Natale a Tokyo
Natale a Tokyo
«Ostukaresama.» Rispose automaticamente.
Il saluto si ripeté più volte, fino a quando l'ufficio rimase quasi vuoto. Restavano lei e altri tre colleghi. Anche Nakamoto san era lì. Era un po' di tempo che si trovava a condividere i turni di straordinario con lui. Non era una cosa che le dispiaceva, lui era sempre gentile, e poi era l'unico che conosceva qualche parola di italiano, lì dentro. Eppure le sembrava un po' strano. Scrollò la testa e cercò di stiracchiarsi. Aveva bisogno di allentare la tensione. Il suo gesto le valse qualche occhiataccia dai colleghi, a metà tra il rimprovero e lo stupito. Non ci fece caso, era abituata a questo, era lì ormai da quasi due anni. Si era abituata a molte cose, eppure spesso avrebbe voluto scappare.
Era stata l'azienda, giapponese, per cui lavorava in Italia a mandarla nella sede centrale, a Tokyo. Il suo primo pensiero era stato quello di rifiutare. Amava il Giappone, per questo aveva studiato il giapponese all'università, ma un conto era ammirarlo da lontano, o al massimo da turista, un altro era viverci. Però, accettare il trasferimento le avrebbe anche portato alcuni vantaggi. E alla fine si era decisa ad accettare, anche se aveva pensato di tornare in Italia, dopo un certo periodo. E quell'idea non l'aveva ancora accantonata. Ma neanche aveva fatto qualcosa, per chiedere il trasferimento, si era limitata a prendere informazioni generali su come procedere, ma mai aveva cominciato la procedura, né aveva pianificato il suo rientro. Perché? Non c'era nulla che la trattenesse in Giappone, ma non c'era neanche nulla che la spingesse a tornare in Italia, il cuore era lì ma la testa restava in Giappone, le mancava qualcosa che le scattasse dentro per prendere la decisione definitiva. Certo in Italia aveva la sua famiglia, e qualcuno, pochi in verità, degli amici d'infanzia, ma la sua famiglia riusciva comunque a sentirla regolarmente, e sapeva che i suoi genitori tenevano molto al suo lavoro, e in quel momento aveva buone prospettive per il futuro, se restava in Giappone. Però le costava uno sforzo enorme.
Così restava sospesa, tirando avanti giorno dopo giorno, senza prendere una decisione. Sì stiracchiò di nuovo. Altre occhiatacce. Era stanca di molte cose, e per di più il suo umore era piuttosto depresso. Si stava avvicinando il Natale, ma quell'anno lavorava e aveva dovuto spostare il suo rientro in Italia al periodo di capodanno. Natale in Giappone... ecco una cosa di cui avrebbe fatto a meno. Volentieri. Natale erano luci, suoni e sapori, Natale era aria di casa. E in Giappone non avrebbe trovato nulla di tutto ciò. Certo le luci, gli spettacoli c'erano anche in Giappone, Tokyo si vestiva a festa per Natale, ma non era il Natale che voleva. Era un Natale di un giorno, con pollo fritto, Stolen o torta alle fragole, che somigliava ad un San Valentino con le luci. Single, lontana da casa, nel periodo della famiglia, in una città che celebrava l'amore di coppia e per di più doveva lavorare. Quest'ultima notizia in realtà era quasi positiva, almeno le avrebbe evitato di chiudersi nella sua stanza, a deprimersi. Tornò a concentrarsi sul suo computer e sul suo lavoro. Se avesse perso tempo avrebbe ottenuto solo lavoro extra.
Finalmente finito. Era pronta a salutare e ad andare via. Miyajima san si era avvicinata alla sua scrivania.
«Otsukaresama.»
«Otsukaresama.»
Pensava che Myajima si sarebbe allontanata, ed invece era rimasta lì. Perché?
«Rando** san... perché non vieni a bere con noi?» Le chiese, in giapponese. Voleva rifiutare. Non le piaceva mischiare lavoro e vita privata, non che avesse una vita privata. In realtà non voleva stringere legami, in fondo sarebbe stata lì solo temporaneamente. Sorrise. Il solito "chotto", che aveva sulle labbra, però non uscì.
Si ritrovò ad accettare l'invito. Cosa aveva fatto? Ormai non aveva più modo di rimangiarsi la parola, per cui si stampò un sorriso sulle labbra, cercando di sembrare normale.
Ora si trovava seduta in un izakaya***, con tre persone che la fissavano. Myajima, Yamada e Nakamoto san. Si sentiva a disagio ed insicura. Perché diamine aveva accettato? Ma in fondo lo sapeva bene: non voleva trascorrere l'ennesima serata a mangiare ramen istantaneo chiusa nella sua stanza. Gli altri avevano cominciato a bere. Il primo brindisi, a cui lei aveva finto di partecipare, era stato accompagnato dal solito "otsukaresama". Poi aveva perso il conto dei bicchieri, quelli degli altri. Lei aveva davanti ancora il primo bicchiere, da cui ogni tanto fingeva di bere. Le piaceva bere in compagnia, qualche volta, ma in quell'occasione non si sentiva davvero a suo agio. Forse era dovuto al fatto che in quei due anni, aveva eretto un muro con i colleghi oppure era solo malinconia. Passare le feste, in un posto così diverso da casa era pesante. Intanto Myajima e Yamada erano diventati più rumorosi, e sembravano più interessati del solito a lei. Parlavano velocemente in giapponese, riempiendola di domande, e fissandola incuriositi. Nakamoto san, invece sembrava più silenzioso. Perché? Aveva ancora addosso il completo d'ufficio, ma sembrava diverso. Più rilassato. Era affascinante, ma stranamente non lo aveva mai notato prima. Sembrava molto sicuro di sé, ma non era per nulla arrogante. In quel momento, in quell'occasione ben più informale del lavoro sembrava perfettamente a suo agio. Non era bello, Yamada san lo era molto di più, ma non le piaceva. Gli uomini giapponesi erano molto diversi da quelli italiani, sul piano fisco, e non solo per i tratti somatici, per portamento e per carattere, ma in quei due anni, sebbene non avesse cercato relazioni e neanche appuntamenti, aveva avuto modo di osservare gli uomini e soprattutto modo di guardare qualche drama, serie televisiva giapponese, e leggere delle riviste. Se avesse dovuto dare un giudizio su Yamada san, avrebbe detto che somigliava ad un attore. Ma era troppo perfetto per i suoi gusti. Nakamoto san era meno bello, ma più interessante, più vero. Scosse la testa. Quei pensieri confusi, da dove le erano venuti? Forse la stanchezza, unita a quel bicchiere di birra, che ormai era finito, forse lo stress che stava provando, mentre cercava di stare al passo con la conversazione, che ora si era sposata sullo sport, e si sforzava di sorridere. O più semplicemente stava guardando i suoi colleghi per la prima volta.
Myajima era la persona che più faticava ad inquadrare, forse perché aveva sempre limitato i contatti con lei, e adesso, non conoscendola, faticava a capire qual era la vera Myajima: Al lavoro era sempre silenziosa, eppure a vederla adesso sembrava andare molto d'accordo con i suoi colleghi, anche con Nakamoto san. E si stava sforzando molto di andare d'accordo anche con lei
Non era una situazione del tutto spiacevole, ma neanche riusciva a definirla positiva. Era contenta di passare una serata diversa, non era male parlare con i colleghi e le sembrava che loro cercassero di metterla a suo agio, ma si sentiva un po' un pesce fuori d'acqua.
Qualche volta, si era trovata in difficoltà a rispondere, o sovrappensiero aveva risposto in italiano, e in un paio di occasioni Nakamoto san l'aveva tratta d'impaccio, traducendo per lei oppure sviando la conversazione. Era stato gentile. In realtà lo era sempre, ma ne era ugualmente sorpresa. Non si aspettava che lui fosse così anche fuori dal lavoro. O forse si comportava così perché in fondo era un'uscita tra colleghi? Quasi un prolungamento dell'orario di lavoro? Ma i suoi dubbi non avrebbero avuto risposta e lo sapeva. Yamada san, aveva bevuto molto, ma sembrava ancora pieno di energia, infatti fu lui a proporre di andare al karaoke. Karaoke? Sara sbiancò in volto, mentre Myajima diceva "iku iku". Forse a causa della birra, tutti sembravano allegri e poco inclini a finire la serata, e lei si lasciò trascinare dagli eventi.
L'atmosfera al karaoke era allegra e più leggera di quello che si aspettava. Avevano preso una stanza, e i suoi colleghi avevano cominciato ad esibirsi. Myajima era seduta vicino a lei. E ogni tanto faceva qualche commento sulla canzone oppure su chi cantava.
«Myajima san, ho notato che guardi molto Yamada san, ti piace?»
Myajima balbettò qualcosa al riguardo, cercando di sviare la conversazione.
«Scusami, non volevo metterti in imbarazzo.»
«Va bene, va bene. Lavora molto ed è molto serio nel suo lavoro. E a te Rando san, perché ti piace Nakamoto san?» Le piaceva Nakamoto? Forse Myajima aveva davvero bevuto molto.
«No, no, non mi piace in quel senso. Lui è gentile »
«Umm... scommetto che lui ha accettato di uscire solo perché c'era anche Rando san.»
«Eh?» Chiese stupita.
«Nakamoto san, non esce spesso con i colleghi è molto riservato e spesso sta per conto suo.»
«A me non sembra così...» Si lasciò sfuggire, lasciando la frase in sospeso. Avrebbe voluto aggiungere che le sembrava molto amichevole e che con lei era sempre disponibile ad aiutarla, ma non ne ebbe il coraggio, non voleva che l'altra fraintendesse.
«Lavoro con Nakamoto san da 5 anni. È cambiato da quando è arrivata Rando san. Forse a lui piaci.»
Lei si affrettò a negare. Poi Yamada san chiese a Myajima di cantare e lei poté trarre un respiro di sollievo. Ma l'attimo di calma durò poco.
«Diventano rumorosi quando bevono, vero?» Nakamoto era seduto accanto a lei. Lo guardò brevemente con la coda dell'occhio. Aveva imparato ad osservare chi le stava intorno senza farlo apertamente. Non riusciva a togliersi le parole di Myajima dalla testa.
«Sono gentili.»
«È vero, ma possono essere fastidiosi, qualche volta. Rando san, lavorerai il giorno di Natale?»
«Sí, il 24 e anche il 25 lavoro.» Sospirò.
«Scusa, ma sembri un po' triste.»
«In Italia non si lavora il 25, e poche persone lavorano il 24. »
«Davvero? Sembra che prendiate il Natale molto sul serio.»
«È importante per noi, come per voi il capodanno. »
«Oh capisco. Sembra bello.»
