Dodici
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Dodici
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«Che caldo! Non si sopporta! Neanche sotto a questi ulivi riesci a trovare un po' di fresco». Giuda di Kerioth si tolse tunica e sandali e si sedette per terra, appoggiando la testa a un tronco.
«Guarda!» si rivolse al compagno, indicando il sole. «A picco sulla testa. Ed è così da ore. Sembra che sia rimasto sempre in quella posizione. Lì fisso a torturarci. Se non sono riusciti i Giudei a linciarmi, sarà lui a uccidermi. Morirò in un bagno di sudore».
L'altro si affrettò a rimproverarlo: «Rivestiti immediatamente! Lui potrebbe tornare da un momento all'altro. Non ti puoi far trovare in questo stato. Cosa penserà di noi? Che siamo stati qui a perder tempo? A sbadigliare e a contarci i pidocchi?».
Il primo scoppiò in una risata sarcastica. «Perché? Che abbiamo fatto invece?». Rimase un attimo in silenzio, cercando maldestramente di rimettersi la tunica. «E poi non verrà, figurati! - proseguì con un tono serio - Se ne è andato dicendoci di aspettarlo, ché andava a pregare sopra la collina, là oltre gli ulivi. Sono due giorni che si è allontanato, e lì rimane. Fermo. Non si è mosso per tutto il tempo. Sta in ginocchio con gli occhi verso il cielo e muove le labbra, ma non esce una sola parola dalla sua bocca. E noi qui che lo aspettiamo da due giorni» concluse con un gesto spazientito.
Interruppe il dialogo per qualche minuto. Si rialzò da terra e si accomodò la tunica. La guardava soddisfatto, perché era ancora tutta pulita, di un colore verde intenso con ricami in oro. L'aveva acquistata di recente al mercato di Gerusalemme, prima che il Maestro cominciasse a parlare alla folla davanti al Tempio. Prima che lo chiamasse e gli ordinasse di seguirlo.
Interrogò il suo compagno: «E gli altri dove sono andati?».
«Ma come! Non ricordi?! A quel villaggio qui vicino a chiedere da mangiare e dell'acqua che si possa bere, perché questo pozzo è asciutto da più di un anno».
«Ah già, l'acqua!» rispose l'altro, prendendo in mano la sabbia che aveva raccolto col secchio dal fondo del pozzo. «Ma, poi, come è cominciata tutta questa storia?».
«Quale storia? Quella del pozzo?».
«No, no! - si affrettò a chiarire - Perché lui è andato a pregare lassù?».
«Non ricordi neanche questo?!» si sentì rispondere da una voce stizzita. «È venuta una donna - quella che lo aveva cosparso di olio profumato e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli - e ha chiesto di parlare con lui. Aveva molta fretta e sembrava in ansia per qualcosa».
«Ma cosa gli ha detto?».
«Questo non lo so. Forse gli altri hanno sentito e sapranno dircelo. Eccoli! Guarda, stanno arrivando».
In lontananza procedeva una carovana di una decina di persone, tutte più o meno giovani, vestite poveramente. Due procedevano davanti agli altri, più velocemente, perché libere dai pesi, e chiacchieravano allegramente tra loro. Altre tre, anch'esse senza ceste sulle spalle, si attardavano poco più indietro silenziose. Gli ultimi cinque, invece, portavano tutte le provviste e sembravano camminare con fatica sotto quel sole.
I primi a giungere - i due in testa al gruppo - erano Simone, detto Cefa, e Giovanni, figlio di Zebedeo. Salutarono i due rimasti ad attenderli, abbracciandoli e baciandoli sulle gote; quindi si accomodarono a riposare all'ombra degli ulivi. Vicino a loro si sedette Giuda, che, ancora accaldato, bofonchiava qualcosa contro il sole e la siccità. Poi domandò: «Ricordate quella donna, quella che asciugò i piedi al Maestro con i suoi capelli e che è venuta qui due giorni fa?».
Simone assentì col capo.
«Lei gli disse qualcosa e lui, con il volto afflitto, ci ha detto di aspettarlo ed è andato a pregare lassù. Io non so cosa gli abbia raccontato, ma doveva essere grave, perché non è ancora tornato».
«Vuoi sapere cosa gli ha detto?» domandò Giovanni.
«Ebbene sì! Ditecelo, se lo sapete. È un'attesa lunga e snervante e vogliamo sapere almeno se le ragioni lo meritano».
Giovanni si grattò la nuca. «Quella donna si chiama Maria. Viene da Betania. Gli ha detto che suo fratello Lazzaro è malato. Sì, ha detto proprio così: "Signore, ecco, il tuo amico è malato". Lui le ha risposto: "Questa malattia non è per la morte, ma è per la gloria di Dio. Torna da lui ad assisterlo". E lei è andata via di corsa, ma col volto più sereno».
Giuda, perplesso, si asciugò la fronte sudata e sporca di polvere con l'orlo della veste. Intanto anche gli altri erano arrivati. Quelli che portavano il carico erano talmente sfiniti, che si gettarono a terra. Nessuno si domandava perché avessero portato tutto quel peso da soli: tutti conoscevano i fatti e non c'era bisogno di spiegazioni. Ogni cosa, ogni azione, ogni parola in quel gruppo di dodici persone procedeva in un senso determinato, anche contro la volontà dei suoi stessi componenti. Non c'erano domande, perché le risposte erano già in bella vista di fronte a loro. Sbocciavano i pensieri in testa, i discorsi sulle labbra, e tutto aveva un moto proprio e indipendente.
Sapevano le stesse cose, ma queste uscivano fuori dal nulla. Qualcuno riusciva a esprimerle e gli altri assentivano come davanti a un fatto evidente, o plausibile. Solo cinque persone avevano portato tutti i viveri. Potevano dividerseli tra di loro, essendo dieci, e faticare così la metà e, pure, in modo del tutto naturale quei cinque avevano stabilito di espiare le loro colpe del passato.
Tra di loro c'era uno che si chiamava Levi Matteo ed era stato un pubblicano, un esattore, un servo dei Romani; e i Galilei odiavano i padroni e ancora di più i loro schiavi. Per questo lui doveva portare quel carico: per liberarsi da quella situazione di schiavitù. Le costrizioni fisiche avrebbero suscitato in lui il desiderio, l'aspirazione alla libertà vera. Superare la fatica di una lunga giornata era il prezzo da pagare per sentirsi di nuovo vivi e di nuovo uomini.
Uno di quelli che si erano gettati nella polvere, stanchi e disidratati, guardò verso la collina, al di là degli ulivi, e vide una figura bianca che si muoveva incontro a loro. Appariva sfocata per il gran caldo, come potrebbe essere un miraggio. Il poveretto impiegò molto tempo prima di collegare quell'immagine all'orizzonte con la persona che lo aveva condotto fino a quell'arido deserto con gli altri undici. Alzatosi in ginocchio a fatica, senza parlare, sollevò il braccio nella direzione da cui procedeva quell'uomo.
Una grande ammirazione suscitò quella vista. Alcuni aiutarono quelli che stavano a terra a rialzarsi e a riprendere contatto con la realtà dandogli dell'acqua dalle loro bisacce. La persona che si avvicinava era piuttosto alta, giovane, di carnagione scura e capelli neri riccioluti. Indossava un chitone grigio, vecchiotto e malandato. Il suo nome era Gesù, figlio di Giuseppe e Maria di Nazareth, ma tutti si rivolgevano a lui chiamandolo Rabbi, Maestro.
Alcuni di quei dodici, come Simone, lo seguivano da oltre due anni, ed erano scesi con lui giù da Cafarnao, dal lago di Tiberiade, fino a Gerusalemme. Non capivano bene che cosa predicasse quell'uomo, ma ne vedevano i miracoli e le opere, e osservavano il suo comportamento decisamente senza riguardi nei confronti dei Romani e dei farisei. E, da buoni Galilei, non potevano che approvarlo. Erano convinti di seguire un messia che li avrebbe liberati da un giogo di tasse e ipocrisia.
Arrivato a pochi passi da Simone, che gli veniva incontro, disse: «Andiamo di nuovo in Giudea». Non salutò, non pronunciò altra parola, ma continuò avanti verso gli altri discepoli. Simone, stupito, gli venne dietro. «Ma, Rabbi, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu vuoi tornare da loro?».
Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se, invece, uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce. Voi dovete fidarvi di me come fossi la vostra luce. Mi avete seguito fino a qui senza mai chiedere il perché, ma sempre sospettando che io avrei realizzato le vostre segrete aspirazioni. Lo avete fatto lasciando tutto ciò che avevate di più caro: la famiglia, la casa, la possibilità di un futuro discreto, silenzioso e pacifico. E adesso vi spaventate di fronte alla morte corporale, come se essa potesse qualcosa contro le vostre anime legate ormai indissolubilmente alla mia, destinate a non morire in eterno».
Rimase un attimo in silenzio, perché capiva l'imbarazzata sorpresa del discepolo, poi soggiunse: «Il nostro amico Lazzaro si è addormentato».
Ormai erano giunti presso gli altri, che li aspettavano e li avevano visti discorrere per quel breve tratto. Erano curiosi di sapere.
«Che ti ha detto?» chiese Giovanni.
«Ha detto che dobbiamo tornare in Giudea» rispose rivolgendosi a tutti gli undici.
«Tornare in Giudea! - esclamò collerico Giuda - Ma è matto! Quelli non aspettano altro, se non che ci gettiamo nelle loro braccia! Che cos'è? Un diversivo? Puntiamo sulla sorpresa?»
