi…
Gabriele Pecci
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Re: La signorina

Messaggio da leggere da Gabriele Pecci »

Questo è quello che siamo purtroppo, comprendo bene le tue parole, il tuo "fingo di essere", ci è rimasto solo questo per certi versi dentro questo mondo e questa società. Bisogna convivere con le proprie e altrui paure ed egoismi, con le proprie ansie e ineguatezze, non c'è una risposta che salva o ci allevia da questo, ma bisogna saperlo e avere poi la forza di accettarlo su quello che si sente, ma soprattutto per quello che si è.
Macrelli Piero
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Messaggio da leggere da Macrelli Piero »

Testo formalmente corretto e la storia è ben raccontata in maniera (si può dire?) didascalica. Ma è tutta raccontata e non ci mostra nulla della signorina.
Colpa mia. Sono stato coinvolto dalle teorie narrative della scrittura immersiva, trasparente; mi tormenta il Show Don't Tell e ogni mia lettura viene influenzata da questo.
Però non sono sicuro che questo sia l'unico modo di scrivere e l'autrice ha un suo legittimo stile che seguo perché proprio contrario al mio.
Paola Tassinari
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Messaggio da leggere da Paola Tassinari »

Macrelli Piero ha scritto: 09/04/2022, 6:56 Testo formalmente corretto e la storia è ben raccontata in maniera (si può dire?) didascalica. Ma è tutta raccontata e non ci mostra nulla della signorina.
Colpa mia. Sono stato coinvolto dalle teorie narrative della scrittura immersiva, trasparente; mi tormenta il Show Don't Tell e ogni mia lettura viene influenzata da questo.
Però non sono sicuro che questo sia l'unico modo di scrivere e l'autrice ha un suo legittimo stile che seguo perché proprio contrario al mio.
Grazie Piero, che dirti? Il Show Don't Tell, già non mi piace perché è in inglese, lo traduco con mostrare immagini. Sono sommersa da mail che mi inviano corsi creativi di scrittura, non li banno per cortesia, ma trovo ridicolo che si possa insegnare la creatività che già lo scriverlo è un ossimoro. Nello scrivere, a volte mostro, altre volte no, perché il tutto (almeno per me) deve essere finalizzato a ciò che ho nella testa, nell'idea, nel pensiero. Mi trovo invece molto bene qui, sono capitata per caso, ma ci sto bene. Gli autori leggono e commentano "davvero" e ho trovato scrittori non banali, non automatizzati, perché li sento sinceri nello scrivere. Ora vado a leggerti così comprendo meglio ciò che vuoi dire con… Show Don't Tell
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Sono d'accordo con chi definisce la depressione "una brutta bestia" però questo racconto la rende umana e questo mi piace.
Inoltre, a me piacciono i gatti, i cani e i passeri, quindi simpatizzo per la protagonista.
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Marino Maiorino
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Buon giorno Paola,
uff... un lungo, lento scivolamento verso la fine, quello che probabilmente accomuna le vite di tante persone (non necessariamente tutte donne) che siamo soliti chiamare "gattare".
Ci fai ripercorrere la loro vita in un mondo nel quale devi essere socialmente impeccabile e avere una rete di contatti sociali. Qui la protagonista diventa gattara, ma qualunque altro barbone con un cane, o anche senza, può ritrovarcisi: il giorno prima sei manager d'impresa, impiegato di concetto, ricercatore aerospaziale, e il giorno dopo non vali più niente ai tuoi stessi occhi in una società che ti considera per quanto produci. Con l'aggravante di aver eliminato qualunque altro valore (ricordo che il mio maestro elementare o il prof. d'inglese del liceo, severissimi, eravamo felici di andare a trovarli decenni dopo il loro pensionamento).
Mi è costato un po' leggerlo: graficamente hai condensato tutto in un'unico paragrafo senza soluzione di continuità, e anche se fosse stampato sarebbe difficile tenere il punto, figurati scrollando!
Al principio ripeti la spiegazione del fatto che si costringa a mettere la sveglia, così come più avanti ripeti della sua residenza in Romagna. L'impressione è che tu l'abbia buttato giù di getto senza neanche rileggerlo, ed è un peccato perché comunica emozioni molto forti.
Oso suggerire una pettinata.
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Marino Maiorino ha scritto: 18/04/2022, 7:51 Buon giorno Paola,
uff… un lungo, lento scivolamento verso la fine, quello che probabilmente accomuna le vite di tante persone (non necessariamente tutte donne) che siamo soliti chiamare "gattare".
Ci fai ripercorrere la loro vita in un mondo nel quale devi essere socialmente impeccabile e avere una rete di contatti sociali. Qui la protagonista diventa gattara, ma qualunque altro barbone con un cane, o anche senza, può ritrovarcisi: il giorno prima sei manager d'impresa, impiegato di concetto, ricercatore aerospaziale, e il giorno dopo non vali più niente ai tuoi stessi occhi in una società che ti considera per quanto produci. Con l'aggravante di aver eliminato qualunque altro valore (ricordo che il mio maestro elementare o il prof. d'inglese del liceo, severissimi, eravamo felici di andare a trovarli decenni dopo il loro pensionamento).
Mi è costato un po' leggerlo: graficamente hai condensato tutto in un'unico paragrafo senza soluzione di continuità, e anche se fosse stampato sarebbe difficile tenere il punto, figurati scrollando!
Al principio ripeti la spiegazione del fatto che si costringa a mettere la sveglia, così come più avanti ripeti della sua residenza in Romagna. L'impressione è che tu l'abbia buttato giù di getto senza neanche rileggerlo, ed è un peccato perché comunica emozioni molto forti.
Oso suggerire una pettinata.
Grazie Marino, sì ho esagerato col paragrafo unico, anzi "exagerato", ciò nasce dal fatto che ho scritto per dei quotidiani on line che mi richiedevano come paragrafi solo delle brevi frasi. Un tipo di facile scrittura che detesto. Un tipo di scrittura scolastico. Prendo atto della critica, tutti quanti i commentatori hanno ribadito la mia "prolissità ipotattica" e così ho pubblicato su Bravi Autori il mio romanzo d'esordio corretto col consiglio della vostra critica. Tuttavia ho letto in questi giorni il primo romanzo di Ken Follet e l'ho trovato giustamente idoneo a una facile lettura quasi paratattico nella brevitas, ma non mi è piaciuto mi è sembrato un romanzo Harmony, tanto carini ma si dimenticano in un attimo. Chissà forse Follet per poter editare il primo romanzo si è adeguato a ciò che gli ha consigliato l'editore.
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Re: La signorina

