L'importanza di chiamarsi Ranuccio
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L'importanza di chiamarsi Ranuccio
Alla fine divenne persino Ranocchio, soprannome che talvolta riaffiora ancora oggi, nei momenti più bui. Non che il mio aspetto potesse addirsi a tale nomea, peraltro: da piccolo ero un po' alto, un po' grassottello, con il viso un po' rotondo e gli occhi un po' grandi. Insomma, di tutto un po', ma nulla di abbastanza eclatante per farsi notare. È una caratteristica che conservo ancora oggi, a trentaquattro anni e mezzo: sono del tutto insignificante. Solo il nome non mi permette di passare inosservato, ma non è certo un vantaggio. Me ne accorsi una ventina di anni fa, adesso vi spiego come.
Sarà stata la fine di marzo quando la redazione del giornalino della scuola decise di passare alle cose serie, a raccogliere ufficialmente le lamentele e a denunciare i soprusi a cui venivamo (e veniamo) costantemente sottoposti. Un'indagine a tutto campo, che non doveva tralasciare nemmeno le minoranze e gli emarginati, così pure io, uno dei primini più trascurabili della storia dell'istituto, fui mio malgrado tirato nella rete. Per issarmi a bordo ci volle davvero poco, fu sufficiente mettermi davanti Vanessa, della 4D, nota per gli approcci piuttosto disinvolti con noi maschietti. L'abbigliamento dark non mi ispirava particolare fiducia, ma una ragazza è pur sempre una ragazza… e poi quelli di quarta è meglio non contraddirli: abbastanza avanzati nella scala gerarchica per contare qualcosa e con davanti ancora un annetto abbondante per vendicarsi ed esercitare brutalmente il loro nonnismo. Mi circuì bruscamente: la conoscevo appena di vista, lei credo per nome.
«Ehi, ranocchio, muoviti in classe che ti devo fare qualche domanda per il giornalino.»
Non osai oppormi, serbando l'intima speranza che, portandomela in classe, qualcuno avrebbe potuto sparlare di noi, cosa che avrebbe sicuramente incrementato il mio prestigio, allora pari a zero: e poi era una più grande. Provai a seguirla fianco a fianco, per simulare meglio la cosa, ma riuscì a dribblare un capannello di secchioni e un paio di prof con destrezza tale da seminarmi di almeno cinque metri, sufficienti per togliere ogni parvenza all'ostentato, quanto immaginario, flirt con lei.
Si sedette sul banco di Caterina, facendo piazza pulita del diario e dell'astuccio, che rovinarono fragorosamente a terra.
«Dai, ranocchio, sputa il rospo, che cos'hai da dire su questa scuola? Ti fa schifo come a me?»
Interpretai l'accostamento dei due termini come uno studiato gioco di parole, così accennai un moderato sorriso, immediatamente estinto:
«Che fai, ranocchio, ci stai provando? Guarda che se mi vedessero qui, nella classe dei primini, mi prenderebbero in giro fino a giugno. Muoviti, devo fare almeno un paio di altre interviste in 'sto intervallo».
«Non saprei, non è che poi sanno che sono io? Mi vergogno…»
«Ma che cazzo dici, non ci mettiamo mica il nome e il cognome sul giornalino!» Aveva maledettamente ragione.
Si spostò leggermente in avanti, spiattellando sul banco due tette abbastanza generose da abbindolarmi, specie se confrontate con le mie smunte compagne di classe. Cercai ispirazione nella lavagna, dove campeggiavano maldestre scomposizioni in fattori primi e qualche abbozzata, quasi incomprensibile, equazione di primo grado, incerti geroglifici che mi ricordarono inequivocabilmente l'imminente verifica con la Renzetti. Me ne erano già andate male due, la terza sarebbe stata un'ecatombe: mi avrebbe appioppato l'ennesimo votaccio, questo era fuori discussione. Non per colpa mia, sia chiaro, ma per l'indubbia difficoltà delle prove, sempre studiate per rimarcare la nostra ignoranza, labile base su cui fondare il suo spocchioso sfoggio di conoscenza. Non solo a me, ben inteso: i voti dei tre quarti della classe si potevano contare sulle dita di una sola mano.