«No, dice che il suo amico Lazzaro si è addormentato» replicò dubbioso Simone.
Giuda si sentì ribollire il sangue. «Ma chi è questo Lazzaro? E poi cosa interessa a noi che si sia addormentato? Un uomo adesso non si può più stendere e chiudere gli occhi per qualche minuto? Capisco il suo "Vegliate, vegliate!", ma qui si sta esagerando».
«Lazzaro è il fratello di quella donna, che è venuta qui due giorni fa. E comunque fai silenzio perché potrebbe sentirti» ribatté violentemente Giovanni, invitandolo anche con i gesti a star zitto.
«Parli bene tu! - disse Giuda, sempre più furioso - Io, però, ci ho rimesso tutti i miei averi per lui; per dar da mangiare a voialtri. Ero ricco, ero viziato, ma mi sono messo a finanziare questa impresa, che non so cosa vuole, né dove deve arrivare. Adesso, però, non voglio mica andare a morire per lui». Fece silenzio per qualche istante, pentito della sua sfuriata. Poi aggiunse confuso: «Se questo Lazzaro si è addormentato, si sveglierà».
Il maestro, che era rimasto per tutto il tempo a pochi metri ad ascoltarli, si strinse rassegnato nelle spalle e disse: «Lazzaro è morto, e io sono contento di non essere stato là, perché voi crediate. Coraggio, andiamo da lui!». E si mise in cammino.
Si guardarono tutti abbastanza imbarazzati. Giuda teneva il capo abbassato dalla vergogna. Si rendeva conto di aver perso un'occasione per farsi notare dal Maestro per la sua solerzia e generosità. E ancor peggio si accorgeva di perdere sempre più fiducia in quell'uomo. Egli, in fondo, credeva solo di aver trovato un capo che li avrebbe guidati e riscattati da un'esistenza misera, asservita a Roma.
Allora Tommaso, chiamato Didimo, disse ai condiscepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui».
Furono queste sole parole che rivelarono per qualche istante a quei dodici il vero scopo di quella strada che avevano intrapreso. Adesso forse sapevano dove sarebbero giunti: Morire con lui. E del resto quello stesso luogo arido e sterile, quel sole allo zenit che li perseguitava da ore, il caldo e il sudore che scendeva giù dalla fronte e appiccicava tra di loro tutti i capelli, e le loro stesse figure mal vestite, affamate, stanche, messe insieme lì, a formare un'armata di miserabili, non suggerivano un futuro migliore; non certo contro gli uomini che si apprestavano ad affrontare.
Cominciarono a caricarsi sulle spalle tutti i viveri e l'acqua che avevano acquistato al villaggio. Qualcuno con un leggero colpo sulla schiena svegliò Giuda dai suoi tristi pensieri. E, confusi e logori, si misero in marcia appresso a quell'uomo. Come avevano sempre fatto.
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Un paio di note:
1) Il testo è il primo capitolo di un romanzo sulla vita di Lazzaro dopo la resurrezione, che si è fermato a metà del terzo capitolo, poco dopo la resurrezione. Segno che non è destino che Lazzaro possa avere una storia tutta sua. Dato, però, che il capitolo è a suo modo autoconclusivo, ho pensato che potesse essere inserito come racconto.
2) Il linguaggio usato dai personaggi è volutamente anacronistico e non è un errore. Anzi, per certi versi tutta questa sequenza è ispirata, in modo neanche troppo sottile, al Waiting for Godot di Beckett. D'altra parte sempre di Dio si parla.
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Re: Dodici
1) Il testo è il primo capitolo di un romanzo sulla vita di Lazzaro dopo la resurrezione, che si è fermato a metà del terzo capitolo, poco dopo la resurrezione. Segno che non è destino che Lazzaro possa avere una storia tutta sua. Dato, però, che il capitolo è a suo modo autoconclusivo, ho pensato che potesse essere inserito come racconto.
2) Il linguaggio usato dai personaggi è volutamente anacronistico e non è un errore. Anzi, per certi versi tutta questa sequenza è ispirata, in modo neanche troppo sottile, al Waiting for Godot di Beckett. D'altra parte sempre di Dio si parla.
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Re: Commento
Ciao Francesco! Non ho visto Dogma e, leggendo la trama, devo assolutamente rimediare.Francesco Pino ha scritto: ↑23/06/2022, 12:22 Stavo per farti un appunto sul linguaggio, la nota ti ha salvato Il pezzo in effetti viaggia bene anche come racconto autonomo, a me è piaciuto. Sottolineo due cose che mi hanno favorevolmente colpito su tutto: l'aspetto fisico di Gesù e il motivo principale che ha spinto gli apostoli a seguirlo.
Non c'entra nulla ma mi hai fatto pensare a Dogma, il film in cui si scopre che gli apostoli in realtà erano 13 e che Dio è donna… lo hai visto?
Il mio non è un intento dissacratorio: tutt'altro! In qualche modo volevo restituire lo sconcerto degli apostoli davanti ad una figura che appare molteplice a seconda di quelle che sono le aspirazioni di chi lo sente parlare e lo segue. E che, proprio a causa di questa molteplicità, alla fine sembra frustare tutte le speranze, conducendo Giuda al tradimento. Da qui anche il legame con Godot, l'essere divino che dovrebbe risolvere tutti i problemi, ma non giunge mai.
Grazie mille per il tuo commento e per il tuo voto! Un abbraccio!
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Re: Commento
Ciao cara! Non so se ho compreso bene la tua domanda, ma provo a rispondere.Bravoautore ha scritto: ↑23/06/2022, 14:27 Mi risulta un po' forzato commentare il tuo racconto perchè io non parlo volentieri di questo fatto storico
Ho letto senza fretta e fatica
perchè il racconto viaggia.
Solo una domanda: se Gesù invece che "donna" fosse stato gay, sarebbe comunque comprensibile il suo amore incondizionato e il suo essere, per così dire, l'amante di Giovanni?
Nessuno si scandalizzi, è solo una domanda!
Premesso che il Gesù uomo è - come sosteneva Hegel(*) - ormai definitivamente perduto, resta il Gesù dei vangeli, il quale è - lo dico da credente - una costruzione culturale e storica. Quindi è difficile immaginare un Gesù donna o gay, semplicemente perché non era culturalmente credibile come figura, ieri, e probabilmente neanche oggi.
Per altro il problema di fondo che poni mi risulta un po' ambiguo. Uomo o donna è una questione di genere, che ha poco a che fare con l'orientamento sessuale. In realtà è qui la sfida più grande e provocatoria che si può immaginare: non un dio donna, ma un dio sessuato, in cui un amore non platonico nei confronti di Giovanni è reso possibile e credibile.
Spero di aver risposto alla tua domanda.
* Per inciso l'ispirazione filosofica del racconto viene proprio da La vita di Gesù di Hegel. Il filosofo di Tubinga presenta Gesù come un predicatore che deluse gli ebrei zeloti - incarnati dall'apostolo Giuda - e i sommi sacerdoti, che attendevano un Messia politico che li avrebbe liberati dai romani.
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Re: commento
Ciao Chiara! Ti ringrazio molto del commento e del voto. Sì, effettivamente il povero Matteo è un po' bullizzato. Cmq se l'è cercataMChiara ha scritto: ↑23/06/2022, 15:14 Ho apprezzato molto la descrizione del racconto: l'afa, il deserto, la polvere, il caldo sono molto credibili. Ugualmente credibili sono i dubbi generati negli apostili dalla noia e dall'attesa. Quello che però sorprene più di tutto, e rimanda al teatro dell'assurdo, è il trattamento subito da Matteo. Un trattamento che sa di nonnismo Il tutto avviene sotto gli occhi di un Cristo privo di vista e di compassione, teso com'è ad andare sempre avanti.
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Re: Dodici
Te le ho aggiunte direttamente alla fine del testo, perché in caso di publicazione non vadano dimenticate.
(diciamo che questa è una nota per me )
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Re: Dodici
Grazie mille, Massimo!Massimo Baglione ha scritto: ↑24/06/2022, 2:24 Te le ho aggiunte direttamente alla fine del testo, perché in caso di publicazione non vadano dimenticate.
(diciamo che questa è una nota per me )
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Re: Commento
Grazie mille a te, Eleonora, e a te, Francesca, per il vostro commento! Un po' mi dispiace che il racconto non vi abbia catturato. Spesso gli autori sbagliano a giudicare le proprie opere, perché le guardano con il metro dei loro interessi personali e non si accorgono che si tratta di loro ossessioni. Per me questa storia rispecchia molto il mio rapporto con la fede. Ma è evidente che si tratta della mia esperienza e magari non sono stato neanche troppo bravo a renderla con le parole. Sarà per un'altra occasione. Un abbraccio forte a tutt'e due!FraFree ha scritto: ↑23/06/2022, 23:31 Peccato che l'idea si sia fermata al terzo capitolo... credo verrebbe fuori un buon romanzo, ma mai dire mai. Puoi sempre tirarlo fuori dal cassetto. Intanto, hai già tirato fuori il primo capitolo! Non è il mio genere, ma l'ho letto volentieri e non mi è dispiaciuto, merito della tua perizia scrittoria e del tuo denso bagaglio culturale e ti ho dato un 4.
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Sì, sì, è chiaro! Grazie!