Messaggio da leggere da Marino Maiorino »

Cara Paola,
Ken Follett {o meglio, il suo editore) ha probabilmente ghostwriter che lavorano per lui.
Con questo voglio dire che non sappiamo le scelte editoriali (cosa ben diversa da quelle letterarie) che sono dietro a ciò che vediamo prodotto da certi nomi.
Ma noi siamo Braviautori! :)
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Ho letto il testo parecchie volte e mi sono accorta cosa ha colpito la mia attenzione! Parlo sempre per me e in qualità di lettrice, hai parlato di questa donna e della sua condizione descrivendo - così mi è sembrato - le tue opinioni.Mi spiego meglio. L'impressione, mia, è stata di molto coinvolgimento, di troppo coinvolgimento.
L'argomento trattato - la depressione è una malattia - non merita un racconto così breve. Questo è solo il mio parere. Ho dato 3.
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Re: Commento a La signorina

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Eleonora2 ha scritto: 30/04/2022, 16:48 Ho letto il testo parecchie volte e mi sono accorta cosa ha colpito la mia attenzione! Parlo sempre per me e in qualità di lettrice, hai parlato di questa donna e della sua condizione descrivendo - così mi è sembrato - le tue opinioni.Mi spiego meglio. L'impressione, mia, è stata di molto coinvolgimento, di troppo coinvolgimento.
L'argomento trattato - la depressione è una malattia - non merita un racconto così breve. Questo è solo il mio parere. Ho dato 3.
Infatti io scrivo con coinvolgimento, mi immedesimo, purtroppo so scrivere solo così, grazie per avermi letto.
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Scrittore della domenica ha scritto: 04/05/2022, 13:14 A me è piaciuto il tuo racconto. E mi sono piaciute anche le spiegazioni che hai dato, in particolare condivido l'osservazione sul fatto che sembra assurdo insegnare la creatività. Ma su questo forse qualcuno più esperto di me ha magari qualche osservazione che potrebbe illuminarmi.
Tornando al racconto, trovo molto ben descritto il passaggio in cui i gatti sembrano inizialmente la salvezza ma si rivelano poi la trappola che porta al precipizio. Non mi fermerei alla triste cronaca di una gattara, perchè può essere vista anche come una metafora ben più ampia.
Sono incerto se darti 4, che detto così suona male per una professoressa, o se premiare la genuinità con un 5. Direi che dello stile ne avete già ampiamente parlato e forse puoi decidere se rivedere qualcosa, ma il passaggio di cui ho detto, che trovo cruciale, è scritto molto bene secondo me. In realtà lo stile in questo particolare caso si adatta molto bene al personaggio raccontato. Per cui per me è 5 dai.
Una mia curiosità, perchè scrivere su questo sito attendendo commenti se si è convinti del proprio stile inusuale? È una domanda un po' provocatoria fatta perchè mi piacerebbe leggere la risposta.
Perché scrivere su questo sito? Ma per trovare lettori come te, che comprendono ciò che voglio dire, non è una cosa scritta tanto per dire, sono nauseata dall'ambito ufficiale della letteratura e dell'arte visiva, dove tutto è a pagamento, non per editare ma per la pubblicità, autori che si mantengono con la pittura e la scrittura ma si prostituiscono continuamente per questo privilegio, in questo ambiente partecipo qualche volta, ma non è il mio fine, lo uso solo per avere il target ufficiale da artista, poi pubblico qua e là, dove trovo ospitalità, gratuitamente i miei lavori per trovare lettori a cui interessa il mio messaggio. Questo mi interessa promuovere il mio messaggio: di un nuovo ritorno all'ordine, alla moderazione, al mos maiorum, al credere che non siamo solo polvere, che Dio è risorto di nuovo… grazie scrittore della domenica, da una del lunedì…
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Mi è piaciuto, una cronistoria di come si diventa gattare dopo una vita dedicata al lavoro ma senza coltivare interessi al di fuori di quell'ambiente. Se si vive isolati e si ha un carattere introverso, la depressione è un rischio da non sottovalutare per chi affronta un'altra fase della propria vita.