«Sí lo è...non che il Giappone non lo sia...»
«Hai nostalgia dell'Italia?»
«Qualche volta penso di tornare a viverci.»
«Capisco.»Poi Yamada e Myajima si unirono a loro e la conversazione si spostò su altri argomenti.
Nakamoto era alla sua scrivania, gli occhi incollati al monitor, i pensieri altrove. Due scrivanie più avanti, c'era Lando San...Sara san, come la chiamava nei suoi sogni. Si era innamorato di lei quasi due anni prima, quando lei era stata mandata lì dall'Italia, ma non si era mai dichiarato. Aveva cercato di aiutarla, di starle vicino, aveva anche ripreso a studiare italiano per poter parlare di più con lei, ma non aveva fatto altro, si diceva che gli bastava esserle amico, ma adesso non gli bastava più. In tutto quel tempo aveva sempre saputo che lei prima o poi sarebbe tornata a casa sua, e si era preparato mille volte a quel momento. L'anno prima lei era tornata a casa per Natale, e lui ne aveva sofferto, ma sapeva che sarebbe tornata in Giappone, quest'anno era diverso. Lei gli aveva confidato che stava pensando di trasferirsi, e lui sospettava che avrebbe preso una decisione mentre era in Italia, durante le feste di capodanno. Stava per perderla e per quanto si fosse preparato mentalmente, adesso si accorgeva che non voleva perderla. Non in questo modo, senza dirle ciò che provava. Sentiva che doveva fare almeno un tentativo. E quel giorno, si sarebbe dichiarato, finalmente. Era un po' preoccupato e non riusciva a concentrasi sul lavoro. Ogni tanto, sbirciava la scrivania di lei, stando attento a non farsi accorgere.
Aveva fatto un programma e voleva seguirlo, ma sapeva che avrebbe potuto anche fallire, era preparato ma quest'ultima ipotesi gli faceva un po' paura.
Sara guardò il computer, era la terza volta che controllava i dati. Voleva solo che quella giornata finisse presto. La sera che era uscita con i colleghi, avevano scambiato i contatti Line. Anche perché Myajima aveva voluto creare un gruppo.
Aveva scritto poco, non le sembrava il caso. Anche Nakamoto san e Yamada avevano scritto poco, la più attiva era proprio Myajima san.
Poi dopo due giorni Nakamoto l'aveva sorpresa. Le aveva mandato la foto di un babbo natale di luci, scrivendole che gli aveva fatto pensare alla loro conversazione. Non era proprio quello che lei definiva "spirito natalizio", ma apprezzava il tentativo di lui di tirarle su il morale.
Ma adesso non voleva pensare a quello. Voleva solo finire il lavoro e andare a casa. Era la Vigilia di Natale. Aveva scritto ai genitori, e anche a due amici in Italia. Si sentiva comunque un po' depressa. Forse se avesse avuto qualcosa da fare...ma era inutile pensarci. Si sarebbe concentrata sul lavoro, poi sarebbe tornata a casa, avrebbe mangiato una cosa al volo e sarebbe andata a letto presto. Il giorno dopo avrebbe lavorato e poi si sarebbe preparata per la partenza. Il 28 avrebbe preso l'aereo e sarebbe tornata a casa per capodanno. Una volta a casa avrebbe pensato a cosa fare.
Doveva pensare a questo e concentrarsi. Eppure non ci riusciva. Quel giorno oltre a lei lavoravano altri cinque colleghi ed uno di questi era Nakamoto.
Aveva pensato molto, negli ultimi giorni, alle parole di Myajima. E alla fine doveva ammettere che erano vere: le piaceva Nakamoto. Era gentile, conosceva un po' dell'Italia, ma soprattutto era facile parlare con lui, e questo lo aveva capito già due anni prima. Però in quei due anni aveva fatto di tutto per non stringere legami con i colleghi. E adesso si rendeva conto di essersi complicata la vita. La sera in izakaya non era stata poi così terribile e neanche i messaggi di Myajima lo erano. Le ultime settimane le avevano fatto capire cosa si era persa, inalzando muri in quei due anni.
Cosa doveva fare adesso? Non lo sapeva.
O meglio lo sapeva, in fondo aveva un programma da seguire, ma non ci riusciva, perché tutti i suoi pensieri erano ingarbugliati, e alla fine si concentravano sempre sulla stessa domanda: voleva tornare in Italia o restare in Giappone? E ogni volta che si poneva il quesito il volto di Nakamoto le si affacciava alla mente.
Era davvero confusa.
Finalmente il lavoro era finito, raccolse le sue cose e fece per andarsene. Si voltò e vide il volto di Nakamoto san. Stava lì davanti a lei, sembrava un po' a disagio. Che fosse successo qualcosa?
«Otsukaresama.» Gli disse in automatico.
«Otsukaresama... ecco in realtà... vorrei invitarti a cena...» Una cena tra colleghi? Un appuntamento? Ma cosa andava mai a pensare? Sicuramente sarebbe stata una cena tra colleghi. Forse doveva rifiutare, ma in fondo non aveva nulla da fare e le sarebbe piaciuto passare un po' di tempo con lui.
«Grazie... accetto volentieri ». Nakamoto san le sorrise, rilassandosi quasi avesse trattenuto il fiato fino a quel momento, ma sicuramente lo aveva immaginato.
Nakamoto san l'aveva portata in un ristorante Italiano a Roppongi. Il nome era improbabile, ma la cucina era buona, più di quello che avrebbe potuto immaginare.
«Non è l'Italia, e forse non è il Natale che desideri, però volevo vederti contenta.»
«Nakamoto san, sono contenta. Il locale è molto bello e la cucina è buona.»
«Yokatta.» "Menomale!" Disse, e ancora una volta sembrava sollevato.
Sara era confusa. Era felice che lui avesse fatto un gesto carino per lei...ma non sapeva spiegarsi il perché le sembrava del tutto diverso dalla solita gentilezza che le riservava ogni giorno. Che Myajima avesse ragione? Anche lei piaceva a Nakamoto san? Ma non osava sperarci e poi ciò avrebbe reso tutto più difficile, o forse no?
Dopo la cena, si aspettava che si sarebbero salutati, ed invece lui la stupì ancora.
«La serata non è ancora finita, camminiamo un po'?»
«Certo...» Rispose lei, un po' felice, un po' speranzosa un po' confusa.
Lui la portò a vedere le luci di natale, tutta la strada, era piena di luci che davano sul blu, sembrava un bosco fatato. Non erano proprio le luci di Natale che desiderava, ma in quel momento le sembravano bellissime, forse, merito della compagnia.
Mentre camminavano parlarono come sempre, ma un po' di più e lui sembrava molto più interessato del solito all'Italia e a lei.
Nakamoto era agitato. Fino a quel momento il suo programma era andato bene, tutto era filato liscio, anche se era molto emozionato. Ma Ora? Ora veniva la parte difficile. Ed adesso era spaventato. E se le cose fossero andate male? Ma in fondo lo sapeva, lo aveva sempre saputo, che poteva anche fallire, lo aveva già messo in conto, ma ripeterselo non lo aiutava a calmarsi. Cercò un posto dove potessero sedersi. Se aspettava ancora non avrebbe mai trovato il coraggio di dichiararsi. Indicò il posto a Lando san.
«Rando san, puoi aspettare qui un momento? Devo prendere una cosa.»
«Sí... certo ». Lei sorrideva, ma sembrava un po' confusa e lui non avrebbe saputo dire se era una cosa positiva o negativa, di sicuro aumentava la sua ansia. Lì vicino c'era una pasticceria e lui aveva ordinato una torta di natale. Si augurava solo di aver fatto la scelta giusta.
Sara era seduta, la gente le passava intorno, e le luci erano affascinanti, ma non capiva perché Nakamoto san si era allontanato lasciandola sola. Aveva mille dubbi che le si affollavano in mente. Eppure fino a quel momento la serata era stata perfetta, più di quanto avesse osato sperare. Cercò di non pensare a cose negative, sicuramente c'era una spiegazione, e non era legata a qualcosa che avesse detto o fatto, o almeno lo sperava. Poi lo vide arrivare con un pacchetto in mano e lasciò andare il respiro che inconsciamente aveva trattenuto, mente il cuore ritornava a batterle normalmente... o quasi.
«Torta di Natare!*» Esclamò Nakamoto san, in italiano. Si era sforzato molto di parlare anche in italiano durante la cena e la passeggiata, e sapendo che lo avesse fatto esclusivamente per lei, ne era felice.
«Che bella!» esclamò quando la vide. Era una torta di panna e fragole con una scritta di buon natale, in inglese, e un babbo natale di zucchero. Poi lui accese le candeline, fornite con la torta. Era una scena surreale, loro seduti per strada, con una torta illuminata, mentre la gente li guardava stupita passando velocemente oltre.
Molte persone sembravano sconcertate, ma loro non ci facevano caso, impegnati a sorridersi, mentre spegnevano le candeline.
Sara, aveva appena addentato una fetta di torta, quando lui disse:
«Se devo essere sincero, Rando san, tu mi piaci. Vorrei che fossi la mia ragazza. » Sara, per poco non soffocò. Tutto si aspettava tranne una dichiarazione del genere. Ne era felice, anche lui le piaceva e tanto, ormai lo aveva capito, ma cosa sarebbe successo, se gli avrebbe risposto di sì?
«Nakamoto san, anche tu mi piaci ma...»
«Ma stai per tornare in Italia, lo so. E so anche che stai pensando di trasferirti. Ma sono serio. »
«Davvero? E non ti fa paura la distanza?»
«No, mi fa paura la distanza, e tanto. Per questo, se tu mi dirai di sì, verrò con te. »
«Verrai con me? In che senso?» Lei era confusa e lui cercò di spiegarsi.
«Se tu fossi la mia ragazza, verrei con te a capodanno in Italia. E se tu decidessi di trasferirti, allora anche io chiederei il trasferimento in italia.»
«E se ti dicessi di no?»
«Vorrei che restassimo amici.»
Sara chiuse gli occhi. Aveva bisogno di riflettere. Era vero che le piaceva l'amicizia di Nakamoto, ma era anche vero che quella sera le aveva fatto capire che desiderava di più.
«Non voglio che restiamo solo amici... anch'io vorrei essere la tua ragazza.»
«Ah. .. sono felice!» si guardarono negli occhi, poi si scambiarono un fugace bacio, mentre la gente li guardava con stupore, alcuni scuotevano appena la testa, altri gli lanciavano delle occhiatacce, altri erano solo curiosi. Ma a loro importava solo la loro felicità.
Note esplicative:
*Otsukaresama, è un "saluto" giapponese, non direttamente traducibile in italiano. Suona un po' come un ringraziamento per il lavoro svolto e si usa quando qualcuno ha finito un compito oppure l'orario di lavoro.
