L'orologio
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L'orologio
Il papà di Claudio aveva ricevuto il suo per il primo giorno di lavoro: un cronografo dalla notevole precisione, di molto superiore a tante “ciabatte” (così il nonno chiamava la maggior parte dei costosissimi orologi blasonati che riempivano le inserzioni sulle riviste patinate) in commercio, e che si adattava benissimo allo scrupoloso carattere del neo-ingegnere.
La zia di Claudio, invece, ne indossava sempre uno da taschino, ma lo portava al collo come fosse un amuleto portafortuna, attaccato a un cordino di cuoio. La cassa era in argento, decorata con sottili trame di filigrana, sì che non era necessario aprire l’orologio per leggervi l’ora. La donna, una pittrice di una certa fama, teneva quell’oggetto come preziosissimo, e sapeva realizzare arditissimi abbinamenti del proprio già estroso abbigliamento pur di mostrare in pubblico quella gioia, che fosse a una mostra o per sbrigare una commissione. Senza dubbio il miglior abbinamento l’aveva fatto proprio il nonno di Claudio, trovando quell’orologio per l’artistica figliola.
Anche la mamma di Claudio ne aveva ricevuto uno, per le sue nozze: aveva la cassa di un bianco opalescente, madreperla, con solo due lancette, e senza segni per le ore o i minuti. Si ricaricava col movimento, il che lo rendeva praticamente eterno, e sul retro della cassa recava inciso l’enigmatico disegno di una cicogna dalle ali spiegate.
Claudio aveva osservato spesso questi oggetti fin da piccolo, e ciò che se ne diceva in famiglia aveva instillato in lui il desiderio di possederne un giorno uno, come se ricevere quel tipo di regalo dal nonno fosse una specie di rito di passaggio, l’accesso al mondo degli adulti della famiglia. Era perciò stato quasi per un istinto naturale che, giunto alla maggiore età, il giovane aveva chiesto quel presente.
Per soddisfare il desiderio del ragazzo, l’anziano aveva dato appuntamento al nipote giù in città, al centro, presso un negozio che era noto per essere il più fornito dell’intera provincia, se non oltre. Era ben strano che il nonno, che normalmente bazzicava robivecchi e rigattieri, gli avesse indicato proprio quel negozio: lì erano esposti Swatch e Rolex, Tissot e Citizen, chincaglierie giapponesi “al quarzo” (il nonno gli aveva spiegato che il “quarzo” di quei primitivi dispositivi digitali non aveva nulla a che vedere col minerale, ma con un piccolo elemento elettronico capace di generare impulsi con grande precisione) dei marchi ormai demodé Seiko e Casio, giocattoli per bambini come i coloratissimi Zitto; c’era persino tutto un bancone di cineserie dove per un prezzo ridicolo era possibile trovare repliche estremamente verosimili di tutte le marche più alla moda, di fatto prodotti scartati dalle catene di montaggio di quelle marche alla moda per un minimo difetto, la maggior parte delle volte puramente estetico come un graffio, una cassa dal colore alterato, un’imperfetta doratura…
Il negozio era lungo una di quelle sciccose e pedonali vie del centro dove mai Claudio avrebbe immaginato di veder passeggiare il nonno, così serenamente modesto e totalmente immune al vano richiamo delle firme e della moda. Quanto poco sapeva delle interminabili partite a calcio durante le quali un ragazzino di settant’anni prima aveva mandato in frantumi più d’una di quelle vetrine, oggi antiproiettile. Quanto poco immaginava che, con un pallone al piede, quel non più ragazzino avrebbe tirato ancora contro quelle vetrate per lo stesso identico gusto di spaventare a morte e far infuriare qualcuno di quegli spocchiosi bottegai del centro! Da ragazzino sarebbe scappato a rotta di collo per i vicoletti più stretti e a questa età, con le vetrate infrangibili, che avrebbero potuto dirgli? Un sorriso malizioso gli si vergò sulle labbra.
