Luigi Laserva
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Luigi Laserva
«Terroni di merda, voi e chi vi ci porta.» Sbraitò il facchino.
Luigi non sentì le parole, solo un brusio al quale decise di non dare ascolto, questo aveva censurato le parole del facchino, ma i suoi modi erano chiari nella loro ignoranza. L’arroganza dei gesti sovrasta, a volte, quella delle parole. Nedo, steso sul letto dove aveva dormito per trent’anni, bestemmiò per il rumore.
«È arrivato quello nuovo.» Sentenziò suo padre dalla cucina.
Nedo si stropicciò la faccia e annuì, benché suo padre non lo potesse vedere.
«Speriamo non rompa i coglioni come la vecchia.»
«Speriamo, babbo.»
Nedo si alzò per raggiungere la cucina. Lì suo padre Marsilio, in canottiera e mutande, stava preparando la moka. Nel frattempo fuori dal loro appartamento Luigi entrava in quella che sarebbe stata la sua nuova casa, a tempo indeterminato. Aveva vinto l'ennesimo concorso e, come sempre, non gli era piaciuto vincerlo.
«Vedrà che fare il bibliotecario in quella scuola sarà un lavoro adatto alle sue competenze. È stato fortunato, c'era la fila di ragazzi giovani e preparati pronti ad accaparrarsi quel posto. Nella sua situazione poi non è che potesse chiedere di più, questo lo capisce, vero?»
L'immagine di quel dirigente scolastico l’aveva accompagnato per tutto il tragitto, da Trani alla porta del suo nuovo appartamento. La sua faccia ebete e i suoi modi condiscendenti avevano coperto per lunghi tratti il panorama fuori dal treno. Luigi aveva capito tutto alla lettera, non era un problema se non era stanco e stava al chiuso. Quell’uomo d’altro canto aveva parlato lentamente, e non lentamente come si farebbe per cortesia, ma scandendo ogni parola come se di fronte avesse un deficiente. Luigi non era un deficiente, non importava che nessuno gli spiegasse ciò, bastava osservarlo, ma quasi tutti lo guardavano e basta, tagliandolo fuori e togliendogli ogni possibilità.
D’altronde cosa c’è di peggio di un introverso, se non un introverso che soffre di acufene?
Un brusio continuo e incessante copriva il mondo di Luigi e la sua vita, come un telo di plastica dentro il quale a volte credeva di soffocare. Lui quel posto da bibliotecario non lo voleva, ma gli serviva. Le sue orecchie non funzionavano in posti affollati, non sopportava i rumori forti e odiava chi alza la voce. Luigi spalancò la porta e, una ad una, spostò le scatole al suo interno. Il palazzo era enorme, ma sembrava silenzioso e il mare era vicino, lo poteva vedere dalle finestre. Provava un forte disagio nel guidare l’auto, il suo problema poteva crearne anche agli altri e lui aveva rispetto per chiunque, oltre che per sé stesso. Intanto nell’appartamento a fianco Nedo e Marsilio stavano facendo colazione. Come ogni giorno Nedo sarebbe uscito a cercare un lavoro con l’obbiettivo di non trovarlo, per poi lamentarsi e bestemmiare, mentre Marsilio avrebbe curato il piccolo pezzo di terra adiacente al palazzo, l’ultima attività sana rimastagli nella vita.
«Oggi vado a sentire il calzaturificio, gli manca un magazziniere, speriamo non facciano le merde. »
Marsilio annuì nascondendo l’amarezza che gli saliva su per lo stomaco nel sentire suo figlio mentire così, ogni giorno da anni.
«Dai Nedo speriamo. Io vado in giardino, le piante sono in sofferenza.»
