Mara

Spazio dedicato alla Gara stagionale d'autunno 2023.

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Giovanni p
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Mara

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leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.

Mara mi passa il caffè, il locale è vuoto come sempre a quest’ora, tutti se ne sono tornati a casa.

«Sono tre giorni che nevica, ho le braccia distrutte. Perché il comune non manda la gente a spalare la neve? »

Osservo la sua andatura zoppa, effettivamente ha le mani gonfie e scommetto che anche le sue caviglie sono messe male. Per una donna di un metro e sessanta che non arriverà a pesare cinquanta chili non deve essere il massimo spalare da sola un metro di neve che fa muro davanti al suo bar. La guardo mentre sbuffa, la sua coda è in disordine e lei odia avere i capelli in disordine, deve essere davvero stanca per non farci caso, per non fermarsi a rilegare la coda al minimo ciuffo che esce dalla sua posizione come fa di solito. Oppure è la mia presenza a lasciarla indifferente, come se fossi un cane o un soprammobile.

«Quelli del comune li mandano tutti in centro e sulla tangenziale.»

Lei mi guarda torva, io cerco di non ridere.

«Le tasse le pago io su questo cucuzzolo come le pagano gli altri, anche di più se vuoi. Hai un idea di quanto mi costi di Tari questo buco? »

Sorrido e annuisco, lei scuote la testa.

«Se vuoi ti posso dare un passaggio a casa. »

Ha iniziato a pulire la macchinetta del caffè, non mi guarda nemmeno.

«Io sul tuo carro armato non ci salgo» poi lascia stare la macchina del caffè si volta verso di me e aggiunge «e poi non devi lavorare? »
«Già.»
«Bravo, già.»