Claudio gli venne incontro con la gioia che ogni nipote prova nel vedere il nonno e lo abbracciò con affetto. Un impulso di timidezza lo spinse a chiedere: «Nonno, ma sei sicuro? Questo posto è un po’…»
«Che c’è, non posso fare un bel regalo a mio nipote?» rispose il nonno. «Guarda che qui hanno di tutto, non solo quelle ciabatte con le quali ci assillano tutto il giorno, così puoi scegliere bene!»
Claudio fu rincuorato da quelle parole ed entrarono.
Era uno di quei negozi ostentatamente moderni, senza nemmeno una porta: si passava direttamente dal marciapiede all’interno accolti solo dal gelido benvenuto dell’aria condizionata dietro la nuca. Gli onnipresenti sensori di prossimità interrompevano con la loro inconsistente, trasparente sorveglianza, uno spazio altrimenti aperto alla contemplazione delle belle volte in pietra del ‘500 che sovrastavano le pareti celate alla vista da vetrine luminose e scintillanti. Un addetto si fece loro incontro rompendo la monotonia di un pomeriggio che non doveva averlo visto accudire molti altri clienti.
«Posso aiutarvi in qualcosa?» chiese affettato.
«Mio nipote», il nonno pose una bella palmata protettiva sulla spalla di Claudio, «vorrebbe scegliere un orologio. Ci faccia vedere qualcosa», disse con malcelata intolleranza. Credeva quel giovanotto di poter consigliare il nipote meglio di lui?
Passarono così tre quarti d’ora facendosi passare sotto gli occhi ogni tipo di dispositivo atto alla misurazione del tempo: dagli ultimi smartwatch Apple ai cronografi meccanici e automatici più ricercati, con movimenti di Luna e pianeti o con due semplici lancette “come quello della mamma”, disse Claudio, del più tradizionale e inossidabile acciaio o con la cassa in ceramica o pietra esotica.
Il mondo dell’orologeria si era reinventato molte volte inseguendo le mode del momento, in un mercato dove i nomi più prestigiosi battevano tutte le strade possibili per lasciare indietro una concorrenza che riusciva in capo a pochi mesi a recuperare divari d’immagine apparentemente incolmabili. Ogni tanto qualche nome scompariva per essere sostituito da altri più innovativi, per ricomparire con altro management e altra ispirazione, per affermarsi come fenice che rinasceva dalle proprie ceneri, per la scommessa di un miliardario romantico e nostalgico, per un più triste canto del cigno. Tutto un mondo, tutto un universo stava dietro al frenetico ticchettare di quelle lancette, il che rese davvero difficile la scelta di Claudio.
Il commesso fu estremamente cortese: sapeva dove lavorava e, per una volta, accudì alle richieste di clienti realmente interessati, che capivano cosa chiedevano. Il nonno di Claudio non parlò molto ma accompagnò ogni pezzo proposto con eloquenti espressioni degli occhi: questo era troppo demodé, quello troppo ricercato, quell’altro eccessivamente minuzioso, un quarto ancora inutilmente costoso (di fatto, il suo unico pregio), l’ennesimo una balordaggine ecologista che nulla aveva a che vedere con la funzione di orologio… Ma anche se l’anziano non avesse dato prova così evidente delle proprie opinioni, Claudio avrebbe espresso esattamente le stesse considerazioni, come se tra i due vi fosse un comune sentire, finché il commesso non propose loro un articolo del quale non sembrava in un primo momento troppo convinto.
«Cassa di acciaio rodiato, quadrante semplice, color blu petrolio, solo una linea cromata ogni cinque minuti, due lancette, datario, bracciale in acciaio anallergico, vetro zaffiro…» Non disse nemmeno il nome del fabbricante, offrì l’orologio a Claudio che guardò con rinnovata curiosità quell’oggetto del tutto anonimo, soprattutto dopo la sfilza di pezzi assai più quotati già scartati.
Claudio se lo passò tra le dita, allargò il bracciale e se lo pose al polso: calzava bene e non pesava eccessivamente. L’accostò all’orecchio mentre il commesso continuava a sciorinare dettagli insignificanti come la preziosa scatola in sughero e il fazzoletto in microfibra per la pulizia… Claudio cercava di ascoltare e quel tipo non sapeva che inventare per convincerlo; perché non stava un secondo zitto? Il nonno dovette capire dall’espressione del nipote il suo desiderio e si pose l’indice in verticale sulle labbra fino a toccare la punta del naso; il commesso tacque.