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Re: Commento
Ciao Athosg! Intanto grazie per il commento e per il voto.Athosg ha scritto: ↑24/06/2022, 13:15 Un racconto con belle descrizioni e scorrevole. L'ho letto e sentito in modo agnostico, infatti l'ho percepito come un gruppo di seguaci devoti al loro leader. Non ho capito una parte dei commenti (spesso perdo la concentrazione) e riguarda l'attrazione verso Giovanni. Io mi ricordavo l'attrazione verso Maddalena e i dubbi sull'avere una vita con lei o continuare verso il destino segnato, splendidamente filmati ne L'ultima tentazione di Cristo, con uno straordinario Willem Dafoe. Per ultimo credo che la vita di Gesù, come le vite di tutti, sia stata romanzata nei secoli e anche gli alieni se ne dovrebbero fare una ragione.
Riguardo ai tuoi dubbi, la questione nasce da una domanda di Bravoautore, che probabilmente si rifà ad alcuni passi dei vangeli in cui Giovanni viene indicato come "il discepolo che lui amava", lasciando intendere qualcosa di più che un semplice rapporto tra maestro e discepolo. In realtà la cosa è controversa ed è difficile ipotizzare che i vangeli facciano esplicitamente riferimento a una relazione di tipo omosessuale tra Gesù e Giovanni, che sarebbe stata considerata "inaccettabile" nel mondo ebraico.
Riguardo a Maria Maddalena - per altro è la Maria, sorella di Lazzaro, del mio racconto - ci sono alcuni vangeli gnostici che la indicano come il primo dei discepoli. Da qui è nata anche l'idea di una relazione amorosa tra i due - cosa che è stata ripresa da numerosi autori, ultimo dei quali Dan Brown ne Il codice Da Vinci. Il film di Scorsese, a cui tu fai riferimento, è un'altra opera che riprende questa suggestione nella forma di una tentazione del Maligno a cui alla fine Gesù dice di no. Nonostante questo il film - ricordo che ero piuttosto giovane quando uscì - fu fatto oggetto di boicottaggio da parte della Chiesa cattolica nel nostro paese e sottoposto a censura. Arrivò con grande ritardo nei cinema e fu distribuito in pochissime copie. Anche oggi recuperarlo non è facile. Concordo sull'interpretazione di Defoe, anche se il film non mi ha entusiasmato più di tanto. Preferisco il mio racconto
A parte le battute, grazie ancora del tuo passaggio. Un abbraccio!
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Duemila anni dopo il padrone è cambiato, la situazione è rimasta invariata, nonostante il sacrificio del "capro espiatorio".
In più, per gli italici, una nota di merito per chi si azzarda a nominare un autore russo (Dostoevskij): l'attenzionamento da parte del Copasir?
Saluti
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Ciao Andro! Spero di non attirare l'attenzione, citando facinorosi autori russi, notoriamente filo-putiniani Se così fosse sarà per me una medaglia al valore. Certi artisti non potranno mai essere messi sotto silenzio, perché avranno sempre qualcosa da dirci.Andr60 ha scritto: ↑25/06/2022, 11:46 Un racconto con descrizioni efficaci sia ambientali che psicologiche; in effetti spesso ce lo dimentichiamo, pensando alla storia sacra, ma il desiderio principale dei palestinesi del tempo (almeno, della maggioranza) non era tanto la vita eterna quanto scrollarsi di dosso il giogo di Roma, e per questo avrebbero ascoltato chiunque glielo avesse fatto balenare. "Ma il mio regno non è di questo mondo" avrà fatto storcere il naso a parecchia di quella gente che seguiva il Rabbi.
Duemila anni dopo il padrone è cambiato, la situazione è rimasta invariata, nonostante il sacrificio del "capro espiatorio".
In più, per gli italici, una nota di merito per chi si azzarda a nominare un autore russo (Dostoevskij): l'attenzionamento da parte del Copasir?
Saluti
Riguardo alla tua analisi, hai giustamente colto l'aspetto politico del racconto. Si tratta effettivamente di una questione importante: si tende a dimenticare che il tradimento di Giuda fu soprattutto un tradimento politico, così come il processo e la condanna di Gesù furono eventi politici (tant'è vero che Pilato sottopone alla folla la scelta tra il Cristo e un agitatore politico, Barabba; cosa che non può risultare casuale).
Per me - in quanto credente - ha grande importanza anche l'aspetto umano della ricerca di qualcosa che ci sollevi da una vita di dolore e infelicità. In questo senso i miei apostoli vedono in Gesù l'uomo che li riscatterà, non solo politicamente, dal loro destino terreno. Solo che non sono in grado di comprendere il messaggio. E qui sta tutto il loro sconcerto, che ho cercato maldestramente di rendere nel racconto: l'uso insistito di immagini e parabole incomprensibili, che finiscono per confondere e lasciare interdetti, fino al punto da non comprendere che il sonno di Lazzaro allude alla morte. Il tradimento diventa, quindi, il rifiuto di una speranza, che resta troppo distante dalla mente dell'uomo e dalla sua realtà quotidiana. Un dramma che sento molto mio.
Grazie mille per il tuo commento. Un abbraccio!
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Questa tua mi sembra particolarmente riuscita: le motivazioni politiche dei discepoli sono più credibili di quelle legate alla sola fede, come pure il sottinteso tradimento da parte di Giuda, in reazione a un altro tradimento, quello delle sue aspettative in cambio di un disegno più grande che non comprende.
Concordo con chi dice che quel cassetto dovresti riaprirlo, prima o poi.
Scritto molto bene, ma su questo non avevo dubbi. Complimenti Domenico.
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Intervista su BraviAutori.it: https://www.braviautori.it/forum/viewto ... =76&t=5384
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Ciao Roberto! Grazie mille per il tuo commento. Al di là delle preferenze personali, la scelta dei vangeli canonici intorno al IV-V secolo d.C. è stata tutt'altro che sbagliata. In realtà i vangeli apocrifi hanno una composizione molto più tarda rispetto ai tre vangeli sinottici e appaiono legati a dottrine sincretiche. Ad esempio gli apocrifi gnostici presentano Gesù come maestro di una dottrina esoterica che ha radici nel neoplatonismo di Alessandria d'Egitto. Altri vangeli riportano Gesù nell'alveo della tradizione ebraica e ne fanno un profeta tra gli altri. Da questo deriva gran parte del loro fascino, ma è pur vero che una religione che stava andando alla conquista di un posto ufficiale di primo piano all'interno del mondo tardo classico aveva bisogno di una dottrina universale e includente. E certamente buona parte dei vangeli apocrifi non avevano queste caratteristiche. Poi ovviamente nell'esclusione di alcuni testi più "ortodossi" dal canone neotestamentario ha pesato la preferenza accordata alle lettere paoline e, ovviamente, le idiosincrasie di alcuni padri della chiesa.Roberto Bonfanti ha scritto: ↑26/06/2022, 22:02 Le versioni apocrife dei vangeli mi hanno sempre interessato più di quelle “istituzionali”.
Questa tua mi sembra particolarmente riuscita: le motivazioni politiche dei discepoli sono più credibili di quelle legate alla sola fede, come pure il sottinteso tradimento da parte di Giuda, in reazione a un altro tradimento, quello delle sue aspettative in cambio di un disegno più grande che non comprende.
Concordo con chi dice che quel cassetto dovresti riaprirlo, prima o poi.
Scritto molto bene, ma su questo non avevo dubbi. Complimenti Domenico.
A questo aggiungo il fatto che la scelta del vangelo di Giovanni (quello più eterodosso rispetto a Marco, Matteo e Luca) è stata per me illuminante. Ci ha permesso di tramandare nei secoli uno dei testi poetici più affascinanti: il prologo con il suo Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος.
In principio era il Logos
e il Logos era presso Dio
e il Logos era Dio
Questi era in principio presso Dio.
Tutto è venuto ad essere
per mezzo di Lui,
e senza di Lui
nulla è venuto ad essere
di ciò che esiste.
In Lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini
e questa luce splende ancora nelle tenebre
poiché le tenebre non riuscirono ad offuscarla.
Questo brano mi fa venire i brividi ogni volta che lo sento recitare.
Grazie ancora e un abbraccio!
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Questo è il secondo racconto che scrivi e per la seconda volta ti faccio i miei più sinceri complimenti.Come nell altro si ha una testo storico senza dettagli inutili che lo appesantiscono.
E' possibile comprare il libro o lo devi ancora finire?
Ottimo lavoro Domenico.
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Re: commento
Caro Giovanni! Purtroppo il il libro non vedrà la luce tanto presto Mi sono arenato vent'anni fa e dovrei ritrovare il tempo e, soprattutto, le motivazioni per ricominciare. Certe volte mi sento una vena svuotata. Pubblico cose vecchie, perché non trovo ispirazione per niente di nuovo. Non sapete quanto invidio voi altri.Giovanni p ha scritto: ↑29/06/2022, 14:49 Azz!
Questo è il secondo racconto che scrivi e per la seconda volta ti faccio i miei più sinceri complimenti.Come nell altro si ha una testo storico senza dettagli inutili che lo appesantiscono.
E' possibile comprare il libro o lo devi ancora finire?
Ottimo lavoro Domenico.
Un abbraccio!
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Il problema degli estratti è proprio questo: possono essere anche momenti topici, ma spesso il senso di quei momenti viene svelato più tardi, o anticipato altrove. Questo è un bel frammento corale durante il quale gli apostoli vengono presentati nella loro umanità, così pieni di dubbi, certamente non gli ispiratori di Santa Romana Chiesa Cattolica e Dogmatica.