Butto giù il caffè e lascio i soldi sul bancone, la saluto e me ne vado, lei non mi considera, sta facendo il lavoro.
Fuori dal bar la tormenta mi aggredisce, la neve sembra sparata da dei cannoni, le cime degli abeti dondolano al vento e l’unica luce è il lampione fuori dal bar. Mi volto verso il mio Iveco lasciando che la neve si attacchi alla mia barba. D’un tratto un ricordo si accende nella mia testa, una storia che mio padre mi ha raccontato tanti anni fa quando ero ancora un bambino. La storia narrava di un uomo che deve accendere un fuoco per salvarsi la vita ed è ambientata nel Klondike.
Il nome “Klondike” mi è rimasto sempre impresso, come se fosse appeso su un muro che ho sempre di fronte, il bello è che non so nemmeno dove sia il Klondike. Accarezzandomi la barba mi torna in mente quell’uomo che lotta per non morire congelato. Nel racconto fa così freddo che il ghiaccio condensato sulla sua barba gli crea una maschera che gl’impedisce di respirare correttamente, per fortuna qua non fa poi così freddo, ma il pensiero mi crea un disagio che cerco di dissimulare.
Il mio mostro dorme sotto la neve, la tormenta lo ha quasi sepolto. Sul vetro sono appoggiati circa dieci centimetri di neve candida, la tolgo spingendola via con le mani senza mettermi i guanti. Mentre il vetro riemerge penso a quanto mi siano sempre piaciuti il freddo e questa montagna.
Sentire il gelo sulla pelle e dentro ai polmoni mi fa assaporare la vita. Accendo il motore, guardo il contachilometri che segna seicentomila e mi sento fiero. Pochi giorni fa in centro ho visto dei ragazzi bestemmiare sulle loro Mercedes nuove di zecca, la batteria di quegli aggeggi non ha retto il freddo e le auto non sono ripartite lasciando così i ragazzi e le loro belle in minigonna a battere i denti davanti al ristorante dove per qualche centinaio di euro hanno assaggiato qualcosa. Il mio Iveco gli è passato davanti fiero, sbuffando fumo nero con ironica arroganza. Giro la chiave e do gas, il motore tossisce fino a schiarirsi.
In folle trema tutto, specchietti e plastiche interne, inserisco la prima e sento il motore brontolare cupo mentre tutto il resto ha smesso di tremare. Sento le ruote lottare con la neve che le ha bloccate, le catene sono al loro posto, quindi per la neve è tutta fatica sprecata. Stanotte il mio Iveco si arrampicherà per strade che nessun altro può percorrere, affrontando una salita e dei tornanti che fanno paura a molti nelle giornate d’estate.
Giro il volante largo come un mappamondo, il servosterzo non c’è quindi devo evitare di sterzare quando le ruote sono ferme. M’immetto sulla strada sapendo di non dover fare lo sforzo di badare a chi arriva da destra o sinistra, entrambe sono buie e nessuno osa mettersi in strada.
Le ruote appena entrano a contatto con la carreggiata accusano un leggero pattinamento, la neve qua è pressata e il vento ha indurito la superficie. Sono in strada, per fortuna i lampioni sono accesi anche se ne conto solo uno ogni cento metri.
Il motore ruggisce cupo mentre la salita inizia, per fortuna nella cabina fa caldo anche se devo tenere il finestrino aperto a causa dei fumi che arrivano dalle bocchette. L’odore del diesel non sarebbe nemmeno male, ma quando l’abitacolo diventa saturo la testa inizia a girarmi. Devo starci un'altra ora qua dentro, il tempo della consegna e poi si torna a casa. Il magazzino è dopo la collina e il mio mostro se la mangia un pazzo alla volta. I fari riescono ad illuminare la strada a distanza di trenta metri e il rombo spaventa tutti i lupi, gli orsi e i cinghiali con potenziali tendenze suicide.
Qua i lampioni non ci sono più, i tornanti stanno per iniziare e dovrò fare affidamento solo sui fari. La cosa buona è che sono da solo, quindi posso invadere l’altra corsia senza problemi, le cose “non buone” sono troppe per essere elencate. Al primo tornate il camion si piega sulla destra, il carico è esagerato e si sente. Al secondo il motore iniziai a salire paurosamente di giri, ma per fortuna la temperatura dell’acqua rimane dov’è. Gli altri tornanti spariscono uno dietro l’altro.
Adesso il motore fa tremare tutto, inizia la salita più ripida, l’ultima della notte. Il cruscotto vibra e soffre mentre le ruote fanno a botte con la strada, come sempre devo scalare e cambiare per dare fiato o toglierlo al motore che gorgoglia. Quel pezzo di strada era il mio terrore nelle mie prima notti da principiante. Se il motore mi abbandonasse sarebbero stati guai, ci ho messo molto tempo a fidarmi, a non sudare freddo cercando di stare tranquillo.
Mentre la pendenza aumenta penso a Mara, alle sue spalle minute, alla sua coda che dondola mentre spazza per il bar. Sarebbe bello se mi considerasse, se accettasse di salirci sul mio camion puzzolente di diesel. L’ho sognata spesso ultimamente, a volte nuda altre vestita con l’uniforme del bar che mi sorride. Poi all’improvviso il buio. Il volto Mara sparisce mentre la strada diventa buia, il mio mostro ha tossito con una violenza mai sentita prima, ora sento solo il silenzio. Rimango fermo per qualche secondo poi strangolo il freno a mano. Il motore si è spento ed è tutta colpa mia.
Mi sono distratto e ho lasciato andare troppo la frizione, adesso sono fermo al buio con la salita ancora da fare. Riaccendo subito il quadro che per fortuna mi restituisce un po’ di luce, accendo ma il mostro ora dorme stremato. Iniziò a sudare freddo, ripeto l'operazione tre volte ma niente. Mi prenderei a schiaffi da solo, che cazzo ho combinato...
La pendenza è quasi del quindici per cento e fa un freddo micidiale. Per fortuna il freno a mano tiene. Scendo e controllo che le ruote non arretrino, la neve e il vento mi vengono addosso come una folla, ma per fortuna vedo che le ruote rimaste dove si sono fermate. Sulla neve il segno delle ruote sembra quello di una belva feroce, spero che gli artigli tengano su quella pelle bianca.
Mi volto verso la salita illuminata dai fari, Il vento mi brucia la faccia, risalgo velocemente ma so benissimo che anche dentro l'abitacolo fra poco farà un freddo cane.
Salgo su, apro il cruscotto e tiro fuori il triangolo e il giubbotto catarifrangente, se mi faccio beccare senza addio patente. Mi sento un idiota mentre posiziono il triangolo dato che il vento lo tira giù anche se lo blocco con le basi. Riesco a sistemarlo, ma è inutile ai fini della sicurezza, la neve fra poco lo avrà sepolto. Inizia a farmi freddo ma non voglio pensarci, anche perché mi basta vedere il mio camion inclinato su questa maledetta salita per scordarmi di tutto il resto.
Risalgo e sento che l’aria nell’abitacolo è pulita, ma purtroppo anche gelida.
La tormenta non si calma il parabrezza si sta riempendo di neve e sento che la testa di gira. Provo a telefonare, al magazzino mi stanno aspettando, ma tanto so già che non c’è segnale e infatti il cellulare mi dà ragione. Il freddo inizia a farsi sentire, senza neanche accorgermene sto tremando.
Tutto intorno c’è solo il bosco, davanti la salite e dietro la discesa, ma poi un botto interrompe sia i pensieri che il tremore. Qualcosa di grosso ha colpito il tetto del camion, esco di nuovo ma non vedo nulla, la neve mi entra negli occhi.
Passo dal lato sinistro a quello destro del camion e vedo che il ramo di un albero si è rotto ed è finito sopra il tetto. Il ramo è grosso, probabilmente il botto è stato attutito dalla neve che sta creando una montagna bianca sul mio Iveco. Saranno almeno cinquecento euro di danni, ma nella situazione in cui mi trovo è niente. Con tutte le mie forze cerco di trascinare via il ramo che sarà lungo almeno tre metri, ma in questa situazione è un lavoraccio. Il ramo sembra murato quando improvvisamente vedo il camion pattinare all’indietro. Il ramo scende da solo e nel farlo mi fa cadere, per poco non mi rompo il braccio sinistro, per fortuna il camion scende per poco più di un metro. Il tremito mi aggredisce, ma non solo per il freddo, se il mio mostro decidesse di scivolare troverebbe presto un tornante e finirebbe fra gli abeti ribaltandosi.
Se finisse giù per uno di questi tornanti significherebbe doverlo ricomprare nuovo. Mi scappa pure da pisciare e sto tremando come una foglia sia per il freddo che la paura.
Guardo il mio Iveco messo di sbieco in strada, sembra un cadavere coperto di neve. Il triangolo è finito sotto le ruote, non perdo neppure tempo a cercarlo anche perché devo pisciare e trovare una soluzione. Le scarpe si stanno bagnando, il freddo non mi arriva più solo sulla faccia e le mani, ma adesso sale anche dai piedi. Neve e vento mi arrivano da ogni direzione, tuttavia sento che l’aria mi sta mancando.
Mi succede quando ho paura, in particolare quando la paura soverchia ogni altro sentimento utile a mantenere il controllo come la rabbia ad esempio. Dondolando mi avvicino al margine del bosco, qui c’è meno vento posso pisciare in pace e provare a riprendere fiato e calmarmi. Il buio è totale, sento solo le gocce di urina precipitare sulla neve. I miei occhi si perdono nel buio del bosco, la testa mi gira sempre di più e le gambe tremano. Penso a mio padre e alla storia che ha raccontato sul Klondike, quella storia ha due finali, uno di questi è tragico. Sto per svenire, inizio a fare respiri profondi sentendo la faccia bruciare.
Finisco di urinare ed esco per tornare sulla strada, ma inciampo. Affondo nel candore gelido, riesco persino a sudare freddo. Il respiro si fa pesante, il panico mi sta per prendere.
Addento un boccone di neve e per fortuna è una buona idea. Un dolore acuto parte dai miei denti trapanati di fresco, il dolore mi sveglia.
Mi tiro su ed in ginocchio raccimulo altra neve da inghiottire, i denti sembrano schiantare dal dolore. Mi alzo in piedi e arranco verso il camion. Arrivato mi stampo sullo sportello che riesco a malapena ad aprire, salgo sul sedile e lascio il freno a mano. Sento il camion indietreggiare, le mie braccia devono domare quella bestia senza servosterzo, ma il piano funziona prima che me ne accorga. Le ruote slittano nel verso giusto, la merce rumoreggia nel vano ma non ribalta.
Ho spostato il mostro nel senso contrario di marcia, adesso torno indietro. I freni non funzionano, ma c’è talmente tanta neve che riesco a viaggiare a passo d’uomo. Sono sfinito, ma la testa ora funziona. Sento il sangue scorrere e il petto gonfiarsi, i battiti martellano pesanti la mia gola e i miei timpani. Dopo poca strada caccio un urlo di gioia, le luci del bar di Mara sono accese. Lascio che il mostro entri nel piazzale, poi finalmente tiro il freno a mano e lo lascio slittare dove non dia fastidio. La porta si apre dopo molte manate date con cautela, ho le mani gelate e un urto troppo violento aprirebbe ferite bastarde. Mara mi vede corre verso la porta e dopo avermi tirato dentro dice:

«Solo un coglione come te lavorerebbe in una notte come questa! »

Io annuisco, lei si avvia verso il bancone.

«Hanno chiuso pure il magazzino, scommetto che hai ancora quella patacca di telefono e te ne sei accorto quando sei arrivato lì. Il magazziniere ha chiamato qua per avvisarti, ma te avevi il cellulare staccato.» Mi dice lei mentre sculetta verso la macchina del caffè.

«Comunque sei una fava, io non sarei mai partita con una bufera del genere, anzi come vedi sono rimasta qua, non ho voglia di rimanere bloccata con questo tempo. »

Mi siedo cercando di non tremare, ma sono sfinito e la testa ha ripreso a girarmi anche se adesso sento caldo. Mara continua a parlare, ma io non la sento, la vedo mentre prepara un caffè, doppio in tazza grande come piace a me. Il caffè mi rianima, ma vedo Mara che mi fissa preoccupata e dice:

«Ma sei completamente zuppo! »

Annuisco con la tazzina incollata alla bocca.

«Pezzo di coglione! – sbraita dando un pugno sul bancone – Non mi dirai che ti è partita una catena? »

Annuisco di nuovo.

«Te e quel cazzo di ferro vecchio! Con quello che lavori e guadagni almeno le catene ricomprale! »

Poi si avvicina e mi toglie il giubbotto.

«Spogliati e vedi di non fare il timido, in queste condizioni non puoi stare. Ti asciughi e la notte la passi qua con me, contento? »