**Il nome della protagonista è Sara Lando, ma in giapponese e non esiste il suono "l", esiste il suono "Ra"(il giapponese ha 3 alfabeti, di cui due sillabici ed uno usato per le parole oppure i nomi stranieri.
Natale, traslitterato in giapponese suona come Natare, ma comunque la loro "r" è molto meno forte della "r" italiana.
*** izakaya è un tipico locale giapponese, simile ad un bar oppure un pub, dove la gente va a mangiare e soprattutto a bere.
Re: Natale a Tokyo
Buongiorno Raffaella. Sono contenta che il mio racconto ti sia piaciuto, mi dispiace di non essere riuscita a coinvolgerti di più. Considero comunque una vittoria, il fatto che tu abbia letto qualcosa in giapponese e che ti abbia fatto piacere. Riguardo al fatto che ho chiuso il racconto troppo presto, capisco il tuo punto di vista, ma credo che sia un tipo di racconto che si presti ad un finale aperto. Un finale di un altro tipo sarebbe risultato forzato perché non coerente con il racconto ed i suoi personaggi. Il risultato che vorresti conoscere tu si presta molto di più alla trama di un libro che ad un racconto, secondo me. Ho fatto questa scelta non pre creare suspense ma per due motivazioni: 1) lasciare al lettore la possibilità di immaginare e scegliere la soluzione che più gli aggrada;Raffaella villaschi ha scritto: ↑04/01/2024, 8:33 Sai, mi sentivo impacciata a leggerti, perché il Giapponese non lo parlo e non lo capisco. Però il tuo racconto mi è piaciuto non tantissimo, però accettabile, peccato che lo hai finito presto questo racconto, ho capito come va a finire che si mettono insieme i 2 protagonisti, però dove andranno rimangono in Giappone o andranno in Italia, bene suspense ok, per me è stata una novità a leggere qualcosa in Giapponese, mi ha fatto piacere. Il mio voto è 3.
2) non tradire lo spirito del racconto. I due protagonisti, soprattutto Nakamoto, si sono sforzati molto per trovare il coraggio di dichiararsi, sarebbe contraddittorio se, dopo aver aspettato due anni per riconoscere i loro sentimenti, avessero già deciso tutto nel minimo dettaglio, anziché cercare di capire cosa fare per restare insieme e pianificare piano piano il futuro, un giorno alla volta.
Grazie ancora per avermi letto e per il tuo voto.
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Torno al tuo racconto, dalla scrittura molto densa. Mi ha ricordato un po' il bellissimo Lost in translation della Coppola, con un Bill Murray in stato di grazia che esprimeva tutto il suo ironico distacco da quel Sol Levante così estraneo e respingente nonostante la gentilezza formale (ma non sostanziale) dei sudditi del discendente della dea Amaterasu.
Dal tuo racconto sembra voglia emergere questa impossibilità della protagonista a far parte della società giapponese, nonostante la sua attrazione intellettuale per quel mondo, ma lasci intuire che i giapponesi non vogliano comunque avere a che fare con gli stranieri, che si sforzino, ma sia più forte di loro. Alla fine anche Nakamoto, per essere attrattivo, deve spogliarsi del suo essere nipponico e parlare in italiano e sforzarsi di capire come ragiona un italiano, oltre a essere disposto a trasferirsi in Italia per l'esotica Sara. Come corollario al racconto dai l'impressione che si possa stare in Giappone solo a patto di diventare giapponesi.
A mio parere, mentre in qualsiasi altro paese dell'Occidente è possibile mantenere le proprie radici, perché i riferimenti culturali e religiosi, se non sociali ed economici, sono comuni, lì probabilmente è necessario dimenticare da dove si viene e forse non basterà nemmeno.
Ti segnalo qualche imperfezione e ti offro qualche suggerimento.
«Ostukaresama.*»
«Ostukaresama.» Rispose automaticamente. (Qui andrei a capo) Il saluto si ripeté più volte, fino a quando l'ufficio rimase quasi vuoto. Restavano lei e altri tre colleghi. Anche Nakamoto san era lì. Era un po' di tempo che si trovava a condividere i turni di straordinario con lui. Non era una cosa che le dispiaceva, lui era sempre gentile, e poi era l'unico che conosceva qualche parola di italiano, lì dentro. Eppure le sembrava un po' strano. Scrollò la testa e cercò di stiracchiarsi. Aveva bisogno di allentare la tensione. Il suo gesto le valse qualche occhiataccia dai colleghi (virgola?) a metà tra il rimprovero e lo stupito. Non ci fece caso, era abituata a questo, era lì ormai da quasi due anni. Si era abituata a molte cose, eppure spesso avrebbe voluto scappare.
Era stata l'azienda, giapponese, per cui lavorava in Itala (a) mandarla nella sede centrale (virgola) a Tokyo. Il suo primo pensiero era stato quello di rifiutare. Amava il Giappone, per questo aveva studiato il giapponese all'università, ma un conto era ammirarlo da lontano, o al massimo da turista, un altro era viverci. Però, accettare il trasferimento le avrebbe anche portato alcuni vantaggi. E alla fine si era decisa ad accettare, anche se aveva pensato di richiedere il trasferimento (non è più semplice di tornare) in Italia, dopo un certo periodo. E quell'idea non l'aveva ancora accantonata. Ma neanche aveva fatto qualcosa (in che senso far qualcosa?) per chiedere il trasferimento. Perché? (il perché mi sembra superfluo) Non c'era nulla che la trattenesse in Giappone, ma non c'era neanche nulla che la spingesse a tornare in Italia (da quel che scrivi dopo non si direbbe, né dal contesto generale del racconto. Forse dovresti specificarlo meglio). Certo in Italia aveva la sua famiglia, e qualcuno, pochi in verità, degli amici d'infanzia, ma la sua famiglia riusciva comunque a sentirla regolarmente, e sapeva che i suoi genitori tenevano molto al suo lavoro, e in quel momento aveva buone prospettive per il futuro, se restava in Giappone. Però le costava uno sforzo enorme.
Così restava sospesa, tirando avanti giorno dopo giorno, senza prendere una decisione. Sì stiracchiò di nuovo. Altre occhiatacce. Era stanca di molte cose, e per di più il suo umore era piuttosto depresso. Si stava avvicinando il (Natale) natale, ma quell'anno doveva lavorare e aveva dovuto (il verbo dovere, anche se non sembra, diminuisce la forza del verbo che sostiene) spostare il suo rientro in Italia al periodo di capodanno. Natale in Giappone... ecco una cosa di cui avrebbe fatto a meno. Volentieri. Natale erano luci, suoni e sapori, Natale era aria di casa. E in Giappone non avrebbe trovato nulla di tutto ciò. Certo le luci, gli spettacoli c'erano anche i (n) Giappone, Tokyo si vestiva a festa per (con iniziale maiuscola la festa del Natale) natale, ma non era il natale che voleva. Era un natale di un giorno, con pollo fritto, Stolen o torta alle fragole, che somigliava ad un San Valentino con le luci. Single, lontana da casa, nel periodo della famiglia, in una città che celebrava l'amore di coppia e per di più doveva lavorare. Quest'ultima notizia in realtà era quasi positiva, almeno le avrebbe evitato di chiudersi nella sua stanza, a deprimersi. Tornò a concentrarsi sul suo computer e sul suo lavoro. Se avesse perso tempo avrebbe ottenuto solo lavoro extra.
Finalmente finito. Era pronta a salutare e ad andare via. Miyajima san si era avvicinata alla sua scrivania.
«Otsukaresama.»
«Otsukaresama.» (a capo) Pensava che Myajima si sarebbe allontanata, ed invece era rimasta lì. Perché?
«Rando** san... perché non vieni a bere con noi?» Le chiese, in giapponese. Voleva rifiutare. Non le piaceva mischiare lavoro e vita privata, non che avesse una vita privata. In realtà non voleva stringere legami, in fondo sarebbe stata lì solo temporaneamente. Sorrise. Il solito "chotto", che aveva sulle labbra, però non uscì.
Si ritrovò ad accettare l'invito. Cosa aveva fatto? Ormai non aveva più modo di rimangiarsi la parola, per cui si stampò un sorriso sulle labbra, cercando di sembrare normale.
Ora si trovava seduta in un izakaya***, con tre persone che la fissavano. Myajima, Yamada e Nakamoto san. Si sentiva a disagio ed insicura. Perché diamine aveva accettato? Ma in fondo lo sapeva bene: non voleva trascorrere l'ennesima serata a mangiare ramen istantaneo chiusa nella sua stanza. Gli altri avevano cominciato a bere. Il primo brindisi, a cui lei aveva finto di partecipare, era stato accompagnato dal solito "otsukaresama". Poi aveva perso il conto dei bicchieri, quelli degli altri. Lei aveva davanti ancora il primo bicchiere, da cui ogni tanto fingeva di bere. Le piaceva bere in compagnia, qualche volta, ma in quell'occasione non si sentiva davvero a suo agio. Forse era dovuto al fatto che in quei due anni, aveva eretto un muro con i colleghi oppure era solo malinconia. Passare le feste, in un posto così diverso da casa era pesante. Intanto Myajima e Yamada erano diventati più rumorosi, e sembravano più interessati del solito a lei. Parlavano velocemente in giapponese, riempiendola di domande, e fissandola incuriositi. Nakamoto san, invece sembrava più silenzioso. Perché? Aveva ancora addosso il completo d'ufficio, ma sembrava diverso. Più rilassato. Era affascinante, ma stranamente non lo aveva mai notato prima. Sembrava molto sicuro di sé, ma non era per nulla arrogante. In quel momento, in quell'occasione ben più informale del lavoro sembrava perfettamente a suo agio. Non era bello, Yamada san lo era molto di più, ma non le piaceva. Gli uomini giapponesi erano molto diversi da quelli italiani (e magari qui avresti dovuto specificare il perché di questa diversità. In mancanza il racconto sembra perda quella marcia in più), ma in quei due anni, sebbene non avesse cercato relazioni e neanche appuntamenti, aveva avuto modo di osservare gli uomini e soprattutto modo di guardare qualche drama (?) e leggere delle riviste. Se avesse dovuto dare un giudizio su Yamada san, avrebbe detto che somigliava ad un attore. Ma era troppo perfetto per i suoi gusti. Nakamoto san era meno bello, ma più interessante, più vero. Scosse la testa. Quei pensieri confusi, da dove le erano venuti? Forse la stanchezza, unita a quel bicchiere di birra, che ormai era finito, forse lo stress che stava provando, mentre cercava di stare a (l) passo con la conversazione, che ora si era sposata sullo sport, e si sforzava di sorridere. O più semplicemente stava guardando i suoi colleghi per la prima volta.