Vomitai tutto addosso a Vanessa, che non aspettava altro:
«Non è possibile che ci facciano delle verifiche così difficili, dai! Non è che non studio, ma quelle della Ranzetti sono impossibili, lo fa apposta a darci 2 e 3 a ripetizione! Che poi, pensandoci, anche quelli…»
Non feci nemmeno in tempo a finire la frase che già era uscita, lasciandomi in balia della manesca Caterina che, entrando, raccolse il diario da terra e me lo scagliò addosso convinta che fossi stato io a farle uno scherzo.
La verifica, per inciso, fu abbastanza agevole, decisamente più affrontabile di quanto mi sarei aspettato; il successivo weekend, trascorso con moderata tranquillità, fu la vigilia del tracollo. La Renzetti aveva la tremenda abitudine di riconsegnare le verifiche in ordine di voto: prima le migliori (un 7 o un 6, se andava bene), condite di sorrisi e qualche pacca sulla spalla; le peggiori alla fine, accompagnate da scrollate di capo degne di un somaro e imprecazioni di vario genere, perlopiù convergenti sulla crescente necessità di giovani braccia da immolare sui campi di granoturco. Io speravo in un anonimo piazzamento a metà classifica, degno di un discreto Sassuolo o una scialba Fiorentina.
7-5½-5-4½-4-3-2½. La consegna arrivò a Scarponi, con un bel 2. Io ero ancora più sotto, pensavo trattarsi di un malinteso. Non ci credevo nemmeno quando vidi 1½, accompagnato da un agghiacciante, incomprensibile ghigno di sfida. Controllai il compito: c'erano degli errori, è vero, ma trascurabili; eppure avevo preso "0" in tutti gli esercizi.
Arrivai a casa infuriato, salutai mia madre cercando di giustificarmi di fronte ad un palese abuso nei miei confronti. Mi squadrò con sguardo severo, quasi si aspettasse già tutto. Attese il termine della mia arringa difensiva ed estrasse dalla borsetta una copia del giornalino della scuola, recuperato dopo il colloquio con la Solani di inglese. Aggiunse soltanto:
«Ti meriti anche di peggio, deficiente! Leggi a pagina 3 e dimmi che voto avrebbe dovuto darti!»
"RENZETTI INSOPPORTABILE" recitava il titolo a carattere 72 in grassetto. Poi una clamorosa esagerazione della mia intervista, espansa fino a occupare una pagina buona. Si arrivava persino alla descrizione minuziosa di punizioni corporali, tipo sedute sui ceci e qualche scapaccione, e di raffinati metodi di tortura psicologica a base di limiti, matrici 5x5 e parabole (chiaramente attinte dal programma di quarta, non certo di prima).
Al termine la firma: "Ranuccio". Vanessa era stata di parola: non aveva firmato con nome e cognome, ma solo con il nome. Quel nome che mi stava rovinando la vita.
- Marino Maiorino
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Sì, mi ha divertito e, se lo vedo così, non trovo nulla da ridire.
Nondimeno, c'è un che di stonato nei tuoi personaggi: a me paiono troppo cresciuti per la loro età (di fatto, la cosa più infantile è la reazione della Renzetti che se la prende per un'intervista sul giornalino della scuola).
Il loro linguaggio, le loro reazioni, è vero che sembrano presi da un film di Alvaro Vitali (le tette di Vanessa... ma dai!), ma con un piglio decisamente troppo maturo per tutta la situazione.
Il linguaggio è troppo maturo, le loro reazioni, quanto profondamente valutano le implicazioni di quello che accade... Pensa che sono arrivato quasi a metà racconto prima di realizzare che il protagonista era, al tempo della vicenda, solo un quattordicenne!
Ciò un po' priva del gusto e della freschezza che il racconto autentico di un 14/15enne avrebbe avuto.
Credo che sarebbe interessante se tu stesso provassi a rendere il tutto più fluido. Per il momento il mio giudizio sarà virtuoso.
