Il samurai
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Il samurai
In realtà non sta suonando: l’uomo emette note, ma queste non formano una musica. Di fatto non sono nemmeno legate da un’armonia; l’uomo è qui proprio per quella.
Un bambino compare nella scena.
«Che fai?» chiede al samurai, del tutto ignaro degli usi dell’uomo, del suo lignaggio, del perché sia vestito a quel modo, del pericolo che potrebbe rappresentare. Il suono del flauto l’ha attratto fin lì da lontano, la vista della lunga spada ha attizzato ancor più la sua curiosità.
L’uomo smette di suonare e si pone il flauto in grembo. Sa che non avrà pace finché la curiosità del bambino non sarà stata soddisfatta. Inoltre, sapeva che il bambino sarebbe arrivato, attratto dal suono del flauto, trepidante di curiosità per la vista della spada. L’uomo aspettava l’arrivo del bambino.
«Cerco l’armonia», risponde.
«Bello! [i]Ar-mo-ni-a[/i]!» sillaba il bambino. «Cos’è?»
Il samurai sorride soddisfatto: quello è il bambino che aveva sperato di attirare fin lì. «È quando tutte le cose richiamano l’una all’altra», risponde, «come se tutte le cose fossero in pace con tutte le altre».
«Ah, allora capisco! Come questo ruscello e il vento che scorrono insieme, e parlano insieme; e le nuvole lassù che si muovono coi fili d’erba del prato, e le tue note nel vento; e il cammino del sole che segue il tondo profilo della collina di Tara! Tu sei venuto qui, in un luogo di armonia, per trovarla. Perché?» chiede il bambino.
È vero, è tutto come il bambino l’ha descritto. Si è persino trattenuto: avrebbe potuto andare avanti per ore evidenziando similitudini tra le vestigia ormai illeggibili di una rocca una volta onorata e temuta e il masso sul quale siede il samurai, tra i fiori di campo nel prato e i piccoli vortici nella corrente del ruscello, tra…
«Perché sento di non averne dentro di me e desidero trovarla», risponde sereno il samurai.
«E quando l’avrai trovata? Quella è una spada, vero?» le domande cominciano a essere incalzanti. A quell’età i bambini riescono a pensare diverse cose nello stesso tempo; se avessero cento bocche, potrebbero fare cento domande diverse tutte insieme!
«Quando l’avrò trovata saprò qual è la prossima cosa da fare nella mia vita e sì, questa è una [i]katana[/i], l’arma dei samurai», l’uomo risponde senza scomporsi.
«E tu devi ammazzare qualcuno, con quella spada?» continua il bambino.
«No, che io sappia. E tu? Credi che debba ammazzare qualcuno?» Finalmente il samurai passa al contrattacco.
«No, io non lo so», risponde il bambino. «Sei tu quello con la spada. Hai ucciso molte persone?»
«Qualcuna», risponde asciutto il samurai. Non gli è mai piaciuto parlare dei suoi incarichi, men che meno agli innocenti.
Il vento si fa più forte, le onde del ruscello s’increspano, una nuvola grigia passa per un istante davanti al sole, ma dopo un momento il paesaggio torna calmo e idilliaco come prima.
«Perché li hai uccisi?» chiede il bambino senza la minima traccia di rimprovero o giudizio. Nella sua voce si percepisce solo genuina curiosità.
«Perché è quello che i samurai fanno quando così ordina loro il loro signore», risponde l’uomo.
«E il tuo signore ti ha detto se quelle persone erano buone o cattive?» torna alla carica il piccolo.
«No, non me lo ha detto».
Un nuvolone più grosso s’interpone tra il sole e la scena; sotto il vento teso la temperatura prima gradevole diventa rigida. Il bambino prosegue: «E tu non gliel’hai mai chiesto?»
Con riluttanza, il guerriero ammette: «No, non gliel’ho chiesto. I samurai non fanno domande: obbediscono agli ordini del loro padrone».
La penombra s’infittisce, il vento diventa ancora più teso, la temperatura sempre meno gradevole.
«E allora perché cerchi l’armonia?» chiede il bambino. «Tu sei un samurai, compi con scrupolo il tuo dovere, l’armonia è in te!»
«Perdonami, piccolo Maestro», risponde l’uomo, «ma posso assicurarti che non sono in armonia».
«Eppure, l’armonia è dentro di te», ribatte il bambino, «e in questo luogo. Tu non la senti, ma questo non vuol dire che essa non sia dentro di te! Suona, per piacere!»
Il samurai appoggia il flauto alla bocca e prende a soffiare. Improvvisamente le nubi si aprono, il tiepido sole torna a illuminare la scena, il vento diventa più dolce. Le note lunghe e dolci del flauto si lasciano trascinare dal vento lungo la valle ai piedi della collina, lungo il ruscello, e poi via, via.
Da lontano una rauca gru risponde alle note come a un richiamo.
«Lo vedi?» chiede il bambino. «L’armonia è in te!»
Il samurai non riesce a credere a quello che ha appena sperimentato, eppure la dimostrazione è così evidente. «Allora perché io non la sento, Maestro?»
«Estrai la tua spada!» ingiunge il bambino.
La mano del samurai afferra l’elsa, spinge col pollice sinistro la guardia dell’arma, quel tanto che serve per poterla estrarre facilmente con un unico, ampio gesto della destra, poi il guerriero poggia l’arma di piatto sulle proprie mani e la offre col capo chino al bambino. Il vento e le nubi tornano a rendere la scena fredda e cupa.