«Prendo questo!» esclamò Claudio, convinto.
Fu tutto un sollievo per il commesso, che assunse in un istante un’espressione molto più rilassata, mentre attaccò col copione per la preparazione delle confezioni. “Lo impacchetto?” “Di che colore la carta?” “La garanzia dura tre anni - come qualunque altro oggetto di largo consumo, pensò Claudio - ma se fa quest’assicurazione che costa il doppio dell’orologio, glielo ripariamo gratis per cinque!” Il nonno e Claudio uscirono dal negozio nel minimo tempo possibile.
L’anziano studiava in viso il nipote che sembrava abbastanza soddisfatto. «Sembra che ti piaccia! E credo che tu abbia scelto bene».
«Grazie, nonno. In effetti non hai parlato granché, e questo mi ha messo un po’ in difficoltà», rispose il ragazzo.
«E perché? Te la sei cavata benissimo! Però ora vorrei sapere come mai tra tanti hai scelto proprio questo e non un altro. Ce n’erano molti davvero vistosi!»
«Perché questo monta lo stesso ingranaggio di quello di papà», rispose Claudio. «Hanno cambiato la cassa, tolto le lancette, apparentemente questo è un orologio comune, ma dentro batte lo stesso meccanismo ultrapreciso che c’è in quello di papà. Mi sorprende che non lo sapessi».
«Sì, lo sapevo. Volevo vedere se tu lo sapevi, o se avevi scelto quest’orologio per un qualche altro motivo tuo: voi giovani siete così difficili da capire! Ma dimmi allora, a cosa ti serve tanta precisione? Sei un po’ diverso da tuo padre, non pensavo apprezzassi la sua ossessione per queste cose!»
«Infatti, alle volte la trovo eccessiva», rispose il ragazzo. «Ma un orologio così preciso durerà più a lungo, cosa che non si può dire di tanti altri che ci ha mostrato il commesso, e a me piacerebbe tenere a lungo questo tuo ricordo».
Il nonno restò sorpreso, compiaciuto, e sorrise come rasserenato. «Grazie, è un bel pensiero!»
Si avviarono verso casa insieme, e Claudio chiese: «Però, nonno, e tu? Sai che non ho visto mai il tuo orologio?»
L’anziano fece una strana smorfia di dolore, l’angolo dell’occhio si strinse brevemente e tornò ad aprirsi. Era lucido.
«Eh!» sospirò. Tirò leggermente in su la manica della giacca e della camicia, un bell’esemplare figlio di un tempo nel quale la meccanica di precisione era arte più che ingegneria si stringeva intorno al polso dell’anziano, ma il vetro era in pezzi, e solo una lancetta segnava il quadrante.
«Nonno, ma è bellissimo! Che gli è successo?» chiese Claudio.
«Questo è il regalo che mi fece tua nonna, e il motivo per il quale mi sono appassionato a questi oggetti. Al ricevere la notizia che tua nonna ci aveva lasciato l’orologio mi cadde dalle mani, e non ho mai voluto ripararlo».
«E come fai per sapere l’ora?» chiese ancora il ragazzo.
«Questo è più facile di quel che sembri, guarda!» rispose. Prese la lancetta, la piegò verso l’alto, mise il polso in orizzontale alla luce del sole, traguardò la posizione dell’ombra della lancetta sul quadrante e sentenziò: «Sei e mezza!» lasciando il nipote a bocca aperta.
«Vedi, tu hai scelto il tuo orologio perché durasse il più a lungo possibile, e hai fatto bene. Ti auguro che possa durare tutta la vita! Ma il mio orologio durerà per sempre, perciò non ho bisogno di ripararlo o cambiarlo».
«Sì, ma quando il cielo è coperto?» osservò Claudio.
Il nonno sorrise. «Il sole splende sempre, anche se non lo vedi, anche col cielo coperto. Ma conta davvero sapere in quale istante esatto ti trovi? O non è più importante sapere che il sole c’è? Il mio sole splende sempre, anche se non lo vedo».