Che poi... Io stesso ci sono passato sotto una Renzetti... Alle volte gli adulti sono il peggio che resta dei ragazzi di un tempo!
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Re: L'importanza di chiamarsi Ranuccio
L'incongruenza che hai notato è sempre in agguato quando si vuole raccontare la storia di bambini o ragazzini: se troppo seria appare innaturale, se troppo infantile si rischia di prendere dell'incopetente come scrittore. Ho tagliato la testa al toro: il mio Ranuccio, pur raccontando i fatti da un quattordicenne, è di colpo invecchiato di diciannove anni, spero che bastino...
Mi trovo invece in disaccordo sulla eccessiva serietà e acutezza dei ragazzini. Faccio da anni il catechista di adolescenti e giovani (dai 15 ai 20 anni, grossomodo) e ti posso garantire che spesso mi spiazzano in quanto a capacità di ragionamento e previsione delle conseguenze! Esperienza, che appunto può essere diversa nel tuo caso e portarti a valutazioni diametralmente opposte... Quanto a insegnanti infantili e vendicativi, invece, credo possiamo considerarci sulla stessa barca!
- Marino Maiorino
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Re: L'importanza di chiamarsi Ranuccio
io non partecipo alle gare cercando di diventare il nuovo Poe, partecipo per divertirmi (come tutti, credo), e di passo cercando di affinarmi: l'esercizio è parte del divertimento, riuscire a ottenere un effetto mai tentato prima nel lettore m'intriga.
Quindi NI, non è e NON DEVE essere un lavoro, ma se la storia non mi convince...
La tua è credibile, credibilissima. Le mie sono osservazioni di stile, e su quello posso solo opinare. Può piacermi più o meno, ma il voto cerco di darlo basandomi su altri criteri: mi hai divertito e credo fosse questo il tuo intento.
I tuoi ragazzi: hai ragione, sono acuti, ho una figlia in quell'età... Ma so anche che non lo sono costantemente (anzi), e credo che tu, da catechista, lo sperimenti spesso. Dove sono i loro dubbi, quelli che li fanno vacillare, porre domande, andare in crisi, chiedersi cosa è giusto e cosa no, dove hanno sbagliato? Mi sono probabilmente espresso male (e mi capita troppo spesso), ma stare sul pezzo come riesce a fare Ranuccio è cosa da adulti (a meno che non si tratti di tette e videogiochi).
È questo che per me indica la freschezza: osare sì, ma con quell'ancora presente paura di sbagliare che non è nemmeno rassegnazione (ranocchio).
Ecco, forse è questo che non ho letto: un cambio costante tra stati d'animo, mentre era costante la condanna del nome. Che ok, hai ragione, il racconto sta proprio lì, però...
Sarà che in fondo Ranuccio mi sta simpatico.
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Re: L'importanza di chiamarsi Ranuccio
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Ranuccio viene facilmente raggirato dalla compagna più grande, ma almeno ne ricava una lezione che gli servirà per tutta la vita: se una ragazza che prima ti ignorava improvvisamente s'interessa a te, sicuramente vuole qualcosa, ma non è quello che vuoi tu.
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Re: L'importanza di chiamarsi Ranuccio
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Re: L'importanza di chiamarsi Ranuccio
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giudicare questo racconto è un problema per me, e adesso ti spiego il perché.
La storia non mi è piaciuta, sono sincero, la trovo molto fine a se stessa. Se però tralascio i miei gusti personali (cosa che secondo me va fatta se si vogliono dare dei giudizi equi) noto che la storia è completa.
È un racconto ironico, il finale è divertente e poi è sinceramente scritta bene.
Io azzarderei un 4, come ho già detto altre volte non posso affossare il lavoro altrui solo perché a me non piace.