Nedo sorrise cercando di nascondere l’imbarazzo che non riusciva ad evolversi in vergogna e uscì, munito di cartine e tabacco. Chiusa la porta la faccia di Marsilio si distese in un’espressione di sconforto, Leda non c’era più da cinque anni e la sua vita e quella di Nedo erano cadute in un baratro fatto di infinite sconfitte quotidiane. Eppure Leda non era un’eroina, né una santa, solo una moglie e una madre attenta. Come faceva a far funzionare tutto? Perché la vita di Marsilio e suo figlio si stava sgretolando? Sul pianerottolo Luigi si trovò di fronte Nedo, lo salutò con un cenno muto, ma pieno di cortesia che Nedo non fu capace di cogliere.
«Sei quello nuovo? »
Luigi afferrò le sue parole, rispose di sì e allungò la mano per presentarsi.
«Sei quello che viene dalla bassa!»
La parola "bassa" lo confuse, gli sembrava strana, temeva di averla fraintesa e cercò di dissimulare il suo disagio.
«L’ennesimo terrone che viene a rubarci il lavoro.»
Nedo non ebbe l’educazione di rispondere al gesto di Luigi e se ne andò con la massima irriverenza. Luigi osservò quel ragazzo, un trentenne sfatto, vestito male e pieno di tatuaggi simili a patacche nere, farfugliare qualcosa andarsene senza aver stretto la mano che gli aveva teso. I modi di Nedo umiliarono Luigi, come mille volte era stato umiliato dalla maleducazione di chi si era dimostrato cieco alla sua gentilezza. Quel ragazzo non era diverso da tanti che lo avrebbero potuto includere nella loro vita. Nessuno si era mai preoccupato dei suoi problemi, anche perché lui non amava scaricarli su nessuno. Forse era per questo che era tanto solo, forse anche per questo motivo tornava poco a casa, dove per i genitori e i fratelli era l'handicappato di cui vergognarsi o al quale ripetere le solite cose cento volte, e non un dottore in biologia che non era riuscito ad affermarsi a causa di molti ostacoli. Pensava a questo mentre scendeva le scale del palazzo per andare a vedere la cantina, con i volumi di zoologia stretti fra le braccia. I suoi passi rimbombavano dandogli fastidio, ma era niente in confronto a cosa stava agitando nella sua testa. L’handicappato di casa, certo, eppure i soldi che spediva a casa non lo erano, quelli erano buoni. Come pure quelli serviti per aprire l’officina di suo fratello, prestati e mai restituiti. Nondimeno suo fratello era considerato un Dio in terra, un uomo che si spaccava la schiena, mentre Luigi, beh Luigi aveva un lavoro perché era “handicappato”, certo. Che lavoro era il suo? Stare seduto a fare il ricercatore, né ti sporchi le mani né sudi, come fa a essere un lavoro?
Durante i pranzi di Natale, molte di queste frasi Luigi semplicemente le “vedeva”.
Gli imbecilli, infatti, chiacchieravano in libertà, incuranti del povero handicappato con problemi di udito, mai immaginando la sua capacità di leggere perfettamente il labiale anche quando il brusio gli distruggeva i nervi. Avrebbe potuto controbattere, acume e intelligenza non gli mancavano, e tuttavia non lo faceva. Non per paura o timidezza, ma per dignità. Il rimbombo finì insieme alle scale, l’asfalto collegava la strada alle cantine. Luigi andò incontro ai bandoni grigi cercando il 16/c. Il suo era l’ultimo, proprio accanto al giardino dove stava andando Marsilio. Quest’ultimo iniziò a scendere le scale quando Luigi era entrato nella sua cantina. Gli passò davanti, vide la luce accesa, ma non si affacciò a vedere chi ci fosse dentro. Marsilio avrebbe dedicato la sua giornata ai fiori di quel piccolo fazzoletto di terra. Quei fiori li aveva curati sua moglie, fino a che le forze glielo avevano consentito, prima che lo lasciasse per sempre. Come sempre Marsilio pulì tutto il prato dai mozziconi di sigaretta, poi iniziò a strappare la gramigna che avanzava verso i fiori. Per ultima cosa avrebbe lavato gli orci di terracotta che custodivano i ciclamini ai quali Leda era legatissima.