«Ora non c’è armonia, in te. Perché?» chiede il bambino.
«Credevo che voi avreste risposto a questa domanda, Maestro». Il samurai appare deluso; in lontananza si ode il cupo rombo di un tuono.
«Lo senti? Credi che non sia armonico?» Un rombo più prolungato si offre all’attenzione dell’uomo.
«Non l’avrei creduto ma, sì, è armonico, Maestro. Esso è armonico col vento freddo, con l’oscurità che viene dalle nubi, con la pioggia che annuncia», risponde.
«E se il tuono può essere armonico, come puoi non esserlo tu, che lo sei quando suoni il flauto?» chiede il bambino.
«Io non suono il flauto, Maestro. Io sono un samurai», insiste l’uomo.
«E allora non troverai armonia», annuncia il bambino, «né qui, né altrove. Perché può essere armonico il tuono e non tu?»
«Perché il tuono segue il vento e va dove deve andare», risponde il guerriero, «ma io vado dove non voglio essere, e faccio cose che non voglio fare».
Il vento cessa di colpo e le nubi si aprono ancora una volta, è di nuovo una calda primavera.
«Puoi credere che so quello che hai fatto?» chiede il bambino.
La katana cade con clangore dalle mani del samurai al suolo. L’uomo piange copiosamente e singhiozza con forza. «Sì», risponde. Il dolore lacerante per le efferratezze compiute con l’unica scusa del rispetto del codice d’onore - quale onore? - dei samurai lo ha aggredito di colpo.
«Ebbene esso è stato come il tuono che annuncia la pioggia, come un vento di tempesta, che sono passati portando scompiglio e sono andati via, perché quella è la loro natura», spiega il bambino.
«Tu, buon uomo, non sei un samurai. Cosa facevi quando sono giunto qui?»
«Stavo suonando il flauto», risponde l’uomo.
«E che farai, quando sarai andato via da qui? Forse intaglierai un pezzo di legno o riparerai un calzare rotto, o diventerai padre ed educatore, o insegnerai a suonare il flauto a qualcuno. Nessuna di queste cose dice chi sei, eppure pratichi molto più il flauto che la spada, dedicherai molto più tempo a crescere tuo figlio che a uccidere i nemici del tuo signore! Chi sei, dunque?»
L’uomo non sa cosa rispondere. «Io… non lo so!»
«E non importa, realmente. Quello che importa è che tu sei venuto fin qui alla ricerca di qualcosa che è dentro di te. Tu non stai cercando armonia: tu sei qui perché non vuoi compiere azioni che ritieni spregevoli solo per servire il tuo signore, ma questa è l’armonia del tuono, che passa col suo carico di pioggia. Può non piacerti, ma è anch’essa armonia!»
Silenzio. Lentamente il samurai risponde: «Non è una musica che mi piace suonare».
«Non suonarla!» ribatte il bambino. «Guarda quei bambù laggiù», e così dicendo indica una macchia verde che era prima passata inosservata all’uomo. «Puoi piegare una canna di bambù con le tue mani?»
«Se essa non è troppo grossa, sì», risponde il guerriero.
«E se la pieghi molto, molto stretta, credi di riuscire a spezzarla?» insiste il piccolo.
«Sì, Maestro. Se fosse abbastanza fina e la piegassi molto, dovrei essere capace di spezzarla», annuisce il samurai.
«E se la spezzassi, sarebbe questa per te dis-armonia?»
Il guerriero immagina sé stesso alle prese con la canna di bambù, si vede piegarla e, dopo molti sforzi, far cedere di schianto le fibre della pianta. Un altro tuono lontano fa eco al suo pensiero.
«No, Maestro: ciò che accade alla canna è solo l’ovvia conseguenza del mio piegarla con forza. Anzi, quando la canna si rompesse, le mie braccia ed essa si muoverebbero insieme: le mie braccia salterebbero perché la canna non ne ostacolerebbe più la tensione», descrive.
«E se la canna svirgolasse via tra le tue mani, sarebbe questa disarmonia?» prosegue il bambino.
«No, tutt’altro! È più facile che la mano inesperta non sappia costringere la canna, e che quella si liberi di scatto. E più forte sarebbe lo scatto quanto più forte era la pressione che avevo imposto alla canna. È tutto perfettamente armonico!» osserva l’uomo.
«Allora sai cosa fare», chiosa il bambino, e si siede in silenzio lungo la riva del ruscello nella posizione del loto, in meditazione.
«Maestro», chiede l’uomo. «Perché non riuscivo a sentirla, prima? Era come se avessi un impiastro di fango sul viso e le vostre parole l’hanno lavato via: ora vedo!»
«Perché avevi paura. Paura di perdere qualcosa, paura di non poter essere più un samurai. Ma ora capisci che ogni possibilità è sempre aperta, per l’uomo che sa cos’è l’armonia».
Il vento si produce in una folata fresca e tesa sul versante erboso della collina, disegnando un’onda verde e facendola correre lungo il declivio.
«Apparite così giovane», osserva con ammirazione il guerriero.
«Libera il tuo animo da ogni peso, e anche tu lo sarai!» risponde il bambino, e sparisce.
