Il cappellaio
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Il cappellaio
Il cappellaio era il decano dei commercianti della zona, e per tal motivo era sovente interpellato dai suoi colleghi su questioni spicciole che riguardavano fatti di ordinaria convivenza. Un riguardo, questo, cui il cappellaio teneva particolarmente, e di cui faceva modo di vanto in ogni conversazione. Non si era mai posto il problema di come lo vedessero gli altri ritenendo che non potesse discostarsi da quello che lui pensava di se stesso. Si sedette dietro al bancone in attesa dei rari clienti, posto da cui non si sarebbe spostato fino all’ora di chiusura, nemmeno per pranzare, preferendo ordinare il cibo in una rosticceria vicina. Da quando era morta la moglie, passava più tempo possibile nel suo negozio. Le silenziose stanze della sua abitazione amplificavano quel senso di stordimento del quale era preda ogni volta che vi faceva ritorno.
La visita di una mezza dozzina di clienti scandì tranquillamente il tempo, e il mezzogiorno fu annunciato dal sopraggiungere del garzone della rosticceria, che lasciò il vassoio con le pietanze sul retro. Il cappellaio consumò il suo pasto con la consueta, inaudita lentezza. Ogni movimento, ogni gesto sembrava codificato da un prontuario. Il piccolo mondo del cappellaio reclamava il suo onorario, che questi regolava quotidianamente staccando i propri giorni come i fogli di un calendario.
Terminato di mangiare, allungò una mano per prendere un quotidiano appoggiato lì vicino, un’edizione del giorno prima che prendeva dal giornalaio di fronte, cui aveva tempo addietro regalato dei vecchi cappelli. A lui interessava solo la pagina locale, cui approdò velocemente ignorando le altre sezioni del giornale. Un piccolo articolo, una notiziola di poca importanza attirò la sua attenzione. Lo lesse e lo rilesse più volte. Diceva che nella giornata di domani, alle ore sedici e trenta, si sarebbe inaugurata la nuova lavanderia moderna, in via dei Musici al civico quarantasei.
Allibito, rilesse di nuovo quelle poche righe e verificò che il giornale fosse del giorno precedente. Non c’era niente da fare, non lo avevano avvertito. Era la prima volta che accadeva, e lui non riusciva a interpretare quell’evenienza se non come una chiara mancanza di rispetto. Nel silenzio della sua solitudine maturò rapidamente delle sensazioni da sempre ritenute aliene al suo carattere. Inquietudine prima, rabbia poi, infine rancore.
In breve il distillato di una vita mediocre trascorsa nell’ignavia, vissuta nella vana ricerca non di un significato, che avrebbe comportato la necessità di porsi delle domande, ma di uno scopo che potesse spiegargli il perché, in un dato momento, il proprio corpo avesse preso vita, avvelenò la sua esistenza.
Provando un senso di soffocamento spinse il suo sguardo oltre la vetrina, valicando quel confine che da sempre considerava il recinto delle proprie emozioni. L’acciottolato, lucido, rifletteva la luce dei lampioni e delle vetrine dei negozi, disegnando un sentiero luminoso che si snodava lungo la via. Quelle domande mai formulate cominciarono a prendere forma reclamando d’improvviso risposte che non poteva, se anche avesse voluto, fornire. Ora la vetrina del negozio del cappellaio però era spenta e la saracinesca abbassata. Stava ritornando a casa sotto la pioggia, scaricata a terra con difficoltà dalle falde del suo borsalino, lo sguardo vitreo e la mente persa in pensieri di complotti orditi ai suoi danni. Al suo braccio, inerte, pendeva l’ombrello chiuso. Non udì la voce dei due che in lontananza lo stavano chiamando cercando inoltre di attirare la sua attenzione con ampi movimenti delle braccia.
Appena entrato in casa sistemò per bene il suo ombrello in maniera che non bagnasse il pavimento, appoggiò soprabito e cappello sull’appendiabiti, tolse le scarpe e si distese sul letto, nell’oscurità della sua camera. Lentamente allungò un braccio a lato, appoggiandolo sulla coperta. Rassicurato da quel contatto, si addormentò. Lo trovarono dopo una settimana, nella stessa posizione in cui si era addormentato. Un infarto gli aveva lacerato il cuore. Di fianco al cadavere solo un vecchio quotidiano.