Ne aveva piantati tanti di fiori in quel prato, ma i ciclamini li aveva interrati in quei vasi enormi che aveva comprato appena si erano trasferiti.
Guardando la gramigna avanzare, la paura gli percorse le ossa come un brivido. La sua vita rischiava ogni giorno di essere divorata da qualcosa che procedeva lento e inesorabile. Lui scendeva tutte le mattine per difendere quei fiori, ma qualcosa li avrebbe distrutti comunque, e questo perché non aveva la forza di cambiare se stesso e essere per suo figlio quello che era stata Leda. Già suo figlio, il suo sguardo perennemente assente e al puzzo di canna che lo seguiva come un cane.
Mentre Marsilio lavorava, Nedo si faceva prestare i soldi da un vecchio amico al circolo per un po' di hashish. Il calzaturificio non era nemmeno nei suoi pensieri. Poi avrebbe fumato, da solo, ai giardini poco distanti, beandosi del disprezzo degli anziani che lo guardavano, definiti da lui “vecchi di merda”. Poco distante da Marsilio, Luigi esplorava quel nuovo piccolo spazio dove c’era un tavolo illuminato da una lampadina appesa al soffitto e alcuni sacchi neri di plastica da portare al cassonetto. La luce gialla illuminò i volumi aperti come mappe del tesoro. Su quelle pagine c’erano uccelli esotici che volavano, con didascalie scritte in piccoli caratteri d’inchiostro nero.
Gli sarebbe piaciuto laurearsi in zoologia, scappare in qualche foresta chissà dove, lontano da persone come i suoi familiari o il ragazzo incontrato per le scale poco prima. Nutrirsi unicamente del linguaggio della natura, silenzio e aria pulita. In fin dei conti il lavoro di bibliotecario gli sarebbe tornato utile, avrebbe avuto molto tempo libero in un posto silenzioso, si sarebbe dedicato alla sua seconda laurea.
La solitudine faceva parte della sua vita, era una compagna invisibile ma confortevole, se paragonata all’esclusione. Lasciò i libri per prendere i sacchi coperti di polvere. Erano due, e anche se erano pesanti, li prese entrambi per incamminarsi dondolando verso i cassonetti poco lontani. Ma una volta fuori dalla cantina qualcosa lo destabilizzò e finì per cadere su dei grossi vasi di terracotta. Un motorino con la marmitta truccata era passato poco lontano e quel rumore lo aveva colpito come un pugno. Il vaso sul quale era rovinato, benché robusto si era rotto tagliandogli la mano sinistra, poi qualcosa lo alzò di peso scaraventandolo poco più in là.
Luigi si alzò, ma aveva il sole negli occhi, e non capì cosa stesse succedendo. Nella sua testa c’erano urla e brusii. Marsilio era una furia, non solo Luigi aveva rotto l’orcio, ma aveva distrutto i fiori cadendoci sopra. Lo aveva strattonato con tutta la forza, incurante del fatto che fosse ferito.
«Maledetto terrone di merda, ti rendi conto di cosa cazzo hai fatto?! »
Luigi mise a fuoco la faccia di Marsilio, si alzò, ma questo lo spintonò facendolo cadere di nuovo. Marsilio urlava così forte, in maniera così sgangherata, che Luigi non lo seguiva. Provò a scusarsi, ma Marsilio non vedeva né lui né le sue scuse, solo un ultima cosa bella della sua vita, ora andato in pezzi. Luigi si alzò di nuovo, la manica sinistra della sua camicia era intrisa di sangue e terra. Marsilio lo spinse di nuovo, ma stavolta Luigi non cadde. Era la prima volta che veniva aggredito fisicamente e l’uomo di fronte era un anziano con le lacrime agli occhi, che mai avrebbe accettato le sue scuse, né sentito le sue ragioni. Marsilio provò a buttarlo giù per la seconda volta, ma niente. I due rimasero a guardarsi per qualche secondo, Marsilio tremando e Luigi sanguinando, finché il vecchio non gli sputò in faccia. Quello sputo era l’ennesima umiliazione, stavolta terribilmente diretta. Il brusio diventò fragore e tutti i suoni sparirono, Luigi scattò verso il vecchio mollandogli uno schiaffo, imbrattandolo di sangue e terra. Marsilio rimase fermo, poi si voltò in cerca di un po' d’acqua, dato che l’occhio sinistro era pieno di fango rosso.