Fisso i suoi occhi arcigni, ma bellissimi, annuisco di nuovo.
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Buonasera a tutti, questo racconto viene dall'officina del racconto, un laboratorio seguito da Namio Intile, ringrazio lui e Roberto per l'aiuto e i consigli ricevuti grazie a quali sento di essere migliorato.
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Il racconto contiene descrizioni molto bene articolate. Sei riuscito a trasmettere al meglio tutte le emozioni scaturite dalle varie circostanze: così come il mostro bloccato nella neve con l'allucinante avventura al limite della sopravvivenza, Mara con la sua stanchezza e ruvidezza. E poi la caparbietà, l'orgoglio per il suo mostro, e il tenero sentimento da innamorato per " l'arcigna" barista, con cui descrivi l'io narrante, sono al meglio esplicati. Ti segnalo un paio di refusi: "un pazzo alla volta" certamente avrai voluto dire "Un pezzo...". Inoltre "un" a cui va aggiunto l'apostrofo perché è al femminile. Piccole cose... Bravo!
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Laura Traverso ha scritto: 17/10/2023, 23:12 Il racconto contiene descrizioni molto bene articolate. Sei riuscito a trasmettere al meglio tutte le emozioni scaturite dalle varie circostanze: così come il mostro bloccato nella neve con l'allucinante avventura al limite della sopravvivenza, Mara con la sua stanchezza e ruvidezza. E poi la caparbietà, l'orgoglio per il suo mostro, e il tenero sentimento da innamorato per " l'arcigna" barista, con cui descrivi l'io narrante, sono al meglio esplicati. Ti segnalo un paio di refusi: "un pazzo alla volta" certamente avrai voluto dire "Un pezzo...". Inoltre "un" a cui va aggiunto l'apostrofo perché è al femminile. Piccole cose... Bravo!
Grazie mille Laura, ho cercato di fare del mio meglio. Questo racconto è stato scritto nel laboratorio di Namio, spazio bello e utile per migliorare.
Ti auguro una buona gara!
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Un racconto che mi è piaciuto molto, mi sono quasi immedesimato nel povero camionista travolto dalla bufera. È successo anche a me (in auto, per fortuna), e posso confermare come ci si senta davvero impotenti in quelle circostanze. Voto 5
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Andr60 ha scritto: 22/10/2023, 12:01 Un racconto che mi è piaciuto molto, mi sono quasi immedesimato nel povero camionista travolto dalla bufera. È successo anche a me (in auto, per fortuna), e posso confermare come ci si senta davvero impotenti in quelle circostanze. Voto 5
Grazie mille, mi fa molto piacere che ti sia piaciuto.
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Ciao, Giovanni.
È un gran bel racconto, partorito dall'Officina e ne sono orgoglioso. In prima persona al presente e con PdV del protagonista. Veloce, senza fronzoli, mira al cuore.
In quella sede non ti ho fatto appunti sulla forma, perché l'esercizio era altro, ma qui provo a darti due dritte.



Mara mi passa il caffè, il locale è vuoto come sempre a quest’ora, tutti se ne sono tornati a casa.

«Sono tre giorni che nevica, ho le braccia distrutte. Perché il comune non manda la gente a spalare la neve? »

Osservo la sua andatura zoppa, effettivamente (lo avrei evitato) ha le mani gonfie e scommetto che anche le sue caviglie sono messe male. Per una donna di un metro e sessanta (metterei una virgola) che non arriverà a pesare cinquanta chili (e qui chiuderei con una virgola) non deve essere il massimo spalare da sola un metro di neve che fa muro davanti al suo bar. La guardo mentre sbuffa, la sua coda è in disordine e lei odia avere i capelli in disordine, deve essere davvero stanca per non farci caso, per non fermarsi a rilegare la coda (eviterei la ripetizione) al minimo ciuffo che esce dalla sua posizione come fa di solito. Oppure è la mia presenza a lasciarla indifferente, come se fossi un cane o un soprammobile.

«Quelli del comune li mandano tutti in centro e sulla tangenziale.»

Lei mi guarda torva, io cerco di non ridere.

«Le tasse le pago io su questo cucuzzolo come le pagano gli altri, anche di più se vuoi. Hai un idea di quanto mi costi di Tari questo buco? »

Sorrido e annuisco, lei scuote la testa.

«Se vuoi ti posso dare un passaggio a casa. » (attenzione agli spazi)

Ha iniziato a pulire la macchinetta del caffè, non mi guarda nemmeno.

«Io sul tuo carro armato non ci salgo» poi lascia stare la macchina del caffè (eviterei la ripetizione e metterei una virgola) si volta verso di me e aggiunge «e poi non devi lavorare? »
«Già.»
«Bravo, già.»