Myajima era la persona che più faticava ad inquadrare (anche qui tralasci un qualsiasi raffronto). Al lavoro era sempre silenziosa, eppure a vederla adesso sembrava andare molto d'accordo con i suoi colleghi, anche con Nakamoto san. E si stava sforzando molto di andare d'accordo anche con lei (ma il soggetto della preposizione qual è?).
Non era una situazione del tutto spiacevole, ma neanche riusciva a definirla positiva. Era contenta di passare una serata diversa, non era male parlare con i colleghi e le sembrava che loro cercassero di metterla a suo agio, ma si sentiva un po' un pesce fuori d'acqua.
Qualche volta, si era trovata in difficoltà a rispondere, o sovrappensiero aveva risposto in italiano, e in un paio di occasioni Nakamoto san l'aveva tratta d'impaccio, traducendo per lei oppure sviando la conversazione. Era stato gentile. In realtà lo era sempre, ma ne era ugualmente sorpresa. Non si aspettava che lui fosse così anche fuori dal lavoro. O forse si comportava così perché in fondo era un'uscita tra colleghi? Quasi un prolungamento dell'orario di lavoro? Ma i suoi dubbi non avrebbero avuto risposta e lo sapeva. Yamada san, aveva bevuto molto, ma sembrava ancora pieno di energia, infatti fu lui a proporre di andare al karaoke. Karaoke? Sara sbiancò in volto, mentre Myajima diceva "iku iku" cioè andiamo in giapponese (la precisazione è inutile). Forse a causa della birra, tutti sembravano allegri e poco inclini a finire la serata, e lei si lasciò trascinare dagli eventi.
L'atmosfera al karaoke era allegra e più leggera di quello che si aspettava. Avevano preso una stanza, e i suoi colleghi avevano cominciato ad esibirsi. Myajima era seduta vicino a lei. E ogni tanto faceva qualche commento sulla canzone oppure su chi cantava.
«Myajima san, ho notato che guardi molto Yamada san, ti piace?»
Myajima balbettò qualcosa al riguardo, cercando di sviare la conversazione.
«Scusami, non volevo metterti in imbarazzo.»
«Va bene, va bene. Lavora molto ed è molto serio nel suo lavoro. E a te Rando san, perché ti piace Nakamoto san (forse la ripetizione di tutti quei san, in un dialogo in italiano, non ha molto senso)?» Le piaceva Nakamoto? Forse Myajima aveva davvero bevuto molto.
«No, no, non mi piace in quel senso. Lui è gentile »
«Umm... scommetto che lui ha accettato di uscire solo perché c'era anche Rando san.»
«Eh?» Chiese stupita.
«Nakamoto san, non esce spesso con i colleghi è molto riservato e spesso sta per conto suo.»
«A me non sembra così...» Si lasciò sfuggire, lasciando la frase in sospeso. Avrebbe voluto aggiungere che le sembrava molto amichevole e che con lei era sempre disponibile ad aiutarla, ma non ne ebbe il coraggio, non voleva che l'altra fraintendesse.
«Lavoro con Nakamoto san da 5 anni. È cambiato da quando è arrivata Rando san. Forse a lui piaci.» (a capo) Lei si affrettò a negare. Poi Yamada san chiese a Myajima di cantare e lei poté trarre un respiro di sollievo. Ma l'attimo di calma durò poco.
«Diventano rumorosi quando bevono, vero?» Nakamoto era seduto accanto a lei. Lo guardò brevemente con la coda dell'occhio. Aveva imparato ad osservare chi le stava intorno senza farlo apertamente. Non riusciva a togliersi le parole di Myajima dalla testa.
«Sono gentili.»
«È vero, ma possono essere fastidiosi, qualche volta. Rando san, lavorerai il giorno di Natale?»
«Sí, il 24 e anche il 25 lavoro.» Sospirò.
«Scusa, ma sembri un po' triste.»
«In Italia, (qui forse la virgola è superflua) non si lavora il 25, e poche persone lavorano il 24. »
«Davvero? Sembra che prendiate il Natale molto sul serio.»
«È importante per noi, come per voi il capodanno. »
«Oh capisco. Sembra bello.»
«Sí lo è...non che il Giappone non lo sia...»
«Hai nostalgia dell'Italia?»
«Qualche volta penso di trasferirmi (direi di tornare) di nuovo.»
«Capisco.»Poi Yamada e Myajima si unirono a loro e la conversazione si spostò su altri argomenti.
Nakamoto era alla sua scrivania, gli occhi incollati al monitor, i pensieri altrove. Due scrivanie più avanti, c'era Lando San...Sara san, come la chiamava nei suoi sogni. Si era innamorato di lei quasi due anni fa (prima), quando lei era stata mandata lì dall'Italia, ma non si era mai dichiarato. Aveva cercato di aiutarla, di starle vicino, aveva anche ripreso a studiare italiano per poter parlare di più con lei, ma non aveva fatto altro, si diceva che gli bastava esserle amico, ma adesso non gli bastava più. In tutto quel tempo aveva sempre saputo che lei prima o poi sarebbe tornata a casa sua, e si era preparato mille volte a quel momento. L'anno prima lei era tornata a casa per Natale, e lui ne aveva sofferto, ma sapeva che sarebbe tornata in Giappone, quest'anno era diverso. Lei gli aveva confidato che stava pensando di trasferirsi, e lui sospettava che avrebbe preso una decisione mentre era in Italia, durante le feste di capodanno. Stava per perderla e per quanto si fosse preparato mentalmente, adesso si accorgeva che non voleva perderla. Non in questo modo, senza dirle ciò che provava. Sentiva che doveva fare almeno un tentativo. E quel giorno, si sarebbe dichiarato finalmente. Era un po' preoccupato e non riusciva a concentrasi sul lavoro. Ogni tanto, sbirciava la scrivania di lei, stando attento a non farsi accorgere.
Aveva fatto un programma e voleva seguirlo, ma sapeva che avrebbe potuto anche fallire, era preparato ma quest'ultima ipotesi gli faceva un po' paura.
Sara guardò il computer, era la terza volta che controllava i dati. Voleva solo che quella giornata finisse presto. La sera che era uscita con i colleghi, avevano scambiato i contatti Line. Anche perché Myajima aveva voluto creare un gruppo.
Aveva scritto poco, non le sembrava il caso. Anche Nakamoto san e Yamada avevano scritto poco, la più attiva era proprio Myajima san.
Poi dopo due giorni Nakamoto l'aveva sorpresa. Le aveva mandato la foto di un babbo natale di luci, scrivendole che gli aveva fatto pensare alla loro conversazione. Non era proprio quello che lei definiva "spirito natalizio", ma apprezzava il tentativo di lui di tirarle su il morale.
Ma adesso non voleva pensare a quello. Voleva solo finire il lavoro e andare a casa. Era la Vigilia di Natale. Aveva scritto ai genitori, e anche a due amici in Italia. Si sentiva comunque un po' depressa. Forse se avesse avuto qualcosa da fare...ma era inutile pensarci. Si sarebbe concentrata sul lavoro, poi sarebbe tornata a casa, avrebbe mangiato una cosa al volo e sarebbe andata a letto presto. Il giorno dopo avrebbe lavorato e poi si sarebbe preparata per la partenza. Il 28, (virgola in più) avrebbe preso l'aereo e sarebbe tornata a casa per capodanno. Una volta a casa avrebbe pensato a cosa fare.
Doveva pensare a questo e concentrarsi. Eppure non ci riusciva. Quel giorno oltre a lei lavoravano altri 5 (meglio a lettere) colleghi ed uno di questi era Nakamoto.
Aveva pensato molto, negli ultimi giorni, alle parole di Myajima. E alla fine doveva ammettere che erano vere: le piaceva Nakamoto. Era gentile, conosceva un po' dell'Italia, ma soprattutto era facile parlare con lui, e questo lo aveva capito già due anni fa (prima). Però in quei due anni aveva fatto di tutto per non stringere legami con i colleghi. E adesso si rendeva conto di essersi complicata la vita. La sera in izakaya non era stata poi così terribile e neanche i messaggi di Myajima lo erano.
Cosa doveva fare adesso? Non lo sapeva.
O meglio lo sapeva, in fondo aveva un programma da seguire, ma non ci riusciva, perché tutti i suoi pensieri erano ingarbugliati, e alla fine si concentravano sempre sulla stessa domanda: voleva tornare in Italia o restare in Giappone? E ogni volta che si poneva il quesito il volto di Nakamoto le si affacciava alla mente.
Era davvero confusa.
Finalmente il lavoro era finito, raccolse le sue cose e fece per andarsene. Si voltò e vide il volto di Nakamoto san. Stava lì davanti a lei, sembrava un po' a disagio. Che fosse successo qualcosa?
«Otsukaresama.» Gli disse in automatico.
«Otsukaresama... ecco in realtà... vorrei invitarti a cena...» Una cena tra colleghi? Un appuntamento? Ma cosa andava mai a pensare? Sicuramente sarebbe stata una cena tra colleghi. Forse doveva rifiutare, ma in fondo non aveva nulla da fare e le sarebbe piaciuto passare un po' di tempo con lui.
«Grazie... accetto volentieri ». Nakamoto san le sorrise, rilassandosi quasi avesse trattenuto il fiato fino a quel momento, ma sicuramente lo aveva immaginato.
Nakamoto san l'aveva portata in un ristorante Italiano a Roppongi. Il nome era improbabile, ma la cucina era buona, più di quello che poteva (avrebbe potuto) immaginare.
«Non è l'Italia, e forse non è il Natale che desideri, però volevo vederti contenta.»
«Nakamoto san, sono contenta. Il locale è molto bello e la cucina è buona.»
«Yokatta.» "Menomale!" Disse, e ancora una volta sembrava sollevato. (a capo) Sara era confusa. Era felice che lui avesse fatto un gesto carino per lei...ma non sapeva spiegarsi il perché le sembrava del tutto diverso dalla solita gentilezza che le riservava ogni giorno. Che Myajima avesse ragione? Anche lei piaceva a Nakamoto san? Ma non osava sperarci e poi ciò avrebbe reso tutto più difficile, o forse no?
Dopo la cena, si aspettava che si sarebbero salutati, ed invece lui la stupì ancora.
«La serata non è ancora finita, camminiamo un po'?»
«Certo...» Rispose lei, un po' felice, un po' speranzosa un po' confusa.
Lui la portò a vedere le luci di natale, tutta la strada, era piena di luci che davano sul blu, sembrava un bosco fatato. Non erano proprio le luci di Natale che desiderava, ma in quel momento le sembravano bellissime, forse, merito della compagnia.
Mentre camminavano parlarono come sempre, ma un po' di più e lui sembrava molto più interessato del solito all'Italia e a lei.