Il samurai, rimasto solo, ode da lontano il suono di un flauto incerto, che emette suoni ma non produce alcuna musica. Di fatto, non segue nemmeno un’armonia. Scende dal masso sul quale è seduto con un balzo che gli risulta più alto del previsto e, quando tocca terra coi piedi, gli sembra che le proprie gambe siano improvvisamente più corte. La musica lo richiama e allora lui si mette a correre, a correre a perdifiato verso quei suoni incerti, col cuore folle di gioia come non faceva da tanti anni, da quando era un bambino, sull’erbosa collina di Tara.
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Re: Il Samurai
Mi ritengo onorato e fortunato, allora, e ti ringrazio per i punti che hai individuato.
1) intendo davvero "SULLE gambe incrociate": in questa posizione i talloni sono posti sotto il bacino e il sedere non poggia a terra;
2) hai ragione, mi sono lasciato trascinare dalla familiarità con l'animale, avrei dovuto usare "airone";
3) dovrò rivedere la consecutio su un PC, qui sul cell l'impaginazione è diversa, e so che a tratti la mia consecutio è arzigogolata, quindi è tanto possibile che volessi usarla per indicare qualcosa di particolare, quanto che sia uno svarione madornale.
Ovviamente, benvenuto su BraviAutori!
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Mi pare che circa a metà racconto c'é un: chiese il bambino; che se non sbaglio dovrebbe essere: chiede il bambino. Piaciuto molto, voto 5. Ciao.
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Re: Il Samurai
Hai ragione, i tempi dovrebbero essere tutti al presente. Credevo di aver corretto questo spostamento dei tempi che si è intrufolato di soppiatto.
Ho voluto il presente per indurre un senso di immediatezza e... presenza () nel lettore. L'idea è quella di ricreare il paesaggio mentale nel lettore mentre legge.
Insomma, provo a giocare col potere della parola scritta e cerco di imparare qualcosa.
P.S.: il bambino è chiunque si sia trovato a superare un'esperienza di quelle che ti segnano, che ti fanno ricalibrare le priorità della vita, che ti fanno tornare a dare importanza alle cose semplici, infantili, per l'appunto, come una corsa nei prati (senza dover fare 10 km o arrivare primo). Il bambino VORREI sentirmi io. Di fatto è uno stato d'animo che funziona come il testimone in una staffetta: chi lo riceve dovrebbe passarlo al prossimo.
A presto!
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Re: Il Samurai
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La correlazione dei tempi l'hai messa a dura prova in questo racconto, ma nel passaggio sopra a mio avviso la virata al passato non è pertinente, oltre a essere inutile.
"In realtà non sta suonando: l’uomo emette note, ma queste non formano una musica."
Questa immagine la trovo poco riuscita: la musica è una successione di suoni gradevoli. Mentre la nota è il segno grafico che indica un suono. Quindi la musica è una successione di note. Se le note non esprimono musica è solo perché sono sgradevoli all'udito. Ma non credo che tu voglia dire questo.
Io trovo che esista, tra lettore e autore, un sorta di patto implicito nella lettura: l'autore prova a rivelare la propria visione del mondo e il lettore si impegna a cogliere l'essenza del discorso che legge. Pertanto l'autore non deve essere un infingardo o peggio un simulatore e deve adopèrare sempre la buonafede e il lettore non deve essere superficiale, deve affrontare il testo con serietà e impegno. Tra lettore e autore si instaura un rapporto di fiducia reciproca, conseguenza della libertà di entrambi. Libertà intesa non come godimento del libero funzionamento soggettivo, ma come atto creatore richiesto da un imperativo categorico; questo fine assoluto, rifatto proprio dalla libertà stessa, è ciò che si chiama valore. E l'opera d'arte è un valore.
Scrivo questo per rimarcare come tra scrittore e lettore bisogna dunque venirsi incontro, capirsi a vicenda, provare a comprendersi senza infingimenti.
Ed hai fatto bene a lamentarti del testo di RobertoDL, la tua critica coglie nel segno e ricalca in parte il senso di questo mio scrivere di adesso.
Il tuo racconto crea in breve tempo parecchi nodi: il significato di armonia e il suo posto nella comprensione del mondo, il rapporto maestro discente, la contrapposizione tra il dovere morale (non far male a chi non lo merita) e il dovere giuridico (assecondare gli obblighi verso il padrone) e tra questi doveri e il dovere naturale rappresentato dal concetto di armonia (che non è l'armonia musicale). Quindi la contrapposizione tra uomo e natura, E poi ancora il contrasto tra Oriente (il Samurai) e Occidente (l'ambientazione irlandese e il bambino Maestro; ed è come se l'Occidente debba insegnare all'Oriente. Un Oriente in apparenza adulto e un Occidente in apparenza bambino).
E ancora la similitudine iniziale tra armonia del creato e armonia musicale.
Per non dire della metafora del bambù.
E nel finale ancora il flauto incerto suona le sue note senza musica senza seguire nemmeno un'armonia, in cui provi a definire il discorso ritornando alla similitudine armonia musicale armonia del creato. Il Samurai sembra contento, ha capito.
Ma a questo punto al lettore cosa rimane?
L'insieme di questi nodi, simiglianze, rappresentazioni, la complessità del tuo narrato, viene solo apparentemente sciolto dall'autore.