"Erano uomini", questa sembra la lezione di questo frammento. Una lezione "tiepida", se mi passi il termine, per una gara. E certo non indicativa del resto dell'opera. Che è?
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Re: Commento
Caro Marino! Come giustamente scrivi si tratta di un'istantanea, ma un'istantanea che vede l'uomo confrontarsi con il senso della propria fede e con le (giuste) aspirazioni di felicità e redenzione che il trascendente suscita in ognuno di noi. La speranza in un dio che possa riscattarci - e il senso di assurdità e frustrazione che ne conseguono - è il fulcro del racconto. Quindi gli apostoli non "erano (solo) uomini", ma uomini che si confrontavano e scontravano con un Dio-Uomo, che suscitava in loro grandi aspirazioni, ma anche tanto disinganno e sconforto. Dunque quella parte dell'umano che ci rende in qualche modo veramente altro dalla natura. Grazie per il commento. Un abbraccio!Marino Maiorino ha scritto: ↑09/07/2022, 10:18 Il racconto è ben scritto (troppe virgole mi spezzano il filo della lettura), ma resta quello che è: un'istantanea di un lavoro molto più lungo.
Il problema degli estratti è proprio questo: possono essere anche momenti topici, ma spesso il senso di quei momenti viene svelato più tardi, o anticipato altrove. Questo è un bel frammento corale durante il quale gli apostoli vengono presentati nella loro umanità, così pieni di dubbi, certamente non gli ispiratori di Santa Romana Chiesa Cattolica e Dogmatica.
"Erano uomini", questa sembra la lezione di questo frammento. Una lezione "tiepida", se mi passi il termine, per una gara. E certo non indicativa del resto dell'opera. Che è?
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Re: Dodici
qui i nostri presupposti fanno divergere le nostre conclusioni: so di suonare eretico, ma non c'è messaggio, in Cristo, se è Dio. O almeno, non sarebbe un messaggio per noi uomini. La vita di Gesù ha senso per noi uomini solo se egli è pienamente uomo, altrimenti è ideale irraggiungibile per definizione.
E gli ideali irraggiungibili per definizione... Chi vuole inseguirli?
E adesso, giusto per gettare un briciolo di sconcerto in più, ammetterò di credere che egli disse e fece molte delle cose che gli si attribuiscono.
Ma, per inquadrare con maggior precisione il mio punto di vista, devo spiegare perché non ho usato quel "solo" che tu hai usato tra parentesi: sentendomi più vicino alle credenze induiste, per me il divino non è separato dall'umano, o l'uomo non potrebbe aspirarvi per sua natura!
Perciò, "solo" umani? Cavolo, per me è già quasi dire semidio!
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Re: Dodici
Comprendo e rispetto la tua posizione "ariana", ma qui scivoliamo nei nostri personali punti di vista. Il senso che cerco di dare (malamente) al racconto riguarda il rapporto - se vuoi antropologico - tra uomo e divino, lì dove la ricerca di un Assoluto che governa il nostro destino e ci promette un riscatto o una punizione è proprio dell'umano.Marino Maiorino ha scritto: ↑09/07/2022, 16:09 Caro Domenico,
qui i nostri presupposti fanno divergere le nostre conclusioni: so di suonare eretico, ma non c'è messaggio, in Cristo, se è Dio. O almeno, non sarebbe un messaggio per noi uomini. La vita di Gesù ha senso per noi uomini solo se egli è pienamente uomo, altrimenti è ideale irraggiungibile per definizione.
E gli ideali irraggiungibili per definizione... Chi vuole inseguirli?
E adesso, giusto per gettare un briciolo di sconcerto in più, ammetterò di credere che egli disse e fece molte delle cose che gli si attribuiscono.
Ma, per inquadrare con maggior precisione il mio punto di vista, devo spiegare perché non ho usato quel "solo" che tu hai usato tra parentesi: sentendomi più vicino alle credenze induiste, per me il divino non è separato dall'umano, o l'uomo non potrebbe aspirarvi per sua natura!
Perciò, "solo" umani? Cavolo, per me è già quasi dire semidio!
Mi riallaccio a quello che sarebbe dovuto seguire, cioè la vita di Lazzaro dopo la resurrezione. L'idea di una seconda chance (come nel caso della chiamata degli apostoli) che Dio dà agli uomini e a cui gli uomini devono attribuire un significato morale eccezionale (nel caso specifico che senso assume la vita di Lazzaro dopo un evento tanto miracoloso come il ritornare in vita?) è fonte spesso non di certezze, ma di angoscia e confusione: uno sguardo laico-religioso su quello che è per me il dramma della fede.
Anche la visione induista e buddista del divino nell'uomo non è un punto di partenza, ma di arrivo di un percorso meditativo che richiede uno sforzo immane di decostruzione delle proprie certezze, cosa che anche gli apostoli sono chiamati a fare.
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Re: Dodici
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Sul linguaggio hai già scritto e indicando Beckett offri un indizio sull'intento più che sulle fonti.
Dodici, un numero ricorrente nella lettura biblica. Nel racconto parti dagli apostoli, dai dodici, per provare dunque a scrivere di fede e di Dio. Dell'attesa che questa figura crea nell'uomo. In particolare prendi le mosse da Giuda il traditore, o Giuda di Kerioth o l'Iscariota o Giuda figlio di Simone l'Iscariota. Perché sui nomi degli apostoli (e sul numero) manca una convergenza di massima nei Vangeli Canonici e negli Atti. E tu sai attraverso quali percorsi politici più che di fede i quattro Vangeli Canonici sono diventati tali a scapito degli altri.
Inizi il tuo racconto con uno spaccato della parte finale della predicazione del Nazareno, quando dalla Galilea si dirige di nuovo In Giudea, a Betania, dal suo Lazzaro già cadavere. Un cadavere che già puzza a sentire la sorella.
Il tuo Giuda appare irritato dalla decisione, per te egli non nutre solo dei dubbi... No, lui non crede alle ragioni del Maestro. "«Tornare in Giudea! - esclamò collerico Giuda - Ma è matto! Quelli non aspettano altro, se non che ci gettiamo nelle loro braccia! Che cos'è? Un diversivo? Puntiamo sulla sorpresa?»"
E come se non bastasse rincara la dose: "«Parli bene tu! - disse Giuda, sempre più furioso - Io, però, ci ho rimesso tutti i miei averi per lui; per dar da mangiare a voialtri. Ero ricco, ero viziato, ma mi sono messo a finanziare questa impresa, che non so cosa vuole, né dove deve arrivare. Adesso, però, non voglio mica andare a morire per lui». Fece silenzio per qualche istante, pentito della sua sfuriata. Poi aggiunse confuso: «Se questo Lazzaro si è addormentato, si sveglierà»."
L'accesso d'ira (anche con quell'anacronistico riferimento alla sorpresa) come il motivo e lo scetticismo dell'Iscariota e il suo rinfacciare l'aver dato senza aver ricevuto nulla in cambio mi appaiono moderni, dettati da istanze attuali e da tutto il vissuto storico che ha portato il cristianesimo ad oggi. Ma improbabili a quel tempo, non solo dalla lettura dei Vangeli da cui si evincono i rapporti tra Lui e gli altri ( con il Giuda suicida che assume tutta una serie di significati simbolici fondamentali per il successivo credo), ma soprattutto per il modo di pensare degli Ebrei del tempo che non poteva andare nella direzione dello sfogo moderno di un ragazzo viziato che ha messo a disposizione la propria ricchezza e si è visto mangiare da dei parassiti ex amici quanto gli ha lasciato papà.
Quindi se anacronistico è il linguaggio, per i motivi che hai spiegato, anacronistico è anche il modo di vedere e pensare di Giuda. È un Giuda fuori contesto il tuo.
Il fatto è che Aspettando Godot è un'opera moderna ambientata nel presente. La tua un'opera moderna ambientata nel passato, cosa che crea dei punti di frattura, delle tensioni tra quanto sappiamo e quanto leggiamo.
Ad esempio, Giuda e gli altri dovevano sapere benissimo chi era Lazzaro, più volte citato nei Vangeli, amico intimo del Maestro insieme alle sorelle Marta e Maria e nella cui casa soleva soggiornare insieme ai discepoli ogni volta che passava da Betania.
Giuda sapeva benissimo chi era Lazzaro, perché lo conosceva bene. Ma nella tua riduzione sembra un estraneo, qualcuno che solo il Nazareno conosce.
È la tua versione, siamo d'accordo, ma che però dal punto di vista storico stride e quindi mette in moto un meccanismo di sospensione della credulità anche per il resto del messaggio che vuoi veicolare.
Anche Maria di Betania, la donna che pulisce i piedi al Cristo con un unguento e i suoi capelli, non dovrebbe essere identica alla Maddalena. Ma sulle tre Marie sai che da secoli si scrivono fiumi d'inchiostro e io non mi ci infilo in questa diatriba millenaria.
Dunque questa che si legge è la tua interpretazione di quei fatti in una chiave di dubbio e di attesa di un messaggio che però già è stato dato. E io in questa interpretazione mi ci sono perduto volentieri.