Luigi rimase fermo, stava tremando, non aveva mai picchiato nessuno prima. Alzò la manica sinistra per esaminare il taglio, nella sua testa strideva un brusio violento mai sentito prima coprì le urla di Nedo. Mentre Luigi ritornava verso la cantina, Nedo corse verso suo padre. Quando vide la faccia del suo vecchio sporca di sangue si scaraventò verso Luigi colpendolo alla spalle. Marsilio non ebbe il tempo di fermare suo figlio, il panico se lo era preso, la gramigna aveva attaccato la sua vita senza possibilità di rimedio. Luigi non ebbe il tempo di alzarsi, Nedo iniziò a prenderlo a calci. Con la testa invasa dal brusio e gli occhi impastati dalla polvere Luigi lottava per proteggersi dai colpi di un nemico invisibile.
Nedo bestemmiava e sputava mentre menava calci potenti in direzione del viso di Luigi. Poi i calci si fermarono e allora Luigi si trovò a lottare con due tenaglie che gli stringevano la gola. Si divincolava senza vedere la faccia di chi lo strangolava, rimanendo sordo a offese laide a lui indirizzate. Nedo iniziò a sentire qualcosa, forse un brivido. Il volto dell’uomo che stava strangolando si era fatto sereno, la bocca serrata e il respiro assente. Le lacrime di Nedo bagnarono il volto disteso di Luigi che ormai non opponeva più resistenza. Avrebbe voluto smettere di stringere, ma non controllava né le sue mani né le sue lacrime.
«Manca poco.»
Queste furono le ultime parole di Luigi Laserva, chi le ascoltò aveva la vista appannata dalle lacrime che scendevano senza sosta. Marsilio guardò il vaso rotto, un vaso da cinquantamila lire. Lo aveva comprato insieme alla sua Leda, in un momento in cui era felice, di una felicità semplice e pura, in una vita ormai troppo lontana per essere ricordata. Nedo ne aveva rotto uno simile la prima volta che aveva provato ad andare in bici. Marsilio rivide sua moglie mentre disinfettava le ginocchia di un bambino gracile e dolce, un bambino che non si staccava mai dalla mamma che lo riempiva di baci e carezze. Nella cantina i libri di Luigi vibravano le loro pagine sotto la brezza del vento che veniva dal mare.
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Re: Luigi Laserva
La storia è stata pensata proprio per condannare queste ultimi due comportamenti che ritengo inaccettabili senza appello.
Ringrazio Alberto Marcolli per i consigli che mi ha dato e la mia compagna, come chiunque leggerà questa storia.
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Re: Luigi Laserva
grazie mille per il bellissimo commento e i suggerimenti. Non ho voluto scrivere una storia basata sull'anti-meridionalismo, ho cercato di mettere su carta alcuni dei discorsi che mi capita di sentire, e che in questo caso non mi piacciono.
Purtroppo di Nedo, Marsilio o Luigi ne sono piene le strade.
Questi tre personaggi rappresentano tre tipi diversi di disagio, Luigi è l'unico che subisce senza affliggere nessuno.
Grazie mille ancora.
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Purtroppo, per molte persone "l’imbarazzo che non riusciva ad evolversi in vergogna" è una caratteristica comune, che impedisce loro di trovare l'unico, vero colpevole della loro condizione: se stesse.
https://wblog.wiki/it/Swiss_cheese_model
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Re: Commento
Andr60 ha scritto: ↑04/01/2023, 12:44 Devo ammettere che mi sono un po' identificato nel protagonista-vittima, visto che anch'io ho avuto la malaugurata idea di laurearmi in scienze biologiche. A differenza di Luigi ho trovato un lavoro adeguato ai miei studi, però dopo quindici anni di precariato sotto-pagato, e avrei potuto benissimo finire come lui a fare un lavoro di ripiego. Hai descritto bene l'incontro-scontro di tre sconfitti, per motivi diversi, e la genesi di un omicidio che assomiglia alla teoria del formaggio svizzero, stavolta applicata ai comportamenti umani.