Butto giù il caffè e lascio i soldi sul bancone, la saluto e me ne vado, (metterei un punto fermo) lei non mi considera, sta facendo il lavoro.
Fuori dal bar la tormenta mi aggredisce, la neve sembra sparata da dei cannoni, le cime degli abeti dondolano al vento e l’unica luce è il lampione fuori dal bar. Mi volto verso il mio Iveco lasciando che la neve si attacchi alla mia barba. D’un tratto un ricordo si accende nella mia testa, una storia che mio padre mi ha raccontato tanti anni fa (virgola) quando ero ancora un bambino. La storia narrava di un uomo che deve accendere un fuoco per salvarsi la vita ed è ambientata nel Klondike.
Il nome “Klondike” mi è rimasto sempre impresso, come se fosse appeso su un (appeso al) muro che ho sempre di fronte, il bello è che non so nemmeno dove sia il Klondike. Accarezzandomi la barba mi torna in mente quell’uomo che lotta per non morire congelato. Nel racconto fa così freddo che il ghiaccio condensato sulla sua barba gli crea una maschera che gl’impedisce di respirare correttamente, per fortuna qua non fa poi così freddo, ma il pensiero mi crea un disagio che cerco di (provo a) dissimulare.
Il mio mostro dorme sotto la neve, la tormenta lo ha quasi sepolto. Sul vetro sono appoggiati circa dieci centimetri di neve candida, la tolgo spingendola via con le mani senza mettermi i guanti. Mentre il vetro riemerge penso a quanto mi siano sempre piaciuti il freddo e questa montagna.
Sentire il gelo sulla pelle e dentro ai polmoni mi fa assaporare la vita. Accendo il motore, guardo il contachilometri che segna seicentomila e mi sento fiero. Pochi giorni fa in centro (tra virgole?) ho visto dei ragazzi bestemmiare sulle loro Mercedes nuove di zecca, la batteria di quegli aggeggi non ha retto il freddo e le auto non sono ripartite lasciando così i ragazzi (ripetizione) e le loro belle in minigonna a battere i denti davanti al ristorante dove per qualche centinaio di euro hanno assaggiato qualcosa. Il mio Iveco gli è passato davanti fiero, sbuffando fumo nero con ironica arroganza. Giro la chiave e do gas, il motore tossisce fino a schiarirsi. (c'è dell'orgoglio di classe qui, un tocco da maestro)
In folle trema tutto, specchietti e plastiche interne, inserisco la prima e sento il motore brontolare cupo mentre tutto il resto ha smesso di tremare. Sento le ruote lottare con la neve che le ha bloccate, le catene sono al loro posto, quindi per la neve è tutta fatica sprecata. Stanotte il mio Iveco si arrampicherà per strade che nessun altro può percorrere, affrontando una salita e dei tornanti che fanno paura a molti nelle giornate d’estate.
Giro il volante largo come un mappamondo, il servosterzo non c’è quindi devo evitare di sterzare quando le ruote sono ferme. M’immetto sulla strada sapendo di non dover fare lo sforzo di badare a chi arriva da destra o sinistra, entrambe sono buie e nessuno osa mettersi in strada.
Le ruote appena entrano a contatto con la carreggiata (l'asfalto direi, è anche un modo di dire: a contatto con l'asfalto) accusano (iniziano, direi) un leggero pattinamento, la neve qua è pressata e il vento ha indurito la superficie (scriverei: la neve è gelata e il vento ne ha indurito...). Sono in strada, per fortuna i lampioni sono accesi anche se ne conto solo uno ogni cento metri.
Il motore ruggisce cupo mentre la salita inizia, per fortuna nella cabina fa caldo anche se devo tenere il finestrino aperto a causa dei fumi che arrivano dalle bocchette. L’odore del diesel non sarebbe nemmeno male, ma quando l’abitacolo diventa saturo la testa inizia a girarmi. Devo starci un'altra ora qua dentro, il tempo della consegna e poi si torna a casa. Il magazzino è dopo la collina e il mio mostro se la mangia un pazzo (pezzo) alla volta. I fari riescono ad illuminare la strada a distanza di trenta metri e il rombo spaventa tutti i lupi, gli orsi e i cinghiali con potenziali tendenze suicide.
Qua i lampioni non ci sono più, i tornanti stanno per iniziare e dovrò fare affidamento solo sui fari. La cosa buona è che sono da solo, quindi posso invadere l’altra corsia senza problemi, le cose “non buone” sono troppe per essere elencate. (qui andrei a capo, perché la voce interiore lascia spazio all'io narrante) Al primo tornate il camion si piega sulla destra, il carico è esagerato e si sente. Al secondo il motore iniziai (refuso) a salire paurosamente di giri, ma per fortuna la temperatura dell’acqua rimane dov’è. Gli altri tornanti spariscono uno dietro l’altro.
Adesso il motore fa tremare tutto, inizia la salita più ripida, l’ultima della notte. Il cruscotto vibra e soffre mentre le ruote fanno a botte con la strada, come sempre devo scalare e cambiare per dare fiato o toglierlo al motore che gorgoglia. Quel pezzo di strada era il mio terrore nelle mie prima notti da principiante. Se il motore mi abbandonasse sarebbero stati guai, ci ho messo molto tempo a fidarmi, a non sudare freddo cercando di stare tranquillo.
Mentre la pendenza aumenta penso a Mara, alle sue spalle minute, alla sua coda che dondola mentre spazza per il bar. Sarebbe bello se mi considerasse, se accettasse di salirci sul mio camion puzzolente di diesel. L’ho sognata spesso ultimamente, a volte nuda altre vestita con l’uniforme del bar che (mentre) mi sorride. Poi all’improvviso il buio. Il volto Mara sparisce mentre la strada diventa buia, il mio mostro ha tossito con una violenza mai sentita prima, ora sento solo il silenzio. Rimango fermo per qualche secondo poi strangolo il freno a mano. Il motore si è spento ed è tutta colpa mia.
Mi sono distratto e ho lasciato andare troppo la frizione, adesso sono fermo al buio con la salita ancora da fare. Riaccendo subito il quadro che per fortuna mi restituisce un po’ di luce, accendo (direi: provo a rimetterlo in moto, e poi una virgola) ma il mostro ora dorme stremato. Iniziò (refuso) a sudare freddo, ripeto l'operazione tre volte (virgola) ma niente. Mi prenderei a schiaffi da solo, che cazzo ho combinato...