Un vantaggio della situazione odierna in UE è che presto due problemi di salute pubblica come obesità e depressione saranno brillantemente risolti: dai documentari dell'Italia durante la II guerra mondiale, tutti erano tutti molto magri e avevano altro a cui pensare che dar da mangiare ai gatti. Ad esempio, a come rimediare i pasti, dopo che i gatti erano finiti.
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Andr60 ha scritto: 06/05/2022, 14:21 Mi è piaciuto, una cronistoria di come si diventa gattare dopo una vita dedicata al lavoro ma senza coltivare interessi al di fuori di quell'ambiente. Se si vive isolati e si ha un carattere introverso, la depressione è un rischio da non sottovalutare per chi affronta un'altra fase della propria vita.
Un vantaggio della situazione odierna in UE è che presto due problemi di salute pubblica come obesità e depressione saranno brillantemente risolti: dai documentari dell'Italia durante la II guerra mondiale, tutti erano tutti molto magri e avevano altro a cui pensare che dar da mangiare ai gatti. Ad esempio, a come rimediare i pasti, dopo che i gatti erano finiti.
Grazie, simpatico commento, sottilmente ironico-funereo
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Bravoautore ha scritto: 09/05/2022, 5:14 I gatti possono dare a una persona piú di quanto gli esseri umani
riescano a fare, cosí i cavalli, i cani e la naturain generake.
Il racconto mostra senza accenti dramnatici o svenevolezze una solitudine che solo in parte puó essere definita " patologica".
Grazie per il commento. Nonostante il mio amore per gli animali, ritengo che oggi, in certi casi si possa scivolare in "patologie", quando i nostri amici a quattro zampe diventano dei surrogati, qualcosa per riempire il vuoto dei valori esistenziali odierni. Poi vi sono psicanalisti che aborrono il termine "patologia" abolendo pure il termine di "paziente", usando la parola "cliente", ciò non toglie che tanti sono "patologicamente" inadatti a questa società di oggi, perché mascherata dal buonismo, e con quest'ultimo non ti puoi arrabbiare, soccombi, perché non sai, non puoi, difenderti da chi ti porge una faccia d'amico gentile, allora ci si rivolge agli animali, che danno tanto, tantissimo, ma non risolvono il problema di fondo, questo volevo dire col racconto.
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Ti scrivo da gattaro (esiste anche al maschile) convinto e recidivo. Io i gatti li amo sono più intelligenti, liberi e sensibili della maggior parte delle persone che conosco e ogni volta che lo ripeto viene giù il diluvio.
La storia riprende una sorta di cliché letterario con l'insegnante signorina, o zitella, che alla fine della sua vita lavorativa non riesce più a dar un senso alla propria esistenza. Beh, direi che è normale. Ne ho conosciute insegnanti signorine che si sono date ai viaggi o all'assitenza materiale dei numerosi e spesso farabutti/e nipoti, o a feste e attività con amiche di pari solitudine. E altre che sono diventate gattare. Le più sole e problematiche in apparenza, forse solo le più lucide. È una storia di solitudine la tua, della tua protagonista senza nome, che pare non debba nemmeno possederlo un nome, è una storia di una sconfitta personale vista con occhi comuni, ed è una storia di disagio, perché la solitudine innesca la depressione che spesso è il sintomo di qualche problema più profondo. Alla fine la protagonista muore senza lasciare traccia di sé se non nei suoi amati gatti.
Nel finale del racconto la voce narrante si perde un po' nelle considerazioni personali dell'autrice, la quale nel finale entra proprio a gamba tesa avvertendo il lettore che i mici stanno e bene e si trovano al gattile comunale in attesa di adozione. Mi fa piacere, ma nel racconto l'avrei evitato. Proverei dunque a rivedere l'intera parte finale, a renderla più impersonale.
Un buon lavoro, tenero e gradevole.
A rileggerti.
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Maria Cristina Tacchini
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Messaggio da leggere da Maria Cristina Tacchini »