Le vetrine spente del negozio del cappellaio, intanto, mostravano la solita merce, cui i solitari viandanti più non gettavano le consuete, fugaci occhiate. Sopra i cappelli, per la prima volta, si poteva notare un po’ di polvere.
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Re: Il cappellaio
Buona Gara!
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se devo essere sincero, ti dico che non ho capito del tutto la storia. meglio, probabilmente non ho capito la parte finale, quando muore. non afferro alcune cose, tipo i due che lo chiamano.
credo sia un limite mio, comunque.
per il resto devo dire che è scritto bene, con pochissimi refusi, quindi, da questo lato, ti faccio i miei complimenti.
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Fai attenzione anche quando dici che il cappellaio era interpellato dagli altri negozianti e che ne andava fiero, perché subito dopo cadi in contraddizione aggiungendo che non gli interessava sostanzialmente il parere degli altri.
Ingarbugliata anche la parte centrale del pezzo in cui rifletti sulla mediocrità della sua vita. Frase lunga che va sistemata e semplificata con dei punti.
La forza del racconto è nelle riflessioni esistenziali legate alla scoperta che fa il cappellaio di non essere il fulcro della piccola comunità in cui vive. Prima di leggere il giornale non si era mai schiodato dalla concretezza dei suoi rituali e delle sue convinzioni che lo rassicuravano un po’. Ora non crede più che la vita abbia un senso. La sua mediocrità sta forse nel non saper più riconoscere nei luoghi della sua esistenza (negozio sempre meno frequentato, casa ormai silenziosa e vuota, quartiere in cui viene ignorato) quello scopo che aveva pensato di possedere nella considerazione che gli altri avevano di lui. E il cappellaio non concepisce alcun cambio di copione perché è incapace di esperire un ruolo diverso da quello che ha sempre avuto. È rimasto solo, non c’è più nessuno che possa giustificare la sua presenza. Persino la sua uscita di scena silenziosa si svolge in sordina rispetto alla polvere che si accumula sui cappelli dopo la sua scomparsa.
Eppure il lettore si accorge dell’assenza del cappellaio alla fine della storia nella mancanza di quei suoi gesti sacri e ripetuti che impedivano al pulviscolo del tempo di penetrare nel suo negozio e sedimentarsi sulla merce in vendita ma ormai fuori moda.
Grazie per le riflessioni che la tua storia mi hai comunque indotto a fare.
- Roberto Bonfanti
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Hai tratteggiato bene la figura di questo cappellaio che sembra ogni giorno di più sottrarsi a un mondo che non ha posto per lui. Così legato ai suoi riti che gli danno sicurezza, fiero di quel piccolo dettaglio sull'essere decano, in realtà non comunica non nessuno. A casa non c'è nessuno, nel negozio passano "clienti", il garzone lascia il pasto sul retro. Perfino il giornale, ultimo aggancio col mondo di fuori, è del giorno prima. Basta poco a distruggere quest'uomo che non si accorge (o non vuole) del mondo di fuori e poi soffre per essere stato ignorato. Il breve trafiletto sul giornale diventa un'apocalisse, un segnale che è ora di andarsene.
Mi piace lo stile pacato, senza dialoghi, questo narrare discreto di qualcuno che esce di scena in punta di piedi.
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Il passare del tempo non causa solo problemi personali, principalmente di salute, ma ti butta proprio fuori dalla società. L'incapacità di adeguarsi ai cambiamenti, il ritrovarsi inutili, senza obiettivi, e alla fine senza valori, perché i tuoi valori non esistono più, ti priva dei sogni. Il cambiamento strisciante ti annichila in sordina, privandoti delle certezze una dopo l'altra. E questo anche se stai bene e potresti contribuire ancora per anni. Ecco che allora, quando te ne rendi conto, fai l'ultima cosa che abbia senso: te ne vai in silenzio, per non disturbare quel mondo che ormai non ha più niente da offrirti e non ti vuole.
Un signore fino in fondo.