Perché il racconto è fondamentalmente uno stimolo a discutere di fede. Che io però non possiedo. Non sono mai stato dilaniato dalla fede: non credo, né mai l'ho fatto, negli dei, o nel Dio delle Sacre Scritture qualunque esse siano, o negli alieni, o nei santi degli ultimi giorni, o nel Buddha, nella Trimurti. Non credo neanche nel Mana, per me sono tutti figli dell'identico modo di vedere e pensare il Mondo. Cambiagli il titolo e gli attori principali, ma il film rimane sempre lo stesso.
I Vangeli sono il frutto di un'accurata selezione e revisione effettuata a tavolino durante i lunghi lavori dei molteplici concili a partire da quello di Nicea. E gli elementi simbolici presenti nei testi sono alla fine così numerosi fitti e indicativi da lasciarmi ogni volta sbalordito alla lettura. Non sono certo frutto del caso, ma costruiti ad arte. E ovunque vedo dei feticci (dal latino facticius, artiticiale). A partire dall'immagine della Vergine Maria, la Produttrice di Vita separata dall'elemento maschile dalla sua verginità. Mentre Dio, il Padre, si manifesta come il produttore del sociale, della società, da contrapporre alla madre produttrice della natalità, della vita. Pura materia la donna, idea l'uomo. Genitore e genitrice non più uniti ma divisi come Padre e Madre, separati e ognuno col suo compito da sovrintendere e il loro mondo. Mondo a cui gli uomini accedono attraverso i riti di iniziazione che li separano dalla genitrice Madre.
L'intero racconto biblico è un'enorme costruzione metaforica e allegorica carica di simboli e trasudante un'egemonia ideologica che va al di là dei gruppi di potere che nel corso dei millenni l'hanno sostenuta e alimentata e che se ne sono serviti in una sorta di circuito chiuso autoalimentato.
La Bibbia è una specie di Edictum Tralaticium (chi ha studiato diritto romano sa quale importanza avesse e sa anche che è alla base della Civil Law angloamericana) accumulatosi generazione dopo generazione e inscritto là, in una lapide del Foro in cui ogni anno un pretore aggiunge un pezzo. Un palinsesto del potere costituito.
"Allora Tommaso, chiamato Didimo, disse ai condiscepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui».
Sono queste sole parole a rivelare per qualche istante a quei dodici il vero scopo della strada intrapresa. In quel momento hanno appreso quale sarebbe stata la loro meta finale: morire con lui e per lui, se non a Gerusalemme altrove. E del resto quello stesso luogo arido e sterile, quel sole allo zenit che li perseguita da ore, il caldo e il sudore che scende giù dalla fronte e appiccica tra di loro tutti i capelli, e le loro stesse figure mal vestite, affamate, stanche, messe insieme lì, a formare un'armata di miserabili, non suggeriscono un futuro migliore. A me è sembrata anche una sorte di monito: chi segue Dio non avrà vita facile e morirà nel suo nome colmo di dubbi fino ad esalare l'ultimo respiro.
È questa una profezia? La profezia che tu a volte sembri cogliere con le parole taglienti di Giuda prima e Tommaso poi.
"Cominciarono a caricarsi sulle spalle tutti i viveri e l'acqua che avevano acquistato al villaggio. Qualcuno con un leggero colpo sulla schiena svegliò Giuda dai suoi tristi pensieri. E, confusi e logori, si misero in marcia appresso a quell'uomo. Come avevano sempre fatto."
Alla fine Tommaso (che poi è il Gemello) rivela a tutti la Verità. Che dovranno morire per l'Idea. E l'Idea, il Verbo, o il Logos, chi altri è se non una delle tante manifestazioni di Dio? È sempre un Lui comunque, è sempre un Padre una figura maschile, un uomo a cui è devoluta l'attività di produzione sociale e a cui si deve in un modo o nell'altro ogni forma di alienazione sociale.
Dovranno seguirlo, servirlo e alla fine morire per Lui. Marx sarebbe contento.
Insomma un ottimo racconto, Domenico, con l'unico appunto che come fece Beckett io non lo avrei reso in chiave storica, ma allegorico ambientato in ogni ovunque e in qualunque tempo, perché alla fine la storia evangelica è una storia senza tempo, in cui il passato schiaccia il presente e il presente annichila il futuro.
Spero di aver scritto almeno una cosa sensata, a rilggerti.
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Re: Dodici
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Re: Commento
Caro Namio! Intanto permettimi di esprimere la mia meraviglia e la mia gioia per il fatto che il mio racconto-incipit abbia suscitato tanto dibattito e riflessione. Al di là dei voti e delle classifiche questo è per me già motivo di orgoglio.Namio Intile ha scritto: ↑10/07/2022, 15:48 Dal punto di vista formale, è facile, nulla da segnalare. Il racconto è scritto in maniera egregia.
Sul linguaggio hai già scritto e indicando Beckett offri un indizio sull'intento più che sulle fonti.
Dodici, un numero ricorrente nella lettura biblica. Nel racconto parti dagli apostoli, dai dodici, per provare dunque a scrivere di fede e di Dio. Dell'attesa che questa figura crea nell'uomo. In particolare prendi le mosse da Giuda il traditore, o Giuda di Kerioth o l'Iscariota o Giuda figlio di Simone l'Iscariota. Perché sui nomi degli apostoli (e sul numero) manca una convergenza di massima nei Vangeli Canonici e negli Atti. E tu sai attraverso quali percorsi politici più che di fede i quattro Vangeli Canonici sono diventati tali a scapito degli altri.
Inizi il tuo racconto con uno spaccato della parte finale della predicazione del Nazareno, quando dalla Galilea si dirige di nuovo In Giudea, a Betania, dal suo Lazzaro già cadavere. Un cadavere che già puzza a sentire la sorella.
Il tuo Giuda appare irritato dalla decisione, per te egli non nutre solo dei dubbi... No, lui non crede alle ragioni del Maestro. "«Tornare in Giudea! - esclamò collerico Giuda - Ma è matto! Quelli non aspettano altro, se non che ci gettiamo nelle loro braccia! Che cos'è? Un diversivo? Puntiamo sulla sorpresa?»"
E come se non bastasse rincara la dose: "«Parli bene tu! - disse Giuda, sempre più furioso - Io, però, ci ho rimesso tutti i miei averi per lui; per dar da mangiare a voialtri. Ero ricco, ero viziato, ma mi sono messo a finanziare questa impresa, che non so cosa vuole, né dove deve arrivare. Adesso, però, non voglio mica andare a morire per lui». Fece silenzio per qualche istante, pentito della sua sfuriata. Poi aggiunse confuso: «Se questo Lazzaro si è addormentato, si sveglierà»."
L'accesso d'ira (anche con quell'anacronistico riferimento alla sorpresa) come il motivo e lo scetticismo dell'Iscariota e il suo rinfacciare l'aver dato senza aver ricevuto nulla in cambio mi appaiono moderni, dettati da istanze attuali e da tutto il vissuto storico che ha portato il cristianesimo ad oggi. Ma improbabili a quel tempo, non solo dalla lettura dei Vangeli da cui si evincono i rapporti tra Lui e gli altri ( con il Giuda suicida che assume tutta una serie di significati simbolici fondamentali per il successivo credo), ma soprattutto per il modo di pensare degli Ebrei del tempo che non poteva andare nella direzione dello sfogo moderno di un ragazzo viziato che ha messo a disposizione la propria ricchezza e si è visto mangiare da dei parassiti ex amici quanto gli ha lasciato papà.
Quindi se anacronistico è il linguaggio, per i motivi che hai spiegato, anacronistico è anche il modo di vedere e pensare di Giuda. È un Giuda fuori contesto il tuo.
Il fatto è che Aspettando Godot è un'opera moderna ambientata nel presente. La tua un'opera moderna ambientata nel passato, cosa che crea dei punti di frattura, delle tensioni tra quanto sappiamo e quanto leggiamo.
Ad esempio, Giuda e gli altri dovevano sapere benissimo chi era Lazzaro, più volte citato nei Vangeli, amico intimo del Maestro insieme alle sorelle Marta e Maria e nella cui casa soleva soggiornare insieme ai discepoli ogni volta che passava da Betania.
Giuda sapeva benissimo chi era Lazzaro, perché lo conosceva bene. Ma nella tua riduzione sembra un estraneo, qualcuno che solo il Nazareno conosce.
È la tua versione, siamo d'accordo, ma che però dal punto di vista storico stride e quindi mette in moto un meccanismo di sospensione della credulità anche per il resto del messaggio che vuoi veicolare.
Anche Maria di Betania, la donna che pulisce i piedi al Cristo con un unguento e i suoi capelli, non dovrebbe essere identica alla Maddalena. Ma sulle tre Marie sai che da secoli si scrivono fiumi d'inchiostro e io non mi ci infilo in questa diatriba millenaria.
Dunque questa che si legge è la tua interpretazione di quei fatti in una chiave di dubbio e di attesa di un messaggio che però già è stato dato. E io in questa interpretazione mi ci sono perduto volentieri.
Perché il racconto è fondamentalmente uno stimolo a discutere di fede. Che io però non possiedo. Non sono mai stato dilaniato dalla fede: non credo, né mai l'ho fatto, negli dei, o nel Dio delle Sacre Scritture qualunque esse siano, o negli alieni, o nei santi degli ultimi giorni, o nel Buddha, nella Trimurti. Non credo neanche nel Mana, per me sono tutti figli dell'identico modo di vedere e pensare il Mondo. Cambiagli il titolo e gli attori principali, ma il film rimane sempre lo stesso.