Nakamoto era agitato. Fino a quel momento il suo programma era andato bene, tutto era filato liscio, anche se era molto emozionato. Ma Ora? Ora veniva la parte difficile. Ed adesso era spaventato. E se le cose fossero andate male? Ma in fondo lo sapeva, lo aveva sempre saputo, che poteva anche fallire, lo aveva già messo in conto, ma ripeterselo non lo aiutava a calmarsi. Cercò un posto dove potessero sedersi. Se aspettava ancora non avrebbe mai trovato il coraggio di dichiararsi. Indicò il posto a Lando san.
«Rando san, puoi aspettare qui un momento? Devo prendere una cosa.»
«Sí... certo ». Lei sorrideva, ma sembrava un po' confusa e lui non avrebbe saputo dire se era una cosa positiva o negativa, di sicuro aumentava la sua ansia. Lì vicino c'era una pasticceria e lui aveva ordinato una torta di natale. Si augurava solo di aver fatto la scelta giusta.
Sara era seduta, la gente le passava intorno, e le luci erano affascinanti, ma non capiva perché Nakamoto san si era allontanato lasciandola sola. Aveva mille dubbi che le si affollavano in mente. Eppure fino a quel momento la serata era stata perfetta, più di quanto avesse osato sperare. Cercò di non pensare a cose negative, sicuramente c'era una spiegazione, e non era legata a qualcosa che avesse detto o fatto, o almeno lo sperava. Poi lo vide arrivare con un pacchetto in mano e lasciò andare il respiro che inconsciamente aveva trattenuto, mente il cuore ritornava a batterle normalmente... o quasi.
«Torta di Natare!*» Esclamò Nakamoto san, in italiano. Si era sforzato molto di parlare anche in italiano durante la cena e la passeggiata, e sapendo che lo avesse fatto esclusivamente per lei, ne era felice.
«Che bella!» esclamò quando la vide. Era una torta di panna e fragole con una scritta di buon natale, in inglese, e un babbo natale di zucchero. Poi lui accese le candeline, fornite con la torta. Era una scena surreale, loro seduti per strada, con una torta illuminata, mentre la gente li guardava stupita passando velocemente oltre.
Molte persone sembravano sconcertate, ma loro non ci facevano caso, impegnati a sorridersi, mentre spegnevano le candeline.
Sara, aveva appena addentato una fetta di torta, quando lui disse:
«Se devo essere sincero, Rando san, tu mi piaci. Vorrei che fossi la mia ragazza. » Sara, per poco non soffocò. Tutto si aspettava tranne una dichiarazione del genere. Ne era felice, anche lui le piaceva e tanto, ormai lo aveva capito, ma cosa sarebbe successo, se gli avrebbe risposto di sì?
«Nakamoto san, anche tu mi piaci ma...»
«Ma stai per tornare in Italia, lo so. E so anche (che) stai pensando di trasferirti. Ma sono serio. »
«Davvero? E non ti fa paura la distanza?»
«No, mi fa paura la distanza, e tanto. Per questo, se tu mi dirai di sì, verrò con te. »
«Verrai con me? In che senso?» Lei era confusa e lui cercò di spiegarsi.
«Se tu fossi la mia ragazza, verrei con te a capodanno in Italia. E se tu decideresti (decidessi) di trasferirti, allora anche io chiederei il trasferimento in italia.»
«E se ti dicessi di no?»
«Vorrei che restassimo amici.»
Sara chiuse gli occhi. Aveva bisogno di riflettere. Era vero che le piaceva l'amicizia di Nakamoto, ma era anche vero che quella sera le aveva fatto capire che desiderava di più.
«Non voglio che restiamo solo amici... anch'io vorrei essere la tua ragazza.»
«Ah. .. sono felice!» si guardarono negli occhi, poi si scambiarono un fugace bacio, mentre la gente li guardava con stupore, alcuni scuotevano appena la testa, altri gli lanciavano delle occhiatacce, altri erano solo curiosi. Ma a loro importava solo la loro felicità.
IL racconto finisce con un finale lieto che mette tutti in pace, ma al lettore rimangono i dubbi: supereranno i protagonisti i muri culturali? Sarebbe bello leggere una seconda parte con Nakamoto in Italia.
Per la sospensione dell'incredulità, la narrazione deve essere verosimile. Mi chiedo quanto lo sia questa facilità di trasferimento da Italia a Giappone. Ma ci può pure stare. Quello che un po' mi fa storcere il naso è però il tempo. Rando san si trova da due anni in Giappone, eppure dalla descrizione delle uscite coi colleghi non sembrano più di due settimane. Ecco, forse lì un ritocchino lo farei.
Ottimo testo, complimenti.
Re: Natale a Tokyo
Signor Intile, buongiorno, sono lieta che abbia letto e commentato il mio racconto. Chiedo scusa se la correggo, ma è la seconda volta che ci incrociamo. Lei aveva commentato anche il mio racconto nella gara d'autunno. I suoi commenti sono sempre molto completi e mirati, e altresì, per me, molto utili. Ora scrivo da cellulare, ma appena mi metterò al computer provvederò a correggere il racconto, secondo ciò che mi ha consigliato.Namio Intile ha scritto: ↑05/01/2024, 15:27 Ciao, Marirosa. Credo sia la prima volta che ci incrociamo, e mi sono appena accorto che avevi recensito un mio scritto nella pagina personale. Mi dolgo di non averti risposto, ma comunque hai letto bene, il mio intento, palese, era quello da te indicato.
Torno al tuo racconto, dalla scrittura molto densa. Mi ha ricordato un po' il bellissimo Lost in translation della Coppola, con un Bill Murray in stato di grazia che esprimeva tutto il suo ironico distacco da quel Sol Levante così estraneo e respingente nonostante la gentilezza formale (ma non sostanziale) dei sudditi del discendente della dea Amaterasu.
Dal tuo racconto sembra voglia emergere questa impossibilità della protagonista a far parte della società giapponese, nonostante la sua attrazione intellettuale per quel mondo, ma lasci intuire che i giapponesi non vogliano comunque avere a che fare con gli stranieri, che si sforzino, ma sia più forte di loro. Alla fine anche Nakamoto, per essere attrattivo, deve spogliarsi del suo essere nipponico e parlare in italiano e sforzarsi di capire come ragiona un italiano, oltre a essere disposto a trasferirsi in Italia per l'esotica Sara. Come corollario al racconto dai l'impressione che si possa stare in Giappone solo a patto di diventare giapponesi.
A mio parere, mentre in qualsiasi altro paese dell'Occidente è possibile mantenere le proprie radici, perché i riferimenti culturali e religiosi, se non sociali ed economici, sono comuni, lì probabilmente è necessario dimenticare da dove si viene e forse non basterà nemmeno.
Ti segnalo qualche imperfezione e ti offro qualche suggerimento.
«Ostukaresama.*»
«Ostukaresama.» Rispose automaticamente. (Qui andrei a capo) Il saluto si ripeté più volte, fino a quando l'ufficio rimase quasi vuoto. Restavano lei e altri tre colleghi. Anche Nakamoto san era lì. Era un po' di tempo che si trovava a condividere i turni di straordinario con lui. Non era una cosa che le dispiaceva, lui era sempre gentile, e poi era l'unico che conosceva qualche parola di italiano, lì dentro. Eppure le sembrava un po' strano. Scrollò la testa e cercò di stiracchiarsi. Aveva bisogno di allentare la tensione. Il suo gesto le valse qualche occhiataccia dai colleghi (virgola?) a metà tra il rimprovero e lo stupito. Non ci fece caso, era abituata a questo, era lì ormai da quasi due anni. Si era abituata a molte cose, eppure spesso avrebbe voluto scappare.
Era stata l'azienda, giapponese, per cui lavorava in Itala (a) mandarla nella sede centrale (virgola) a Tokyo. Il suo primo pensiero era stato quello di rifiutare. Amava il Giappone, per questo aveva studiato il giapponese all'università, ma un conto era ammirarlo da lontano, o al massimo da turista, un altro era viverci. Però, accettare il trasferimento le avrebbe anche portato alcuni vantaggi. E alla fine si era decisa ad accettare, anche se aveva pensato di richiedere il trasferimento (non è più semplice di tornare) in Italia, dopo un certo periodo. E quell'idea non l'aveva ancora accantonata. Ma neanche aveva fatto qualcosa (in che senso far qualcosa?) per chiedere il trasferimento. Perché? (il perché mi sembra superfluo) Non c'era nulla che la trattenesse in Giappone, ma non c'era neanche nulla che la spingesse a tornare in Italia (da quel che scrivi dopo non si direbbe, né dal contesto generale del racconto. Forse dovresti specificarlo meglio). Certo in Italia aveva la sua famiglia, e qualcuno, pochi in verità, degli amici d'infanzia, ma la sua famiglia riusciva comunque a sentirla regolarmente, e sapeva che i suoi genitori tenevano molto al suo lavoro, e in quel momento aveva buone prospettive per il futuro, se restava in Giappone. Però le costava uno sforzo enorme.
Così restava sospesa, tirando avanti giorno dopo giorno, senza prendere una decisione. Sì stiracchiò di nuovo. Altre occhiatacce. Era stanca di molte cose, e per di più il suo umore era piuttosto depresso. Si stava avvicinando il (Natale) natale, ma quell'anno doveva lavorare e aveva dovuto (il verbo dovere, anche se non sembra, diminuisce la forza del verbo che sostiene) spostare il suo rientro in Italia al periodo di capodanno. Natale in Giappone... ecco una cosa di cui avrebbe fatto a meno. Volentieri. Natale erano luci, suoni e sapori, Natale era aria di casa. E in Giappone non avrebbe trovato nulla di tutto ciò. Certo le luci, gli spettacoli c'erano anche i (n) Giappone, Tokyo si vestiva a festa per (con iniziale maiuscola la festa del Natale) natale, ma non era il natale che voleva. Era un natale di un giorno, con pollo fritto, Stolen o torta alle fragole, che somigliava ad un San Valentino con le luci. Single, lontana da casa, nel periodo della famiglia, in una città che celebrava l'amore di coppia e per di più doveva lavorare. Quest'ultima notizia in realtà era quasi positiva, almeno le avrebbe evitato di chiudersi nella sua stanza, a deprimersi. Tornò a concentrarsi sul suo computer e sul suo lavoro. Se avesse perso tempo avrebbe ottenuto solo lavoro extra.
Finalmente finito. Era pronta a salutare e ad andare via. Miyajima san si era avvicinata alla sua scrivania.
«Otsukaresama.»
«Otsukaresama.» (a capo) Pensava che Myajima si sarebbe allontanata, ed invece era rimasta lì. Perché?