A questo punto, ti confesso, come lettore mi son sentito tradito. L'armonia del creato e l'armonia musicale in che rapporto si pongono tra loro? Il Samurai è consapevole del suo ruolo? Comprende quale strada scegliere e per quale motivo? Il Samurai apprende veramente dalle parole del maestro bambino? Comprende il proprio passato? E realizza davvero la propria armonia?
Molti i nodi intrecciati dal valente autore, ma li ha poi veramente sciolti? Cos'è veramente l'armonia per l'autore?
Manca, a mio avviso, un'accurata concatenazione tra causa ed effetto che fa dire alla fine del discorso... ma lo sai che ha ragione?
Francamente io non posso dire se il bambino o il samurai abbiano ragione. Se tu abbia ragione.
E quindi non mi rimane che ammettere a malilncuore di essere un lettore non all'altezza del testo appena letto.
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Re: Il Samurai
sei andato più volte, in questi mesi, assai più a fondo di quanto io stesso avessi visto mentre scrivevo. Per me è sempre una sorpresa, certamente un punto di distinzione, che una persona della tua cultura trovi così tanti riferimenti - e di che livello! - in questi miei "appunti di viaggio", ma a me è stato dato solo di scrivere questo racconto, a te di leggerlo (e di decifrarlo).
Mi spiego: per me c'è un patto implicito tra scrittore e scritto che anticipa quello tra scrittore e lettore, e diventa trinitario quando il lettore incontra lo scritto: "non piegherai ciò che scrivi al tuo gusto". Perché "trinitario"? Perché di fatto nessuno scrittore crea davvero finché non è il lettore a creare a sua volta, ri-evocando nella propria mente, CON la propria mente, ciò che è solo scritto.
Questa volta, però, tutti gli elementi che hai individuato li ho visti anch'io, ho visto anche i nodi non sciolti e, se ci pensi bene, sono perfettamente armonici al discorso (il quale si chiude proprio accettando le disarmonie come forme diverse di armonia).
Questo è il racconto di una trasformazione e la metamorfosi è sempre un momento drammatico: siamo così sicuri di ciò che saremo al termine del processo? Il samurai DESIDERAVA che giungesse quel bambino, ma non era sicuro che sarebbe giunto proprio quel bambino. E sì, le note non esprimono musica PROPRIO perché sono sgradevoli all'udito.
Armonia musicale e armonia del creato: crediamo di avere una concezione "naturale" di quella che è la musica, che in realtà si fonda sulla progressione logaritmica delle lunghezza degli organelli nella nostra coclea. In cosa è diversa una sequenza di suoni da "musica"? Dal rispetto (o meno) di determinate regole e proporzioni fisiche, geometriche, che normalmente non consideriamo. Non le consideriamo, ma sono lì a indicarci cosa è armonia e cosa non lo è.
Se quindi è non-armonia il contravvenire a delle norme (peraltro invisibili), e ci dà malessere (il samurai che stona), perché il samurai si sente disarmonico pur rispettando il suo padrone (regola "scritta")? Perché il suo animo percepisce regole più profonde del codice d'onore che egli è tenuto a rispettare, e sa che sta contravvenendo a quelle.
Il samurai AL PRINCIPIO non è consapevole del proprio ruolo: lui è lì solo per trovare LA PROPRIA armonia, vuole uscire dal tormento che lo assilla. Il suo cammino comincia egoisticamente.
Ma la lezione del bambino, che è bambino perché non sa nemmeno quali siano, le regole, è esattamente quella che QUALUNQUE cammino è armonico (qui sarebbe necessario dilungarsi sul fatto che l'armonia, essendo sempre un concetto legato alla PROPORZIONE, richiede implicitamente ALTRO con cui confrontarsi, e nemmeno solo qualitativamente, ma addirittura QUANTITATIVAMENTE!): può essere più o meno in accordo con ciò che sentiamo, ma siccome noi non siamo MAI soli o immuni da spinte esterne, tutto ciò che facciamo è "suonare (male) il triangolo nella filarmonica dell'Universo in un autobus che affronta allegramente i tornanti di una scogliera".
Perciò, che il samurai comprenda o meno quale strada scegliere NON è un nodo: è molto più importante che capisca che QUALUNQUE strada scelga NON è fonte di dis-armonia. Prosaicamente, "crescere implica imparare a fare scelte, E A NON LAMENTARSENE DOPO AVERLE FATTE".
Se apprende le parole del maestro bambino? Credevo fosse chiaro, quando scende dalla pietra e si accorge di avere le gambe più corte e si mette a correre come non faceva da anni: è tornato egli stesso bambino!
Ora va verso il suono di un altro flauto disarmonico: diventando bambino, è diventato a sua volta maestro, e sa bene che un'altra persona ha bisogno di trovare la propria armonia. È quanto fa un bambino che ha appena trovato una nuova conchiglia: corre a farla vedere a chi lui sa che non l'ha mai vista.
E ora parliamo dell'autore: un processo di trasformazione si racconta sulla carta come se fosse finito, ma raramente è così. Cominciamo a vedere le avvisaglie di ciò che dobbiamo apprendere e cominciamo subito a lavorarci su; alle volte l'entusiasmo si ferma per un po', si raffredda, poi riprenderemo più in là, forse, chissà. Causa? Effetto? Già nell'antica grecia i filosofi avevano capito e usavano come paradosso la domanda "è nato prima l'uovo o la gallina?", che risolvi solo con l'evoluzione: l'uovo di gallina deposto da un animale che non è ancora gallina, l'essere in potenza. In un processo in corso di svolgimento non è sempre facile stabilire causa ed effetto, "E non importa, realmente". Quello che importa è che tutto "si può fare" (cito Branduardi, ora), l'importante è vivere la vita in pace con sé stessi, possibilmente con gli altri.