Purtroppo, per molte persone "l’imbarazzo che non riusciva ad evolversi in vergogna" è una caratteristica comune, che impedisce loro di trovare l'unico, vero colpevole della loro condizione: se stesse.
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Ciao, grazie mille sia per il voto che per il commento.
Appena ho tempo leggerò volentieri la teoria del formaggio svizzero, bel frattempo in bocca al lupo per la gara e grazie ancora.
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Laura Traverso ha scritto: ↑05/01/2023, 17:18 Un racconto, il tuo, dove sono bene evidenziate le ingiustizie della vita a opera di personaggi privi di empatia e di umanità nei confronti di esseri a loro di gran lunga superiori: per intelligenza e bontà d'animo. Mi riferisco a Luigi e non certo al padre e al figlio che, devo dire, pur nella loro solitudine, non mi sono piaciuti per niente: esseri gretti come tanti ce ne sono. A farne le spese è stato Luigi, rispettoso e triste individuo. Il tuo racconto mi ha assai rattristata, ma ho voluto interpretare il finale, ossia la sua morte ingiusta e barbara, come una liberazione da questa vita, in cui viveva incompreso da tutti e in solitudine. Forse è andato a star meglio... Voto 5
Ciao Laura,
grazie mille per il voto ma soprattutto per il bellissimo commento.
A presto.
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Un bel racconto, triste e angosciante nel suo crudele realismo.
https://chiacchieredistintivorb.blogspot.com/
Intervista su BraviAutori.it: https://www.braviautori.it/forum/viewto ... =76&t=5384
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Dico in parte perché ho qualche dubbio sulla tua decisione di mettere tutti e tre i protagonisti nel medesimo piano. Sia Luigi, che Nedo, che Marsilio, sono tre vinti dalla vita, ognuno a suo modo si capisce. Tre vuoti a perdere, ma soprattutto lo sono i due cattivi: Nedo e Marsilio. E forse questo è un errore non voluto. I due protagonisti, che hai voluto caratterizzare in modo negativo, sono in realtà i più fragili e assieme i più umani. Luigi, alla fine, prova a essere un vincente, e in fondo ci riesce, raggiunge qualche obiettivo; ma Nedo e Marsilio sono totalmente travolti da loro stessi, dalle loro debolezze, a anche solo dalla vita. Incapaci di reagire e di capire, a differenza di Luigi. E dunque, anche se li dipingi da cattivi proprio non riesco a non stare dalla loro parte, pure se Luigi è un terrone handicappato e pure un po' secchione. Ecco, forse al racconto manca una vera contrapposizione tra i personaggi. Uno degli elementi della narrazione è proprio la contrapposizione, l'adulto e il genitore, il buono e il cattivo, chi cerca e chi trova... e qui non la vedo. Non so se sia voluto o se è capitato, ma i tre protagonisti vivono tre diverse forme della medesima alienazione. Questo per me è un limite e rende didascalico il racconto anche oltre le iniziali aspettative del lettore.
Non fraintendermi però. È stato un bel leggere, apprezzo i generi sempre diversi ma la mano riconoscibile, lo stile tuo e quindi già maturo, e perciò ti rinnovo i miei complimenti.
A rileggerti
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Re: Luigi Laserva
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Buonasera Namo, si grazie al lavoro svolto ma anche e sopratutto al vostro aiuto sono riuscito a migliorare. Mi sto impegnando e quello che mi hai scritto mi ha fatto datto piacere. Il lavoro da fare è ancora tanto però.Namio Intile ha scritto: ↑09/02/2023, 11:04 Rispetto agli altri tuoi racconti qui pubblicati questo mi pare più convincente nella forma, senza tutti quegli errori e incertezze soprattutto dei primi. Migliori velocemente e i tuoi racconti lo fanno altrettanto, di gara in gara, e la classifica lo dimostra. E quindi i miei complimenti. Convince in parte anche la struttura, con quel finale tragico per i tre protagonisti.