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Antologia visual-letteraria (Volume uno)
Collage di opere grafiche e testuali pubblicate sul portale www.BraviAutori.it
Il libro è un collage di opere grafiche e testuali pubblicate sul portale www.BraviAutori.it e selezionate tenendo conto delle recensioni ricevute, del numero di visualizzazioni e, concedetecelo, il nostro gusto personale. L'antologia non segue un determinato filone letterario e le opere sono state pubblicate volutamente in ordine casuale.
A cura di Massimo Baglione.
Contiene opere di: Dino Licci, Annamaria Trevale, Sara Palladino, Filippo C. Battaglia, Gilbert Paraschiva, Luigi Torre, Francesco Vespa, Luciano Somma, Francesco Troccoli, Mitsu, Alda Visconti Tosco, Mauro Cancian, Dalila, Elisabetta Maltese, Daniela Tricarico, Antonella Iacoli, Jean Louis, Alessandro Napolitano, Daniela Cattani Rusich, Simona Livio, Michele Della Vecchia, Giovanni Saul Ferrara, Simone De Foix, Claudia Fanciullacci, Giorgio Burello, Antonia Tisoni, Carlo Trotta, Matteo Lorenzi, Massimo Baglione, Lorenzo Zanierato, Riccardo Simone, Monica Giussani, Annarita Petrino, Luigi Milani, Michele Nigro, Paolo Maccallini, Maria Antonietta Ricotti, Monica Bisin, Gianluca Gendusa, Cristiana, Simone Conti, Synafey, Cicobyo, Massimiliano Avi, Daniele Luciani, Cosimo Vitiello, Mauro Manzo.
B.A.L.I.A.
Buona Alternativa alla Lunga e Illogica Anzianità
Siamo nel 2106. BALIA accudisce gli uomini con una logica precisa e spietata, in un mondo da lei plasmato in cui le persone nascono e crescono in un contesto utopico di spensieratezza e di bel vivere. BALIA decide sul controllo delle nascite e sulle misure sanitarie da adottare per mantenere azzerato l'incremento demografico e allungare inverosimilmente la vita di coloro che ha più a cuore: gli anziani.
Esiste tuttavia una fetta di Umanità che rifiuta questa utopia, in quanto la ritiene una distopia grave e pericolosa.
BALIA ha nascosto il Passato ai suoi Assistiti, ma qualcuno di questi ha conservato i propri ricordi in un diario e decide di trascriverli in una rischiosa autobiografia. Potranno, questi ricordi, ripristinare negli Assistiti quell'orgoglio di vivere ormai sopito? E a che prezzo?
Di Ida Dainese e Massimo Baglione.
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Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.
Déjà vu - il rivissuto mancato
antologia poetica di AA.VV.
Talvolta, a causa di dinamiche non sempre esplicabili, uno strano meccanismo nella nostra mente ci illude di aver già assistito a una scena che, in realtà, la si sta vivendo solo ora. Il dèjà vu diventa così una fotocopia mentale di quell'attimo, un incontro del pensiero con se stesso.
Chi non ha mai pensato (o realmente vissuto) un'istantanea della propria vita, gli stessi gesti e le stesse parole senza rimanerne perplesso e affascinato? Chi non lo ha mai rievocato come un sogno o, perché no, come un incubo a occhi aperti?
Ventitrè autori si sono cimentati nel descrivere le loro idee di déjà vu in chiave poetica.
A cura di Francesco Zanni Bertelli.
Contiene opere di: Alberto Barina, Angela Catalini, Enrico Arlandini, Enrico Teodorani, Fausto Scatoli, Federico Caruso, Francesca Rosaria Riso, Francesca Gabriel, Francesca Paolucci, Gabriella Pison, Gianluigi Redaelli, Giovanni Teresi, Giuseppe Patti, Ida Dainese, Laura Usai, Massimo Baglione, Massimo Tivoli, Pasquale Aversano, Patrizia Benetti, Pietro Antonio Sanzeri, Silvia Ovis, Umberto Pasqui, Francesco Zanni Bertelli.
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La Gara 39 - Le nostre scelte generano molti mondi
A cura di Nunzio Campanelli.
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La Gara 59 - Siamo come ci vedono o come ci vediamo noi?
A cura di Alberto Tivoli.
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La Gara 34 - Heroes - un giorno da eroi
A cura di Valeria Barbera e Daniela Piccoli.
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