Può sembrare leggerezza ma, pensaci bene: il samurai si sente disarmonico a causa del proprio malessere interiore, qualcosa lo istruisce sull'armonia che vorrebbe sentire ma egli non SA (materialmente) cosa. Coscienza? Morale? Etica? Semplici emozioni? Quello che importa è che, riconoscendo anche a ciò che non è regolato e codificato la dignità di guidare scelte, egli sarà più cosciente delle scelte da fare, potrà operare d'ora in avanti le proprie scelte anche in base a queste "nuove" considerazioni. Alcuni lo vedranno disarmonico, probabilmente (per usanze, convenzioni, costumi, contratti...) ma fortunatamente un essere umano è anche altro, molto di più.
Ciò detto, io non penso di aver ragione, e nemmeno questo importa, realmente: non mi sono posto nell'ottica di convincere chicchessia se non (per una volta) me stesso.
Perciò, come vedi, NON sei assolutamente stato un lettore NON all'altezza del testo appena letto, piuttosto è il racconto che mi è stato "dettato" per seminare dubbio e da quello, se possibile, pace.
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Re: Il Samurai
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Re: Il Samurai
Se ci pensi l'opera letteraria è un po' come ogni altro oggetto di questo nostro mondo. L'albero che vedo dalla mia finestra in questo momento agitarsi, vibrare e muoversi molestato da un violento e seccante rafficoso libeccio che infuria dalle montagne al mare alle sue spalle sono io che lo vedo in questo modo adesso e lo metto in relazione al cielo, alla terra a ciò di cui ho scritto.
Se non ci fossi io non esisterebbe alcuna di queste relazioni che io ora vedo.
L'uomo sa che ogni relazione in questo mondo è dovuta a lui come altrettanto bene sa che quanto esiste non dipende da lui e continuerà ad esistere anche senza di lui.
È una sorta di maledizione.
"Ma la lezione del bambino, che è bambino perché non sa nemmeno quali siano, le regole, è esattamente quella che QUALUNQUE cammino è armonico (qui sarebbe necessario dilungarsi sul fatto che l'armonia, essendo sempre un concetto legato alla PROPORZIONE, richiede implicitamente ALTRO con cui confrontarsi, e nemmeno solo qualitativamente, ma addirittura QUANTITATIVAMENTE!): può essere più o meno in accordo con ciò che sentiamo, ma siccome noi non siamo MAI soli o immuni da spinte esterne, tutto ciò che facciamo è "suonare (male) il triangolo nella filarmonica dell'Universo in un autobus che affronta allegramente i tornanti di una scogliera".
Perciò, che il samurai comprenda o meno quale strada scegliere NON è un nodo: è molto più importante che capisca che QUALUNQUE strada scelga NON è fonte di dis-armonia. Prosaicamente, "crescere implica imparare a fare scelte, E A NON LAMENTARSENE DOPO AVERLE FATTE"."
Qui non sono daccordo, metti in relazione l'armonia con ciò che è giusto, buono , utile, bello.
Il sistema delle sfere perfette aristotelico tolemaico era meravigliosamente armonico ma errato. Però era esatto finché lo si è creduto tale. L'armonia prescinde dal giudizio su ciò che è giusto o sbagliato. Possono coincidere come non.
L'armonia nasce dalla nostra predisposizione a distinguere schemi ordinati in mezzo al caos. Ma tra l'armonia e un giudizio di valore non v'è relazione. Quindi il tuo samurai può percepire come armonico anche ciò che è sbagliato e cattivo, giusto o buono, bello o brutto, e le sue scelte saranno madri e figlie di questi concetti valoriali, ma essi non entreranno in relazione con l'armonia inteso come giudizio estetico basato sulla proporzione, la simmetria, l'equilibrio e frutto della nostra attitudine a scorgere l'ordine nel caos.
A rileggerti
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Re: Il Samurai
Mi ritrovo quindi su molti punti, tranne uno (per quanto possa sembrare una sciocchezza): per me l'opera è soggetto, non oggetto. Ne discendono molte considerazioni che non voglio qui eviscerare.
Sul secondo punto, che paragoni al sistema armonico tolemaico, non ho alcuna pretesa di accostare il mio modo di scrivere a nulla del genere: molto più semplicemente approfitto della potenza espressiva della scrittura per stimolare paralleli. L'armonia, in questo senso, non prescinde da ciò che è giusto o sbagliato: percepisci una stonatura e la etichetti come "sbaglio", e così quando qualcosa provoca in te un rimorso o un malessere sai che qualche categoria valoriale è stata infranta.
Ma hai perfettamente ragione quando dici che il samurai può percepire come armonico ciò che è ingiusto, brutto o cattivo: il punto del racconto non è quello del "volemose bbene" perché tutto è permesso (perché al contrario quest'atteggiamento sommuoverebbe in noi rimorsi ancora maggiori: in nessun momento si suggerisce di gettare alle ortiche le vecchie categorie valoriali), al contrario il punto è un richiamo a essere più coscienti dell'esistenza di categorie ulteriori, spesso in conflitto con le più evidenti. Il punto è che le scelte sono difficili perché devono tenere conto di queste contrapposizioni (che noi non possiamo sanare), e che questa condizione va accettata, contemplata e vissuta come logica conseguenza (armonia) del vivere.