Ciao Paola.
Il tuo bel racconto mi ha subito trascinata e suscitato in me la curiosità di sapere come sarebbe andata a finire questa coinvolgente, anche se triste, storia.
Dal mio punto di vista, hai saputo descrivere con maestria il profilo caratteriale di questa signorina, l'evoluzione della sua storia di depressione con accurati dettagli nei quali, purtroppo, molte persone potrebbero ritrovarsi.
Il personaggio mi genera molta tenerezza.
Questo suo perfezionismo ed eccessiva inflessibilità con sè stessa dei tempi "attivi" mascherano tanta solitudine. Finito il lavoro, rimane purtroppo questo vuoto esistenziale, se non lo si è saputo riempire con hobby o passioni personali che sarebbero serviti da salvagente una volta in pensione.
Situazione che purtroppo si riscontra nella vita di tanti e che porta inevitabilmente a depressione o a malattie fisiche.
I gatti sembrano una prima ancora di salvezza, ma probabilmente nel suo Essere più profondo restano tormenti irrisolti.
Per quanto riguarda la forma, avrei anch'io aggiunto qualche paragrafo.
A un primo colpo d'occhio il testo appare ammassato e questo potrebbe scoraggiare qualcuno ad intraprenderne la lettura. E sarebbe un peccato, in quanto il tuo racconto è sicuramente meritevole di attenzione, come tutte le storie di vita.
Ancora brava. Ciao
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