I Vangeli sono il frutto di un'accurata selezione e revisione effettuata a tavolino durante i lunghi lavori dei molteplici concili a partire da quello di Nicea. E gli elementi simbolici presenti nei testi sono alla fine così numerosi fitti e indicativi da lasciarmi ogni volta sbalordito alla lettura. Non sono certo frutto del caso, ma costruiti ad arte. E ovunque vedo dei feticci (dal latino facticius, artiticiale). A partire dall'immagine della Vergine Maria, la Produttrice di Vita separata dall'elemento maschile dalla sua verginità. Mentre Dio, il Padre, si manifesta come il produttore del sociale, della società, da contrapporre alla madre produttrice della natalità, della vita. Pura materia la donna, idea l'uomo. Genitore e genitrice non più uniti ma divisi come Padre e Madre, separati e ognuno col suo compito da sovrintendere e il loro mondo. Mondo a cui gli uomini accedono attraverso i riti di iniziazione che li separano dalla genitrice Madre.
L'intero racconto biblico è un'enorme costruzione metaforica e allegorica carica di simboli e trasudante un'egemonia ideologica che va al di là dei gruppi di potere che nel corso dei millenni l'hanno sostenuta e alimentata e che se ne sono serviti in una sorta di circuito chiuso autoalimentato.
La Bibbia è una specie di Edictum Tralaticium (chi ha studiato diritto romano sa quale importanza avesse e sa anche che è alla base della Civil Law angloamericana) accumulatosi generazione dopo generazione e inscritto là, in una lapide del Foro in cui ogni anno un pretore aggiunge un pezzo. Un palinsesto del potere costituito.
"Allora Tommaso, chiamato Didimo, disse ai condiscepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui».
Sono queste sole parole a rivelare per qualche istante a quei dodici il vero scopo della strada intrapresa. In quel momento hanno appreso quale sarebbe stata la loro meta finale: morire con lui e per lui, se non a Gerusalemme altrove. E del resto quello stesso luogo arido e sterile, quel sole allo zenit che li perseguita da ore, il caldo e il sudore che scende giù dalla fronte e appiccica tra di loro tutti i capelli, e le loro stesse figure mal vestite, affamate, stanche, messe insieme lì, a formare un'armata di miserabili, non suggeriscono un futuro migliore. A me è sembrata anche una sorte di monito: chi segue Dio non avrà vita facile e morirà nel suo nome colmo di dubbi fino ad esalare l'ultimo respiro.
È questa una profezia? La profezia che tu a volte sembri cogliere con le parole taglienti di Giuda prima e Tommaso poi.
"Cominciarono a caricarsi sulle spalle tutti i viveri e l'acqua che avevano acquistato al villaggio. Qualcuno con un leggero colpo sulla schiena svegliò Giuda dai suoi tristi pensieri. E, confusi e logori, si misero in marcia appresso a quell'uomo. Come avevano sempre fatto."
Alla fine Tommaso (che poi è il Gemello) rivela a tutti la Verità. Che dovranno morire per l'Idea. E l'Idea, il Verbo, o il Logos, chi altri è se non una delle tante manifestazioni di Dio? È sempre un Lui comunque, è sempre un Padre una figura maschile, un uomo a cui è devoluta l'attività di produzione sociale e a cui si deve in un modo o nell'altro ogni forma di alienazione sociale.
Dovranno seguirlo, servirlo e alla fine morire per Lui. Marx sarebbe contento.
Insomma un ottimo racconto, Domenico, con l'unico appunto che come fece Beckett io non lo avrei reso in chiave storica, ma allegorico ambientato in ogni ovunque e in qualunque tempo, perché alla fine la storia evangelica è una storia senza tempo, in cui il passato schiaccia il presente e il presente annichila il futuro.
Spero di aver scritto almeno una cosa sensata, a rilggerti.
Quando ho iniziato a scrivere questo romanzo su Lazzaro, ormai 25 anni fa, sapevo di affrontare qualcosa fuori della mia portata di ventenne con una sua crisi esistenziale. All'epoca il tema della fede era da me molto sentito per molti motivi. Non voglio fare della mia esperienza qualcosa di speciale o di eccezionale, se non nel senso di solitario e introverso: qualcosa che mi lasciava solo con me stesso in una meditazione estenuante. Del resto Cartesio aveva già posto il dubbio nell'ambito oscuro e difficile della meditazione solitaria (meditationes metaphysicae), nel quale l'uomo deve trovare le sue certezze-evidenze. Ed è il dubbio al centro del testo: un dubbio mortale nel vero senso della parola. I miei discepoli sono posti in ogni senso in una sorta di confusione e incertezza. Non sanno nulla e non capiscono molto. Io immagino - forse sbagliando - che questa doveva essere la loro vera condizione in quel momento. Al di là dei probabili inserti postumi - come la professione di fede di Pietro che dichiara esplicitamente essere Gesù il figlio del Dio vivente - quei dodici uomini erano letteralmente davanti ad un evento per loro incomprensibile. E' per questo che li pongo in un luogo e in un tempo quasi immaginari. Come nel Godot di Beckett sono in attesa in un posto privo di coordianate spazio-temporali e sono quasi privati di una storia e di una memoria (Giuda non sembra ricordare nulla e anche gli altri sembrano molto confusi riguardo agli avvenimenti a cui hanno assistito). In questo deserto sotto il sole ha luogo una sorta di redde rationem: una presa di coscienza che il loro destino è ineluttabilmente legato a quello di Lui, anche se non comprendono né il senso, né l'obiettivo di questo loro pellegrinaggio. Il linguaggio - come hai giustamente sottolineato - segue di conseguenza: non sto parlando degli apostoli storici, ma di quelli di ogni tempo, che sono posti davanti all'incertezza riguardo al proprio destino, cercano una salvezza e temono di perdersi e morire.
Una breve nota riguardo ai vangeli canonici e alle lettere che compongono il nuovo testamento. Si tratta certamente di testi scelti per ragioni politiche: il cristianesimo stava diventando religione unica ed esclusiva dell'Impero e di conseguenza doveva uscire dall'ambito settario per diventare Chiesa universale. Da qui la scelta dei vangeli sinottici e delle lettere di Paolo, l'apostolo delle genti: colui che ha fatto del proselitismo presso i pagani la sua ragione di vita. Unica eccezione il vangelo di Giovanni, a cui mi rifaccio essendo quello che riporta la vicenda di Lazzaro, che pone al suo centro la questione dell'identità di Gesù, vero Dio e vero Uomo, e quindi fa piazza pulita di tutte le dottrine monofisite, arianesimo incluso. Una presa di posizione che non può non generare un lacerante dubbio, anche sulla nostra natura umana di figli di Dio. Non rimpiango questa scelta. Anzi, nonostante la natura posticcia di molti racconti evangelici, non penso che gli apocrifi - e in particolare gli gnostici - raccontino verità migliori. Sinceramente non penso che la storia - nel bene e nel male - sarebbe andata diversamente se si fossero imposti altri testi.
Grazie mille Namio per il tuo splendido commento. Un abbraccio!
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commento : Dodici
Proposta: “cominciasse a parlare alla folla che si trovava davanti al Tempio.” --- cominciasse a parlare alla folla davanti al Tempio.
«Guarda! - si rivolse al compagno, indicando il sole - A picco sulla testa. Ed è così da ore. --- per me si scrive così: «Guarda!» si rivolse al compagno, indicando il sole a picco sulla testa. «Ed è così da ore.
?». --- secondo me in questi casi (ce ne sono otto uguali) il punto dopo i caporali non ci vuole (almeno queste erano le regole da seguire che mi avevano dato)
«Che ti ha detto?», chiese Giovanni. – anche in questo caso, la virgola non ci vuole.
«Parli bene tu! - disse Giuda, sempre più furioso - Io, però, ci ho … --- «Parli bene tu!» disse Giuda, sempre più furioso, «Io, però, ci ho …
giunti: Morire con lui. … --- io scriverei --- giunti: morire con lui.
“quel sole allo zenit che li perseguitava da ore”--- il sole allo zenit in Giudea non mi torna nel mese di Nissan che, per quanto ne so, corrisponde agli attuali marzo/aprile, ma potrei anche sbagliare. Ci sarebbe anche la nota 2 da interpretare: linguaggio anacronistico si riferisce anche alla posizione del sole?
Terminate le mie minutaglie (di cui mi scuso), il mio voto è tra il 4 e 5, arrotondo a 5.
- Domenico Gigante
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Re: commento : Dodici
Caro Alberto! Faccio tesoro delle tue indicazioni e cercherò al più presto di sistemare il testo. Riguardo al sole allo zenit, sicuramente non è utilizzato in senso letterale. La nota 2 in questo caso non si applica, in quanto non sono frasi messe in bocca ai personaggi, ma una digressione del narratore extradiegetico e, in quanto tale, ha diritto di onniscienza e onnipotenza - quindi di mettere anche il solo dove gli pareAlberto Marcolli ha scritto: ↑31/07/2022, 20:35 Proposta: “si tolse la tunica e i sandali “ --- si tolse tunica e sandali
Proposta: “cominciasse a parlare alla folla che si trovava davanti al Tempio.” --- cominciasse a parlare alla folla davanti al Tempio.
«Guarda! - si rivolse al compagno, indicando il sole - A picco sulla testa. Ed è così da ore. --- per me si scrive così: «Guarda!» si rivolse al compagno, indicando il sole a picco sulla testa. «Ed è così da ore.