Dico in parte perché ho qualche dubbio sulla tua decisione di mettere tutti e tre i protagonisti nel medesimo piano. Sia Luigi, che Nedo, che Marsilio, sono tre vinti dalla vita, ognuno a suo modo si capisce. Tre vuoti a perdere, ma soprattutto lo sono i due cattivi: Nedo e Marsilio. E forse questo è un errore non voluto. I due protagonisti, che hai voluto caratterizzare in modo negativo, sono in realtà i più fragili e assieme i più umani. Luigi, alla fine, prova a essere un vincente, e in fondo ci riesce, raggiunge qualche obiettivo; ma Nedo e Marsilio sono totalmente travolti da loro stessi, dalle loro debolezze, a anche solo dalla vita. Incapaci di reagire e di capire, a differenza di Luigi. E dunque, anche se li dipingi da cattivi proprio non riesco a non stare dalla loro parte, pure se Luigi è un terrone handicappato e pure un po' secchione. Ecco, forse al racconto manca una vera contrapposizione tra i personaggi. Uno degli elementi della narrazione è proprio la contrapposizione, l'adulto e il genitore, il buono e il cattivo, chi cerca e chi trova... e qui non la vedo. Non so se sia voluto o se è capitato, ma i tre protagonisti vivono tre diverse forme della medesima alienazione. Questo per me è un limite e rende didascalico il racconto anche oltre le iniziali aspettative del lettore.
Non fraintendermi però. È stato un bel leggere, apprezzo i generi sempre diversi ma la mano riconoscibile, lo stile tuo e quindi già maturo, e perciò ti rinnovo i miei complimenti.
A rileggerti
Ho voluto costruire una storia realista, basata su emozioni e fatti reali, tralasciando per una volta il piacere di perdermi nella fantasia.
Grazie mille ancora.
- Domenico Gigante
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Altro personaggio che mi ha colpito per la sua funzione di regina ancestrale è Leda: colui che, in modo quasi inspiegabile, con i suoi gesti conserva e protegge l'ordine all'interno della famiglia. Mi ha fatto pensare a mia moglie e a come sarebbe la nostra esistenza senza di lei. Forse anche noi diventeremmo come Marsilio e Nedo. Complimenti!
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Domenico Gigante ha scritto: ↑19/02/2023, 18:45 Caro Giovanni! Devo dire che anch'io - come Namio - sono rimasto più profondamente colpito dalla figura tragica di Marsilio e Nedo, che da quella di Luigi. Sono loro due i veri eroi shakespeariani del tuo racconto nella loro incapacità di prendere in mano la propria esistenza. In fondo Luigi è, rispetto a loro, quasi un privilegiato che ha saputo dare una direzione alla sua vita, è stato capace di liberarsi del fardello di una famiglia irriconoscente (nel senso che non è stata in grado di riconoscerlo, come direbbe Hegel, di dargli dignità di uomo) e - soprattutto - ha progetti per il futuro (una seconda laurea non è roba da poco!).
Altro personaggio che mi ha colpito per la sua funzione di regina ancestrale è Leda: colui che, in modo quasi inspiegabile, con i suoi gesti conserva e protegge l'ordine all'interno della famiglia. Mi ha fatto pensare a mia moglie e a come sarebbe la nostra esistenza senza di lei. Forse anche noi diventeremmo come Marsilio e Nedo. Complimenti!
Buona sera Domenico e grazie per il bellissimo commento! Leda è una presenza assenza, qualcosa che non c'è ma regola la vita.
Grazie ancora, molte volte faccio il tuo stesso ragionamento pensando alla mia compagna.