Perciò, come hai osservato più su, il racconto non chiarisce cosa farà il samurai, il quale potrà scegliere con maggior consapevolezza, con la serenità di chi impara di volta in volta a considerare meglio le proprie scelte, sapendo che di questo si tratta, di barcamenarsi tra spinte opposte che però confluiscono nella nostra vita.
È molto lontano, ad esempio, dal concetto cattolico di "peccato" per il quale dovremmo "confessare" (addirittura "confessarCI": confessare NOI STESSI, come se il peccato fossimo noi stessi!), che pone la morale, l'etica e la giustizia al di sopra di tutto (e quindi si rifà ad Aristotele e a sant'Agostino): queste cose esistono, sì, ma insieme a tutte le altre.
Il mio racconto vuol dire (credo) solo di vivere più coscientemente, più responsabilmente, ma senza flagellarci, perché in un certo momento abbiamo preso certe decisioni basandoci su quello che conoscevamo, e avremmo fatto altrimenti solo considerando cose che abbiamo capito dopo. Non dice "Va', e non peccare più", ma "Va', e fai maggiore attenzione".
A rileggerci presto.
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Re: Il Samurai
A presto
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Re: Il Samurai
In effetti, in un momento il racconto pone la questione esattamente come l'hai vista tu: fare il suo dovere contrattuale. Né ha senso andare molto oltre: né io, né la maggior parte dei lettori abbiamo quella profondità di conoscenza della mentalità orientale (come giustamente osservi, e quale "orientale", poi? Cina? Giappone? India? Corea? Sono tutte profondamente diverse, e simili solo dal nostro punto di prospettiva culturale) da condividere un'analisi più sofisticata.
E in effetti, di questo limite ero cosciente mentre scrivevo, quindi ho evitato di andare oltre la superficie e le apparenze. Ciò non vuol dire che ciascuno possa percepire di più, ma ciò è inevitabile in QUALUNQUE opera: con Namio abbiamo già chiarito che il lettore dà una propria vita a ciò che legge.
MA il succo del racconto è (e proprio il tuo commento me l'ha fatto porre in termini chiari) che non puoi valutare un problema dall'interno. Il samurai che si pone il dilemma dell'onore ragiona come samurai, resta samurai: il suo ostacolo (come gli sottolinea anche il bambino) è il non vedere la sua condizione dall'esterno, non perché DEBBA abbandonare la condizione di samurai e prendere una decisione diversa, ma perché se resta nella sua condizione può porsi solo una risposta e non riuscirà a vedere altre soluzioni, non contemplate nella mentalità di un samurai.
Il bambino è lì a insegnare che solo perdendo ogni preconcetto tutte le soluzioni e i principi hanno pari valore e possono essere confrontati equanimemente, e questa equanimità può condurre a una soluzione "armonica" (che tenga consapevolmente conto di tutte le spinte), indipendentemente da quale essa sia.
Voglio fare solo un esempio (non è ciò che ha ispirato il racconto, ma credo ci si adatti bene) di come questo principio si applica alla nostra vita: si pensa a una carriera e si prendono decisioni che, in futuro, ci faranno stare male (rinunciare agli amici, o a metter su famiglia, o ad avere una residenza stabile, o a essere onesti) perché SI PENSA GIÀ COME SE SI FOSSE COINVOLTI IN QUELLA CARRIERA, si applicano già le "regole" di quella vita. Questo è il pensare "nella scatola": il tuo universo è ridotto alla scatola e sei incapace di vedere il problema dal di fuori, soffri lo stare chiuso nella scatola ma non pensi ad aprirla per vedere che c'è fuori.
Allora, "non importa realmente chi tu sia" perché fuori dalla scatola non si è niente di definito: samurai, suonatore di flauto, genitore, educatore, ma puoi scegliere meglio per sentirti "in armonia", ed è quello che realmente conta per chi voglia sentirsi sé stesso nella pienezza del sé, e non solo ciò che è definito dalla scatola.
Come vedi, l'esempio scelto è estremamente occidentale.
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Re: Il Samurai
Condivido molto la tua metafora della scatola, nella quale ci si rinchiude, come i topi da laboratorio che non si muovono anche se la gabbietta è aperta, poiché non saprebbero dove andare.Marino Maiorino ha scritto: ↑05/10/2022, 10:50 Grazie Andr60.
In effetti, in un momento il racconto pone la questione esattamente come l'hai vista tu: fare il suo dovere contrattuale. Né ha senso andare molto oltre: né io, né la maggior parte dei lettori abbiamo quella profondità di conoscenza della mentalità orientale (come giustamente osservi, e quale "orientale", poi? Cina? Giappone? India? Corea? Sono tutte profondamente diverse, e simili solo dal nostro punto di prospettiva culturale) da condividere un'analisi più sofisticata.
E in effetti, di questo limite ero cosciente mentre scrivevo, quindi ho evitato di andare oltre la superficie e le apparenze. Ciò non vuol dire che ciascuno possa percepire di più, ma ciò è inevitabile in QUALUNQUE opera: con Namio abbiamo già chiarito che il lettore dà una propria vita a ciò che legge.