«Volevi molto bene, alla nonna?» chiese Claudio, che solo allora si affacciava a quel tumulto che comporta il provare sentimenti per un’altra persona. Vedere negli occhi del proprio nonno la solidità di quei sentimenti, anche a distanza di anni dalla mancanza della nonna, l’aveva impressionato immensamente.
«No, Claudio. Io l’amo ancora, come lei ama me. Ricorda: il sole splende sempre, anche se non lo vedi».
«È bello, così!» considerò Claudio.
«Sì, è bello». Sfregandogli con le nocche i lunghi capelli castani, il nonno l’abbracciò sorridendo.
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Re: L'orologio
Ancor di più per il "leggero": raramente mi riesce, e invece è un attributo che ho come un miraggio.
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Re: L'orologio
Sarò sincero: temevo questo racconto per un dettaglio tutt'altro che trascurabile, non capisco un granché di orologi (a parte quello che posso immaginare "professionalmente", dal momento che la misura del tempo dovrebbe ricadere tra le mie competenze), quindi il giudizio di chi invece li ama lo temevo come qualcosa che avrebbe facilmente individuato delle pecche grosse come cocomeri.
Leggere addirittura la parola "piacere" mi vale doppio. Ciao!
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Procedi con un passo lento ma preciso e conduci il lettore dove vuoi tu, verso un finale inaspettatamente filosofico nonché poetico, le due anime spesso coincidono a dirla tutta.
L'intero racconto ha come elemento centrale il tempo. Il tempo oggettivo, quello della scienza, quello misurato dall'orologio, e quello soggettivo, il tempo da noi vissuto e percepito.
Non sono due tempi identici, pure se coesistono, si sviluppano nel medesimo ambito, ma sono qualitativamente differenti.
In due righe nel finale espliciti chiaramente l'idea che sta dietro a questo racconto, che avrei intitolato il tempo e non l'orologio.
"Il nonno sorrise. «Il sole splende sempre, anche se non lo vedi, anche col cielo coperto. Ma conta davvero sapere in quale istante esatto ti trovi? O non è più importante sapere che il sole c’è? Il mio sole splende sempre, anche se non lo vedo»" dove quel sole, che splende sempre anche se non si vede, è un chiaro riferimento al ricordo della moglie morta ma il cui ricordo (un ricordo che è anche condiviso non dimentichiamo e perciò non identico) continua a vivere insieme a lui.
Il tempo soggettivo ha dunque, che è anche tempo della memoria e una memoria che non è mai identica nel tempo e a maggior ragione per ciascun individuo, una valenza, un peso differente da quello oggettivo.
Ecco perché il nonno non porta l'orologio, pure essendo un cultore dell'oggetto, perché il suo tempo si è fermato con la morte della moglie, il suo tempo si è fermato; ma quello degli altri, di suo figlio, di suo nipote, ancora scorre, il presente è vivo, ed è un'anticipazione del futuro, un'apertura verso il mondo. Mentre il presente del nonno è soltanto un'attesa.
Ecco, questo racconto è, forse senza volerlo, una efficace (seppur molto parziale) metafora del tempo estatico heideggeriano. Complimenti. Molto ben costruito.
Dal punto di vista formale, ti segnalo delle imperfezioni nella punteggiatura in entrata e uscita dal discorso diretto.
" «Posso aiutarvi in qualcosa?», chiese affettato." Dopo l'interrogativa non va la virgola, e il chiese andrebbe maiuscolo. I caporali non annullano le regole grammaticali. Lo so, Marino, la maggior parte degli editori si comporta in modo opposto, anche editori importanti. Ma loro forse possono ignorare le regole, noi comuni mortali?
«Mio nipote», il nonno pose una bella palmata protettiva sulla spalla di Claudio, «vorrebbe scegliere un orologio. Ci faccia vedere qualcosa», disse con malcelata intolleranza. Credeva quel giovanotto di poter consigliare il nipote meglio di lui?
Qui la virgola va dopo nipote e qualcosa, prima dei caporali.