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Re: L'importanza di chiamarsi Ranuccio
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Re: L'importanza di chiamarsi Ranuccio
Ciao Stefano,Stefano M. ha scritto: ↑16/11/2022, 15:11 Grazie mille Giovanni per aver dedicato un po' del tuo tempo a leggere il mio racconto, mi dispiace che non ti sia piaciuto ma del resto, come tu stesso hai detto, si tratta di un gusto personale; io stesso sto provando a scrivere racconti di generi diversi a ogni concorso proprio per cercare di andare incontro ai gusti di tutti, spero che la prossima volta sarai più fortunato! Apprezzo molto la tua onesta nella valutazione e sono più che felice che abbia trovato il tutto comunque coerente e ben scritto, grazie ancora!
azzardo un consiglio, sperando di non rimanere antipatico. Scrivi racconti provando più stili e più generi, ma fallo per te e non per accontentare gli altri.
Se il tuo lavoro avrà qualità sarà apprezzato anche da chi ha gusti differenti. Non so quanti anni hai, ma io ho capito che non è possibile accontentare tutti.
Buon lavoro.
La Gara 16 - Cinque personaggi in cerca di storie
A cura di Manuela.
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Gara d'estate 2023 - La passe - e gli altri racconti
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La Gara 2 - 7 modi originali di togliere/togliersi la vita
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Cosa succede in città? - Sì, è il titolo di una nota canzone, ma è anche la piazza principale in cui gli autori, mossi dal flash-mob del nostro concorso letterario, si sono dati appuntamento per raccontarci le loro fantasie metropolitane.
A cura di Massimo Baglione.
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90 racconti da 666 parole
Questo libro è una raccolta dei migliori testi che hanno partecipato alla selezione per l'antologia La Paura fa 90. Ci sono 90 racconti da non più di 666 parole. A chiudere l'antologia c'è un bellissimo racconto del maestro dell'horror Danilo Arona. Leggete questa antologia con cautela e a piccole dosi, perché altrimenti correte il rischio di avere terribili incubi!
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Contiene opere di: Maria Arca, Pia Barletta, Ariase Barretta, Cristiana Bartolini, Eva Bassa, Maria Cristina Biasoli, Patrizia Birtolo, Andrea Borla, Michele Campagna, Massimiliano Campo, Claudio Candia, Carmine Cantile, Riccardo Carli Ballola, Matteo Carriero, Polissena Cerolini, Tommaso Chimenti, Leonardo Colombi, Alessandro M. Colombo, Lorenzo Coltellacci, Lorenzo Crescentini, Igor De Amicis, Diego Di Dio, Angela Di Salvo, Stefano di Stasio, Bruno Elpis, Valeria Esposito, Dante Esti, Greta Fantini, Emilio Floretto Sergi, Caterina Franciosi, Mario Frigerio, Riccardo Fumagalli, Franco Fusè, Matteo Gambaro, Roberto Gatto, Gianluca Gendusa, Giorgia Rebecca Gironi, Vincenza Giubilei, Emiliano Gotelli, Fabio Granella, Mauro Gualtieri, Roberto Guarnieri, Giuseppe Guerrini, Joshi Spawnbrød, Margherita Lamatrice, Igor Lampis, Tania Maffei, Giuseppe Mallozzi, Stefano Mallus, Matteo Mancini, Claudia Mancosu, Azzurra Mangani, Andrea Marà, Manuela Mariani, Lorenzo Marone, Marco Marulli, Miriam Mastrovito, Elisa Matteini, Raffaella Munno, Alessandro Napolitano, Roberto Napolitano, Giuseppe Novellino, Sergio Oricci, Amigdala Pala, Alex Panigada, Federico Pergolini, Maria Lidia Petrulli, Daniele Picciuti, Sonia Piras, Gian Filippo Pizzo, Lorenzo Pompeo, Massimiliano Prandini, Marco Ricciardi, Tiziana Ritacco, Angelo Rosselli, Filippo Santaniello, Gianluca Santini, Emma Saponaro, Francesco Scardone, Giacomo Scotti, Ser Stefano, Antonella Spennacchio, Ilaria Spes, Antonietta Terzano, Angela Maria Tiberi, Anna Toro, Alberto Tristano, Giuseppe Troccoli, Cosimo Vitiello, Alain Voudì, Danilo Arona.