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(racconto narrativa, breve - per tutti)
Tempo di lettura: circa 10 minuti
41 visite dal 05/01/2018, l'ultima: 10 mesi fa.
2 recensioni o commenti ricevuti
Autore di quest'opera:







Descrizione: da definire...


Ne
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Recensioni: 2 di visitatori, 2 totali.
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recensore:
avatar di Giancarlo Rizzo
nwGiancarlo Rizzo
$ donatore 2023 (3 dal 2021)

Recensione o commento # 1, data 21:01:08, 07/10/2021
Mi sono permesso di rimescolare i paragrafi del tuo racconto. Spero di non offenderti ma il racconto mi è piaciuto e speravo di migliorarlo. Naturalmente il mio è solo un consiglio. dimmi poi cosa ne pensi.
D'un tratto piansi. Cercavo di nascondere il viso da mia zia ma aveva capito: in fondo era felice, perchè sapeva che avrei affrontato il presente e non sarei più fuggito su quel mostro d'accaio insieme agli uomni senza terra.
Tutto sembrava così bello e brutto allo stesso tempo, non sapevo cosa la vita mi avrebbe servito sul piatto. Dopo due anni di mare ritrovare tutto come prima mi dava gioia e malinconia, mi asciugai le lacrime e diedi un torcilione con un pezzetto di carne a Ne. Percepivo il suo sedere cado sulle ginocchie. Guardavo le palle nere dei suoi occhi attenti, e poi il suo affetto che trapelava d'improvviso mi regalava serenità, Ne era intelligente e dolcissimo.
Vivevo in un piccolo paese sulle colline del genovese. Era un mucchietto di case in sassi tra i boschi, le voci li rimbombavano. Il paese si chiamava Ne come il mio cane. Io ero nato lì, su quel piccolo promontorio roccioso fitto di boschi. Da piccolo andavamo nella miniera con Davide a giocare, correvamo nei campi e ci arrampicavamo sulla roccia. Il padre di Davide, Gianfranco, era un esperto rocciatore e così la domenica ci portava a salire pareti che a vederle facevano paura. In poco tempo quell'uomo dall'aria riflessiva ma decisa lo sentivo mio padre.
È per questo che Davide per me era più di un amico, piuttosto un fratello. Erano tante le mattine che mi trovavo in quella casa che pareva cadere nel dirupo, a fare colazione con quell'uomo appena sveglio che mi preparava il caffè latte mentre suo figlio era ancora a letto. Io per Gianfanco ero il secondo figlio, mi accudiva con lo stesso coraggio e amore di un padre. Dentro i suoi occhi color sabbia c'era un amore che forse nemmeno mia zia Alma mi dava. Lui mi voleva davvero bene e io alla fine ne volevo a lui.
Mi insegnava a scalare e suo figlio Davide era un po' geloso del rapporto che si era creato, forse non voleva dividere suo padre con me.
Ma alla fine io e Davide eravamo grandi amici o forse fratelli.
Mi preparai e uscii, andai alla birreria "Imbarco" dove avevo trascorso mille serate. Era nei pressi del Porto di Genova. Quando mi apparì la luce giallognola delle lanterne che erano ai lati della porta della birreria ebbi un tuffo al cuore, erano due anni che non mettevo piede lì.
Pensavo all'ultima volta che ero stato in quel locale, alla furiosa litigata con il tipo, quello che si era messa con Ornella, poi il viaggio tra quattro Continenti. Ero fermo con la mano sulla maniglia della porta e la mente viaggiava: i trascorsi si erano compattati in centinaia di colori, quei colori che avevano formato il disegno di quel pezzo della mia vita, ora quei momenti li avevo davanti agli occhi, vividi come non mai. Presi una bel respiro ed entrai.
Le persone erano sempre le solite. Un po' spaesato camminavo tra i tavoli; era strano ma nonostante tutto era rimasto immutato avevo la sensazione di vivere quel locale per la prima volta. Incrocia Matteo, il camerirere. Feci per salutarlo ma lui viaggiava spedito senza notarmi con il portavivande con tre enormi boccali traboccanti di schiuma. Ora notai che seduti ad un tavolo c'erano Davide, Ornella e altre due persone che non conoscevo.
Ero emozionatissimo. Il viso di Ornella sembrava quello di una bambola dai grandi occhi celesti scuri. Quante volte ero affondato dentro quel celeste, nel suo profumo e nei suoi piccoli gesti.
Anche il sorriso di Davide mi dava gioia, il suo parlare gestiolando, il tono di voce da tenore. Ero raggiante all'idea di ritrovarli dopo tanto tempo, di raccontare dei miei viaggi lungo le antiche rotte mercantitli. C'erano mille parole che rotolavano dentro la mia anima scaldandomi il corpo.
- Ciao Guglielmo! Allora! Da dove sbuchi fuori? Ti avevamo dato per disperso, siediti -
Io salutai e mi presentai ai due ragazzi che non conoscevo. Poco dopo bevevo la mia birra fresca; mentre bevevo c'era la voglia di raccontare: avevo vissuto tante esperienze, visto posti incredibili e avevo conosciuto persone dal grande cuore.
Avrei potuto parlare per ore senza annoiare nessuno, ma Onella e Davide erano intenti nei loro discorsi. Quei due anni di lontanaza avevano cambiato tutto. Avevo notato che tra me e loro c'era uno spazio, come un denso albume trasparente impenetrabile. Vedevo le loro bocche muoversi. I loro discorsi erano fatti di una relatà a cui io non ero più né interpete né figurante; era come se fossi davanti alla tv a guardare un film.
Poco prima mi ero visto al centro del tavolo che raccontavo quando la nostra nave e il suo equipaggio era stato bloccato un mese ad Alessandria d'Egitto. Le medine, gli aromi, gli occhi segreti delle ragazze. Io e Akil che camminavamo tra quei corpi che sapevano di aromi sconosciuti.