Ottimo lavoro, Marino, e a rileggerti.
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Re: L'orologio
Invidio la vastità della tua cultura (il tempo estatico heideggeriano? Miiiii!) perché ti permette di individuare e analizzare ciò che riesco a esprimere solo così, scrivendo racconti(ni).
Ovvero, scrivo a "botte di cuore"
È esplorazione, quindi non ho meta. Non posso promettere di migliorare, solo (umanamente) sperare.
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Re: L'orologio
Sì, puoi chiedere.
Però non so bene cosa rispondere...
I "pezzi di carta" dicono che sono un (astro)fisico e che mi sono specializzato in rivelatori a stato solido.
Presso un'azienda che sviluppa sistemi ottici (visione, scienza, industria, misura: misurare con la luce, esiste qualcosa di più impalpabile?), sono quello che programma gli interi sistemi (programmare, esiste qualcosa di più evanescente?).
In spiccioli, sono quello dietro al fatto che quando usi una reflex digitale ogni bottone o rotella ha una sua funzione (manuale o automatica) sensata, che tu usi con totale fiducia e disinvoltura: sono quello dietro alla disinvoltura Tu vedi i bottoni, le ghiere, usi l'autofocus, l'autoesposizione, ottieni le immagini, sai che ci sono anche parti meccaniche (diaframmi, motori, tendine), io coordino il tutto, per diversissimi sistemi, custom.
Quindi, per genuina deformazione professionale, raramente mi fermo all'aspetto esteriore delle cose.
Scrivo perché trovo bellezza nel caos (che sia dovuto o meno alla complessità), sono stimolato dalla ricerca di "trame" dove apparentemente non ce ne sono, seguo le storie, ne sono affascinato come Bilbo che si ritrovò i nani in casa e tornò con un tesoro, ma più ricco per ciò che aveva vissuto, per la sua trasformazione interiore, che per aver stretto l'Archepietra tra le mani. Pensa, talmente ricco da cederla, l'Archepietra!
Ma la capacità di descrivere gli orologi è stata pura e semplice affabulazione: ho trasferito al mondo degli orologi quello che ho osservato in una vita e l'ho shakerato coi ferri del mestiere.
Ah, ovviamente (si sarà notato): tutto ciò implica la mia totale incapacità di dire un semplice "sì" o "no".
"Go not to ... for counsel, for they will say both no and yes" (cit.)
P.S.: questo implica anche che quando vedo la semplicità, è la cosa che apprezzo di più: "il mio tesssoooro"
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Saluti, e a rileggerti.
(1) https://it.wikipedia.org/wiki/Limite_di_Hayflick
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Re: L'orologio
Anche oggi mi vale il detto spagnolo: "No te acostarás sin saber una cosa más" (Non ti coricherai senza aver appreso qualcos'altro).
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Re: L'orologio
Ma a scuola... Tu fai crescere le menti dei ragazzi!
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Re: L'orologio
Le aspettative... Non posso fartene una colpa perché soffro dello stesso vizio
Sì, anch'io aspetto sempre il guizzo, ma le storie sono sacre: vengono e si raccontano. Questa era così
A presto
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Commento: L'orologio
Ecco le mie solite minuzie che certo non insidiano il piacere della lettura.
Nel dialogo -- bel regalo a mio nipote?», rispose il nonno – la virgola prima di rispose non ci vuole, almeno secondo le regole della ex-mia casa editrice. “poiché all’interno del dialogo c’è un segno di punteggiatura non bisogna inserire una virgola all’esterno della caporale di chiusura.”
Scatolo o scatola?
Enciclopedia Treccani: “La forma corretta è il femminile scatola (dal latino càstulam). Il maschile scatolo è una forma regionale ed è dunque da evitare. Invece si usa regolarmente la forma scatolone con il suffisso accrescitivo.
Non sono molto sicuro che il sistema del nonno per leggere l’ora funzioni per davvero, ma certo tu lo sai meglio di me.
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Re: L'orologio
Il sistema del nonno... se sai dov'è il mezzogiorno, il Sud, funziona discretamente bene. In alcuni mesi dà risultati migliori che in altri, ma se mediamente 10 minuti non sono un problema, può essere sorprendente.