La pendenza è quasi del quindici per cento e fa un freddo micidiale. Per fortuna il freno a mano tiene. Scendo e controllo che le ruote non arretrino, la neve e il vento mi vengono addosso come una folla (curiosa la similitudine, preferisco il treno), ma per fortuna vedo che le ruote (sono) rimaste dove si sono fermate. Sulla neve il segno delle ruote (ripetizione) sembra quello di una belva feroce, spero che gli artigli tengano su quella pelle bianca.
Mi volto verso la salita illuminata dai fari, Il vento mi brucia la faccia, risalgo velocemente (avversativo, ci va la virgola) ma so benissimo che anche dentro l'abitacolo fra poco farà un freddo cane.
Salgo su (su e sopra sono sinonimi, ma su va meglio su piccole cose, sul chiodo, mentre sopra serve per le grandi, sopra la poltrona), apro il cruscotto e tiro fuori il triangolo e il giubbotto catarifrangente, se mi faccio beccare senza addio patente. Mi sento un idiota mentre posiziono il triangolo (virgola?) dato che il vento lo tira giù anche se lo blocco con le basi. Riesco a sistemarlo, ma è inutile ai fini della sicurezza, la neve fra poco lo avrà sepolto. Inizia a farmi (perché farmi? Credo sia un regionalismo) freddo (virgola) ma non voglio pensarci, anche perché mi basta vedere il mio camion inclinato su questa maledetta salita per scordarmi di tutto il resto.
Risalgo e sento che l’aria nell’abitacolo è pulita, ma purtroppo anche gelida.
La tormenta non si calma (virgola) il parabrezza si sta riempendo di neve e sento che la testa di (mi) gira. Provo a telefonare, al magazzino mi stanno aspettando, ma tanto so già che non c’è segnale (metterei una virgola) e infatti il cellulare mi dà ragione. Il freddo inizia a farsi sentire, senza neanche accorgermene sto tremando.
Tutto intorno c’è solo il bosco, davanti la salite (refuso) e dietro la discesa, ma poi un botto interrompe sia i pensieri che il tremore. Qualcosa di grosso ha colpito il tetto del camion, esco di nuovo ma non vedo nulla, la neve mi entra negli occhi.
Passo (Mi sposto nel) dal lato sinistro a quello destro del camion (la precisazione è superflua ed eviti ripetizioni) e vedo che il ramo di un albero si è rotto ed è finito sopra il tetto. Il ramo è grosso, probabilmente il botto è stato attutito dalla neve che sta creando una montagna bianca sul mio Iveco. Saranno almeno cinquecento euro di danni, ma nella situazione in cui mi trovo è niente. Con tutte le mie forze cerco di trascinare via il ramo che sarà lungo almeno tre metri, ma in questa situazione è un lavoraccio. Il ramo (ripetizione) sembra murato quando improvvisamente vedo il camion pattinare all’indietro. Il ramo scende da solo e nel farlo mi fa cadere, per poco non mi rompo il braccio sinistro, per fortuna il camion (usa un sinonimo) scende per poco più di un metro. Il tremito mi aggredisce, ma non solo per il freddo, se il mio mostro decidesse di scivolare troverebbe presto un tornante e finirebbe fra gli abeti ribaltandosi.
Se finisse giù per uno di questi tornanti significherebbe doverlo ricomprare nuovo. Mi scappa pure da pisciare e sto tremando come una foglia sia per il freddo che la paura.
Guardo il mio Iveco messo di sbieco in strada, sembra un cadavere coperto di neve. Il triangolo è finito sotto le ruote, non perdo neppure tempo a cercarlo anche perché devo pisciare e trovare una soluzione. Le scarpe si stanno bagnando, il freddo non mi arriva più solo sulla faccia e le mani, ma adesso sale anche dai piedi. Neve e vento mi arrivano da ogni direzione, tuttavia sento che l’aria mi sta mancando.
Mi succede quando ho paura, in particolare quando la paura soverchia ogni altro sentimento utile a mantenere il controllo come la rabbia ad esempio. Dondolando mi avvicino al margine del bosco, qui c’è meno vento posso pisciare in pace e provare a riprendere fiato e calmarmi. Il buio è totale, sento solo le gocce di urina precipitare sulla neve. I miei occhi si perdono nel buio del bosco, la testa mi gira sempre di più e le gambe tremano. Penso a mio padre e alla storia che ha raccontato sul Klondike, quella storia ha due finali, uno di questi è tragico. Sto per svenire, inizio a fare respiri profondi sentendo la faccia bruciare.
Finisco di urinare ed esco per tornare sulla strada, ma inciampo. Affondo nel candore gelido, riesco persino a sudare freddo. Il respiro si fa pesante, il panico mi sta per prendere.
Addento un boccone di neve e per fortuna è una buona idea. Un dolore acuto parte dai miei denti trapanati di fresco, il dolore mi sveglia.
Mi tiro su ed in ginocchio raccimulo (refuso) altra neve da inghiottire, i denti sembrano schiantare dal dolore. Mi alzo in piedi e arranco verso il camion. Arrivato mi stampo sullo sportello che riesco a malapena ad aprire, salgo sul sedile e lascio il freno a mano. Sento il camion indietreggiare, le mie braccia devono domare quella bestia senza servosterzo, ma il piano funziona prima che me ne accorga. Le ruote slittano nel verso giusto, la merce rumoreggia nel vano ma non ribalta. (qui il concetto non è chiaro: cosa non ribalta? La merce o il mezzo?)
Ho spostato il mostro nel senso contrario di marcia, adesso torno indietro. I freni non funzionano (ma il freno a mano sì), ma c’è talmente tanta neve che riesco a viaggiare a passo d’uomo. Sono sfinito, ma la testa ora funziona. Sento il sangue scorrere e il petto gonfiarsi, i battiti martellano pesanti la mia gola e i miei timpani. Dopo poca strada caccio un urlo di gioia, le luci del bar di Mara sono accese. Lascio che il mostro entri nel piazzale, poi finalmente tiro il freno a mano e lo lascio slittare dove non dia fastidio. La porta si apre dopo molte manate date con cautela, ho le mani gelate e un urto troppo violento aprirebbe ferite bastarde. Mara mi vede corre verso la porta e dopo avermi tirato dentro dice:

«Solo un coglione come te lavorerebbe in una notte come questa! »

Io annuisco, lei si avvia verso il bancone.

«Hanno chiuso pure il magazzino, scommetto che hai ancora quella patacca di telefono e te ne sei accorto quando sei arrivato lì. Il magazziniere ha chiamato qua per avvisarti, ma te avevi il cellulare staccato.» Mi dice lei mentre sculetta verso la macchina del caffè.

«Comunque sei una fava, io non sarei mai partita con una bufera del genere, anzi come vedi sono rimasta qua, non ho voglia di rimanere bloccata con questo tempo. »

Mi siedo cercando di non tremare, ma sono sfinito e la testa ha ripreso a girarmi anche se adesso sento caldo. Mara continua a parlare, ma io non la sento, la vedo mentre prepara un caffè, doppio in tazza grande come piace a me. Il caffè mi rianima, ma vedo Mara che mi fissa preoccupata e dice:

«Ma sei completamente zuppo! »

Annuisco con la tazzina incollata alla bocca.

«Pezzo di coglione! – sbraita (attenzione agli spazi, e poi sbraita maiuscolo) dando un pugno sul bancone – Non mi dirai che ti è partita una catena? »

Annuisco di nuovo.

«Te e quel cazzo di ferro vecchio! Con quello che lavori e guadagni almeno le catene ricomprale! »

Poi si avvicina e mi toglie il giubbotto.

«Spogliati e vedi di non fare il timido, in queste condizioni non puoi stare. Ti asciughi e la notte la passi qua con me, contento? »

Fisso i suoi occhi arcigni, ma bellissimi, annuisco di nuovo. (avrei scritto begli occhi arcigni)


Bellissimo il finale, con questo incontro tra due disgraziati che sembra promettere eterno amore in una notte d'inverno. Complimenti, Giovanni.
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Alberto Marcolli
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Ho molto apprezzato il commento di Namio e perciò mi limito a una lettura emozionale, o almeno ci provo.

Scusami. Prima che Maurizio prepari l' eBook, sistema il testo come dio comanda, soprattutto se sarai il vincitore, come spero!

Il racconto, surreale al punto giusto, scatena emozioni ed empatia con lo sventurato camionista.

Scusa la malizia, ma se lo scopo era riuscire a conquistare la sua Mara avrebbe anche potuto fingere di tentare la salita, percorrere poche centinaia di metri, lasciar passare una mezz’ora, "inzupparsi" a dovere, e tornare indietro. Non sarà che l’ha fatto veramente e le peripezie capitategli se le è soltanto sognate, mentre aspettava?
Voto 5
Pietro Castellazzi
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Ciao e sinceri complimenti. Hai creato un soggetto (Mara) a dir poco particolare. La descrizione dei personaggi è di alto livello e garantisce trasparenza durante la lettura. Non giudico i refusi perché sono solo frutto di distrazione. Intrigante l'atmosfera finale in cui si intuisce una possibile notte di fuoco fra i personaggi.
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Questo racconto ha il pregio di essere piuttosto verosimile, nelle descrizioni come nei pensieri del protagonista si respira un’aria „vissuta“ che permette di immedesimarsi. Trovo che andrebbe sistemato un po‘ a livello formale e forse qualche spuntatina qua e là potrebbe anche esaltarne il sapore. Per me voto 4.
Giovanni p
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Pietro Castellazzi ha scritto: 03/12/2023, 12:48 Ciao e sinceri complimenti. Hai creato un soggetto (Mara) a dir poco particolare. La descrizione dei personaggi è di alto livello e garantisce trasparenza durante la lettura. Non giudico i refusi perché sono solo frutto di distrazione. Intrigante l'atmosfera finale in cui si intuisce una possibile notte di fuoco fra i personaggi.
Grazie mille, in realtà nella mia testa non c'era una notte di fuoco, ma una possibile connessione fra i due.
Giovanni p
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Selene Barblan ha scritto: 03/12/2023, 20:12 Questo racconto ha il pregio di essere piuttosto verosimile, nelle descrizioni come nei pensieri del protagonista si respira un’aria „vissuta“ che permette di immedesimarsi. Trovo che andrebbe sistemato un po‘ a livello formale e forse qualche spuntatina qua e là potrebbe anche esaltarne il sapore. Per me voto 4.
Grazie mille per il commento e il voto, lo rileggerò.
Giovanni p
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Maya Mazzaggio ha scritto: 03/12/2023, 16:43 Il racconto è longo, piacebole e a tratti ansiogeno. Mi è piaciuta molto la parte finale in cui Mara fa intuire cosa potrebbe accadere la notte. Burbera ma altruista! Per il resto non mi ha entusiamato. Scritto molto bene anche se ci sono diversi refusi,
Buongiorno, grazie per il commento e per avermi letto, proverò a sistemarlo.
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Il racconto si lascia leggere, tuttavia non è di mio gradimento. Soprattutto la parte centrale in cui provi a descrive la difficoltà del protagonista, senza riuscirci. Non ho mai avuto la sensazione di disagio che avresti dovuto trasmettermi. Il personaggio invece Mara, che da il titolo al racconto? Si sente in troppo pochi dialoghi all'inizio e alla fine.
Per me, è no.
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Roby Urraci ha scritto: 08/12/2023, 12:31 Il racconto si lascia leggere, tuttavia non è di mio gradimento. Soprattutto la parte centrale in cui provi a descrive la difficoltà del protagonista, senza riuscirci. Non ho mai avuto la sensazione di disagio che avresti dovuto trasmettermi. Il personaggio invece Mara, che da il titolo al racconto? Si sente in troppo pochi dialoghi all'inizio e alla fine.
Per me, è no.
Ciao,