recensore:
avatar di Giancarlo Rizzo
nwGiancarlo Rizzo
$ donatore 2023 (3 dal 2021)

Recensione o commento # 2, data 21:03:43, 07/10/2021
Poi ero stato catturato dagli occhi imprigionati dentro il bourqua nero di una ragazza; sorridevano ed erano gli occhi più immensi che io non abbia mia visto in vita mia. Sentivo la sua voce sensuale e il suo muoversi era delicato. Mi ero avvicinato, con il palmo della mano avevo sfiorato il suo fondoschiena, era una ragazza bellissima.
Avevo mangiato cavallette fritte in Thailandia. Ad Akil piacevano e allora le avevo mangiate anch'io. Avevo vissuto due brutte tempeste nell'oceano Antartico e un uragano in quello Pacifico che aveva buttato giù i container dalla nave come fossero scatole di fiammiferi. Ogni tanto rivedo quelle onde lunghe, apparentemente basse ma in realtà poi si trasformavano, mutavano in montagne dalle creste affilate alte più di quindici metri, e poi venti che soffiavano a duecento chilometri orari, era l'uragano Darby.
Ora tutto il mio entusiasmo si era smorzato, la birra scivolava già amara. Mi domandavo perché?
Finii la birra e mi alzai, lo feci senza salutare nessuno, solo quando mi videro intento a uscire Davide c'erò di fermarmi, ma ormai era troppo tardi.
Mi fermai in una birreria poco distante. Qui ero solo, solo con i miei pensieri i miei demoni e i miei angeli. La rabbia si era trasformata in lacrime, le avevo lasciate sul selciato tra i due locali, camminando con la bocca storta e la giacca aperta, respirando quell'aria gelida di quella notte di false speranze.
A quest'ora avrei dovuto mangiare il panino al metro con dentro prosciutto crudo, mozzarella, salsa verde e pomodori, e parlare delle mie avventure con Ornella e Davide; chiedere di cosa avessero fatto in tutto questo tempo, ma alla fine ora ero in una birreria, solo, che mangiavo noccioline con gli occhi gonfi di tristezza.
Guardavo fuori dalla vetrata il buio che si stendeva nel cielo, non c'era la luna - lei mi aveva tenuto compagnia nell'immensità del mare alla fine di ogni fatica, nelle giornate di solitudine - e ora anche lei mi voltava le spalle.
Tornai a casa distrutto, mi spogliai e mi infilai sotto le coperte.
Ora nel tepore del letto pensavo a Davide e a quei periodo e mi si stringeva il cuore all'idea di non poter più frequentare quella famiglia, che era stata anche la mia.
Mi tirai su la coperta fino al mento. Fuori si udiva il fruscio del bosco, era un rumore antico che aveva accompagnato la mia esistenza. Sentivo il caldo del letto, le luci delle stelle fuori dalla finestra e tutti quei pensieri giocavo con i misteri della mia vita.
Poco dopo sentii degli scricchiolii; erano le unghie di Ne che sfregavano sul parquet e poi sentii una linguetta leccarmi la mano.
Ne - bisbigliai accarezzando la testolina che continuava a leccarmi il polso.
Quella piccola linguetta viscida mi regalava un'energia incredibile. Il sapere che il bene esisteva al di là di ogni cosa e ogni tempo, mi regalava gioia senza chiedere nulla; lo faceva solo perché l'istinto gli diceva che era giusto così e io ricevevo il suo amore con commozione: l'amore esisteva, anche se era sotto forma di pochi chili ricoperti di pelo. Mi addormentai felice, nonostante la mia anima sanguinasse.





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