A me preoccupa piuttosto la lancetta: tutti i metalli, a furia di piegarli... :/
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Re: L'orologio
sto rivedendo il racconto alla luce dei tuoi consigli supportati da un puntuale richiamo alla grammatica. Che per me è una serie di regole che raccoglie e codifica una lingua alla luce di quanto in essa si produce, uno strumento descrittivo, non impositivo.
Dopo l'interrogativa non va la virgola, e il "chiese" andrebbe maiuscolo. - Raccolgo volentieri la cancellazione della virgola: in effetti la chiusura dei caporali è sufficiente a interrompere momentaneamente la lettura, ma il "Chiese" indicherebbe il principio di un nuovo periodo, mentre quella frase è sustanziale alla descrizione del discorso diretto.
La virgola va dopo "nipote" e "qualcosa", prima dei caporali. - A che periodi appartengono le virgole? Nei caporali indicherebbero una pausa (breve) del discorso. Nel primo caso (dopo "nipote"), il nonno non fa alcuna pausa mentre parla. Nel secondo caso (dopo "qualcosa") il discorso diretto termina, quindi ci vorrebbe addirittura un punto, che non ho mai visto usare.
Insomma, sono in imbarazzo sull'uso delle virgole in qualunque modo, incluso quello da me impiegato, in queste circostanze. Vorrei trovare una soluzione semplice e razionale.
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Re: L'orologio
sto rivedendo anche le tue indicazioni, che sono di provenienza editoriale.
Se hai letto il mio ultimo commento a Namio, capirai che ammetto che, da un punto di vista funzionale, mi ritrovo con l'idea che il gruppo "?»," sia un'idiozia bella e buona.
E "scatola"... come ho potuto sbagliare? Io, che sono il primo rompi... scatole, per l'appunto!
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Quello che più mi piace è la capacità di mettere insieme tutti quei contenuti in un modo sciolto e leggibile.
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Re: L'orologio
una lezione che mia moglie, architetto, ha passato a me è "intravedere è meglio che vedere": il pressappoco, per l'appunto.
Ma questa volta non è una sensazione che ho indotto consapevolmente, è il racconto che si è dettato così.
È vero, manca un autentico climax emotivo, considerando che Claudio sente per la prima volta in vita sua ciò che la mancanza della nonna significa per il nonno, e non per sé; considerando che la perdita ha anni e ha subito quell'attenuazione tipica della distanza temporale. Anche qui, non ho voluto alterare il racconto, che in realtà credo parli della costanza e della fedeltà di un sentimento genuino.
No, non fa fuochi d'artificio, non ne ha bisogno, ma sarà lì dovesse passare un'eternità.
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Un racconto che scorre bene,dolce senza essere melenso, sorprendente nella sua linearità.
I personaggi e le Descrizioni sono curati senza esasperazioni, le emozioni che lascia questa storia sono piacevolmente tiepide.
Voto 5 complimenti.
- Marino Maiorino
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Re: L'orologio
grazie, davvero!
Quando tornai dall'Olanda all'Italia, mi sono goduto un paio di km sotto un sole a 36 gradi. Per me, era "tiepido"...
"Tiepido" ha per me un valore a parte, e credo che anche per te, per aver scelto l'aggettivo.
Grazie
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Re: L'orologio
Per me tiepido significa che il tuo racconto è smuove emozioni positive,ma senza essere eccessivo in forzature o "girigogoli" messi lì per creare una scrittura bella,ma senza contenuti genuini.Marino Maiorino ha scritto: ↑15/08/2022, 23:18 Giovanni,
grazie, davvero!
Quando tornai dall'Olanda all'Italia, mi sono goduto un paio di km sotto un sole a 36 gradi. Per me, era "tiepido"...
"Tiepido" ha per me un valore a parte, e credo che anche per te, per aver scelto l'aggettivo.
Grazie
Forse ho usato un aggettivo improprio, ma secondo me rende bene l'idea.
È bello leggere qualcosa che non abbia forzature, ma che sia semplice e genuino.