Grazie per avermi letto, ci sta che non possa piacere. La prossima gara proporrò un altro racconto, spero possa piacerti.
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Ciao, Giovanni. Il racconto lo avevo già visto nascere in officina, molto bello e ben scritto.
Tutte le atmosfere sono ricercate e scritte a puntino, forse anche in modo troppo pulito e dotto. In queste situazioni ci sta una parolaccia, un gesto non voluto, un accadimento che non si riesce a risolvere. Non so, se mi trovassi nei panni del protagonista, avrei non poche difficoltà. Gli avrei lasciato addosso un po' di "sporco", di vissuto reale, qualche sbavatura tipica umana.
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Roby Urraci ha scritto: 08/12/2023, 12:31 Il racconto si lascia leggere, tuttavia non è di mio gradimento. Soprattutto la parte centrale in cui provi a descrive la difficoltà del protagonista, senza riuscirci.
Invece a me l'hai trasmessa eccome, da camperista e amante della montagna quale sono, quello che descrivi è un terrore ben noto quindi mi è bastato il primo accenno "pendenza 10%" per iniziare a tremare, non sono servite molte parole e ho letto tutto d'un fiato. Però magari sta lì il problema: riesci a trasmettere il dramma solo a chi già lo conosce? Non so, te lo diranno gli altri.

Mi è piaciuto ma ti prego, prima di rispondere al prossimo commento correggi tutti quegli errori che ti hanno già segnalato e lo rendono poco leggibile.

Randagia, che voterebbe 5 se Giovanni correggesse il testo...
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Maria Spanu ha scritto: 09/12/2023, 15:54 Ciao, Giovanni. Il racconto lo avevo già visto nascere in officina, molto bello e ben scritto.
Tutte le atmosfere sono ricercate e scritte a puntino, forse anche in modo troppo pulito e dotto. In queste situazioni ci sta una parolaccia, un gesto non voluto, un accadimento che non si riesce a risolvere. Non so, se mi trovassi nei panni del protagonista, avrei non poche difficoltà. Gli avrei lasciato addosso un po' di "sporco", di vissuto reale, qualche sbavatura tipica umana.

Buonasera, Maria

È un piacere trovare qualcuno dell'officina, a me ha aiutato e sta aiutando molto, spero che questo valga anche per te.
Ho voluto evitare di proposito le imprecazioni per il semplice fatto che io, quando mi ritrovo in situazioni del genere, o non impreco per la troppa tensione o impreco con vocaboli e soggetti che non possono essere pubblicati (giustamente). Detto ciò mi fa piacere che tu lo abbia letto e che ti sia piaciuto. Buona gara.
Giovanni p
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Randagia ha scritto: 09/12/2023, 16:54 Invece a me l'hai trasmessa eccome, da camperista e amante della montagna quale sono, quello che descrivi è un terrore ben noto quindi mi è bastato il primo accenno "pendenza 10%" per iniziare a tremare, non sono servite molte parole e ho letto tutto d'un fiato. Però magari sta lì il problema: riesci a trasmettere il dramma solo a chi già lo conosce? Non so, te lo diranno gli altri.

Mi è piaciuto ma ti prego, prima di rispondere al prossimo commento correggi tutti quegli errori che ti hanno già segnalato e lo rendono poco leggibile.

Randagia, che voterebbe 5 se Giovanni correggesse il testo...
Buonasera Randagia,

Mi fa piacere che ti sia piaciuto, lo sistemerò lunedì. 10% in montagna di notte e sotto una tormenta non è male, soprattutto quando tutto si pianta e hai un cargo pieno.
Buona gara.
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Commento ora, ma il racconto l'ho letto qualche giorno fà.E' scritto abbastanza bene, anche se ci sono dei refusi (che spero tu abbia sistemato). Mi ci sono trovata anch'io nella bufera, in Austria con un'amica, e un camionista ci ha dato una mano. La storia comunque non mi dice granché. Buona sorte
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Re: Commento

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Camilla Palzileri ha scritto: 12/12/2023, 7:41 Commento ora, ma il racconto l'ho letto qualche giorno fà.E' scritto abbastanza bene, anche se ci sono dei refusi (che spero tu abbia sistemato). Mi ci sono trovata anch'io nella bufera, in Austria con un'amica, e un camionista ci ha dato una mano. La storia comunque non mi dice granché. Buona sorte
Che la buona sorte ci accompagni.
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