- Marino Maiorino
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Ma il tuo racconto pesca in altro, ed è il confrontarsi di tre disagi (Luigi, Nedo, Marsilio) ai quali la società di per sé non vuole trovare rimedio. Il più "naturale" è quello di Marsilio che ha perso la moglie, e poi ci sono quelli di Luigi e Nedo.
Quello che tu, Giovanni, hai fatto, è solo metterli uno accanto all'altro e seguire lo svolgersi degli eventi, come d'altro canto accade così spesso nelle cronache, ma tu vai oltre. Facendoci conoscere queste tre vite, ci fai capire che delle tre nessuna è impazzita, nemmeno quella di Nedo. L'episodio efferato accade perché è perfettamente normale, in queste condizioni, ciò che descrivi.
Io leggo un'aperta condanna alla società che costringe persone con disagi a doversi confrontare con altri disagiati. In altre circostanze qualcuno potrebbe mantenere il sangue freddo per non infuriarsi come Marsilio, o come Luigi dopo di lui, o come Nedo alla fine. Insomma, la "reazione a catena" (usando un termine da fisica nucleare perché siamo davvero seduti su una polveriera sociale) potrebbe in condizioni normali fermarsi a un certo punto, ma sembra che invece a qualcuno faccia piacere disinteressarsi di ciò che sta accadendo alla società.
La vedo brutta, e temo che sarà sempre peggio.
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Buona sera Marino,Marino Maiorino ha scritto: ↑20/02/2023, 18:43 Non soffro di acufene e non sono andato a rubare il lavoro dove mi avrebbero chiamato "terrone" perché sono anche un cagasotto, ma questo non mi ha sottratto alla mia dose di episodi di discriminazione, quindi il racconto ha pescato nel pieno di sentimenti di una certa impotenza.
Ma il tuo racconto pesca in altro, ed è il confrontarsi di tre disagi (Luigi, Nedo, Marsilio) ai quali la società di per sé non vuole trovare rimedio. Il più "naturale" è quello di Marsilio che ha perso la moglie, e poi ci sono quelli di Luigi e Nedo.
Quello che tu, Giovanni, hai fatto, è solo metterli uno accanto all'altro e seguire lo svolgersi degli eventi, come d'altro canto accade così spesso nelle cronache, ma tu vai oltre. Facendoci conoscere queste tre vite, ci fai capire che delle tre nessuna è impazzita, nemmeno quella di Nedo. L'episodio efferato accade perché è perfettamente normale, in queste condizioni, ciò che descrivi.
Io leggo un'aperta condanna alla società che costringe persone con disagi a doversi confrontare con altri disagiati. In altre circostanze qualcuno potrebbe mantenere il sangue freddo per non infuriarsi come Marsilio, o come Luigi dopo di lui, o come Nedo alla fine. Insomma, la "reazione a catena" (usando un termine da fisica nucleare perché siamo davvero seduti su una polveriera sociale) potrebbe in condizioni normali fermarsi a un certo punto, ma sembra che invece a qualcuno faccia piacere disinteressarsi di ciò che sta accadendo alla società.
La vedo brutta, e temo che sarà sempre peggio.
ho accostato i tre personaggi raccontando le loro vicende senza andare oltre perchè ho voluto creare una storia cruda in stile giornalistico.
Mi spiago peggio, sono stufo della retorica che si sente molto in parecchi programmi tv dove lo spettatore viene trattato da idiota da chi parla o sbraita raccontando fatti con una retorica che sbatte in faccia il pensiero di chi comunica senza lasciare adito a ragionamenti. I lettori, in questo caso VOI di braviautori non meritano un trattamento del genere, non voglio imporre i miei pensieri, anzi preferisco stimolare ragionamenti. Sbattere in faccia al lettore il proprio pensieo in un racconto del genere è offendere la vostra intelligenza e io di tutti voi ho il massimo rispetto Se avessi usato una retorica vittimistica per difendere Luigi lo avrei solo umiliato, cosa che sinceramente non merita, come non lo meritano i Luigi di tutto il mondo. L'uso di parole brutte come "terrone" non è da parte mia un gancio per sensibilizzare o impietosire, ma solo il risultato di tante volte in cui ho sentito personalmente offese del genere, che da italiano del "centro" inizio a tollerare poco.