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Re: L'orologio
E con questa "ode alla mappina" (strofinaccio in napoletano) credo di aver toccato il massimo che il sole mi permette...
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Re: L'orologio
Marino Maiorino ha scritto: ↑16/08/2022, 14:44 Non è improprio. Ho 52 anni, ma per me "tiepido" è legato al biberon bollente avvolto in uno strofinaccio da cucina, e non parlo dei miei pupi (controllo millimetrico della temperatura, microonde, latte nel gomito...), ma di quando io avevo 3/4 anni. È il tepore temperato dallo strofinaccio, è la sicura solidità del vetro ammorbidita dallo strofinaccio... È la moderazione di qualcosa TROPPO buono fino al suo punto ottimale, è quando puoi goderti qualcosa che sarebbe troppo se fosse assoluto: massimamente desiderabile, ma praticamente intoccabile.
E con questa "ode alla mappina" (strofinaccio in napoletano) credo di aver toccato il massimo che il sole mi permette...
Non ho capito il tuo ultimo messaggio, mi farebbe piacere che me lo spiegassi meglio.
A questo punto spero solo di non averti offeso.
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Re: L'orologio
Insomma, "tiepido" è un superlativo che lo è senza bisogno di esserlo, per chi lo conosce.
Tipo: tra una mega villa con piscina a Dubai con guardie del corpo e vita da jet-set, e una capanna di foglie di palma su una spiaggia polinesiana... tutta la vita in Polinesia!
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Re: L'orologio
Vada Polinesia anche per meMarino Maiorino ha scritto: ↑16/08/2022, 17:28 Ma scherzi? Al contrario! Voglio dire che è un aggettivo che mi risveglia ricordi della primissima infanzia, carissimi ricordi ai quali ho associato sensazioni difficilmente rivissute in seguito, di una dolcezza quasi impossibile da rivivere da adulto.
Insomma, "tiepido" è un superlativo che lo è senza bisogno di esserlo, per chi lo conosce.
Tipo: tra una mega villa con piscina a Dubai con guardie del corpo e vita da jet-set, e una capanna di foglie di palma su una spiaggia polinesiana... tutta la vita in Polinesia!
Grazie ancora.
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mi sono ritrovato al cento per cento nei personaggi del tuo racconto: quando ho iniziato a lavorare, poco più di vent'anni fa, mi sono regalato un Sector che tuttora, quando vado in ufficio, indosso alternandolo a un Eberhard che mi ha regalato mio cugino quando gli ho fatto da testimone di nozze. Quest’ultimo, in particolare, è un orologio automatico, il cui meccanismo non funziona più come un tempo, e quindi spesso segna l’ora sbagliata. Ma chi se ne importa, non mi serve certo per guardare che ora è, per questo c’è il cellulare… È incredibile il fascino che promana da questi aggeggi di metallo…
Venendo al racconto, le descrizioni sono molto realistiche, anch’io, come altri, mi ero fatto l’idea che tu fossi un esperto in questo campo. La storia poi è molto delicata e poetica, e non scade mai nel retorico o nel melenso. Dimenticavo, inizialmente ho storto il naso quando ho letto il termine segnatempo che, se ne prendiamo il senso stretto, si utilizza per indicare i meccanismi per segnare gli orari di entrata e di uscita dei dipendenti di un’azienda. Ma poi ci ho riflettuto un po’, e, in fin dei conti, chi potrebbe negare che l’orologio sia un meccanismo segnatempo? Quindi condivido la tua scelta di utilizzare questo termine come sinonimo di orologio. Apro una parentesi: qualcuno sostiene che siamo schiavi del tempo, e lo strumento sotto accusa è l’orologio. Ma gli orologi fanno semplicemente il loro dovere, si limitano a segnalare l’ora del momento. Sono invece i segnatempo in senso stretto che ci imprigionano nella convenzione che, chi più è presente, più lavora… E la produttività dove la mettiamo? Casualmente l’Italia è una delle nazioni in cui quest’ultima è cresciuta meno negli ultimi decenni (piccolo sfogo).