MA il succo del racconto è (e proprio il tuo commento me l'ha fatto porre in termini chiari) che non puoi valutare un problema dall'interno. Il samurai che si pone il dilemma dell'onore ragiona come samurai, resta samurai: il suo ostacolo (come gli sottolinea anche il bambino) è il non vedere la sua condizione dall'esterno, non perché DEBBA abbandonare la condizione di samurai e prendere una decisione diversa, ma perché se resta nella sua condizione può porsi solo una risposta e non riuscirà a vedere altre soluzioni, non contemplate nella mentalità di un samurai.
Il bambino è lì a insegnare che solo perdendo ogni preconcetto tutte le soluzioni e i principi hanno pari valore e possono essere confrontati equanimemente, e questa equanimità può condurre a una soluzione "armonica" (che tenga consapevolmente conto di tutte le spinte), indipendentemente da quale essa sia.
Voglio fare solo un esempio (non è ciò che ha ispirato il racconto, ma credo ci si adatti bene) di come questo principio si applica alla nostra vita: si pensa a una carriera e si prendono decisioni che, in futuro, ci faranno stare male (rinunciare agli amici, o a metter su famiglia, o ad avere una residenza stabile, o a essere onesti) perché SI PENSA GIÀ COME SE SI FOSSE COINVOLTI IN QUELLA CARRIERA, si applicano già le "regole" di quella vita. Questo è il pensare "nella scatola": il tuo universo è ridotto alla scatola e sei incapace di vedere il problema dal di fuori, soffri lo stare chiuso nella scatola ma non pensi ad aprirla per vedere che c'è fuori.
Allora, "non importa realmente chi tu sia" perché fuori dalla scatola non si è niente di definito: samurai, suonatore di flauto, genitore, educatore, ma puoi scegliere meglio per sentirti "in armonia", ed è quello che realmente conta per chi voglia sentirsi sé stesso nella pienezza del sé, e non solo ciò che è definito dalla scatola.
Come vedi, l'esempio scelto è estremamente occidentale.
Tutta la scuola (opps, volevo dire: l'offerta educativa) ormai insegna agli scolari il modo migliore di adattarsi alle pareti della scatola, in realtà una gabbia, tanto che le sbarre diventano invisibili. Inoltre, il problema che affligge sia gli scolari che la popolazione in generale è che la gabbia sta diventando sempre più piccola.
Un modo per uscirne, almeno temporaneamente, è la letteratura.
Saluti, a rileggerti
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Re: Il Samurai
hai ragione, ma la snellezza viene dall'aver totalmente assimilato la lezione, mentre questo è un racconto scritto di getto, che si svelava mentre lo scrivevo.
Credo ci siano pro e contro in entrambe le circostanze. Siccome io mi trovo in fase di metamorfosi, narro dal mio personale punto di vista, e voi vi sorbite il "pippone"
Grazie per il commento, del quale terrò conto.
A presto!
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Re: Il Samurai
ma questo non è un racconto "zen", è un racconto (come vedo tutti i racconti). Non so nemmeno cosa sia, un racconto "zen"!
Può piacerti o non piacerti, ma il patto tra scrittore è lettore è che lo scrittore cerca di presentare la propria storia nelle "migliori" condizioni possibili, e il lettore la legge senza etichette o preconcetti. Se non gli piace, lo esprime, è suo diritto.
A presto
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commento Re: Il Samurai
efferratezze -- una erre sola.
A volte, trovo le frasi un po’ troppo lunghe, ma è una questione di gusti.
Fai un uso esagerato del “che” – 45 volte in circa 180 righe.
svirgolasse -- da dizionario Treccani il significato è “colpire o tirare un colpo con violenza, o anche senza precisione” – non mi sembra questo il significato che intendevi nella frase: “la canna svirgolasse via tra le tue mani”
Ho una curiosità: da dove hai tratto l’ispirazione per questo racconto? Per caso sei anche uno studioso di filosofie orientali? Un mio amico è finito a vivere in India e di lui abbiamo tutti perso le tracce. Non sarà il tuo caso? Auspico di no, egoisticamente. L’armonia la si può trovare anche in questa nostra Italia immersa in un mare di guai? Speriamo!
Questo racconto ha un grande pregio: stimola la mente su argomenti non banali, e non è poco!
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Re: Il Samurai
sempre apprezzati i tuoi appunti, precisi e diretti.
Il doppio "loro" - suonava male anche a me, ho cercato di trovare una soluzione per un po', poi sono corso dietro all'ispirazione: non volevo perdere il racconto per stare dietro a una parola di troppo. Poi ho dimenticato di rivedere il tutto... Dovrò rivederlo a mente fredda.
Efferatezze... Cavolo, giurerei di averci fatto attenzione!
Frasi lunghe - de gustibus... Però in questo racconto hanno anche un senso: dettano un ritmo più lento che invita alla riflessione, uno degli obiettivi del racconto.
Che cosa vorresti dire, che uso troppi che? Che ti pare bello che queste cose che mi scrivi poi le leggono tutti quelli che frequentano queste pagine che? Hai ragione, è da curare!