In una società che si sta impoverendo, ma che è basata sui soldi e l'apparenza c'è seriamente da aspettarsi il peggio.
Grazie mille per il voto e il commento.
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Cosa succede in città? - Sì, è il titolo di una nota canzone, ma è anche la piazza principale in cui gli autori, mossi dal flash-mob del nostro concorso letterario, si sono dati appuntamento per raccontarci le loro fantasie metropolitane.
A cura di Massimo Baglione.
Contiene opere di: Gianluigi Nardo, Andrea Pozzali, Antonella Jacoli, Roberto Virdo', Francesco Pino, Giulia Rosati, Francesca Paolucci, Enrico Teodorani, Ibbor OB, Umberto Pasqui, Annamaria Ricco, Eliana Farotto, Maria Spanu, Eliseo Palumbo, Andrea Teodorani, Stefania Paganelli, Alessandro Mazzi, Lidia Napoli, F. T. Leo, Selene Barblan, Stefano Bovi, Alessia Piemonte, Ida Dainese, Giovanni Di Monte.
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La Paura fa 90
90 racconti da 666 parole
Questo libro è una raccolta dei migliori testi che hanno partecipato alla selezione per l'antologia La Paura fa 90. Ci sono 90 racconti da non più di 666 parole. A chiudere l'antologia c'è un bellissimo racconto del maestro dell'horror Danilo Arona. Leggete questa antologia con cautela e a piccole dosi, perché altrimenti correte il rischio di avere terribili incubi!
A cura di Alessandro Napolitano e Massimo Baglione.
Contiene opere di: Maria Arca, Pia Barletta, Ariase Barretta, Cristiana Bartolini, Eva Bassa, Maria Cristina Biasoli, Patrizia Birtolo, Andrea Borla, Michele Campagna, Massimiliano Campo, Claudio Candia, Carmine Cantile, Riccardo Carli Ballola, Matteo Carriero, Polissena Cerolini, Tommaso Chimenti, Leonardo Colombi, Alessandro M. Colombo, Lorenzo Coltellacci, Lorenzo Crescentini, Igor De Amicis, Diego Di Dio, Angela Di Salvo, Stefano di Stasio, Bruno Elpis, Valeria Esposito, Dante Esti, Greta Fantini, Emilio Floretto Sergi, Caterina Franciosi, Mario Frigerio, Riccardo Fumagalli, Franco Fusè, Matteo Gambaro, Roberto Gatto, Gianluca Gendusa, Giorgia Rebecca Gironi, Vincenza Giubilei, Emiliano Gotelli, Fabio Granella, Mauro Gualtieri, Roberto Guarnieri, Giuseppe Guerrini, Joshi Spawnbrød, Margherita Lamatrice, Igor Lampis, Tania Maffei, Giuseppe Mallozzi, Stefano Mallus, Matteo Mancini, Claudia Mancosu, Azzurra Mangani, Andrea Marà, Manuela Mariani, Lorenzo Marone, Marco Marulli, Miriam Mastrovito, Elisa Matteini, Raffaella Munno, Alessandro Napolitano, Roberto Napolitano, Giuseppe Novellino, Sergio Oricci, Amigdala Pala, Alex Panigada, Federico Pergolini, Maria Lidia Petrulli, Daniele Picciuti, Sonia Piras, Gian Filippo Pizzo, Lorenzo Pompeo, Massimiliano Prandini, Marco Ricciardi, Tiziana Ritacco, Angelo Rosselli, Filippo Santaniello, Gianluca Santini, Emma Saponaro, Francesco Scardone, Giacomo Scotti, Ser Stefano, Antonella Spennacchio, Ilaria Spes, Antonietta Terzano, Angela Maria Tiberi, Anna Toro, Alberto Tristano, Giuseppe Troccoli, Cosimo Vitiello, Alain Voudì, Danilo Arona.