«Rando** san... perché non vieni a bere con noi?» Le chiese, in giapponese. Voleva rifiutare. Non le piaceva mischiare lavoro e vita privata, non che avesse una vita privata. In realtà non voleva stringere legami, in fondo sarebbe stata lì solo temporaneamente. Sorrise. Il solito "chotto", che aveva sulle labbra, però non uscì.
Si ritrovò ad accettare l'invito. Cosa aveva fatto? Ormai non aveva più modo di rimangiarsi la parola, per cui si stampò un sorriso sulle labbra, cercando di sembrare normale.
Ora si trovava seduta in un izakaya***, con tre persone che la fissavano. Myajima, Yamada e Nakamoto san. Si sentiva a disagio ed insicura. Perché diamine aveva accettato? Ma in fondo lo sapeva bene: non voleva trascorrere l'ennesima serata a mangiare ramen istantaneo chiusa nella sua stanza. Gli altri avevano cominciato a bere. Il primo brindisi, a cui lei aveva finto di partecipare, era stato accompagnato dal solito "otsukaresama". Poi aveva perso il conto dei bicchieri, quelli degli altri. Lei aveva davanti ancora il primo bicchiere, da cui ogni tanto fingeva di bere. Le piaceva bere in compagnia, qualche volta, ma in quell'occasione non si sentiva davvero a suo agio. Forse era dovuto al fatto che in quei due anni, aveva eretto un muro con i colleghi oppure era solo malinconia. Passare le feste, in un posto così diverso da casa era pesante. Intanto Myajima e Yamada erano diventati più rumorosi, e sembravano più interessati del solito a lei. Parlavano velocemente in giapponese, riempiendola di domande, e fissandola incuriositi. Nakamoto san, invece sembrava più silenzioso. Perché? Aveva ancora addosso il completo d'ufficio, ma sembrava diverso. Più rilassato. Era affascinante, ma stranamente non lo aveva mai notato prima. Sembrava molto sicuro di sé, ma non era per nulla arrogante. In quel momento, in quell'occasione ben più informale del lavoro sembrava perfettamente a suo agio. Non era bello, Yamada san lo era molto di più, ma non le piaceva. Gli uomini giapponesi erano molto diversi da quelli italiani (e magari qui avresti dovuto specificare il perché di questa diversità. In mancanza il racconto sembra perda quella marcia in più), ma in quei due anni, sebbene non avesse cercato relazioni e neanche appuntamenti, aveva avuto modo di osservare gli uomini e soprattutto modo di guardare qualche drama (?) e leggere delle riviste. Se avesse dovuto dare un giudizio su Yamada san, avrebbe detto che somigliava ad un attore. Ma era troppo perfetto per i suoi gusti. Nakamoto san era meno bello, ma più interessante, più vero. Scosse la testa. Quei pensieri confusi, da dove le erano venuti? Forse la stanchezza, unita a quel bicchiere di birra, che ormai era finito, forse lo stress che stava provando, mentre cercava di stare a (l) passo con la conversazione, che ora si era sposata sullo sport, e si sforzava di sorridere. O più semplicemente stava guardando i suoi colleghi per la prima volta.
Myajima era la persona che più faticava ad inquadrare (anche qui tralasci un qualsiasi raffronto). Al lavoro era sempre silenziosa, eppure a vederla adesso sembrava andare molto d'accordo con i suoi colleghi, anche con Nakamoto san. E si stava sforzando molto di andare d'accordo anche con lei (ma il soggetto della preposizione qual è?).
Non era una situazione del tutto spiacevole, ma neanche riusciva a definirla positiva. Era contenta di passare una serata diversa, non era male parlare con i colleghi e le sembrava che loro cercassero di metterla a suo agio, ma si sentiva un po' un pesce fuori d'acqua.
Qualche volta, si era trovata in difficoltà a rispondere, o sovrappensiero aveva risposto in italiano, e in un paio di occasioni Nakamoto san l'aveva tratta d'impaccio, traducendo per lei oppure sviando la conversazione. Era stato gentile. In realtà lo era sempre, ma ne era ugualmente sorpresa. Non si aspettava che lui fosse così anche fuori dal lavoro. O forse si comportava così perché in fondo era un'uscita tra colleghi? Quasi un prolungamento dell'orario di lavoro? Ma i suoi dubbi non avrebbero avuto risposta e lo sapeva. Yamada san, aveva bevuto molto, ma sembrava ancora pieno di energia, infatti fu lui a proporre di andare al karaoke. Karaoke? Sara sbiancò in volto, mentre Myajima diceva "iku iku" cioè andiamo in giapponese (la precisazione è inutile). Forse a causa della birra, tutti sembravano allegri e poco inclini a finire la serata, e lei si lasciò trascinare dagli eventi.
L'atmosfera al karaoke era allegra e più leggera di quello che si aspettava. Avevano preso una stanza, e i suoi colleghi avevano cominciato ad esibirsi. Myajima era seduta vicino a lei. E ogni tanto faceva qualche commento sulla canzone oppure su chi cantava.
«Myajima san, ho notato che guardi molto Yamada san, ti piace?»
Myajima balbettò qualcosa al riguardo, cercando di sviare la conversazione.
«Scusami, non volevo metterti in imbarazzo.»
«Va bene, va bene. Lavora molto ed è molto serio nel suo lavoro. E a te Rando san, perché ti piace Nakamoto san (forse la ripetizione di tutti quei san, in un dialogo in italiano, non ha molto senso)?» Le piaceva Nakamoto? Forse Myajima aveva davvero bevuto molto.
«No, no, non mi piace in quel senso. Lui è gentile »
«Umm... scommetto che lui ha accettato di uscire solo perché c'era anche Rando san.»
«Eh?» Chiese stupita.
«Nakamoto san, non esce spesso con i colleghi è molto riservato e spesso sta per conto suo.»
«A me non sembra così...» Si lasciò sfuggire, lasciando la frase in sospeso. Avrebbe voluto aggiungere che le sembrava molto amichevole e che con lei era sempre disponibile ad aiutarla, ma non ne ebbe il coraggio, non voleva che l'altra fraintendesse.
«Lavoro con Nakamoto san da 5 anni. È cambiato da quando è arrivata Rando san. Forse a lui piaci.» (a capo) Lei si affrettò a negare. Poi Yamada san chiese a Myajima di cantare e lei poté trarre un respiro di sollievo. Ma l'attimo di calma durò poco.
«Diventano rumorosi quando bevono, vero?» Nakamoto era seduto accanto a lei. Lo guardò brevemente con la coda dell'occhio. Aveva imparato ad osservare chi le stava intorno senza farlo apertamente. Non riusciva a togliersi le parole di Myajima dalla testa.
«Sono gentili.»
«È vero, ma possono essere fastidiosi, qualche volta. Rando san, lavorerai il giorno di Natale?»
«Sí, il 24 e anche il 25 lavoro.» Sospirò.
«Scusa, ma sembri un po' triste.»
«In Italia, (qui forse la virgola è superflua) non si lavora il 25, e poche persone lavorano il 24. »
«Davvero? Sembra che prendiate il Natale molto sul serio.»
«È importante per noi, come per voi il capodanno. »
«Oh capisco. Sembra bello.»
«Sí lo è...non che il Giappone non lo sia...»
«Hai nostalgia dell'Italia?»
«Qualche volta penso di trasferirmi (direi di tornare) di nuovo.»
«Capisco.»Poi Yamada e Myajima si unirono a loro e la conversazione si spostò su altri argomenti.
Nakamoto era alla sua scrivania, gli occhi incollati al monitor, i pensieri altrove. Due scrivanie più avanti, c'era Lando San...Sara san, come la chiamava nei suoi sogni. Si era innamorato di lei quasi due anni fa (prima), quando lei era stata mandata lì dall'Italia, ma non si era mai dichiarato. Aveva cercato di aiutarla, di starle vicino, aveva anche ripreso a studiare italiano per poter parlare di più con lei, ma non aveva fatto altro, si diceva che gli bastava esserle amico, ma adesso non gli bastava più. In tutto quel tempo aveva sempre saputo che lei prima o poi sarebbe tornata a casa sua, e si era preparato mille volte a quel momento. L'anno prima lei era tornata a casa per Natale, e lui ne aveva sofferto, ma sapeva che sarebbe tornata in Giappone, quest'anno era diverso. Lei gli aveva confidato che stava pensando di trasferirsi, e lui sospettava che avrebbe preso una decisione mentre era in Italia, durante le feste di capodanno. Stava per perderla e per quanto si fosse preparato mentalmente, adesso si accorgeva che non voleva perderla. Non in questo modo, senza dirle ciò che provava. Sentiva che doveva fare almeno un tentativo. E quel giorno, si sarebbe dichiarato finalmente. Era un po' preoccupato e non riusciva a concentrasi sul lavoro. Ogni tanto, sbirciava la scrivania di lei, stando attento a non farsi accorgere.
Aveva fatto un programma e voleva seguirlo, ma sapeva che avrebbe potuto anche fallire, era preparato ma quest'ultima ipotesi gli faceva un po' paura.
Sara guardò il computer, era la terza volta che controllava i dati. Voleva solo che quella giornata finisse presto. La sera che era uscita con i colleghi, avevano scambiato i contatti Line. Anche perché Myajima aveva voluto creare un gruppo.
Aveva scritto poco, non le sembrava il caso. Anche Nakamoto san e Yamada avevano scritto poco, la più attiva era proprio Myajima san.
Poi dopo due giorni Nakamoto l'aveva sorpresa. Le aveva mandato la foto di un babbo natale di luci, scrivendole che gli aveva fatto pensare alla loro conversazione. Non era proprio quello che lei definiva "spirito natalizio", ma apprezzava il tentativo di lui di tirarle su il morale.
Ma adesso non voleva pensare a quello. Voleva solo finire il lavoro e andare a casa. Era la Vigilia di Natale. Aveva scritto ai genitori, e anche a due amici in Italia. Si sentiva comunque un po' depressa. Forse se avesse avuto qualcosa da fare...ma era inutile pensarci. Si sarebbe concentrata sul lavoro, poi sarebbe tornata a casa, avrebbe mangiato una cosa al volo e sarebbe andata a letto presto. Il giorno dopo avrebbe lavorato e poi si sarebbe preparata per la partenza. Il 28, (virgola in più) avrebbe preso l'aereo e sarebbe tornata a casa per capodanno. Una volta a casa avrebbe pensato a cosa fare.
Doveva pensare a questo e concentrarsi. Eppure non ci riusciva. Quel giorno oltre a lei lavoravano altri 5 (meglio a lettere) colleghi ed uno di questi era Nakamoto.