Ti segnalo, nel terzo periodo, la ripetizione della parola abbinamento e l’utilizzo di due superlativi assoluti nel giro di un paio di righe. Si tratta di due obiezioni legate al mio puro gusto personale, niente di più. Al di là di queste inezie, complimenti, bel racconto davvero, voto massimo.
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Re: L'orologio
e grazie per il commento, ancora più gradito per il vissuto che hai condiviso.
Vero: l'ora ormai la leggiamo dal cell. Ci facciamo tutto col cell, ma un bell'orologio è ormai un gioiello, un bracciale che si sceglie perché dica di noi. Un po' era da aspettarsi, visto che continua a vendersi in gioielleria, in un certo senso ci hanno abituato a quest'idea.
Ti ringrazio anche per le note sulle ripetizioni, che terrò in considerazione.
Sul tuo piccolo sfogo... eh... Meglio che mi faccio anch'io perché posso fare confronti diretti, e divento piromane.
A rileggerci presto!
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Mi è piaciuto lo stile rilassato e descrittivo, con qualche divagazione che arricchisce la narrazione, forse l'immagine dell'orologio-meridiana è un po' eccessiva, ma nel clima poetico del finale ci può stare.
Se non sbaglio è il tuo primo racconto in queste gare che esce dall'ambito epico/mitologico, il risultato è comunque encomiabile, scrivi bene, c'è poco da aggiungere.
Ti segnalo solo una svista: "Però ora vorrei sapere come mai tra tanti hai scelto proprio questo e non un'altro."
Voto molto alto.
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Re: L'orologio
Fa bene, davvero, vedersi letti.
Sì, è il primo racconto che esce dall'ambito più genericamente fantastico, sebbene per me non esista un confine netto tra realtà e fantasia: molte persone assai realistiche (è quello che dicono) creano di sé (e si presentano agli altri con) un'immagine totalmente inventata, mentre ho visto succedere (e continuano ad accadermi) cose che sembrano prese da racconti fantastici.
Se ci pensi bene, un amore che dura al di là della vita... Ma se persino il prete in chiesa recita "finché morte non vi separi"!
Grazie per aver individuato l'Orrore, lo correggo subito!
A presto (tra poco comincia già la gara di autunno!)
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La Gara 16 - Cinque personaggi in cerca di storie
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Gara d'estate 2023 - La passe - e gli altri racconti
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La Gara 2 - 7 modi originali di togliere/togliersi la vita
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Vivere con 500 euro al mese nonostante Equitalia
la normale vita quotidiana così come dovrebbe essere
Vi voglio dimostrare come con un po' di umiltà, di fantasia e di buon senso si possa vivere in questa caotica società, senza possedere grandi stipendi e perfino con Equitalia alle calcagna. Credetemi: è possibile, ed è bellissimo!
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Metropolis
antologia di opere ispirate da un ambiente metropolitano
Cosa succede in città? - Sì, è il titolo di una nota canzone, ma è anche la piazza principale in cui gli autori, mossi dal flash-mob del nostro concorso letterario, si sono dati appuntamento per raccontarci le loro fantasie metropolitane.
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Contiene opere di: Gianluigi Nardo, Andrea Pozzali, Antonella Jacoli, Roberto Virdo', Francesco Pino, Giulia Rosati, Francesca Paolucci, Enrico Teodorani, Ibbor OB, Umberto Pasqui, Annamaria Ricco, Eliana Farotto, Maria Spanu, Eliseo Palumbo, Andrea Teodorani, Stefania Paganelli, Alessandro Mazzi, Lidia Napoli, F. T. Leo, Selene Barblan, Stefano Bovi, Alessia Piemonte, Ida Dainese, Giovanni Di Monte.
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La Paura fa 90
90 racconti da 666 parole
Questo libro è una raccolta dei migliori testi che hanno partecipato alla selezione per l'antologia La Paura fa 90. Ci sono 90 racconti da non più di 666 parole. A chiudere l'antologia c'è un bellissimo racconto del maestro dell'horror Danilo Arona. Leggete questa antologia con cautela e a piccole dosi, perché altrimenti correte il rischio di avere terribili incubi!
A cura di Alessandro Napolitano e Massimo Baglione.
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