?». --- secondo me in questi casi (ce ne sono otto uguali) il punto dopo i caporali non ci vuole (almeno queste erano le regole da seguire che mi avevano dato)
«Che ti ha detto?», chiese Giovanni. – anche in questo caso, la virgola non ci vuole.
«Parli bene tu! - disse Giuda, sempre più furioso - Io, però, ci ho … --- «Parli bene tu!» disse Giuda, sempre più furioso, «Io, però, ci ho …
giunti: Morire con lui. … --- io scriverei --- giunti: morire con lui.
“quel sole allo zenit che li perseguitava da ore”--- il sole allo zenit in Giudea non mi torna nel mese di Nissan che, per quanto ne so, corrisponde agli attuali marzo/aprile, ma potrei anche sbagliare. Ci sarebbe anche la nota 2 da interpretare: linguaggio anacronistico si riferisce anche alla posizione del sole?
Terminate le mie minutaglie (di cui mi scuso), il mio voto è tra il 4 e 5, arrotondo a 5.
A parte le battute, si possono certamente usare altre parole. Valuterò.
Grazie ancora e un abbraccio!
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Re: Dodici
Domenico Gigante ha scritto: ↑21/06/2022, 21:04 "Ma ditemi: chi non si è mai perso? Noi tutti siamo diretti verso un punto ben preciso, o almeno tentiamo di farlo, dall'uomo più saggio all'ultimo dei criminali, solo che scegliamo strade diverse … Io ho visto la Verità, non me la sono inventata … L'ho vista in una tale completa integrità, che non posso credere che essa non esista … Oh, io camminerò, camminerò, anche per mille anni ancora" (Il sogno di un uomo ridicolo, Fëdor Michajlovič Dostoevskij)
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«Che caldo! Non si sopporta! Neanche sotto a questi ulivi riesci a trovare un po' di fresco». Giuda di Kerioth si tolse tunica e sandali e si sedette per terra, appoggiando la testa a un tronco.
«Guarda!» si rivolse al compagno, indicando il sole. «A picco sulla testa. Ed è così da ore. Sembra che sia rimasto sempre in quella posizione. Lì fisso a torturarci. Se non sono riusciti i Giudei a linciarmi, sarà lui a uccidermi. Morirò in un bagno di sudore».
L'altro si affrettò a rimproverarlo: «Rivestiti immediatamente! Lui potrebbe tornare da un momento all'altro. Non ti puoi far trovare in questo stato. Cosa penserà di noi? Che siamo stati qui a perder tempo? A sbadigliare e a contarci i pidocchi?».
Il primo scoppiò in una risata sarcastica. «Perché? Che abbiamo fatto invece?». Rimase un attimo in silenzio, cercando maldestramente di rimettersi la tunica. «E poi non verrà, figurati! - proseguì con un tono serio - Se ne è andato dicendoci di aspettarlo, ché andava a pregare sopra la collina, là oltre gli ulivi. Sono due giorni che si è allontanato, e lì rimane. Fermo. Non si è mosso per tutto il tempo. Sta in ginocchio con gli occhi verso il cielo e muove le labbra, ma non esce una sola parola dalla sua bocca. E noi qui che lo aspettiamo da due giorni» concluse con un gesto spazientito.
Interruppe il dialogo per qualche minuto. Si rialzò da terra e si accomodò la tunica. La guardava soddisfatto, perché era ancora tutta pulita, di un colore verde intenso con ricami in oro. L'aveva acquistata di recente al mercato di Gerusalemme, prima che il Maestro cominciasse a parlare alla folla davanti al Tempio. Prima che lo chiamasse e gli ordinasse di seguirlo.
Interrogò il suo compagno: «E gli altri dove sono andati?».
«Ma come! Non ricordi?! A quel villaggio qui vicino a chiedere da mangiare e dell'acqua che si possa bere, perché questo pozzo è asciutto da più di un anno».
«Ah già, l'acqua!» rispose l'altro, prendendo in mano la sabbia che aveva raccolto col secchio dal fondo del pozzo. «Ma, poi, come è cominciata tutta questa storia?».
«Quale storia? Quella del pozzo?».
«No, no! - si affrettò a chiarire - Perché lui è andato a pregare lassù?».
«Non ricordi neanche questo?!» si sentì rispondere da una voce stizzita. «È venuta una donna - quella che lo aveva cosparso di olio profumato e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli - e ha chiesto di parlare con lui. Aveva molta fretta e sembrava in ansia per qualcosa».
«Ma cosa gli ha detto?».
«Questo non lo so. Forse gli altri hanno sentito e sapranno dircelo. Eccoli! Guarda, stanno arrivando».
In lontananza procedeva una carovana di una decina di persone, tutte più o meno giovani, vestite poveramente. Due procedevano davanti agli altri, più velocemente, perché libere dai pesi, e chiacchieravano allegramente tra loro. Altre tre, anch'esse senza ceste sulle spalle, si attardavano poco più indietro silenziose. Gli ultimi cinque, invece, portavano tutte le provviste e sembravano camminare con fatica sotto quel sole.
I primi a giungere - i due in testa al gruppo - erano Simone, detto Cefa, e Giovanni, figlio di Zebedeo. Salutarono i due rimasti ad attenderli, abbracciandoli e baciandoli sulle gote; quindi si accomodarono a riposare all'ombra degli ulivi. Vicino a loro si sedette Giuda, che, ancora accaldato, bofonchiava qualcosa contro il sole e la siccità. Poi domandò: «Ricordate quella donna, quella che asciugò i piedi al Maestro con i suoi capelli e che è venuta qui due giorni fa?».
Simone assentì col capo.
«Lei gli disse qualcosa e lui, con il volto afflitto, ci ha detto di aspettarlo ed è andato a pregare lassù. Io non so cosa gli abbia raccontato, ma doveva essere grave, perché non è ancora tornato».
«Vuoi sapere cosa gli ha detto?» domandò Giovanni.
«Ebbene sì! Ditecelo, se lo sapete. È un'attesa lunga e snervante e vogliamo sapere almeno se le ragioni lo meritano».
Giovanni si grattò la nuca. «Quella donna si chiama Maria. Viene da Betania. Gli ha detto che suo fratello Lazzaro è malato. Sì, ha detto proprio così: "Signore, ecco, il tuo amico è malato". Lui le ha risposto: "Questa malattia non è per la morte, ma è per la gloria di Dio. Torna da lui ad assisterlo". E lei è andata via di corsa, ma col volto più sereno».
Giuda, perplesso, si asciugò la fronte sudata e sporca di polvere con l'orlo della veste. Intanto anche gli altri erano arrivati. Quelli che portavano il carico erano talmente sfiniti, che si gettarono a terra. Nessuno si domandava perché avessero portato tutto quel peso da soli: tutti conoscevano i fatti e non c'era bisogno di spiegazioni. Ogni cosa, ogni azione, ogni parola in quel gruppo di dodici persone procedeva in un senso determinato, anche contro la volontà dei suoi stessi componenti. Non c'erano domande, perché le risposte erano già in bella vista di fronte a loro. Sbocciavano i pensieri in testa, i discorsi sulle labbra, e tutto aveva un moto proprio e indipendente.
Sapevano le stesse cose, ma queste uscivano fuori dal nulla. Qualcuno riusciva a esprimerle e gli altri assentivano come davanti a un fatto evidente, o plausibile. Solo cinque persone avevano portato tutti i viveri. Potevano dividerseli tra di loro, essendo dieci, e faticare così la metà e, pure, in modo del tutto naturale quei cinque avevano stabilito di espiare le loro colpe del passato.
Tra di loro c'era uno che si chiamava Levi Matteo ed era stato un pubblicano, un esattore, un servo dei Romani; e i Galilei odiavano i padroni e ancora di più i loro schiavi. Per questo lui doveva portare quel carico: per liberarsi da quella situazione di schiavitù. Le costrizioni fisiche avrebbero suscitato in lui il desiderio, l'aspirazione alla libertà vera. Superare la fatica di una lunga giornata era il prezzo da pagare per sentirsi di nuovo vivi e di nuovo uomini.
Uno di quelli che si erano gettati nella polvere, stanchi e disidratati, guardò verso la collina, al di là degli ulivi, e vide una figura bianca che si muoveva incontro a loro. Appariva sfocata per il gran caldo, come potrebbe essere un miraggio. Il poveretto impiegò molto tempo prima di collegare quell'immagine all'orizzonte con la persona che lo aveva condotto fino a quell'arido deserto con gli altri undici. Alzatosi in ginocchio a fatica, senza parlare, sollevò il braccio nella direzione da cui procedeva quell'uomo.
Una grande ammirazione suscitò quella vista. Alcuni aiutarono quelli che stavano a terra a rialzarsi e a riprendere contatto con la realtà dandogli dell'acqua dalle loro bisacce. La persona che si avvicinava era piuttosto alta, giovane, di carnagione scura e capelli neri riccioluti. Indossava un chitone grigio, vecchiotto e malandato. Il suo nome era Gesù, figlio di Giuseppe e Maria di Nazareth, ma tutti si rivolgevano a lui chiamandolo Rabbi, Maestro.
Alcuni di quei dodici, come Simone, lo seguivano da oltre due anni, ed erano scesi con lui giù da Cafarnao, dal lago di Tiberiade, fino a Gerusalemme. Non capivano bene che cosa predicasse quell'uomo, ma ne vedevano i miracoli e le opere, e osservavano il suo comportamento decisamente senza riguardi nei confronti dei Romani e dei farisei. E, da buoni Galilei, non potevano che approvarlo. Erano convinti di seguire un messia che li avrebbe liberati da un giogo di tasse e ipocrisia.