Aveva pensato molto, negli ultimi giorni, alle parole di Myajima. E alla fine doveva ammettere che erano vere: le piaceva Nakamoto. Era gentile, conosceva un po' dell'Italia, ma soprattutto era facile parlare con lui, e questo lo aveva capito già due anni fa (prima). Però in quei due anni aveva fatto di tutto per non stringere legami con i colleghi. E adesso si rendeva conto di essersi complicata la vita. La sera in izakaya non era stata poi così terribile e neanche i messaggi di Myajima lo erano.
Cosa doveva fare adesso? Non lo sapeva.
O meglio lo sapeva, in fondo aveva un programma da seguire, ma non ci riusciva, perché tutti i suoi pensieri erano ingarbugliati, e alla fine si concentravano sempre sulla stessa domanda: voleva tornare in Italia o restare in Giappone? E ogni volta che si poneva il quesito il volto di Nakamoto le si affacciava alla mente.
Era davvero confusa.
Finalmente il lavoro era finito, raccolse le sue cose e fece per andarsene. Si voltò e vide il volto di Nakamoto san. Stava lì davanti a lei, sembrava un po' a disagio. Che fosse successo qualcosa?
«Otsukaresama.» Gli disse in automatico.
«Otsukaresama... ecco in realtà... vorrei invitarti a cena...» Una cena tra colleghi? Un appuntamento? Ma cosa andava mai a pensare? Sicuramente sarebbe stata una cena tra colleghi. Forse doveva rifiutare, ma in fondo non aveva nulla da fare e le sarebbe piaciuto passare un po' di tempo con lui.
«Grazie... accetto volentieri ». Nakamoto san le sorrise, rilassandosi quasi avesse trattenuto il fiato fino a quel momento, ma sicuramente lo aveva immaginato.
Nakamoto san l'aveva portata in un ristorante Italiano a Roppongi. Il nome era improbabile, ma la cucina era buona, più di quello che poteva (avrebbe potuto) immaginare.
«Non è l'Italia, e forse non è il Natale che desideri, però volevo vederti contenta.»
«Nakamoto san, sono contenta. Il locale è molto bello e la cucina è buona.»
«Yokatta.» "Menomale!" Disse, e ancora una volta sembrava sollevato. (a capo) Sara era confusa. Era felice che lui avesse fatto un gesto carino per lei...ma non sapeva spiegarsi il perché le sembrava del tutto diverso dalla solita gentilezza che le riservava ogni giorno. Che Myajima avesse ragione? Anche lei piaceva a Nakamoto san? Ma non osava sperarci e poi ciò avrebbe reso tutto più difficile, o forse no?
Dopo la cena, si aspettava che si sarebbero salutati, ed invece lui la stupì ancora.
«La serata non è ancora finita, camminiamo un po'?»
«Certo...» Rispose lei, un po' felice, un po' speranzosa un po' confusa.
Lui la portò a vedere le luci di natale, tutta la strada, era piena di luci che davano sul blu, sembrava un bosco fatato. Non erano proprio le luci di Natale che desiderava, ma in quel momento le sembravano bellissime, forse, merito della compagnia.
Mentre camminavano parlarono come sempre, ma un po' di più e lui sembrava molto più interessato del solito all'Italia e a lei.
Nakamoto era agitato. Fino a quel momento il suo programma era andato bene, tutto era filato liscio, anche se era molto emozionato. Ma Ora? Ora veniva la parte difficile. Ed adesso era spaventato. E se le cose fossero andate male? Ma in fondo lo sapeva, lo aveva sempre saputo, che poteva anche fallire, lo aveva già messo in conto, ma ripeterselo non lo aiutava a calmarsi. Cercò un posto dove potessero sedersi. Se aspettava ancora non avrebbe mai trovato il coraggio di dichiararsi. Indicò il posto a Lando san.
«Rando san, puoi aspettare qui un momento? Devo prendere una cosa.»
«Sí... certo ». Lei sorrideva, ma sembrava un po' confusa e lui non avrebbe saputo dire se era una cosa positiva o negativa, di sicuro aumentava la sua ansia. Lì vicino c'era una pasticceria e lui aveva ordinato una torta di natale. Si augurava solo di aver fatto la scelta giusta.
Sara era seduta, la gente le passava intorno, e le luci erano affascinanti, ma non capiva perché Nakamoto san si era allontanato lasciandola sola. Aveva mille dubbi che le si affollavano in mente. Eppure fino a quel momento la serata era stata perfetta, più di quanto avesse osato sperare. Cercò di non pensare a cose negative, sicuramente c'era una spiegazione, e non era legata a qualcosa che avesse detto o fatto, o almeno lo sperava. Poi lo vide arrivare con un pacchetto in mano e lasciò andare il respiro che inconsciamente aveva trattenuto, mente il cuore ritornava a batterle normalmente... o quasi.
«Torta di Natare!*» Esclamò Nakamoto san, in italiano. Si era sforzato molto di parlare anche in italiano durante la cena e la passeggiata, e sapendo che lo avesse fatto esclusivamente per lei, ne era felice.
«Che bella!» esclamò quando la vide. Era una torta di panna e fragole con una scritta di buon natale, in inglese, e un babbo natale di zucchero. Poi lui accese le candeline, fornite con la torta. Era una scena surreale, loro seduti per strada, con una torta illuminata, mentre la gente li guardava stupita passando velocemente oltre.
Molte persone sembravano sconcertate, ma loro non ci facevano caso, impegnati a sorridersi, mentre spegnevano le candeline.
Sara, aveva appena addentato una fetta di torta, quando lui disse:
«Se devo essere sincero, Rando san, tu mi piaci. Vorrei che fossi la mia ragazza. » Sara, per poco non soffocò. Tutto si aspettava tranne una dichiarazione del genere. Ne era felice, anche lui le piaceva e tanto, ormai lo aveva capito, ma cosa sarebbe successo, se gli avrebbe risposto di sì?
«Nakamoto san, anche tu mi piaci ma...»
«Ma stai per tornare in Italia, lo so. E so anche (che) stai pensando di trasferirti. Ma sono serio. »
«Davvero? E non ti fa paura la distanza?»
«No, mi fa paura la distanza, e tanto. Per questo, se tu mi dirai di sì, verrò con te. »
«Verrai con me? In che senso?» Lei era confusa e lui cercò di spiegarsi.
«Se tu fossi la mia ragazza, verrei con te a capodanno in Italia. E se tu decideresti (decidessi) di trasferirti, allora anche io chiederei il trasferimento in italia.»
«E se ti dicessi di no?»
«Vorrei che restassimo amici.»
Sara chiuse gli occhi. Aveva bisogno di riflettere. Era vero che le piaceva l'amicizia di Nakamoto, ma era anche vero che quella sera le aveva fatto capire che desiderava di più.
«Non voglio che restiamo solo amici... anch'io vorrei essere la tua ragazza.»
«Ah. .. sono felice!» si guardarono negli occhi, poi si scambiarono un fugace bacio, mentre la gente li guardava con stupore, alcuni scuotevano appena la testa, altri gli lanciavano delle occhiatacce, altri erano solo curiosi. Ma a loro importava solo la loro felicità.
IL racconto finisce con un finale lieto che mette tutti in pace, ma al lettore rimangono i dubbi: supereranno i protagonisti i muri culturali? Sarebbe bello leggere una seconda parte con Nakamoto in Italia.
Per la sospensione dell'incredulità, la narrazione deve essere verosimile. Mi chiedo quanto lo sia questa facilità di trasferimento da Italia a Giappone. Ma ci può pure stare. Quello che un po' mi fa storcere il naso è però il tempo. Rando san si trova da due anni in Giappone, eppure dalla descrizione delle uscite coi colleghi non sembrano più di due settimane. Ecco, forse lì un ritocchino lo farei.
Ottimo testo, complimenti.
Sicuramente vivere in Giappone, come nel resto dell'oriente non è facile, la cultura e le usanze sono molto diverse, e certamente è quanto ha sperimentato la protagonista del mio racconto. Ma è anche vero che la capacità di vivere in Giappone è molto soggettiva. Conosco molti italiani che vivono in Giappone e si sono ben integrati, senza rinnegare le proprie origini, certo molto dipende dal posto dove si vive, dal lavoro che si svolge etc. La maggioranza dei giapponesi è refrattaria ai cambiamenti e anche agli stranieri, gli altri sono seriamente incuriositi o attratti dalla cultura occidentale, tra questi molti sono interessati all'Italia.
I muri culturali ci sono, ma si possono anche abbattere, un po' di pazienza, un po' di sforzo e la volontà di capirsi a vicenda. Certo non è facile trasferirsi dall'Italia al Giappone, e viceversa, ma con alcuni tipi di lavoro è fattibile.
Riguardo al lato sentimentale esistono molte coppie italo-giapponesi, io stessa ne sono un esempio, avendo un marito giapponese.
Per quanto riguarda il tempo del mio racconto, è vero che Sara è lì da due anni, ma è anche vero che solo nelle ultime settimane si sia decisa ad avere un contatto un po' meno superficiale con i suoi colleghi e quindi abbia deciso di uscire con loro, vincendo la sua paura di stringere legami e conoscenze.
La ringrazio ancora per il suo commento.
- Alberto Marcolli
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commento Natale a Tokyo
Esempio - e invece – e adesso – a inquadrare -
… lavorava in Itala ... – Italia
… E alla fine si era decisa ad accettare – Proposta - E alla fine si era decisa, (ad accettare è implicito)
un pesce fuori d'acqua. - un pesce fuor d'acqua.
… avvicinando il natale, - Natale
… Sembrava molto sicuro di sé, ma non era per nulla arrogante. In quel momento, in quell'occasione ben più informale del lavoro sembrava… - sembrava … sembrava
…Lui è gentile » - Lui è gentile.»
… Il giorno dopo avrebbe lavorato e poi si sarebbe preparata per la partenza. Il 28, avrebbe preso l'aereo e sarebbe tornata a casa per capodanno. Una volta a casa avrebbe… - avrebbe … avrebbe … avrebbe
…per voi il capodanno. » - per voi il capodanno.»
… se gli avrebbe risposto di sì? - … se gli avesse risposto di sì?
«Capisco.»Poi Yamada e Myajima si unirono a loro e la conversazione si spostò su altri argomenti.
Meglio:
«Capisco.»
Poi Yamada e Myajima si unirono a loro e la conversazione si spostò su altri argomenti.
i Giappone, Tokyo si vestiva a festa per natale, ma non era il natale – refuso – in Giappone, Tokyo si vestiva a festa per natale, ma non era il natale – refuso - Natale
«Sí lo è...non che il… - «Sì lo è... non che il...
Refuso - … non riusciva a concentrasi sul lavoro… - concentrarsi
«Grazie... accetto volentieri ». - «Grazie... accetto volentieri».