"Svirgolasse" - qui entriamo in uno dei campi che più mi vede critico, quello del valore funzionale della lingua. Tu stesso hai dovuto usare la Treccani per trovare una definizione di "svirgolare". Io intendevo "scappar via in maniera maldestra, potenzialmente pericolosa", e credo che questa volta la Treccani abbia preso un granchio notevole, perché "svirgolare" ha (nella mia limitata esperienza) a che vedere con l'effetto del tiro, non col tiro in sé. Il soggetto di "svirgolare", infatti, non è chi colpisce o tira il colpo; è il colpo che svirgola, è il proiettile che svirgola, è il pallone tirato contro la traversa, non sono io che svirgolo. Sono però d'accordo che dovrei cercare un termine più adeguato.
L'ispirazione... I miei racconti in genere nascono seguendo il mio stato d'animo e ciò su cui rimugino. Alle volte "mi pongo in ascolto" ed è come cercare di dipanare tanti gomitoli intrecciati, come seguire un flusso di corrente in un corso d'acqua. Non sono uno studioso di filosofie orientali, sebbene abbia letto a suo tempo alcuni loro testi sacri (Bhagavad Gita e Mahabarata), e perdendo così molte delle idee che comunemente abbiamo su quei popoli. Per il momento (visto che non si può mai sapere cosa ci riserva il futuro) non ho alcuna intenzione di andare da nessuna parte: sono già un pessimo "cristiano" (checché ciò significhi), figurati se penso di andare a vivere tra gente con radici culturali tanto diverse dalle mie!
Egocentricamente, ti ringrazio per l'egoismo!
L'armonia... Sì. Non è un problema di "dove", ma di quello che pensiamo di noi stessi, è l'eterno "Conosci Te Stesso", e (cosa che mai viene detta) "Accettalo". Ci è dato di vivere in un posto. Cresciamo in quel posto, veniamo educati tra quella gente, impariamo a pensare a quel modo. La nostra personalità, la nostra individualità è plasmata da questo processo. Fino ad una certa età può capitare di desiderare di andare altrove: l'equilibrio tra la nostra individualità, le nostre peculiarità e l'ambiente che ci circonda sembra difficile, alle volte abbandoniamo effettivamente "casa" perché tutto il mondo ci sembra meglio che "casa". Ma poi la vuoi, "casa", ti manca. Scopri che altrove forse non ci sono i problemi di casa, ma ci sono altri problemi, e spesso non si hanno nemmeno i riferimenti culturali per affrontarli. In qualche caso la mentalità di casa si dimostra un'arma in più (e noi la denigravamo...), più spesso è una zavorra che non ci permette di godere della vita normale dove ci siamo spostati.
Che l'Italia è in un mare di guai? Sì. Il primo? La sfiducia della gente. Vedo l'italiano medio e capisco che ha tirato i remi in barca. Chi s'impegna lo fa per sé e basta, e gli altri s'arrangino. Indubbiamente questo è un atteggiamento figlio dell'imposizione di modelli culturali e sociali di stampo ultraliberista: successo, carriera, esposizione mediatica e sociale. Ma il loro effetto immediato è la dissoluzione del tessuto sociale: se tutti pensiamo solo a noi stessi, chi pensa alla societas? Tu hai usato l'espressione "questa NOSTRA Italia". Quel possessivo è importante, ti qualifica, bene.
Grazie per il tuo gradimento.
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Poi, leggendo il testo, l'ambientazione è sulla collina di Tara, Irlanda del Nord.
Se l'idea era quella di raccontare la ricerca dell'armonia interiore di un guerriero (che poteva anche non essere un samurai), mi è piaciuta.
Però, se si richiama un qualcosa di giapponese, almeno una volpe bianca dalla coda più grande del corpo, ci poteva essere nel racconto.
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Re: Il Samurai
e grazie per il commento.
Buona la prima ipotesi, soprattutto visto l'incipit: "Paesaggio mentale".
Sul Giappone... C'è così tanto da attingere dalla cultura di quel mondo... Io, ad esempio, sono intrigato dal fatto che una società oggi così "maschilista" (etichette e sentire moderni e occidentali, naturalmente) si faccia discendere da un'Amaterasu.
Le contraddizioni sono ciò che scioglie i nostri nodi irrisolti.
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Re: Il Samurai
Lo è.
Lo è.
Naaaah, non è pottibile, quaccosa ci deve eccere!
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Re: Il samurai
Certo che è un dialogo tra sé è sé: esordisce con "Paesaggio mentale"!
Al di là delle amenità, grazie per aver evidenziato tratti che non avevo colto.
"Ma come", mi chiederai, "tu lo scrivi e non lo vedi?"
Non scherzo quando affermo che spesso (questa volta) sono le storie a farsi scrivere.
Un saluto.
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Parto da questa frase, ho trovato un concetto simile nel libro "La tazza e il bastone", un uno dei racconti un giovane monaco uccide degli uccellini perché il loro cinguettio è fastidioso per la sua concentrazione. Il giovane monaco capirà dopo che il suo animo è inquinato da questioni intime, e non dal cinguettio degli uccellini, e che solo dopo essersi liberato potrà trovare la pace.
Complimenti per la storia, è bellissima.
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Re: Il samurai
esatto: il problema, così come la soluzione, sono dentro di noi ("epperò è sbajata", come diceva Guzzanti). Dobbiamo imparare a trovarla, a vedere il mondo diversamente, trasformare noi stessi e il problema non sarà più.
Il voto nutre il mio orgoglio: non date da mangiare alla bestia!
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La Gara 16 - Cinque personaggi in cerca di storie
A cura di Manuela.
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