Arrivato a pochi passi da Simone, che gli veniva incontro, disse: «Andiamo di nuovo in Giudea». Non salutò, non pronunciò altra parola, ma continuò avanti verso gli altri discepoli. Simone, stupito, gli venne dietro. «Ma, Rabbi, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu vuoi tornare da loro?».
Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se, invece, uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce. Voi dovete fidarvi di me come fossi la vostra luce. Mi avete seguito fino a qui senza mai chiedere il perché, ma sempre sospettando che io avrei realizzato le vostre segrete aspirazioni. Lo avete fatto lasciando tutto ciò che avevate di più caro: la famiglia, la casa, la possibilità di un futuro discreto, silenzioso e pacifico. E adesso vi spaventate di fronte alla morte corporale, come se essa potesse qualcosa contro le vostre anime legate ormai indissolubilmente alla mia, destinate a non morire in eterno».
Rimase un attimo in silenzio, perché capiva l'imbarazzata sorpresa del discepolo, poi soggiunse: «Il nostro amico Lazzaro si è addormentato».
Ormai erano giunti presso gli altri, che li aspettavano e li avevano visti discorrere per quel breve tratto. Erano curiosi di sapere.
«Che ti ha detto?» chiese Giovanni.
«Ha detto che dobbiamo tornare in Giudea» rispose rivolgendosi a tutti gli undici.
«Tornare in Giudea! - esclamò collerico Giuda - Ma è matto! Quelli non aspettano altro, se non che ci gettiamo nelle loro braccia! Che cos'è? Un diversivo? Puntiamo sulla sorpresa?»
«No, dice che il suo amico Lazzaro si è addormentato» replicò dubbioso Simone.
Giuda si sentì ribollire il sangue. «Ma chi è questo Lazzaro? E poi cosa interessa a noi che si sia addormentato? Un uomo adesso non si può più stendere e chiudere gli occhi per qualche minuto? Capisco il suo "Vegliate, vegliate!", ma qui si sta esagerando».
«Lazzaro è il fratello di quella donna, che è venuta qui due giorni fa. E comunque fai silenzio perché potrebbe sentirti» ribatté violentemente Giovanni, invitandolo anche con i gesti a star zitto.
«Parli bene tu! - disse Giuda, sempre più furioso - Io, però, ci ho rimesso tutti i miei averi per lui; per dar da mangiare a voialtri. Ero ricco, ero viziato, ma mi sono messo a finanziare questa impresa, che non so cosa vuole, né dove deve arrivare. Adesso, però, non voglio mica andare a morire per lui». Fece silenzio per qualche istante, pentito della sua sfuriata. Poi aggiunse confuso: «Se questo Lazzaro si è addormentato, si sveglierà».
Il maestro, che era rimasto per tutto il tempo a pochi metri ad ascoltarli, si strinse rassegnato nelle spalle e disse: «Lazzaro è morto, e io sono contento di non essere stato là, perché voi crediate. Coraggio, andiamo da lui!». E si mise in cammino.
Si guardarono tutti abbastanza imbarazzati. Giuda teneva il capo abbassato dalla vergogna. Si rendeva conto di aver perso un'occasione per farsi notare dal Maestro per la sua solerzia e generosità. E ancor peggio si accorgeva di perdere sempre più fiducia in quell'uomo. Egli, in fondo, credeva solo di aver trovato un capo che li avrebbe guidati e riscattati da un'esistenza misera, asservita a Roma.
Allora Tommaso, chiamato Didimo, disse ai condiscepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui».
Furono queste sole parole che rivelarono per qualche istante a quei dodici il vero scopo di quella strada che avevano intrapreso. Adesso forse sapevano dove sarebbero giunti: Morire con lui. E del resto quello stesso luogo arido e sterile, quel sole allo zenit che li perseguitava da ore, il caldo e il sudore che scendeva giù dalla fronte e appiccicava tra di loro tutti i capelli, e le loro stesse figure mal vestite, affamate, stanche, messe insieme lì, a formare un'armata di miserabili, non suggerivano un futuro migliore; non certo contro gli uomini che si apprestavano ad affrontare.
Cominciarono a caricarsi sulle spalle tutti i viveri e l'acqua che avevano acquistato al villaggio. Qualcuno con un leggero colpo sulla schiena svegliò Giuda dai suoi tristi pensieri. E, confusi e logori, si misero in marcia appresso a quell'uomo. Come avevano sempre fatto.
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Un paio di note:
1) Il testo è il primo capitolo di un romanzo sulla vita di Lazzaro dopo la resurrezione, che si è fermato a metà del terzo capitolo, poco dopo la resurrezione. Segno che non è destino che Lazzaro possa avere una storia tutta sua. Dato, però, che il capitolo è a suo modo autoconclusivo, ho pensato che potesse essere inserito come racconto.
2) Il linguaggio usato dai personaggi è volutamente anacronistico e non è un errore. Anzi, per certi versi tutta questa sequenza è ispirata, in modo neanche troppo sottile, al Waiting for Godot di Beckett. D'altra parte sempre di Dio si parla.
Vivere con 500 euro al mese nonostante Equitalia
la normale vita quotidiana così come dovrebbe essere
Vi voglio dimostrare come con un po' di umiltà, di fantasia e di buon senso si possa vivere in questa caotica società, senza possedere grandi stipendi e perfino con Equitalia alle calcagna. Credetemi: è possibile, ed è bellissimo!
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Metropolis
antologia di opere ispirate da un ambiente metropolitano
Cosa succede in città? - Sì, è il titolo di una nota canzone, ma è anche la piazza principale in cui gli autori, mossi dal flash-mob del nostro concorso letterario, si sono dati appuntamento per raccontarci le loro fantasie metropolitane.
A cura di Massimo Baglione.
Contiene opere di: Gianluigi Nardo, Andrea Pozzali, Antonella Jacoli, Roberto Virdo', Francesco Pino, Giulia Rosati, Francesca Paolucci, Enrico Teodorani, Ibbor OB, Umberto Pasqui, Annamaria Ricco, Eliana Farotto, Maria Spanu, Eliseo Palumbo, Andrea Teodorani, Stefania Paganelli, Alessandro Mazzi, Lidia Napoli, F. T. Leo, Selene Barblan, Stefano Bovi, Alessia Piemonte, Ida Dainese, Giovanni Di Monte.
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La Paura fa 90
90 racconti da 666 parole
Questo libro è una raccolta dei migliori testi che hanno partecipato alla selezione per l'antologia La Paura fa 90. Ci sono 90 racconti da non più di 666 parole. A chiudere l'antologia c'è un bellissimo racconto del maestro dell'horror Danilo Arona. Leggete questa antologia con cautela e a piccole dosi, perché altrimenti correte il rischio di avere terribili incubi!
A cura di Alessandro Napolitano e Massimo Baglione.
Contiene opere di: Maria Arca, Pia Barletta, Ariase Barretta, Cristiana Bartolini, Eva Bassa, Maria Cristina Biasoli, Patrizia Birtolo, Andrea Borla, Michele Campagna, Massimiliano Campo, Claudio Candia, Carmine Cantile, Riccardo Carli Ballola, Matteo Carriero, Polissena Cerolini, Tommaso Chimenti, Leonardo Colombi, Alessandro M. Colombo, Lorenzo Coltellacci, Lorenzo Crescentini, Igor De Amicis, Diego Di Dio, Angela Di Salvo, Stefano di Stasio, Bruno Elpis, Valeria Esposito, Dante Esti, Greta Fantini, Emilio Floretto Sergi, Caterina Franciosi, Mario Frigerio, Riccardo Fumagalli, Franco Fusè, Matteo Gambaro, Roberto Gatto, Gianluca Gendusa, Giorgia Rebecca Gironi, Vincenza Giubilei, Emiliano Gotelli, Fabio Granella, Mauro Gualtieri, Roberto Guarnieri, Giuseppe Guerrini, Joshi Spawnbrød, Margherita Lamatrice, Igor Lampis, Tania Maffei, Giuseppe Mallozzi, Stefano Mallus, Matteo Mancini, Claudia Mancosu, Azzurra Mangani, Andrea Marà, Manuela Mariani, Lorenzo Marone, Marco Marulli, Miriam Mastrovito, Elisa Matteini, Raffaella Munno, Alessandro Napolitano, Roberto Napolitano, Giuseppe Novellino, Sergio Oricci, Amigdala Pala, Alex Panigada, Federico Pergolini, Maria Lidia Petrulli, Daniele Picciuti, Sonia Piras, Gian Filippo Pizzo, Lorenzo Pompeo, Massimiliano Prandini, Marco Ricciardi, Tiziana Ritacco, Angelo Rosselli, Filippo Santaniello, Gianluca Santini, Emma Saponaro, Francesco Scardone, Giacomo Scotti, Ser Stefano, Antonella Spennacchio, Ilaria Spes, Antonietta Terzano, Angela Maria Tiberi, Anna Toro, Alberto Tristano, Giuseppe Troccoli, Cosimo Vitiello, Alain Voudì, Danilo Arona.
La Gara 16 - Cinque personaggi in cerca di storie
A cura di Manuela.
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Gara d'estate 2023 - La passe - e gli altri racconti
A cura di Massimo Baglione.
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La Gara 2 - 7 modi originali di togliere/togliersi la vita
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