«Sí... certo ». - «Sì... certo ».
Vorrei che fossi la mia ragazza. » - Vorrei che fossi la mia ragazza.»
… E se tu decideresti di trasferirti, - … E se tu decidessi di trasferirti,
Ma sono serio. » - Ma sono serio.»
… tu mi dirai di sì, verrò con te. » - … tu mi dirai di sì, verrò con te.»
… chiederei il trasferimento in italia.» - Italia
«Ah. .. sono felice!» - «Ah... sono felice!»
Il verbo sembrava ricorre ben venti volte. Propongo di usare anche dei sinonimi.
Commento
Ho cercato di segnalare più che ho potuto, anche se confusamente, ma in verità servirebbe una revisione profonda, non perché la scrittura sia scorretta o spiacevole, ma è la scorrevolezza che zoppica (a mio parere).
Terminata la prima lettura di verifica del testo, ho riletto il racconto per valutarne la storia e la sua capacità di suscitare emozioni, o semplicemente interessare per l’argomento trattato.
Cosa posso dire su questi punti essenziali?
La storia non è certo nuova.
Le emozioni? Meglio. Per lo meno mi ha suscitato il desiderio di vederne l'epilogo, anche se alla fine non lo hai svelato.
Interesse? Beh! Meglio in Giappone che a Milano.
Si lascia leggere. Voto 3
Re: Natale a Tokyo
Re: Natale a Tokyo
Capisco che questo genere possa non piacere a tutti, ma in fondo piacere a tutti è una pura utopia. Forse alcuni elementi, più vicini all' immaginario collettivo, e ben distanti dal Giappone, avrebbero attratto più pubblico, ma a che pro? In fin dei conti ogni storia è unica, anche la più semplice e scontata, forse bisogna guardarla dalla giusta angolazione.
Scrivo sempre ciò che mi ispira, ma non credo di non pensare a chi potrebbe leggermi. Non sempre riesco a raggiungere tutti, ma lo metto sempre in conto. Penso che se si cominciasse a scrivere solo ed esclusivamente quello che potrebbe piacere a chi ci legge allora non avrebbe senso scrivere. Ogni periodo ha le sue mode, le storie che sono più in voga, cosa accadrebbe se tutti scrivessero più o meno le stesse storie? Lei ha perfettamente ragione quando dice che bisogna trovare il giusto equilibrio, tra ciò che si vuole scrivere e ciò che gli altri vorrebbero leggere. Certo, questo equilibrio è molto difficile da trovare, e forse in una certa misura, a mio modesto avviso, utopico. Ci sarà sempre qualcosa che non piacerà a qualcuno, il stessa come lettrice non riesco ad apprezzare tutto quello che leggo. Grazie per aver commentato, è bello leggere i diversi pareri, soprattutto quando questi sono accompagnati da buone riflessioni. E grazie mille per il voto, sia quello che voleva esprimere, che quello "scivolato"...
Re: Natale a Tokyo
Grazie infinite, per aver letto il mio racconto e per averlo recensito con attenzione ed in modo positivo. Sono contenta che i miei personaggi siano risultati credibile e che la lettura del racconto le sia sembrata facile e coinvolgente. Sono stata contenta di leggere la sua recensione.Xarabass ha scritto: ↑01/02/2024, 11:09 il racconto è ben strutturato e coinvolgente. La storia è ben sviluppata e i personaggi sono caratterizzati in modo realistico e credibile. La protagonista, Sara, è una donna forte e indipendente, che si ritrova a dover fare i conti con i propri sentimenti e con le proprie ambizioni. Nakamoto è un uomo gentile e premuroso, che è disposto a fare grandi sacrifici per amore. Il racconto è scritto in modo scorrevole e piacevole. L'autrice utilizza un linguaggio semplice e diretto, che rende la lettura facile e coinvolgente. La narrazione è fluida e coinvolgente, e l'autore riesce a creare un'atmosfera di suspense e romanticismo.
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sei stata la prima a commentare il mio racconto, e ti restituisco la cortesia.
Qui su BA ci sono fior fiori di scrittori davvero bravi nello spiegare tecniche e tutto il resto, ma a me piacciono essenzialmente le storie. Non è un modo per trascurare quello che loro suggeriscono, ma:
1) se lo dicono già loro, io posso solo apprendere (e non aggiungerei un grano);
2) qualcosa privo di storia, anche ben scritto, resta privo di storia.
E il tuo racconto a me è piaciuto.
Non so, sarà che ho un amico di gioventù che vive lì e la tua Sara mi ha ricordato tante cose che lui mi ha raccontato. Sarà che ho una figlia innamorata del Giappone (e ovviamente temo/spero che un giorno, chissà...), ma il tuo racconto mi è da subito sembrato così autentico da meritare immediatamente il mio gradimento.
E basta, non credo serva altro, ad un racconto. Al limite, raccomandazioni ai personaggi, come quella di esplorare ciò che di bello la vita ha da offrire, e mi pare che Sara sia avviata lungo la buona strada.
E poi, chissà, visto che amava tanto il Giappone, viverlo con Nakamoto san può essere un modo di scoprirlo da quel punto di vista che solo un autoctono può vedere. In fin dei conti, credo sarebbe più difficile il contrario (Nakamoto san adattarsi all'Italia? Come lo vedo male!)
Voto... 4. Ora divento tecnico io: è una storia reale, con non grandi sobbalzi se non per chi la vive. È la storia più bella del mondo e al tempo stesso la più semplice. Puoi prendere questo "4" come un voto massimo, in tal senso, ma credo che scrivere su BA significhi anche voler apprendere a sfondare la pagina, e il tuo racconto, per sua stessa natura, non lo fa. Credo che nemmeno ci provi.
Ti assicuro che vorrei vedere più racconti come il tuo (e invece siamo piagati da cose che mirano solo all'effetto speciale e poi mancano proprio di storia).
Spero di poterti leggere ancora, con maggiori aspirazioni.
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storia piuttosto classica, abbastanza ben esposta e con buone descrizioni.
certo non è un tema nuovo, tutt'altro, però riesci a esprimere le sensazioni e le emozioni della protagonista, csa non facile.
ho notato alcune ripetizioni e qualche errore, ma niente di particolarmente grave.
bel lavoro
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Re: Natale a Tokyo
Spero davvero di avere il piacere di rileggere uno dei suoi racconti, e che lei ancora commenti qualche mio scritto, in futuro. E magari sì la prossima volta riuscirò a stupirla e a creare una storia che buchi la pagina, pur restando credibile, chissà. Ancora grazie.
Re: Natale a Tokyo
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Il racconto è piaciuto anche a me: riesce a coinvolgere abbastanza il lettore, che può identificarsi con le ansie e le emozioni dei protagonisti. Ho una sola osservazione e, se vuoi, un suggerimento. Il racconto è in terza persona però "entra" nella mente di entrambi, lui e lei. Forse usando l'espediente pirandelliano di identificare il narratore col protagonista, alternandolo (ossia, con una narrazione soggettiva di lei e di lui), avresti ottenuto un coinvolgimento ancora maggiore del lettore e avresti potuto motivare meglio le scelte dei protagonisti.
Saluti, a rileggerti
Vivere con 500 euro al mese nonostante Equitalia
la normale vita quotidiana così come dovrebbe essere
Vi voglio dimostrare come con un po' di umiltà, di fantasia e di buon senso si possa vivere in questa caotica società, senza possedere grandi stipendi e perfino con Equitalia alle calcagna. Credetemi: è possibile, ed è bellissimo!
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Metropolis
antologia di opere ispirate da un ambiente metropolitano
Cosa succede in città? - Sì, è il titolo di una nota canzone, ma è anche la piazza principale in cui gli autori, mossi dal flash-mob del nostro concorso letterario, si sono dati appuntamento per raccontarci le loro fantasie metropolitane.
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La Paura fa 90
90 racconti da 666 parole
Questo libro è una raccolta dei migliori testi che hanno partecipato alla selezione per l'antologia La Paura fa 90. Ci sono 90 racconti da non più di 666 parole. A chiudere l'antologia c'è un bellissimo racconto del maestro dell'horror Danilo Arona. Leggete questa antologia con cautela e a piccole dosi, perché altrimenti correte il rischio di avere terribili incubi!
A cura di Alessandro Napolitano e Massimo Baglione.
Contiene opere di: Maria Arca, Pia Barletta, Ariase Barretta, Cristiana Bartolini, Eva Bassa, Maria Cristina Biasoli, Patrizia Birtolo, Andrea Borla, Michele Campagna, Massimiliano Campo, Claudio Candia, Carmine Cantile, Riccardo Carli Ballola, Matteo Carriero, Polissena Cerolini, Tommaso Chimenti, Leonardo Colombi, Alessandro M. Colombo, Lorenzo Coltellacci, Lorenzo Crescentini, Igor De Amicis, Diego Di Dio, Angela Di Salvo, Stefano di Stasio, Bruno Elpis, Valeria Esposito, Dante Esti, Greta Fantini, Emilio Floretto Sergi, Caterina Franciosi, Mario Frigerio, Riccardo Fumagalli, Franco Fusè, Matteo Gambaro, Roberto Gatto, Gianluca Gendusa, Giorgia Rebecca Gironi, Vincenza Giubilei, Emiliano Gotelli, Fabio Granella, Mauro Gualtieri, Roberto Guarnieri, Giuseppe Guerrini, Joshi Spawnbrød, Margherita Lamatrice, Igor Lampis, Tania Maffei, Giuseppe Mallozzi, Stefano Mallus, Matteo Mancini, Claudia Mancosu, Azzurra Mangani, Andrea Marà, Manuela Mariani, Lorenzo Marone, Marco Marulli, Miriam Mastrovito, Elisa Matteini, Raffaella Munno, Alessandro Napolitano, Roberto Napolitano, Giuseppe Novellino, Sergio Oricci, Amigdala Pala, Alex Panigada, Federico Pergolini, Maria Lidia Petrulli, Daniele Picciuti, Sonia Piras, Gian Filippo Pizzo, Lorenzo Pompeo, Massimiliano Prandini, Marco Ricciardi, Tiziana Ritacco, Angelo Rosselli, Filippo Santaniello, Gianluca Santini, Emma Saponaro, Francesco Scardone, Giacomo Scotti, Ser Stefano, Antonella Spennacchio, Ilaria Spes, Antonietta Terzano, Angela Maria Tiberi, Anna Toro, Alberto Tristano, Giuseppe Troccoli, Cosimo Vitiello, Alain Voudì, Danilo Arona.
La Gara 16 - Cinque personaggi in cerca di storie
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Gara d'estate 2023 - La passe - e gli altri racconti
A cura di Massimo Baglione.
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La Gara 2 - 7 modi originali di togliere/togliersi la vita
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